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Il Brasile di Lula contro gli incendi di foreste: bruciati 30,8 milioni di ettari nel 2024

La superficie di vegetazione distrutta dagli incendi in Brasile è aumentata del 79% nel 2024, raggiungendo i 30,8 milioni di ettari, una cifra superiore a quella dell’Italia, secondo un rapporto della piattaforma di monitoraggio MapBiomas pubblicato mercoledì. Si tratta dell’area più grande ad essere andata in fumo nel Paese latinoamericano in un anno dal 2019. L’Amazzonia, gigantesca regione naturale con un ecosistema cruciale per la regolazione del clima, è stata la più colpita con circa 17,9 milioni di ettari devastati, ovvero il 58% del totale, e più di tutte le aree bruciate nell’intero Paese entro il 2023, specifica lo studio.

Il 2024 è stato un anno “atipico e allarmante“, riassume Ane Alencar, coordinatrice di MapBiomas Incendie, la piattaforma di monitoraggio dell’Osservatorio climatico brasiliano. Secondo i dati ufficiali, nel 2024 sono stati registrati più di 140.000 incendi, il numero più alto degli ultimi 17 anni e un aumento del 42% rispetto al 2023. Gli scienziati ritengono che la portata di questi incendi sia legata al riscaldamento globale, che rende la vegetazione più secca, facilitando la propagazione delle fiamme. Ma nella quasi totalità dei casi sono causati dall’uomo.

La dottoressa Alencar mette in guardia in particolare dagli incendi che hanno colpito le foreste, aree chiave per la cattura del carbonio responsabile del riscaldamento globale: nel 2024 sono stati devastati 8,5 milioni di ettari, rispetto ai 2,2 milioni del 2023. E per la prima volta in Amazzonia sono andate bruciate più foreste che pascoli. “Si tratta di un indicatore negativo, perché una volta che le foreste soccombono al fuoco, restano molto vulnerabili a nuovi incendi“, avverte Ane Alencar.

I risultati sono particolarmente negativi per il presidente Luiz Inacio Lula da Silva, poiché la città amazzonica di Belem ospiterà la conferenza delle Nazioni Unite sul clima COP30 a novembre. È anche lo stato del Pará (nord), di cui Belem è capoluogo, ad aver sofferto maggiormente gli incendi del 2024, con 7,3 milioni di ettari devastati, circa un quarto del totale nazionale.
Il leader della sinistra Lula ha fatto della tutela dell’ambiente una delle priorità del suo mandato. Secondo le statistiche ufficiali, anche la deforestazione è diminuita di oltre il 30% su base annua a partire da agosto, il livello più basso degli ultimi nove anni. A settembre, tuttavia, ha ammesso che il Brasile non era “pronto al 100%” a combattere un’ondata di incendi boschivi, che il governo ha attribuito al “terrorismo climatico“.

Alcune persone ricorrono al metodo del taglia e brucia per liberare i campi da coltivare o allevare bestiame, oppure incendiano aree forestali per appropriarsi illegalmente di terreni. “Gli impatti di questa devastazione sottolineano l’urgenza di agire (…) per contenere una crisi ambientale esacerbata da condizioni meteorologiche estreme, ma innescata dall’azione umana, come è accaduto lo scorso anno“, ha insistito Alencar.

Alla COP30, il Brasile avrà il difficile compito di provare a guidare il progresso verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, mentre il nuovo presidente americano Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti se ne ritireranno nuovamente. Secondo la COP, l’obiettivo principale dell’accordo di Parigi è “mantenere l’aumento della temperatura media globale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali“, con un obiettivo finale di “1,5°C“.

A Los Angeles rischio frane e rifiuti tossici dopo incendi: vittime salgono a 27

Decine di migliaia di residenti evacuati a Los Angeles a causa degli incendi boschivi dovranno aspettare “almeno un’altra settimana” prima di fare ritorno nelle proprie abitazioni. La situazione è al momento troppo pericolosa, hanno spiegato le autorità locali in una conferenza stampa. Le reti elettriche, del gas e fognarie hanno subito danni considerevoli. I rifiuti tossici sono ovunque. E il rischio di frane e smottamenti è in aumento. Senza contare l’esposizione a pericolose sostanze tossiche. “Ci vorrà del tempo“, avverte lo sceriffo della contea di Los Angeles, Robert Luna. “Direi almeno un’altra settimana, ma questa è solo una stima“.

