fotovoltaico

Investimenti in energia ‘green’ doppiano i fossili: boom sul solare

Gli investimenti globali nell’energia pulita raggiungeranno quasi il doppio dell’importo destinato ai combustibili fossili nel 2024, grazie al miglioramento delle catene di approvvigionamento e alla riduzione dei costi per le tecnologie pulite. Su tutti, gli investimenti sul solare potrebbero superare quelli destinati a tutte le altre fonti ‘green’ di produzione di elettricità. E’ quanto prevede l’ultima edizione del rapporto annuale World Energy Investment della Aie, l’Agenzia internazionale per l’energia. Si prevede infatti che, nonostante l’aumento dei tassi di interesse, che frenano nuovi progetti, gli investimenti energetici totali a livello mondiale supereranno per la prima volta i 3.000 miliardi di dollari nel 2024, con circa 2.000 miliardi di dollari destinati a tecnologie pulite, tra cui energie rinnovabili, veicoli elettrici, energia nucleare, reti, stoccaggio, combustibili a basse emissioni, miglioramenti dell’efficienza e pompe di calore. Il resto, poco più di mille miliardi di dollari, sarà destinato al carbone, al gas e al petrolio. Nel 2023, gli investimenti combinati in energia rinnovabile e reti hanno superato per la prima volta l’importo speso in combustibili fossili.

Nel dettaglio, si prevede che gli investimenti “nella tecnologia solare fotovoltaica supereranno i 500 miliardi di dollari nel 2024, superando tutte le altre fonti di produzione (elettrica) messe insieme”. Secondo l’Aie, il costo dei pannelli fotovoltaici è diminuito del 30% negli ultimi due anni.

Gli investimenti nell’energia pulita stanno stabilendo nuovi record, anche in condizioni economiche difficili, evidenziando le dinamiche della nuova economia energetica globale”, ha affermato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Aie che, tuttavia, rileva “notevoli squilibri negli investimenti”. Escludendo il colosso cinese, i 300 miliardi di dollari previsti nel 2024 nelle economie emergenti e in via di sviluppo sono ben al di sotto di “quanto è necessario per soddisfare la crescente domanda di energia in molti di questi paesi”. “Dobbiamo fare di più affinché gli investimenti vadano dove sono più necessari”, sostiene Birol.

La Cina è destinata a rappresentare la quota maggiore di investimenti in energia pulita nel 2024, raggiungendo una stima di 675 miliardi di dollari. Ciò è il risultato di una forte domanda interna in tre settori in particolare: solare, batterie al litio e veicoli elettrici. Seguono l’Europa e gli Stati Uniti, con investimenti nell’energia pulita rispettivamente di 370 miliardi e 315 miliardi di dollari. Queste tre principali economie da sole rappresentano più di due terzi degli investimenti globali nell’energia pulita, sottolineando le disparità nei flussi di capitali internazionali nel settore energetico. Oltre alle sfide economiche, le reti e lo stoccaggio dell’elettricità hanno rappresentato un vincolo significativo per le transizioni verso l’energia pulita, segnala il rapporto. Ma la spesa per le reti è in aumento ed è destinata a raggiungere i 400 miliardi di dollari nel 2024, dopo essere rimasta bloccata a circa 300 miliardi di dollari all’anno tra il 2015 e il 2021. L’aumento è in gran parte dovuto a nuove iniziative politiche e finanziamenti in Europa, Stati Uniti, Cina e alcuni paesi dell’America Latina.

Gli stati e le aziende stanno accelerando gli investimenti nelle energie pulite per ridurre le emissioni di gas serra derivanti dai combustibili fossili, che riscaldano il pianeta. Secondo l’Aie, gli investimenti dovrebbero essere raddoppiati per triplicare la capacità delle energie rinnovabili entro il 2030.

