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Energia, lavoro, Pnrr. Cosa accadrebbe con la caduta del Governo Draghi

Le eventuali dimissioni del Governo potrebbero condurre a uno scenario estremamente critico sull’iter dei principali provvedimenti già presentati alle Camere, in particolare per quelli sulle riforme abilitanti per raggiungere gli obiettivi del Pnrr entro dicembre 2022 e quelli di conversione dei decreti-legge pendenti in Parlamento. È quanto emerge da una ‘ricognizione’ del ministero per i Rapporti con il Parlamento sui provvedimenti che rimarrebbero in sospeso.

La crisi, con eventuale scioglimento delle Camere, inciderebbe anche sull’adozione dei decreti legislativi attuativi di riforme già approvate dal Parlamento come le riforme della Giustizia e del Codice degli appalti, che rappresentano specifici impegni Pnrr. La situazione impedirebbe, inoltre, l’adozione di provvedimenti molto attesi dai cittadini come le misure relative al salario minimo e al contrasto della povertà. Si creerebbe, peraltro, anche una situazione di incertezza sull’adozione di misure volte a mitigare gli effetti dell’incremento dei costi dell’energia e dei carburanti.

RIFORME

Attualmente sono all’esame del Parlamento quattro riforme immediatamente riconducibili agli impegni Pnrr. Nelle prossime settimane dovrebbero essere presentate ulteriori nuove riforme, in particolare quelle in materia di alloggi universitari e la riforma degli istituti professionali. Di seguito le riforme attualmente all’esame del Parlamento: Delega al Governo per il riordino della disciplina degli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, approvato dalla Camera e assegnato in commissione Igiene e Sanità del Senato. Entro dicembre 2022 devono essere adottati i decreti attuativi; Giustizia e di processo tributari, assegnato alle commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, da approvare entro dicembre 2022; Codice della proprietà industriale, assegnato alla commissione Industria di Palazzo Madama e da approvare entro il terzo trimestre del 2023; ddl Concorrenza, approvato dal Senato e assegnato in commissione Attività produttive della Camera, entro dicembre 2022 andranno adottati i decreti attuativi e gli accordi di maggioranza prevedevano l’approvazione definitiva del testo entro il mese di luglio.

RIFORMA FISCALE

Approvato dalla Camera e attualmente all’esame della commissione Finanze del Senato, anche se non è direttamente collegata al Pnrr.

DECRETI ATTUATIVI

Rispetto a diverse riforme recentemente approvate, sono necessari ancora diversi mesi per l’adozione dei decreti attuativi. In particolare per: Codice degli appalti, entro dicembre 2022; Processo civile, entro dicembre 2022; Processo penale, entro dicembre 2022; Ordinamento giudiziario, entro giugno 2023; delega Spettacolo, entro aprile 2023.

DECRETI IN CONVERSIONE

Attualmente in conversione nei diversi rami del Parlamento sono presenti tre decreti-legge. In caso di Governo dimissionario, qualora dovessero emergere posizioni contrapposte all’interno della maggioranza, ovvero ostruzionismo delle opposizioni, il governo non potrebbe ricorrere eventualmente alla questione di fiducia per garantire il rispetto dei termini costituzionali per la conversione. Tra i testi attualmente pendenti c’è il decreto Infrastrutture e mobilità, in scadenza il 15 agosto, in cui è stato presentato l’emendamento governativo di rifusione del decreto-legge materia di concessioni e infrastrutture autostradali e per l’accelerazione dei giudizi amministrativi. Tra l’altro, il provvedimento contiene norme volte ad agevolare il conseguimento degli obiettivi Pnrr, in particolare le disposizioni in materia di compiti della Commissione Via-Vas in ambito progetti Pnrr, quelle sul Giubileo di Roma del 2025, nonché le misure volte a semplificare l’attività del Consiglio superiore dei lavori pubblici per opere pubbliche legate a progetti PNRR. Il decreto-legge n. 85 che, invece, sarà rifusò nel DL infrastrutture e mobilità contiene una importante misura di semplificazione in materia di accelerazione dei giudizi amministrativi nell’ambito di progetti Pnrr. Infine, il decreto Semplificazioni fiscali, in scadenza il prossimo 20 agosto.