Tra gli sfollati cresce comunque la frustrazione per gli ordini delle autorità locali che impediscono loro di tornare a casa, nonostante le loro abitazioni siano state abbastanza fortunate da scampare ai violenti incendi che hanno devastato parti della megalopoli californiana, distruggendo più di 16.000 ettari negli ultimi dieci giorni e causando la morte di 27 persone secondo l’ultimo bilancio delle vittime aggiornato a ieri. È probabile che il numero delle vittime aumenti ulteriormente nei prossimi giorni, mentre le squadre di ricerca continuano a setacciare tra le macerie. Le autorità locali spiegano inoltre che è proprio “perché crediamo che ci possano essere altre vittime” in alcune zone colpite dal disastro che ai residenti evacuati viene impedito di farvi ritorno. Giovedì le squadre dell’Agenzia per la protezione dell’ambiente hanno iniziato le ispezioni per raccogliere pesticidi, benzina e batterie al litio dalle montagne di macerie prima che i detriti possano essere rimossi. Contrariamente alle recenti condizioni meteorologiche estremamente secche, la possibile pioggia rappresenta ora una potenziale minaccia.

I sistemi di drenaggio nelle due aree (più colpite) sono stati danneggiati“, ha affermato Mark Pestrella, direttore dei lavori pubblici della contea di Los Angeles. “In caso di forti piogge, prevediamo che l’intero quartiere e le strade saranno interessati da flussi d’acqua che trasportano detriti“. Le colline di Los Angeles sono state destabilizzate dagli incendi che le hanno devastate e dagli enormi volumi di acqua utilizzati dai vigili del fuoco per combatterli. Anche gli edifici apparentemente intatti potrebbero essere colpiti dalle frane, aggiunge Pestrella.

Le foto di Pacific Palisades mostrano una casa, non attaccata dall’incendio, che sembra essersi spaccata in due a causa del crollo di una collina dopo che le fiamme sono state spente. I forti venti che hanno spazzato l’area di Los Angeles per più di una settimana e alimentato le fiamme si sono placati giovedì, aiutando i vigili del fuoco (e più di 900 detenuti accorsi per dare una mano) a progredire nei loro sforzi.

Venti forti alimentano ancora gli incendi a Los Angeles. Bilancio vittime sale a 25

Non c’è tregua a Los Angeles: venti caldi e potenti hanno continuato a soffiare durante la notte, alimentando ulteriormente le fiamme che da una settimana deturpano la seconda città degli Stati Uniti e che hanno causato almeno 25 vittime. Il servizio meteorologico nazionale degli Stati Uniti (NWS) ha avvertito di raffiche fino a 110 km/h tra le 03:00 (11:00 GMT) e le 15:00 (23:00 GMT) di mercoledì. Alcune zone della contea di Los Angeles e della vicina contea di Ventura sono state poste in “condizioni di particolare pericolo”.

L’umidità molto bassa e la vegetazione molto secca potrebbero portare a una “rapidissima espansione dell’incendio” in alcune aree, hanno avvertito i meteorologi, che hanno anche messo in allerta rossa gran parte della California meridionale.

I danni sono immensi: più di 12.000 case, edifici e veicoli sono stati distrutti o danneggiati e interi quartieri rasi al suolo. Secondo un nuovo rapporto, circa 88.000 persone sono ancora sfollate e almeno 25 sono morte. I due incendi principali hanno interessato 9.700 ettari nell’elegante quartiere di Pacific Palisades e più di 5.700 nella città di Altadena, a nord di Los Angeles.

Un’indagine per determinare le cause degli incendi è stata avviata martedì dalle autorità federali, che hanno però avvertito che ci vorrà del tempo. “Sappiamo che volete delle risposte, (le) meritate. L’ATF ve le darà una volta che l’indagine sarà completa e approfondita”, ha dichiarato Jose Medina, rappresentante di questa agenzia, che si occupa tra l’altro di esplosivi e armi. Per giorni, squadre accompagnate da cani hanno cercato le vittime tra le rovine. Lunedì erano state ispezionate 1.800 case, secondo lo sceriffo della contea di Los Angeles Robert Luna. “La buona notizia è che non sono stati trovati altri corpi”, ha detto. Questi incendi, tra i peggiori nella storia della California, potrebbero essere i più costosi di sempre: tra i 250 e i 275 miliardi di dollari secondo le stime provvisorie della società privata AccuWeather.