Eni, Piano 2024-2027: 27 miliardi di investimenti. Descalzi: “La società sarà più forte”

Eni presenta il Piano strategico per il quadriennio 2024-2027. La novità più interessante è la previsione di spesa per gli investimenti: 27 miliardi di euro, circa 7 miliardi l’anno, in calo di oltre il 20% rispetto a quella del precedente piano, anche se non cambia il percorso di crescita, visto che la riduzione è frutto di un approccio “disciplinato nella selezione“, della “più ampia gestione del portafoglio” e del “miglioramento della qualità dei progetti“, comunica il Cane a sei zampe. “Affrontiamo le sfide poste dalla transizione energetica con la nostra strategia distintiva di crescita e creazione di valore, in grado di rispondere alle esigenze di sicurezza e competitività delle forniture energetiche, conseguendo nel contempo gli obiettivi di decarbonizzazione“, dice l’amministratore delegato, Claudio Descalzi, al Capital Markets 2024. Che spiega: “Stiamo aumentando significativamente la nostra generazione di cassa, anche attraverso la diversificazione delle fonti, la riduzione dei rischi e l’espansione in nuove aree di opportunità legate alla transizione“.

Che è “realizzabile se genera ritorni adeguati e sostenibili e pone le basi per nuove e profittevoli forme di business“, avvisa il manager. Eni comunque considera “ognuno dei business legati alla transizione candidato ideale per il nostro modello satellitare, che consente di ridurre l’impegno finanziario per la crescita e di esplicitare il loro valore di mercato“. Di grande impatto anche le stime sul flusso di cassa operativo, che “ante capitale circolante nel 2024 si prevede pari a 13,5 miliardi di euro, con una media di 15 miliardi nel periodo del piano“, ma “a scenario costante, al 2027 sarà superiore di oltre 30% a quello del 2024 o del 45 percento per azione“.

Cifre simbolo di una crescita che l’azienda sottolinea essere “guidata da tutti i settori, con Plenitude ed Enilive, i principali business legati alla transizione energetica, che insieme rappresentano circa il 20% di tale aumento“. E per il futuro, Eni prevede l’Ebitda pro-forma di Enilive oltre 1,6 miliardi di euro nel 2027, con un tasso di crescita medio annuo del 20 percento, mentre quello di Plenitude punta ai 2 miliardi alla fine del ciclo previsto dal piano, più che doppiando dunque i numeri al 2023. Performance stimate in base al fatto che la capacità di bioraffinazione “è prevista a oltre 3 MPTA entro il 2026, il doppio rispetto a fine 2023, e raggiungerà oltre 5 MTPA entro il 2030, con più di 1 MTPA di opzionalità Saf al 2026, potenzialmente raddoppiabile al 2030“. E l’agribusiness di Eni “crescerà fino a rappresentare oltre il 35% del feedstock processato nelle bioraffinerie italiane” dell’azienda al 2027. Mentre, per quanto riguarda la capacità installata di energia rinnovabile “al 2023 è arrivata a 3 GW, quindi dieci volte circa il dato del 2020, e intendiamo farla crescere ulteriormente fino a 4 GW nel 2024 e più che raddoppiarlo entro il 2027”, sottolinea Descalzi. Che aggiunge: “Questa crescita è sostenuta da una pipeline molto solida, ben oltre i 20 GW, ben diversificata tra le varie tecnologie e le varie zone geografiche“. Altro tema cruciale per Eni sono le esplorazioni, grazie alle quali sono stati scoperti “oltre 16 miliardi di boe di risorse negli ultimi 15 anni, di cui 900 milioni nel 2023, al costo di circa 1,2 dollari” per barili di petrolio equivalente. Per la compagnia italiana questa tecnica “continuerà a essere un importante motore di creazione di valore, investendo oltre 1,5 miliardi nel corso del piano“.