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Non basta l’emergenza energia, il governo Draghi è al capolinea

Sperava in un esito diverso, ma Mario Draghi era consapevole da giorni che era “venuta meno la maggioranza di unità nazionale. In una calda giornata di luglio si è chiusa, di fatto, l’esperienza del suo governo, che incassa sì la fiducia del Senato, ma senza i voti di Movimento 5 Stelle, Lega e Forza Italia. Uno strano e inaspettato asse giallo-verde-azzurro, che imposta un ‘campo largo’ imprevedibile e, forse, irripetibile.

I numeri contano poco, il premier oggi salirà al Colle per riconsegnare le dimissioni nelle mani del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Al Colle va comunque dato atto di averle provate tutte per ricomporre la crisi, ma con tutta probabilità adesso dovrà soltanto prendere atto che la legislatura è al capolinea e non resta che sciogliere le Camere e indire nuove elezioni per non rischiare di finire in esercizio provvisorio e perdere tappe fondamentali del cronoprogramma per il Pnrr. Per capire come sia arrivata la politica a questo risultato, è utile riavvolgere il nastro della giornata di ieri. Con una premessa: gli equilibri sono deflagrati giovedì scorso, quando il M5S scelse di non partecipare al voto di fiducia sul decreto Energia 2.

Draghi ne prese atto e in Cdm, poche ore dopo lo strappo di Giuseppe Conte e i suoi a Palazzo Madama, comunicò l’intenzione di rimettere il mandato (“una scelta tanto sofferta, quanto dovuta”). Mattarella respinse le dimissioni, invitando il presidente del Consiglio a rendere le comunicazioni alle Camere, visto che non era stato sfiduciato. Si arriva così al 20 luglio 2022: la data in cui, di fatto, finisce l’esperienza di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Che inizia comunque con un tentativo estremo di ricucire, spinto “dagli italiani“, perché “la mobilitazione di questi giorni da parte di cittadini, associazioni, territori a favore della prosecuzione del governo è senza precedenti e impossibile da ignorare“. Così lancia l’ultimo appello a partiti e parlamentari: “L’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire daccapo il patto, con coraggio, altruismo, credibilità“. Chiedendo, in maniera diretta: “Siete pronti a ricostruirlo? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito?“. Nel suo discorso cita il lavoro fatto per smarcarsi dalla dipendenza russa sull’energia, invita a superare le ritrosie sui rigassificatori di Ravenna e Piombino, spiegando che di quest’ultimo bisogna “ultimare l’istallazione entro la prossima primavera“, perché “è una questione di sicurezza nazionale“. Punta anche al 2030 per l’attivazione di 70 gigawatt di impianti per le rinnovabili, definisce urgente, nel periodo più difficile per l’agricoltura a causa della siccità, predisporre un ‘Piano acqua’ che affianchi i 4 miliardi investiti dal Pnrr per ridurre il gap delle infrastrutture idriche. Ma soprattutto delinea il perimetro geopolitico dell’Italia: “La nostra posizione è chiara e forte nel cuore dell’Ue, del G7, della Nato“. E proprio in Europa indica le sfide più immediate: “Continuare a batterci per ottenere un tetto al prezzo del gas russo e per la riforma del mercato elettrico“. Sul piano strategico-militare, poi, il fianco a cui prestare aiuto è Kiev: “Come mi ha ripetuto ieri al telefono il presidente Zelensky, armare l’Ucraina è il solo modo per permettere agli ucraini di difendersi“. Discorsi che fanno breccia, però, solo in una parte della sua (ormai ex) maggioranza. Il Pd applaude, Iv e Matteo Renzi confermano e raddoppiano l’appoggio, Insieme per il futuro garantisce il sostegno. E qui la storia si ferma: perché dopo giorni di riflessioni, ore e ore di dibattito interno, a fare un passo indietro è il cosiddetto centrodestra di governo. Lega e Forza Italia offrono a Draghi la soluzione di un bis ma senza i Cinquestelle, puntando sui temi sociali del loro programma. Prendere o lasciare. E lo scrivono nero su bianco in una delle due proposte di risoluzione presentate al Senato dopo le comunicazioni. L’altra è a firma di Casini, di una sola riga: “Il Senato, udite le comunicazioni del presidente del Consiglio dei ministri, le approva“. Su questa è Draghi in persona a porre la questione di fiducia. Il resto è storia: Carroccio, FI e Cinquestelle – rimasti stranamente silenti per tutto il giorno – annunciano di non voler prendere parte al voto. La fiducia comunque passa, con 95 voti favorevoli contro i 38 di Fratelli d’Italia e delle opposizioni. Formalmente il premier potrebbe andare avanti, ma non ci sono più quelle condizioni per le quali Mattarella scelse l’ex Bce. Oggi sarà alla Camera, come da calendario, ma non c’è più quell’unità nazionale che spinse quasi tutti ad appoggiarlo. La campagna elettorale è già iniziata, mentre l’inverno si avvicina e le incertezze restano senza risposta.