Centinaia di migliaia di bambini sono tornati a scuola lunedì, ma le scuole nelle aree evacuate rimangono chiuse. In tutto, migliaia di vigili del fuoco sono al lavoro. Sono stati inviati rinforzi umani e materiali, tra cui decine di autobotti. Sono stati mobilitati in particolare per un nuovo focolaio scoppiato nella tarda serata di lunedì a Oxnard, a 80 km da Los Angeles.

Dopo i problemi a combattere le fiamme nella zona di Pacific Palisades a causa degli idranti asciutti o a bassa pressione, che hanno portato a critiche sulla gestione dell’emergenza, il capo dei vigili del fuoco Anthony Marrone ha assicurato alla popolazione che c’erano “acqua e pressione” nella zona di Altadena. Il governatore democratico della California, Gavin Newsom, ha chiesto “una revisione completa e indipendente” dei servizi di distribuzione idrica di Los Angeles.

Le autorità sanitarie hanno anche avvertito dei rischi per la salute associati al fumo e alla cenere generati dagli incendi e trasportati dai venti. “La cenere non è solo sporcizia. Sono polveri sottili che possono irritare o danneggiare il sistema respiratorio e altre parti del corpo”, ha avvertito Anish Mahajan del dipartimento di salute pubblica della contea. Le autorità hanno invitato la popolazione a indossare mascherine.

I venti di Santa Ana, che hanno alimentato le fiamme a rotta di collo, sono una caratteristica classica degli autunni e degli inverni californiani. Ma questa volta hanno raggiunto un’intensità che non si vedeva dal 2011, secondo i meteorologi, con raffiche fino a 160 km/h la scorsa settimana. Questo è sufficiente per propagare il fuoco alla velocità della luce, soprattutto perché due anni molto umidi avevano dato origine a una vegetazione rigogliosa, che poi si è seccata nel corso di otto mesi senza precipitazioni.

Incendi a Los Angeles: almeno 24 i morti. Danni potrebbero salire a 275 miliardi

Se il fine settimana ha concesso una breve tregua dai forti venti, aiutando così i vigili del fuoco a tenere sotto controllo gli incendi nella contea di Los Angeles, la situazione è nuovamente destinata a peggiorare. A quasi una settimana dai maxi roghi che hanno devastato la più grande città della California, il bilancio è sempre più tragico. Le vittime accertate sono 24, “ma il loro numero è destinato ad aumentare”, ha spiegato lo sceriffo della contea di Los Angeles, Robert Luna, nel corso di una conferenza stampa organizzata per fare il punto della situazione. Al momento, infatti, risultano scomparse almeno 23 persone, di cui 6 sei nell’area di Malibù e 17 nella zona dell’Eaten Fire. Otto tra le vittime sono morte nel rogo di Pacific Palisades, altre 16 in quello di Eaten. Tra loro anche una donna di 95 anni, Dalyce Curry, i cui resti sono stati scoperti tra le rovine della sua casa di Altadena, devastata dalle fiamme. Conosciuta come Momma D, Curry faceva parte della vecchia Hollywood nera negli anni ’50, apparendo come comparsa in film classici come ‘I dieci comandamenti’ e ‘Lady Sings the Blues’.

Nonostante gli sforzi di migliaia di vigili del fuoco, nel fine settimana l’incendio si è esteso a nord-ovest della città e ora minaccia la popolosa San Fernando Valley. Secondo le prime stime delle autorità, più di 12.000 strutture – case e altri edifici – sono state distrutte o danneggiate dalle fiamme. Molti residenti cominciano a mettere in discussione la gestione dell’emergenza, soprattutto perché i vigili del fuoco hanno dovuto talvolta fare i conti con idranti vuoti o con una bassa pressione. Molto criticata, la sindaca democratica di Los Angeles, Karen Bass, ha assicurato che i suoi dipartimenti erano “tutti sulla stessa lunghezza d’onda”, anche se, il capo dei vigili del fuoco della città ha criticato il budget insufficiente stanziato dal comune per il dipartimento. Il governatore democratico dello Stato, Gavin Newsom, ha chiesto “una revisione completa e indipendente” dei servizi idrici della città.