Allo stesso tempo, il “business upstream continuerà a crescere e a generare rilevanti flussi di cassa, con il Cffo per barile previsto in aumento di oltre il 30%” da qui al 2027 e “il gas naturale avrà un maggior peso nella nostra produzione”. Così come è prevista una riduzione dei costi corporate di 1,8 miliardi. “Tutti i principali indicatori economici e finanziari denotano crescita e solidità, grazie al nostro chiaro percorso di generazione di valore che aumenta l’esposizione alle fasi positive del ciclo ed è resiliente in quelle negative”, dice ancora Descalzi. “Questo ci consente di migliorare in misura sostanziale la nostra politica di remunerazione” e dunque “incrementiamo la quota di distribuzione agli azionisti”. Il ceo prosegue: “La nostra politica di remunerazione è fortemente competitiva, implicando al prezzo corrente dell’azione un rendimento del 9%”. Negli ultimi due anni Eni ha distribuito 11 miliardi di euro agli azionisti e ora intende distribuire tra il 30%-35% del Cffo annuale, in aumento rispetto al precedente 25%-30%, sotto forma di dividendi e di buyback. Il dividendo proposto per il 2024 è 1 euro per azione (un incremento superiore al 6%) e il buyback fissato a 1,1 miliardi. Non si ferma nemmeno l’impegno contro il cambiamento climatico, perché il Cane a sei zampe conferma tutti i suoi obiettivi: “Net zero per le emissioni Upstream Scope 1 e 2 entro il 2030, quello di net zero per tutte le attività di Eni Scope 1, 2 entro il 2035” e “gli obiettivi di riduzione delle emissioni Scope 1, 2 e 3: 35 percento entro il 2030, 80% entro il 2040 e net zero entro il 2050”. Per dirla con le parole di Descalzi, “a compimento del Piano, Eni sarà una compagnia più forte dal punto di vista industriale e della redditività, con un portafoglio di business competitivi, in grado di continuare a crescere e a generare ritorni molto attrattivi”.

Finanza e risparmio a sostegno della transizione: al via l’evento Withub

Per arrivare all’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 servono circa 100 trilioni di dollari. Nel dettaglio, secondo un rapporto di BloombergNef (Bnef), l’Europa dovrà investire più di 32 trilioni di dollari (29 trilioni di euro) nell’energia e nelle tecnologie correlate per passare a un’economia, appunto, net zero. In pratica 3 miliardi di euro al giorno. Di questi 32mila miliardi di biglietti verdi (attualmente i fondi Ue non arrivano nemmeno a mille) ben 21 trilioni di dollari nel periodo 2022-2050 saranno necessari per i veicoli elettrici, mentre 1.400 miliardi dovranno essere investiti in nuove pompe di calore.

Sono stati compiuti progressi, in particolare nel settore energetico, dove le rinnovabili rappresentano il 40% della produzione di energia installata a livello globale, contribuendo a un aumento senza precedenti dell’83% di energia globale nel 2022. Ma per mantenere in vita 1,5°C – sottolinea Irena, International Renewable Energy Agency – “i livelli di implementazione devono crescere da circa 3.000 gigawatt di oggi a oltre 10.000 GW nel 2030, una media di 1.000 GW all’anno. La distribuzione è inoltre limitata a determinate parti del mondo. La Cina, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno rappresentato i due terzi di tutte le aggiunte lo scorso anno, lasciando più indietro le nazioni in via di sviluppo”. Solo entro il 2030 servirebbero, sempre secondo Irena, 35 trilioni di investimenti. Risorse che non si vedono al lavoro, per questo Francesco La Camera, direttore generale di Irena, ha sottolineato che per ora la transizione energetica globale è fuori strada.
I fondi pubblici messi in campo – tra Europa, Usa e Cina – rappresentano circa 3mila miliardi. Gli altri 97mila miliardi chi li mette? Solo la finanza, con tutte le sue potenzialità, può accelerare la svolta. Di questo si parlerà a ‘Green Economy Finance, il ruolo della finanza e del risparmio a sostegno della transizione ecologica’, il prossimo 22 giugno a Esperienza Europa a Roma. L’evento, prima edizione, è organizzato da Gea, Eunews e Fondazione Articolo 49, tutte facenti parte del gruppo Withub, in collaborazione col Parlamento europeo e col patrocinio della Commissione Europea.