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Draghi dalla parte dell’Italia: “Unione fa la forza, serve nuovo patto di fiducia”

Unione. È quella che serve per dare sicurezza al popolo italiano, ma anche quella che è venuta meno lo scorso 14 luglio, con il voto contrario alla fiducia che ha portato il presidente del Consiglio Mario Draghi a rassegnare le dimissioni – subito respinte – nelle mani del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “È stato un gesto politico chiaro che, se ignorato, equivarrebbe a ignorare il Parlamento”, ha dichiarato il premier, nel corso delle comunicazioni al Senato. “Oggi posso spiegare a voi e a tutti gli italiani le ragioni di una scelta tanto sofferta, quanto dovuta“, ha aggiunto. Lasciando però uno spiraglio, e anche qualcosa di più, aperto. Perché ora, “l’unica strada, se vogliamo ancora restare insieme, è ricostruire da capo questo patto, con coraggio, altruismo, credibilità. A chiederlo sono soprattutto gli italiani“, ha insistito il premier, ponendo l’inevitabile domanda: “Serve un nuovo patto di fiducia, sincero e concreto, come quello che ci ha permesso finora di cambiare in meglio il Paese. I partiti e voi parlamentari – siete pronti a ricostruire questo patto? Siete pronti a confermare quello sforzo che avete compiuto nei primi mesi, e che poi si è affievolito?“. Un patto indispensabile per non mandare in fumo tutti i progressi realizzati finora. Dalle riforme che, insieme agli investimenti, “costituiscono il cuore del Pnrr” alle misure per sfuggire alla crisi energetica e alimentare.

Sono tre le emergenze che abbiamo dovuto affrontare in questi mesi e che tutt’ora mettono a rischio il Paese: pandemica, economica e sociale. Draghi le elenca, spiegando che, anche se non con poche difficoltà, ad oggi, siamo riusciti a rimanere a galla affrontandole con qualsiasi strumento a nostra disposizione. Oltre a esserci affermati con un ruolo guida all’interno dell’Ue e del G7, spiega il premier, “ci siamo mossi con grande celerità per superare l’inaccettabile dipendenza energetica dalla Russia. In pochi mesi, abbiamo ridotto le nostre importazioni di gas russo dal 40% a meno del 25% del totale e intendiamo azzerarle entro un anno e mezzo“. Un risultato che sembrava impensabile, che dà tranquillità per il futuro all’industria e alle famiglie, che rafforza la nostra sicurezza nazionale. “Abbiamo accelerato, con semplificazioni profonde e massicci investimenti, sul fronte delle energie rinnovabili, per difendere l’ambiente, aumentare la nostra indipendenza energetica“, la sottolineatura. Tutto questo è stato possibile grazie all’unione che vigeva tra le forze politiche e al “miracolo civile che il popolo italiano ha sostenuto” attivandosi in una mobilitazione senza precedenti: “Dal rispetto delle restrizioni per la pandemia, alla straordinaria partecipazione alla campagna di vaccinazione e, ancora, all’aiuto ai popoli ucraini”, ha chiarito Draghi, esteriorizzando poi un sentimento inconfondibile: “Sono stato orgoglioso di essere italiano”.

Sul fronte energetico, appunto, gli interventi previsti nei prossimi mesi richiedono un forte sostegno da parte di un Governo più unito che mai. Draghi ripercorre la road map dei progetti in agenda: “Bisogna adottare entro i primi giorni di agosto un provvedimento corposo per attenuare l’impatto su cittadini e imprese dell’aumento dei costi dell’energia, e poi per rafforzare il potere d’acquisto, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione“. Inoltre, occorre “ridurre il carico fiscale sui lavoratori, a partire dai salari più bassi, è un obiettivo di medio termine. Questo è un punto su cui concordano sindacati e imprenditori“.

Non manca la riflessione sul tema della siccità, ultima grave emergenza che sta mettendo in ginocchio l’Italia e l’Europa: “La siccità e le ondate di calore anomalo che hanno investito l’Europa nelle ultime settimane ci ricordano l’urgenza di affrontare con serietà la crisi climatica nel suo complesso“.