La conta dei danni, intanto, sta schizzando alle stelle. Secondo gli esperti di AccuWeather, società di previsioni meteorologiche, al momento potrebbero ammontare a una cifra compresa tra 250 e 275 miliardi di dollari. Un dato “che è tanto sconcertante quanto preoccupante, a causa di uno degli incendi più distruttivi nella storia moderna degli Stati Uniti”, ha affermato il capo meteorologo di AccuWeather Jonathan Porter.

Proseguono,le indagini per fare luce sulle cause degli incendi. Edison International ha riferito che è stata scoperta una linea elettrica abbattuta su una torre associata al circuito Eagle Rock – Sylmar 220 kV. Ma Southern California Edison non sa ancora se i danni osservati si siano verificati prima o dopo l’inizio dell’incendio. Sono circa 50 le persone arrestate dall’inizio dell’emergenza nei quartieri di Eaton e Palisades. Come ha riferito il vice capo del dipartimento della polizia, Dominic Choi, le accuse vanno dal saccheggio al furto con scasso, dall’intrusione in proprietà privata al vandalismo. Ci sono stati arresti anche in relazione ad incidenti con droni. I venti di Santa Ana che hanno alimentato gli incendi sono una caratteristica classica degli autunni e degli inverni californiani. Ma questa volta hanno raggiunto un’intensità che non si vedeva dal 2011, secondo i meteorologi, con raffiche fino a 160 km/h questa settimana. Questo è sufficiente per diffondere le braci molto rapidamente, a volte per chilometri. È uno scenario da incubo per i vigili del fuoco, dato che la California viene da due anni molto umidi che hanno visto la crescita di una vegetazione rigogliosa, ora inaridita dalla mancanza di pioggia degli ultimi otto mesi.

Mattarella scrive a Rebelo de Sousa e sente Priolo (ER): “Contrasto a emergenza clima con ogni mezzo”

Gli incendi che hanno provocato ingenti danni al Portogallo e la morte di cinque persone impongono un cambiamento d’agenda per il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, che all’ultimo minuto disdice la partecipazione al 17esimo Simposio Cotec di Las Palmas de Gran Canaria. In Spagna ci saranno solo il capo dello Stato, Sergio Mattarella, assieme al padrone di casa di quest’anno, il Re di Spagna, Felipe VI.

Il capo dello Stato offre subito vicinanza al popolo portoghese, con un messaggio a Rebelo de Sousa in cui esprime “profonda tristezza“. Mattarella ricorda la sostanza della dichiarazione dell’agosto 2023: “Gli incendi rappresentano uno di quei fenomeni estremi, purtroppo sempre più frequenti, determinati da un’emergenza climatica da contrastare con ogni mezzo“. Poi rimanda una nuova riflessione alla prossima riunione del Gruppo di Arraiolos del 10 e 11 ottobre.

Anche in Italia la situazione è sotto costante attenzione, per le nuove alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna e le Marche. Al suo arrivo a Las Palmas, infatti, il presidente della Repubblica ha sentito la presidente facente funzioni, Irene Priolo, per chiedere notizie ed esprimere “vicinanza in questo momento di difficoltà, chiedendole di ringraziare tutti coloro che si stanno adoperando per aiutare chi si trova in condizioni difficili”.

I contatti con l’Italia resteranno continui. Anche se domani, 20 settembre, al Teatro Pérez Galdós, sarà invece la sovranità tecnologica l’argomento principale. Al simposio si discuterà anche dei risultati del report stilato dall’ex Bce, Mario Draghi, sul futuro della competitività dell’Europa. In gioco ci sono diversi comparti sui quali occorre trovare nuove frontiere: ad esempio l’energia o l’applicazione dell’Intelligenza artificiale limitandone più possibile i rischi, ma va portata a compimento anche la transizione digitale e allo stesso tempo vanno rimessi al centro del dibattito settori cruciali come difesa e sicurezza. Soprattutto in una fase storica molto delicata, con la crisi geopolitica provocata dalla guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente.