Durante l’incontro interverranno esponenti della politica europea e nazionale, rappresentanti delle istituzioni finanziarie italiane, primari operatori del settore e delle aziende. La finanza necessita di regole chiare per impostare prodotti remunerativi, così da convincere i risparmiatori ad investire in prodotti sostenibili. La stessa finanza si trova ad affrontare una propria transizione, alle prese con norme sempre in evoluzione, clienti quasi da educare a un nuovo approccio di investimenti, e imprese che hanno bisogno di pianificare strategie con risorse economiche stabili.

Al termine dell’evento, per la prima volta in Italia, sarà conferito un riconoscimento ai fondi di investimento più green, meno volatili e più remunerativi: queste le caratteristiche fondanti dei GEA Finance Awards che andrà a una top ten di fondi articolo 9, aventi come obiettivo esclusivamente l’investimento sostenibile, e che negli ultimi anni hanno garantito i migliori rendimenti ai risparmiatori-sottoscrittori, il tutto in un contesto di sicurezza dell’investimento stesso. Withub e Fida, gruppo specializzato nello sviluppo di applicazioni software per i servizi finanziari e nella raccolta e analisi di dati nel risparmio gestito, hanno prodotto una short list che non vuole essere solo premio virtuoso, bensì un incentivo all’intero mondo della gestione del risparmio per incrementare gli investimenti nella transizione

Incertezza sulle regole, i fondi green puri perdono colpi: valgono 277 miliardi

A poco più di due anni dall’entrata in vigore del regolamento dell’Unione Europea sulla finanza sostenibile, ovvero l’Sfdr (Sustainable Finance Disclosure Regulation), il mondo dei fondi d’investimento classificati come ‘light green‘ (articolo 8) o ‘dark green‘ (articolo 9) continua ad evolversi tra le persistenti preoccupazioni di greenwashing e l’incertezza normativa, scrive in un recente report Morningstar.

Il primo trimestre del 2023 è stato caratterizzato dall’implementazione delle norme tecniche di regolamentazione (Rts) del livello 2 dell’Sfdr, che richiedono l’adozione di standard regolamentari, o Rrs, che richiedono ai gestori di divulgare maggiori informazioni sugli approcci ambientali, sociali e di governance dei loro fondi, sui rischi e sull’impatto della sostenibilità nei documenti precontrattuali e nelle relazioni periodiche, come sottolinea Morningstar. In vista di questo regime di divulgazione aggiornato e seguendo le nuove indicazioni normative, è stata così rivista la classificazione dei fondi, declassando più di 300 prodotti ad articolo 8. Ricordiamo che gli articolo 8 sono fondi che promuovono caratteristiche ambientali o sociali, mentre gli articolo 9 sono fondi che hanno come obiettivo l’investimento sostenibile.

Entrando nel dettaglio, sottolinea Morningstar, i fondi articolo 8 hanno raccolto oltre 25 miliardi di euro di nuovi capitali netti nel primo trimestre del 2023, il doppio rispetto al trimestre precedente, in un contesto di continue pressioni macroeconomiche. Mentre i fondi articolo 9 hanno registrato i più bassi afflussi di sempre, pari a 4 miliardi di euro, soprattutto appunto a causa della recente ondata di declassamenti.

Circa 300 prodotti hanno cambiato lo status Sfdr da gennaio, tra cui più di 260 fondi che sono passati all’articolo 8 da 6 e solo una dozzina di fondi declassati all’articolo 8 da 9. L’ondata di declassamenti di fondi dell’articolo 9 è stata, come ripete Morningstar, molto forte. E’ iniziata nel terzo trimestre del 2022, ma probabilmente potrebbe essere determinata dopo che la Commissione europea ha chiarito in aprile che non ci saranno requisiti minimi per gli investimenti sostenibili. Comunque sia la quota dei prodotti articolo 9 non ha mai registrato deflussi di capitali ed è rimasta pressoché costante, anche se la sua attività si è ridotta dell’1,5% negli ultimi tre mesi, raggiungendo i 277 miliardi di euro. Inoltre il numero di fondi articolo 9 è salito a 887, pari a una quota di mercato del 3,6%, dal 3,2% di fine dicembre 2022. La quasi totalità dei fondi articolo 9 dichiara ora di puntare ad almeno il 70% di investimenti sostenibili, il restante patrimonio rappresenta liquidità e strumenti di copertura.