Le responsabilità del Governo italiano sembra non siano mai state così impegnative e in un momento come questo non può mancare l’altruismo all’origine di un’intesa idonea a ricreare le condizioni adatte per superare gli ostacoli che intralciano la vita del Paese.

Crisi, Draghi alle Camere: siccità e gas le incognite. Taglio accise fino al 21/8

Una vigilia diversa dalle altre per Mario Draghi. Il premier, rientrato lunedì sera, in anticipo, dall’Algeria, passa al lavoro nel suo ufficio il giorno prima di quello che potrebbe essere il ‘redde rationem’ con un pezzo della sua maggioranza. Sente al telefono il presidente ucraino, Volodimir Zelensky, al quale ribadisce “pieno sostegno e solidarietà” del governo per Kiev, ma già di buon mattino ha il primo, importante, impegno della sua agenda di martedì 19 luglio, con una visita al Quirinale per un incontro con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Vis a vis che, viene poi chiarito, rientra nelle consuete interlocuzioni tra le due alte cariche dello Stato, in particolar modo nell’attuale, delicata fase politica. Senza contare che il premier deve riferire al capo dello Stato della sua missione ad Algeri, dove il governo e le principali aziende di Stato hanno firmato 15 intese con il governo algerino. Mentre il dialogo è in corso arriva anche la notizia della firma all’intesa tra Eni, Sonatrach, Oxy e TotalEnergies che consentirà di potenziare gli investimenti, aumentando le riserve di idrocarburi dei giacimenti presenti nei blocchi 404 e 208, nel prolifico bacino del Berkine, nell’Algeria orientale, prolungandone la vita produttiva per ulteriori 25 anni.

Musica per le orecchie di chi, in queste ore concitate, sta provando a tenere insieme l’esigenza di decidere se proseguire o meno l’esperienza di governo (a condizioni ben precise) con la necessità del Paese di non aggravare la crisi energetica, con gli stoccaggi ancora in corso e la totale incertezza sulle mosse della Russia, che resta ancora il principale fornitore di gas per l’Italia, anche se ora pure l’Unione europea riconosce che il fabbisogno del nostro Paese è sceso dal 40 al 25% in pochi mesi.

Gazprom continua a ribadire che difficilmente riprenderanno i flussi dal 21 luglio, nonostante l’annuncio dello stop di 10 giorni solo per una manutenzione degli impianti del gasdotto Nord Stream 1. Lo stesso colosso russo continua a chiudere accordi con altri Paesi, come l’Iran: l’ultimo con National Iranian Oil Company, per “lo sviluppo dei giacimenti petroliferi e di gas dell’Iran, operazioni di swap di gas naturale e di prodotti petroliferi, realizzazione di progetti di Gnl su larga e piccola scala, costruzione di gasdotti, cooperazione scientifica, tecnica e tecnologica“.

Tutti segnali che, di fatto, rientrano nella riflessione dell’ex Bce, che incassa nuovi appelli a restare in sella e, intanto, ‘sdoppierà’ le sue comunicazioni alle Camere. Draghi, infatti, oggi alle ore 9.30 sarà al Senato per pronunciare il suo discorso, poi – secondo quanto stabilito dalla Conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama – ci sarà un’interruzione fino alle 11, quando la seduta riprenderà fino alle repliche, previste per le 16.30 con votazioni sulla fiducia dalle 18.40 alle 19.30. Slitta, di conseguenza, l’appuntamento alla Camera, che alle 10.30 riceverà il discorso pronunciato in Senato, ma accoglierà il premier domani, giovedì 21 luglio, per la discussione generale dalle 9 alle 11.30, quando la capigruppo di Montecitorio prevede le repliche del capo del governo. A seguire si svolgeranno le dichiarazioni di voto dei gruppi parlamentari, poi dalle 13.45 alle 15.15 ci sarà il voto per appello nominale dei deputati.

Il problema politico resta la confusione che regna nella maggioranza. Il centrodestra chiede di andare avanti, ma senza Giuseppe Conte, i Cinquestelle e due ministri in particolare, Roberto Speranza (Salute) e Luciana Lamorgese (Interno), ritenuti ‘unfit’ al ruolo. A parte il capitolo M5S, che ancora non scoglie la riserva ma è dilaniato al suo interno tra chi vorrebbe confermare la fiducia all’ex Bce – come il capogruppo a Montecitorio, Davide Crippa, ma anche esponenti di primo piano come Angelo Tofalo, Alfonso Bonafede e Riccardo Fraccaro – e chi, invece, vorrebbe andare all’opposizione di Draghi. Sebbene questo potrebbe significare l’impossibilità di ricreare una coalizione di unità nazionale, dunque un nuovo esecutivo, provocando lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate.