Per non finire all’angolo, o come ha detto Draghi verso una “lenta agonia“, l’Europa deve rilanciare gli investimenti in ricerca e sviluppo, senza dimenticare la transizione energetica e ambientale, limitando le criticità economiche e sociali. Ovvero, senza lasciare indietro nessuno. In questo contesto assumono ancora maggiore interesse le catene di approvvigionamento e la sicurezza energetica, la sicurezza fisica e informatica delle infrastrutture critiche, la sicurezza e fuga di tecnologia, la militarizzazione delle dipendenze economiche o coercizione economica. Temi che il Cotec toccherà.

A Las Palmas Re Felipe VI e Mattarella visiteranno il Museo Elder della Scienza e della tecnologia, interagendo con gli studenti dei corsi educativi. Mentre al Simposio ci saranno anche l’alto Rappresentate per la politica estera dell’Ue, Josep Borell, per parlare di difesa e sicurezza, Dario Pagani, Head of Digital and Information Technology di Eni, il managing director Space Business Unit di Leonardo, Massimo Claudio Comparini, e Nicola Rossi, Head of Innovation del gruppo Enel Group, che interverranno per l’Italia in qualità di rappresentanti delle aziende socie di Cotec Italia.

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Clima, gli incendi estremi sono raddoppiati negli ultimi 20 anni

La frequenza e l’entità degli incendi selvaggi estremi sembrano essere raddoppiate negli ultimi 20 anni e i sei anni più estremi per questi eventi si sono verificati a partire dal 2017. Lo rivela uno studio pubblicato su Nature Ecology & Evolution.

Negli ultimi anni, i gravi eventi di incendi boschivi hanno battuto record e fatto notizia a livello mondiale. Questi roghi causano la perdita di vite umane, costruzioni, bestiame, fauna selvatica e habitat e provocano danni per miliardi di dollari. Altre migliaia di morti sono state attribuite all’inquinamento atmosferico associato. Tuttavia, la nostra comprensione delle tendenze di questo tipo di incendi è limitata.

Per verificare se i roghi selvaggi stiano aumentando in frequenza e/o magnitudo, Calum Cunningham e colleghi della University of Tasmania hanno utilizzato dati satellitari dal 2003 al 2023 per identificare i punti caldi attivi e calcolare l’intensità sommata di un evento di incendio, piuttosto che in un singolo momento e luogo. Gli autori hanno scoperto che gli incendi selvaggi energeticamente estremi sono più che raddoppiati in frequenza e magnitudo negli ultimi 20 anni e che i sei anni più estremi si sono verificati a partire dal 2017. Hanno inoltre rilevato che il Neartico e l’Australasia/Oceania sono stati i più colpiti dagli eventi estremi e l’aumento è stato determinato soprattutto da incendi più intensi nelle foreste temperate di conifere e boreali, anche in Nord America e in Russia. Cunningham e colleghi suggeriscono che ciò potrebbe essere legato all’aumento dell’aridità in queste foreste negli ultimi anni a causa dei cambiamenti climatici.

Gli autori concludono che i risultati indicano che l’aumento della frequenza e dell’entità degli incendi estremi evidenzia la necessità di adattarsi a un clima favorevole a questi eventi.

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Incendi e poca acqua: la Sicilia soffre per la continua siccità

Mentre l’Italia è travolta dalla morsa del maltempo, la Sicilia soffre già – o ancora – per la siccità. L’isola ha dichiarato lo stato di emergenza a causa della mancanza di acqua che ha distrutto i raccolti, inaridito i pascoli e portato a restrizioni idriche.

Secondo gli esperti, i cambiamenti climatici indotti dall’attività umana stanno aumentando l’intensità e la frequenza di fenomeni meteorologici estremi, come ondate di calore, siccità e incendi boschivi. E la Sicilia sta affrontando pesanti conseguenze.
Secondo l’Ispra, lo scorso anno gli incendi hanno devastato più di 51.000 ettari sull’isola e quest’anno si sono già verificati diversi roghi, appiccati principalmente dai piromani. I Canadair spesso prelevano l’acqua dai bacini per combattere gli incendi nell’entroterra, ma il livello è sceso così tanto che sono costretti a rifornirsi dal mare. “Questo comporta un rallentamento dei tempi di intervento e un aumento considerevole dei costi, già di per sé vertiginosi“, spiega il geologo Giuseppe Amato, responsabile delle risorse idriche in Sicilia per Legambiente.