Il patrimonio dei fondi articolo 8 e articolo 9 è in generale aumentato di oltre il 3% nel primo trimestre, raggiungendo i 4,9 trilioni di euro, spingendo la loro quota di mercato combinata a un livello record del 57%.

Servono 100 trilioni per arrivare al Net Zero nel 2050, Cina protagonista

Bank New York Mellon Investment Management, in collaborazione con Fathom Consulting, ha pubblicato recentemente una nuova ricerca, ‘Una guida per gli investitori verso lo zero netto entro il 2050’, che mostra che l’economia globale è significativamente in ritardo rispetto ai tempi previsti nel raggiungimento degli obiettivi zero netto del 2050, ma può colmare il divario con 100 trilioni di dollari di investimento ‘verde’. Secondo, invece, le stime dell’Ocse per avere almeno il 66% di probabilità di contenere il riscaldamento globale al di sotto della soglia dei 2°C, saranno necessari investimenti per oltre 103.500 miliardi di dollari nel periodo che va dal 2016 al 2030, con un aumento di quelli per il clima di circa il 590% l’anno rispetto alle cifre attuali. Sebbene gli investimenti verdi siano in crescita, la ricerca di BNY Mellon evidenzia che saranno necessarie più azioni da parte di governi, asset allocator e società per facilitare la transizione verso lo zero netto. Questi 100 trilioni di dollari rappresentano circa il 15% dell’investimento globale totale nei prossimi 30 anni, o circa il 3% del prodotto interno lordo globale nello stesso periodo.

Le sole società dell’S&P 500 americano dovranno spendere circa 12 trilioni di dollari di investimenti verdi entro il 2050 per rimanere in linea. Detto così, sono cifre talmente alte, che non rendono l’idea della mole di investimenti per arrivare all’obiettivo del 2050. Tuttavia qualsiasi investimento sarà più veloce e più sostenuto, anche a livello pubblico, se il target sarà redditizio. In questo senso fa gioco un nuovo rapporto dell’Università di Oxford, in base al quale il passaggio dai combustibili fossili all’energia rinnovabile potrebbe far risparmiare al mondo ben 12.000 miliardi di dollari entro il 2050. Da dove arriva questa cifra? Il calcolo di Oxford è empirico e parte dal fatto che il costo della sola energia solare è crollato dell’80% dal 2010 e che le rinnovabili nel loro insieme sono state la fonte di energia più economica al mondo nel 2020.

In questa direzione è interessante notare come, nel 2022 siano stati investiti nel mondo 1,1 trilioni di dollari in tecnologie a basse emissioni di carbonio. Un numero record, oltre mille miliardi, che ormai ha eguagliato i fondi a sostegno di combustibili fossili. Quasi tutti i settori hanno raggiunto un nuovo picco, tra cui rinnovabili, stoccaggio di energia, trasporto elettrificato, calore elettrificato, cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), idrogeno e materiali sostenibili. Solo gli investimenti nell’energia nucleare sono rimasti sostanzialmente invariati. Tirano le rinnovabili, con 495 miliardi di dollari impegnati, +17% rispetto all’anno precedente. Ma il vero e proprio boom è legato al trasporto elettrificato, che include la spesa per i veicoli elettrici e le infrastrutture associate, avvicinatosi a 466 miliardi di dollari (+54% su base annua).

Se però andiamo a vedere quali Paesi hanno beneficiato maggiormente di investimenti, i dati di BNEF mostrano che è la Cina ad aver attratto più i fondi della transizione energetica con 546 miliardi di dollari, circa la metà del totale. Gli Stati Uniti sono al secondo posto con 141 miliardi, anche se l’intera Ue ha ricevuto 180 miliardi. A livello di singoli Paesi la Germania ha mantenuto il suo terzo posto mondiale, mentre il Regno Unito è sceso al quinto superato dalla Francia.