Questo manderebbe in fumo il lavoro sul prossimo decreto Aiuti, nel quale dovrebbero trovare spazio anche risorse e misure contro il fenomeno devastante della siccità, oltre a nuovo ossigeno per famiglie e filiere produttive contro il rincaro dell’energia. La fine anticipata della legislatura rallenterebbe di molto anche la battaglia europea per il tetto massimo al prezzo del gas, problema con cui qualsiasi governo dovrà confrontarsi.

Prima di qualsiasi decisione, comunque, il governo mette almeno al sicuro la proroga fino al prossimo 21 agosto del taglio di 30 centesimi alle accise su benzina, diesel, gpl e metano per autotrazione. Il decreto interministeriale è stato firmato dai ministri dell’Economia, Daniele Franco, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e potrebbe avere effetti benefici a breve, magari sull’onda della riduzione dei prezzi registrata dall’osservatorio del Mite: benzina e gasolio, infatti, scendono sotto i 2 euro. Da oggi inizia una nuova partita, molto probabilmente quella decisiva.

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Gas: in Italia 4 mld di metri cubi in più dall’Algeria, accordo Ue con l’Azerbaigian

L’Algeria sarà la nostra nuova Russia? Sembra proprio di sì. Il premier Mario Draghi e sei ministri italiani sono volati questa mattina ad Algeri con l’obiettivo di firmare l’accordo sul partenariato per l’importazione di gas proveniente dallo Stato africano, insieme al presidente Abdelmadjid Tebboune. Un’alleanza quasi indispensabile dal momento che, con la chiusura del gasdotto Nord Stream1, c’è il rischio che l’Europa possa restare completamente senza gas russo. “L’Algeria è un partner molto importante per noi nel campo energetico, nell’industria e nell’attività imprenditoriale, nella lotta alla criminalità, nella ricerca della pace e della stabilità nel Mediterraneo“, ha dichiarato il premier nel corso del punto stampa al termine del quarto vertice intergovernativo.

L’intesa è stata firmata e, annunciandolo, Draghi ha ribadito l’importanza della cooperazione tra i due Paesi: “In questi mesi l’Algeria è diventato il primo fornitore di gas dell’Italia” ed è prevista un’accelerazione dal momento che “nei giorni scorsi la società Sonatrach ha comunicato il prossimo rilascio di 4 miliardi di metri cubi di gas nell’ambito dell’accordo firmato con Eni ad aprile”. Inoltre, la dichiarazione congiunta riflette anche gli altri impegni condivisi, come “la giustizia, lo sviluppo sociale, la cooperazione industriale, i lavori pubblici, la transizione energetica, la promozione culturale“.

Come accennato, un occhio di riguardo durante l’incontro è andato anche verso la decarbonizzazione, ritenuta dal premier fondamentale per i Paesi e per l’Unione europea: “Con Algeri collaboriamo anche alle forniture e allo sviluppo di fonti rinnovabili, in particolare dell’idrogeno verde, dell’energia solare, eolica e geotermica”.

Andando oltre, il premier ha affrontato anche il tema della sicurezza alimentare prendendo in considerazione la situazione del Mediterraneo. “Lavoriamo insieme per la stabilità e la prosperità del mare, messe a dura prova dall’invasione russa dell’Ucraina”, ricordando infine che “l’Italia è impegnata da tempo in prima linea per sbloccare il transito di cereali dai porti del Mar Nero ed evitare una crisi alimentare catastrofica“.

Se a livello nazionale l’Algeria è diventata una valida alleata sostenendoci con la fornitura di gas e permettendoci di sciogliere un po’ di più il legame ‘energetico’ che ci unisce a Mosca, parallelamente la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha siglato un protocollo d’intesa con il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev per raddoppiare la fornitura di gas verso l’Ue. Il memorandum prevede l’impegno di Baku a raddoppiare la capacità del corridoio meridionale del gas, fornendo all’Unione europea almeno 20 miliardi di metri cubi all’anno di gas entro il 2027, nel quadro del piano per ridurre la dipendenza dal gas russo. Von der Leyen ha dichiarato che l’Azerbaigian ha “un enorme potenziale sulle energie rinnovabili e oggi poniamo le basi per una solida cooperazione in quest’area: gradualmente passerà dall’essere un fornitore di energia fossile a un partner affidabile per le rinnovabili per l’Ue“.