Ma a soffrire è anche l’agricoltura. Dai frutteti di arance e mandorle agli uliveti e ai vigneti, gli agricoltori siciliani segnalano raccolti mancati o di scarsa qualità dopo i mesi di scarse precipitazioni e le temperature record della scorsa estate. La fascia di campi di grano intorno al vulcano Etna è spoglia, e questa assenza significa anche mancanza di fieno per il bestiame. Per molti agricoltori si tratta di un ulteriore colpo dopo gli scarsi raccolti dello scorso anno dovuti alle piogge fuori stagione. Vicino al Lago Nicoletti, nella Sicilia centrale, i coltivatori delle pregiate pesche di Leonforte, avvolte singolarmente sull’albero per proteggerle durante la maturazione, rischiano di perdere interi raccolti a causa della persistente siccità.

Non va meglio all’ecosistema. La Sicilia è uno scalo fondamentale per gli uccelli che migrano tra l’Africa e l’Europa. Il lago Pozzillo è diventato il simbolo della siccità: un tempo ritrovo preferito dei pellicani, poteva contenere 150 milioni di metri cubi d’acqua, ma ora ne conta solo 3,8 milioni. Il vicino lago di Pergusa, protetto dall’Unesco, “è quasi scomparso“, lamenta Giuseppe Amato. “Se dovesse prosciugarsi completamente, centinaia di specie di uccelli soffrirebbero enormemente in termini di migrazione. Potrebbe addirittura minacciare le specie in via di estinzione“, avverte l’esperto.

Secondo Amato, inoltre, negli ultimi 150 anni la Sicilia ha distrutto il 95% delle sue zone umide, prosciugandole per trasformarle in aree urbane o terreni agricoli, nonostante il loro ruolo chiave nella prevenzione della siccità.

La Sicilia ha 25 bacini utilizzati per l’irrigazione e quattro per l’acqua potabile, anche se non tutte sono operative, secondo i dati del ministero delle Infrastrutture. Queste 29 dighe attualmente contengono il 23% di acqua in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Parte del problema è che le dighe sono vecchie, la maggior parte è stata costruita prima del 1980, e l’accumulo di limo nel tempo ha ridotto notevolmente il volume d’acqua che possono contenere, anche quando le piogge sono abbondanti. L’Italia ha ottenuto un finanziamento europeo per un progetto da 47 milioni di euro per completare la diga di Pietrarossa, iniziata negli anni ’90 e che, una volta completata, sarà la più grande dell’isola.

Secondo l’Istat, in media il 42% dell’acqua della rete di distribuzione italiana si perde a causa delle tubature, e la Sicilia è la regione che registra i risultati peggiori con una perdita del 52,5%. Il piano d’azione della regione contro la siccità prevede l’utilizzo delle acque reflue trattate per l’agricoltura, ma “la depurazione è molto limitata in Sicilia e la sua qualità è spesso scarsa“, sottolinea Amato.
Secondo Arpa Sicilia, la regione dispone di 463 impianti di trattamento delle acque reflue, ma solo 388 sono in funzione – e solo il 20% di questi è attualmente autorizzato.

La Colombia brucia, Petro chiede aiuto alla comunità internazionale

Photo credit: AFP

Ieri la Colombia ha lanciato un appello alla comunità internazionale per far fronte a una trentina di incendi boschivi che stanno imperversando in diverse regioni e nella capitale Bogotà, dove le fiamme si stanno avvicinando a una zona residenziale. Parlando alla stampa, il presidente Gustavo Petro ha dichiarato di aver “attivato i protocolli per la richiesta di assistenza internazionale“, in modo che il Paese possa combattere i 31 incendi che da mercoledì hanno distrutto circa 600 ettari di foresta. Secondo l’Istituto di idrologia, meteorologia e studi ambientali (Ideam), l’87% del Paese – dichiarato mercoledì in stato di “calamità naturale” – è esposto al “massimo rischio” di incendi.