Giorgetti

Dal Mise 2 mld per contratti di sviluppo: “sostegni a chi riduce emissioni e consumi”

Rafforzate le linee di intervento dei contratti di sviluppo per sostenere gli investimenti delle imprese su tutto il territorio nazionale e i progetti industriali che, attraverso l’elettrificazione dei processi produttivi e l’utilizzo di idrogeno, consentano di ridurre le emissioni di CO2 e i consumi di energia.

Il Mise ha annunciato che destinerà 2 miliardi di euro del Fondo per lo sviluppo e la coesione, per finanziare ulteriori 101 progetti da realizzare per l’80% nel Mezzogiorno e il 20% nel Centro – Nord, come previsto dalla normativa europea. In particolare, 1,5 miliardi di euro sono dedicati alle domande dei contratti di sviluppo già presentate con la procedura ordinaria mentre 500 milioni di euro finanzieranno nuovi progetti per il rilancio industriale. A queste si aggiungono ancora le risorse stanziate dal Governo nel decreto legge ‘Aiuti bis’: 40 milioni nel 2022, 400 milioni nel 2023, 12 milioni per ciascun anno dal 2024 al 2030, con l’obiettivo di sbloccare ulteriori progetti.

I contratti di sviluppo, come dichiara il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, hanno un impatto “altamente produttivo per la nostra industria”. “Per questa ragione abbiamo investito moltissimo su questo strumento chiedendone più volte il rifinanziamento. I contratti di sviluppo – aggiunge il ministro – mettono in moto un percorso virtuoso che vede il moltiplicarsi degli investimenti privati incentivati dalle agevolazioni finanziarie con ricadute positive anche per la finanza pubblica. Ritengo che gli accordi di sviluppo, anche in futuro, rappresentino una strada fondamentale per la nostra economia e per l’innovazione dell’industria italiana che può diventare sempre più competitiva”.

A sostegno dell’economia e del tessuto produttivo del Paese, che hanno risentito dell’impatto del conflitto in Ucraina, il ministro Giorgetti ha inoltre firmato il decreto che applica ai contratti di sviluppo le disposizioni del temporary framework adottato dalla Commissione europea. Prevede un regime favorevole in materia di aiuti di Stato per i progetti di imprese che, non comportando un aumento della capacità produttiva complessiva, consentono una riduzione sostanziale delle emissioni di gas serra delle attività industriali che attualmente fanno affidamento sui combustibili fossili come fonte di energia o materia prima ovvero a una riduzione sostanziale del consumo di energia nelle attività e nei processi industriali. Saranno pertanto agevolati gli investimenti industriali che perseguono uno dei seguenti obiettivi: la riduzione di almeno il 40% delle emissioni dirette di gas a effetto serra, mediante l’elettrificazione dei processi produttivi o l’utilizzo di idrogeno rinnovabile e di idrogeno elettrolitico in sostituzione dei combustibili fossili, oppure la riduzione di almeno il 20% del consumo di energia in relazione alle attività sovvenzionate. Un successivo provvedimento ministeriale stabilirà i termini di presentazione delle domande.

Sono soddisfatto per l’ulteriore risultato ottenuto in favore delle aziende danneggiate dagli effetti della guerra che ora potranno contare su altre misure che agevolano programmi e innovazioni per la tutela ambientale“, sottolinea Giorgetti. “Unendo le forze e utilizzando in maniera diversa gli strumenti a disposizione siamo in grado di sostenere meglio la nostra industria in un periodo particolarmente difficile, conclude il ministro.