Questa volta nel nuovo clima italiano ci avevano creduto anche a Bruxelles

Pochi giorni fa ero in un palazzo storico a Roma, in una splendida sala decorata con arazzi. Tutto splendido ma… faceva, per me, un gran caldo. “Mi spiace, ma sai, qui seguiamo le indicazioni del governo sull’uso dell’aria condizionata, anche per l’ambiente è meglio“, mi ha spiegato un amico che lì lavora. La sala era al palazzo del Quirinale, dove l’Ad della nostra società editoriale stava per essere ricevuto dal presidente Sergio Mattarella, ed io ero stato inserito nella lista degli ospiti dell’incontro. Io ho sudato, ma Mattarella no. Sono partito da qui perché una frase detta giovedì scorso dal commissario europeo per l’Economia, Paolo Gentiloni, mi ha confermato in un’idea che ho in testa. Parlando della crisi di governo in Italia, Gentiloni ha detto, tra l’altro che “è il momento di fare fronte comune […] se lavoriamo insieme possiamo evitare la tempesta“.

Ecco, Gentiloni sarà pure italiano, ma la posizione che ha espresso è quella grazie alla quale l’Unione europea, superando storiche ed enormi divisioni, ha deciso uno slancio comune per superare la crisi creata dalla pandemia e, sulla scia dei principi del Green Deal, ha lanciato quello che in Italia chiamiamo ‘Pnrr’, il piano di ristrutturazione e rilancio delle economie dei Ventisette, che è partito, guarda caso, proprio per uno slancio fornito dall’allora “pensionato” Mario Draghi, che chiese con determinazione un intervento di questo tipo, prima con un intervento sul Financial Times e poi in un evento pubblico.

L’idea passò, come è noto, e passò anche per l’impegno che si prese Mattarella a far sì che il piano avesse successo anche in Italia, Paese al quale è stata destinata quasi la metà delle risorse complessive, perché il più in difficoltà, il più indietro su molti fronti del Green Deal, perché troppo grande per poter andare a gambe all’aria senza portarsi dietro buona parte del resto d’Europa.
La “Transizione verde” italiana poi è partita, ed è partita proprio con Draghi alla guida del governo. Mattarella e Draghi, un binomio che per i nostri partner è una garanzia di affidabilità, ed una buona ragione per sperare in un successo.

Restando alle parole di Gentiloni dunque a Bruxelles si segue “con preoccupato stupore” quel che sta accadendo in Italia. La preoccupazione è che una crisi “al buio” possa fermare il grande progetto del Next Generation EU (nel quale nasce il Pnrr), che la Transizione italiana possa subire una battuta d’arresto pericolosa, proprio quando si è vicini al rilascio della seconda tranche di finanziamenti, proprio quando i progetti devono essere “messi a terra“, devono iniziare ad essere realizzati.

La Transizione italiana non riguarda solo noi italiani, riguarda tutta l’Unione. Questa volta non si stratta di una crisi “normale” di quelle che a Bruxelles sono abituati a vedere in Italia, tanto che per la crisi in sé “non abbiano neanche tanta sorpresa“, ci dice un alto funzionario della Commissione. L’esito di questa fase è decisivo per il Green deal italiano, e un blocco, un rinvio sine die, una rimessa in discussione dei piani faticosamente discussi con la Commissione ed accettati dai partner, questa volta potrebbe costarci molto caro, potrebbe essere la fine per la crescita, sostenibile (o meno) del Paese che già ora si presenta come maglia nera in troppe classifiche.

(Photo credits: John MACDOUGALL / AFP)

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Draghi vede sindacati, a luglio dl Aiuti “corposo”. Ma c’è incognita M5S

Novanta minuti per aprire un canale di dialogo con i sindacati, ma forse anche per lanciare messaggi alla sua maggioranza. Mario Draghi non parla di cifre, né di contenuti, se non per grandi linee, con i segretari di Cgil, Cisl e Uil, ma sonda il terreno per capire il clima che si respira in una fetta importante delle parti sociali sul suo governo. Si rivedranno entro una decina di giorni, tra il 25 e il 27 luglio, prima comunque che sul tavolo del Consiglio dei ministri arrivi il nuovo decreto Aiuti, che lo stesso premier definisce “corposo, prendendo in prestito le parole del suo sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli. “Ci sarà un intervento prima della fine di luglio che riguarderà prima di tutto gli strumenti per mitigare l’effetto dell’aumento del prezzo dell’energia“, dice in una conferenza stampa con i ministri Andrea Orlando e Giancarlo Giorgetti, per fare il punto dopo l’incontro con i sindacati.