Petro ha detto che Stati Uniti, Cile, Perù e Canada hanno già risposto positivamente alle richieste di aiuto della Colombia per contenere la diffusione delle fiamme. Secondo l’Ungrd, giovedì erano attivi 31 incendi in cinque regioni del Paese. Quattro di essi stanno imperversando nella capitale, dove un incendio sulla collina di El Cable, alla periferia orientale della città, si è esteso alla periferia di una zona residenziale. “I venti lo hanno avvicinato, ma è ancora a più di 900 metri dalle case. Lo stiamo monitorando. Se necessario, prenderemo misure di evacuazione“, ha dichiarato il sindaco di Bogotà, Carlos Fernando Galan, alla fine della giornata. “Le prossime settimane saranno difficili. Oggi abbiamo visto qualche nuvola, ma non vediamo ancora alcuna possibilità di pioggia“, ha aggiunto.

Al calar della notte, il fumo ha avvolto il centro di questa città di otto milioni di abitanti, dove più di 300 pompieri, soldati e soccorritori sono stati impiegati per combattere le fiamme. Il sindaco ha invitato “la popolazione intorno alle aree bruciate a indossare maschere protettive” e ha annunciato la chiusura delle scuole e di un’università interessate dal fumo. “Si sente davvero l’odore del fumo. Lo si sente anche in gola“, ha detto Blanca Galindo, una venditrice ambulante di 69 anni, dai piedi delle montagne che confinano con Bogotà, dove molte persone indossano maschere protettive.

Il municipio ha raccomandato di evitare di fare attività fisica all’aperto, di chiudere le finestre e, in alcune zone, di mettere asciugamani umidi sui davanzali delle porte. L’autorità dell’aviazione civile ha dichiarato che il più grande scalo aereo dell’America Latina in termini di volume di merci stava operando “con restrizioni” a causa del fumo e della foschia mattutina, ma che la situazione era “in via di normalizzazione“. Giovedì mattina circa 138 voli hanno subito ritardi, 48 dei quali sono stati cancellati e 16 reindirizzati ad altri aeroporti.
Animali selvatici, tra cui uccelli, scoiattoli e procioni, sono stati visti rifugiarsi nelle aree urbane. Rinomata per la sua biodiversità, la Colombia sta affrontando l’influenza del fenomeno climatico El Niño, con caldo record, siccità e incendi. “Questo gennaio si preannuncia come il più caldo mai registrato, secondo i dati storici a nostra disposizione“, ha ammesso in una conferenza stampa Ghisliane Echeverry, direttore di Ideam, che registra le temperature del Paese da 30 anni.

Secondo Ideam, martedì nove comuni del nord, del centro e dell’est del Paese hanno registrato temperature record fino a 40,4°C, mentre gennaio è normalmente il mese più fresco dell’anno. “Attualmente ci sono 62 comuni in una situazione di stress idrico, cioè dove la capacità di acqua dolce è pari o inferiore alla domanda della popolazione“, ha sottolineato Petro.

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L’annus horribilis degli incendi boschivi: 250 morti e 400 milioni di ettari in fumo

Quasi 400 milioni di ettari andati in fumo, oltre 250 persone uccise, 6,5 miliardi di tonnellate di CO2 rilasciate nell’ambiente. È questo il bilancio disastroso degli incendi boschivi del 2023, trainati non solo da Canada e Hawaii, ma anche dal continente europeo e dalla sua impennata di roghi rispetto alla media degli anni precedenti.

Nel corso dell’anno agli sgoccioli, il continente americano ha conosciuto una stagione di incendi da record, con quasi 80 milioni di ettari bruciati (al 23 dicembre) – una superficie pari a una volta e mezza quella della Spagna – e 10 milioni in più rispetto alla media annuale 2012-2022 alla stessa data, secondo quanto reso noto dal Global Wildfire Information System (Gwis). A trascinare il bilancio negativo è stato il Canada, con 18 milioni di ettari in fumo – un terzo delle dimensioni della Francia continentale – a causa delle condizioni più secche e calde causate dal cambiamento climatico. Si sommano poi gli incendi di agosto alle isole Hawaii, che hanno praticamente raso al suolo la città turistica di Lahaina (a Maui), causando la morte di 97 persone.