investimenti

Investimenti green: obbligatorio in Ue questionario per i risparmiatori

Volete fare investimenti verdi o sociali?“. Chiedere ai risparmiatori informazioni sugli investimenti sostenibili diventerà obbligatorio nell’Ue a partire da martedì (2 agosto), ma tenere conto delle risposte sarà un bel grattacapo per le banche. “La sostenibilità è un obiettivo d’investimento importante per voi?”. D’ora in poi, i clienti che desiderano investire parte dei loro risparmi nei prodotti finanziari de La Banque Postale dovranno rispondere a questa domanda, come già accadeva per il grado di assunzione del rischio. Se la risposta sarà negativa, le domande non andranno oltre. Se la risposta sarà invece positiva, la seconda domanda sarà se il cliente desidera definire da solo le proprie preferenze o lasciare che sia il suo consulente a farlo. Se il cliente avrà il controllo, dovrà dare una proporzione, con una cifra o un grado di intensità che il consulente dovrà rispettare per stabilire vari criteri sostenibili. Il compito sembra semplice, ma il settore finanziario non si sente attrezzato per affrontare questi nuovi requisiti, imposti dalle normative europee. Tanto che l’Autorità francese per i mercati finanziari ha chiesto un rinvio dell’applicazione per i consulenti in investimenti finanziari (FIA) al 1° gennaio 2023, anche se la normativa si applicherà da martedì per i consulenti bancari.

RITARDI

Abbiamo messo il carro davanti ai buoi“, ha sintetizzato Laurence Caron-Habib, responsabile degli affari pubblici di BNP Paribas AM, durante una presentazione all’inizio di luglio. In effetti, il nuovo questionario viene messo in atto anche se non si conoscono ancora del tutto i criteri per definire cosa esattamente costituisca un investimento sostenibile. Mentre i criteri per due dei sei obiettivi ambientali (mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici) sono stati definiti da Bruxelles come parte della sua tassonomia verde, ne restano quattro da specificare su acqua, inquinamento, economia circolare e biodiversità. E non sono previsti prima dell’autunno. Inoltre, l’obbligo per le aziende di pubblicare i dati ambientali non scatterà prima del gennaio 2023. Un altro simbolo di questa falsa partenza: l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) ha condotto una consultazione con gli operatori finanziari per stabilire regole di buona pratica sulla presa in considerazione delle preferenze. Ma le conclusioni non sono attese prima della fine dell’anno. Deplorando questo calendario, l’associazione europea dei gestori patrimoniali (Efama) ha chiesto all’Esma una maggiore “flessibilità” nell’attuazione. “Sarà frequente che nessun prodotto di finanza sostenibile corrisponda pienamente alle preferenze iniziali del cliente“, teme l’associazione. Secondo BNP Paribas AM, meno del 2% degli investimenti in società del CAC 40 è allineato alla tassonomia. Per evitare di aspettare il “prodotto perfetto” per iniziare a investire nella finanza sostenibile, Efama ha proposto di lasciare spazio per riorientare le aspettative verso “le migliori alternative possibili.

CONCORRENZA E GREENWASHING

Oltre alla tassonomia verde europea, i distributori di fondi, che vengono offerti agli investitori, possono fare riferimento alla nozione di “investimento sostenibile, secondo il regolamento europeo sulla pubblicazione di informazioni sulla sostenibilità per i prodotti finanziari. Ma questa nozione è meno ben definita dall’Unione Europea. Si tratta solo di “un investimento in un’attività economica che contribuisce a un obiettivo ambientale” o “sociale“, senza causare “danni significativi” ad altri obiettivi. Spetta ai gestori dei fondi stabilire, in base alla loro metodologia, se ciascuno dei loro investimenti rientra in questa definizione per calcolare la loro percentuale di investimenti sostenibili. La percentuale sostenibile di un determinato fondo può quindi variare” a seconda della “flessibilità del gestore, ha dichiarato all’AFP Léonard Pirollet, membro del team SRI Solutions di Banque Postale AM. Ciò evidenzia il timore di una concorrenza distorta tra i gestori, o addirittura di “greenwashing“. Tuttavia, questa nuova normativa ha permesso di ripensare l’offerta di fondi sostenibili e ha stimolato uno sforzo di formazione. I team delle diverse linee di business “hanno parlato molto di questo argomento. E non sarà l’ultima volta“, anticipa Pierre-Alexis Binet, direttore degli affari istituzionali della Banque Postale.