Però “il dettaglio preferisco non anticiparlo in questo momento, quando è ancora in corso la valutazione, ma le aree su cui verterà sono comunque simili a quelle già trattate nel passato: bollette, accise sulla benzina e il gasolio. Poi ci saranno anche altri interventi“. Molto probabilmente la siccità, che continua a essere un problema enorme per l’agricoltura, ma non solo.

Draghi sa, comunque, che prima va superato lo scoglio più grande. Che riguarda, però, le fibrillazioni interne alla sua maggioranza. O meglio, dei Cinquestelle, che domani in Senato potrebbero astenersi dal voto di fiducia sul decreto Energia 2, che coincide con il voto finale, certificando di fatto la crisi di governo. Giuseppe Conte stamattina alle 8.30 riunirà il Consiglio nazionale, dove verrà presa la decisione finale. Ma il pressing è alto sul Movimento. L’ex capo politico, oggi fondatore di Ipf, Luigi Di Maio, spende parole durissime: “C’è una forza politica che sta generando instabilità, mettendo a repentaglio degli obiettivi da raggiungere per il Paese“. Nello specifico price cap sul gas, interventi per mitigare i rincari delle bollette e dei generi alimentari. Per il ministro degli Esteri “giovedì sarà la verifica di maggioranza” invocata da Silvio Berlusconi. Non serve altro. Sulla stessa linea sembra essere anche Draghi, che rimanda la palla nel campo di Sergio Mattarella sul punto specifico: “Se devo tornare davanti alle Camere lo decide il presidente della Repubblica“.

Però l’ex Bce, ribadendo che senza M5S non c’è il governo, nemmeno un Draghi-bis, un passo in più lo fa. Rivolgendosi, indirettamente, anche alla Lega, quando dice: “Con gli ultimatum non si può lavorare. Chi non ha piacere e non trova soddisfazione nei risultati di questo esecutivo, lo dica chiaramente“. Senza aspettare settembre (vedi alla voce Carroccio, in chiave raduno di Pontida) o risposte entro fine mese ai 9 punti portati a Palazzo Chigi da Conte: “Quando mi è stata consegnata la lettera ho trovato molti punti di convergenza con l’agenda del governo“, dice Draghi. Aggiungendo che se si trova anche un’intesa con i sindacati per portare a casa le misure “sono molto contento io, e forse anche lui“, riferendosi all’ex presidente del Consiglio.

A sentire il segretario della Cisl, Luigi Sbarra, un accordo non è lontano: “Quello di oggi è stato un incontro positivo, potenzialmente decisivo. Abbiamo chiesto di prorogare le misure contro i rincari di energia e materie prime, il taglio delle accise sui carburanti, ampliare la platea dei beneficiari degli sconti in bolletta, valutare la conferma del bonus dei 200 euro recuperando quei lavoratori precari, stagionali, autonomi, pensiamo agli operai agricoli, tolti dal decreto Aiuti“.

Per Maurizio Landini, invece, non c’è nulla di concreto ancora: “Abbiamo accolto positivamente il fatto che si incontreranno di nuovo con noi prima di prendere decisioni, quindi valuteremo il 26 o 27 luglio le risposte: oggi, da parte del governo, non sono stati fatti né numeri, né dimensioni, né indicazioni che lasciano intendere cosa vogliono fare“. Il leader della Cgil vuole misure strutturali subito, senza aspettare la legge di Bilancio. E lo stesso chiede Pierpaolo Bombardieri della Uil.

Draghi risponde poche ore dopo. “Il governo non è che non ha fatto nulla, abbiamo già fatto molto per famiglie e imprese: abbiamo stanziato 33 miliardi di euro“, ma oltre al prossimo decreto con gli aiuti “ora è importante mettere in campo misure strutturali per incrementare i salari, incrementare il netto salariale“. Sempreché domani si ricomponga la frattura in Senato con i Cinquestelle. Il passaggio è cruciale ma, considerati i fatti, dall’esito ancora pericolosamente imprevedibile.