Sul continente europeo è stata superata la media 2006-2022 del numero cumulativo di incendi boschivi nei Paesi Ue del 55% (al 9 dicembre), come registrato dal servizio di gestione delle emergenze (Ems) del programma satellitare Ue Copernicus. I dati più recenti riferiscono di un +79% in Italia e di un +204% in Francia (al 16 dicembre). Oltre alle aree solitamente esposte – come il bacino del Mediterraneo – sono state devastate altre regioni prima più protette, come Tenerife, e questo ha aumentato il numero di persone a rischio e le popolazioni più vulnerabili. È così che l’Emergency Events Database (Em-Dat) dell’Università Cattolica di Lovanio ha classificato il 2023 come “l’anno più letale del 21° secolo”.

Va poi considerata la questione ambientale. Più incendi si registrano, meno tempo ha la vegetazione per ricrescere e più le foreste potrebbero perdere la loro capacità di assorbire anidride carbonica, fino al 10%. In aggiunta, quando gli alberi bruciano, rilasciano improvvisamente nell’atmosfera tutta la CO2 che hanno immagazzinato: circa l’80% del carbonio generato dagli incendi boschivi viene riassorbito dalla vegetazione che ricresce nella stagione successiva, mentre il restante 20% contribuisce all’accumulo di CO2 nell’atmosfera, alimentando il riscaldamento globale in una sorta di circolo vizioso. Dall’inizio del 2023 gli incendi hanno rilasciato circa 6,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, anche se questo dato va contestualizzato rispetto ai 36,8 miliardi di tonnellate per l’uso di combustibili fossili e cemento.

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Si riduce la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana, ma gli incendi sono una minaccia

Giovedì il governo brasiliano ha annunciato un calo del 22,3% su base annua della deforestazione in Amazzonia, il miglior risultato degli ultimi quattro anni, ma la siccità e gli incendi stanno minacciando la più grande foresta tropicale del mondo. Secondo il sistema di monitoraggio della deforestazione PRODES, gestito dall’Istituto nazionale per la ricerca spaziale (INPE), tra agosto 2022 e luglio 2023 sono stati distrutti 9.001 chilometri quadrati di foresta primordiale. Questo rappresenta una diminuzione del 22,3% rispetto al periodo agosto 2021-luglio 2022 (11.594 km2).

Una coalizione di gruppi ambientalisti ha accolto con favore questi risultati, che “mettono il Paese sulla strada giusta per raggiungere il suo obiettivo climatico“. Si tratta del miglior risultato osservato dall’INPE dal 2019, anno di inizio dell’impennata del disboscamento nella foresta amazzonica, che ha raggiunto un picco di 13.038 km2 distrutti tra agosto 2020 e luglio 2021, il massimo da 15 anni a questa parte.

Il presidente Luiz Inacio Lula da Silva si è impegnato a ridurre a zero la deforestazione in Brasile entro il 2030, invertendo le politiche ambientali del suo predecessore di estrema destra Jair Bolsonaro (2019-2022), scettico sul cambiamento climatico. Durante la conferenza stampa di presentazione dei risultati, la ministra dell’Ambiente Marina Silva ha dichiarato che l’Amazzonia è stata oggetto di una “profusione di crimini” negli ultimi anni “dopo un completo smantellamento della struttura di governance ambientale“.

Secondo il governo brasiliano, la riduzione della deforestazione tra agosto 2022 e luglio 2023 ha evitato l’emissione di 133 milioni di tonnellate di CO2, pari al 7,5% delle emissioni totali del Paese. Mariana Napolitano, direttrice esecutiva del Wwf-Brasile, ha accolto con favore questa “riduzione significativa“, ma ha messo in guardia dall'”altissimo livello di degrado” dell’Amazzonia, che copre il 59% del territorio brasiliano. “Stiamo assistendo a uno scenario di incendi estremi in una foresta tropicale che normalmente non brucia spontaneamente“, ha dichiarato all’AFP. Secondo il Wwf, l’Amazzonia ha registrato il peggior mese di ottobre degli ultimi 15 anni, con 22.000 incendi, un aumento del 59% rispetto allo stesso mese dell’anno scorso. Il nord e il nord-est del Brasile soffrono di una grave siccità che ha ridotto i flussi fluviali a livelli storicamente bassi. La situazione è destinata a peggiorare nei prossimi mesi, a causa dell'”alta probabilità” di precipitazioni inferiori alla media e di temperature “superiori ai valori storici“, secondo un recente rapporto del Centro nazionale per il monitoraggio e l’allarme dei disastri naturali (CEMADEN).