Crisi idrica, Cingolani: 2 miliardi per tappare la rete colabrodo

Due miliardi del Pnrr serviranno a “tappare il colabrodo”. Copyright di Roberto Cingolani, che proprio non usa mezzi termini per definire la rete infrastrutturale idrica del nostro Paese. Intervenendo alla tappa di Aosta di ‘Italiadomani, dialoghi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza’, il ministro della Transizione ecologica tocca diversi temi e quello della siccità resta di strettissima attualità. “Abbiamo previsto 40 nuovi invasi, perché si calcolava che un quarto della precipitazione media annuali garantirebbe tutto il fabbisogno dell’Agricoltura: si tratta solo di raccoglierla questa pioggia. Perché anche se piove di meno, comunque piove“. Il riferimento resta il lavoro svolto sul Pnrr, che Cingolani rivendica con orgoglio: “Dopo un anno sono profondamente soddisfatto, perché abbiamo pensato bene”.

Per rendere l’idea racconta che nel Piano ci sono 4,38 miliardi per fronteggiare la crisi idrica: “Queste cose sono state pensate pensate a febbraio e marzo del 2021, quando non c’era, per mettere in sicurezza un paese che ha diversi problemi”. Ma c’è anche l’energia nelle sue riflessioni: sarebbe impossibile non parlarne. Sebbene il concetto non sia proprio inedito, Cingolani usa comunque un linguaggio chiaro, per usare un eufemismo. Perché ciò che è accaduto con la guerra in Ucraina “ci ha sbattuto in faccia vent’anni di errori nella gestione energetica in questo Paese. Poi ammette: “Sono molto duro su questo: ideologismi di tutti i tipi” il suo ‘j’accuse’. Perché “abbiamo smesso di produrre il nostro gas dicendo che era ecologicamente più sostenibile, ma poi abbiamo comprato dai russi. Ci siamo bastonati da soli”.

Il governo ha avviato con solerzia l’opera di diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Per il ministro della Transizione ecologica è una cosa buona e giusta, a prescindere dalla necessità di affrancarsi da Mosca. Anche se “importiamo ogni anno 30 miliardi di gas da un solo fornitore, quando ne consumiamo 76 miliardi ogni anno, è un po’ un suicidio”. Ad ogni modo “ne abbiamo sostituiti 25 miliardi in 8 settimane” grazie ad accordi stretti “con 6 fornitori diversi, più piccoli” e “permettendoci il lusso” di rinunciare scientemente a 5 miliardi di metri cubi perché “sappiamo già che li sostituiamo con le rinnovabili che, grazie al Pnrr, abbiamo accelerato con le semplificazioni”. Per inciso “ad oggi, nei primi sei mesi di quest’anno, le richieste di nuovi allacciamenti sono oltre miliardi di watt, 9 gigawatt”.

Cingolani veicola un altro messaggio: a parte che “non ho mai fatto politica e non voglio farla”, ma “andrebbe fatto uno sforzo, ogni anno, destinando il 2% del Pil, che è in mano ai ministeri, per indirizzarlo su programmi di lungo termine. Al di là del colore politico”. Lo ha detto anche al premier, Mario Draghi, ieri, durante una riunione del Comitato interministeriale sulla Transizione ecologica. L’esempio è il Pnrr. Chissà se (e da chi) sarà ascoltato il suo suggerimento.

fiume Tevere

Emergenza siccità, Draghi: “Dispersioni straordinarie, ora grande piano acqua”

La grande sete corre verso Sud. L’epicentro della siccità si è spostato dal Nord (dove la situazione resta comunque da monitorare) al Centro Italia. “Il governo è al lavoro e da lunedì siamo pronti ad approvare i piani di emergenza regionali“, assicura il premier, Mario Draghi.

Il momento è drammatico. Per “il bacino Padano si tratta della crisi idrica più grande degli ultimi 70 anni“, ricorda il presidente del Consiglio. La crisi però non è dovuta soltanto a un deficit di pioggia degli ultimi tre anni, ma anche a una serie di cause strutturali, ammette: “La cattiva manutenzione dei bacini, la cattiva manutenzione della rete“. Le dispersioni di acqua, afferma, sono “a un livello straordinario, circa il 30%. Tanto per rendere l’idea, in Israele è del 3%, in altri Paesi europei il 5, 6, 8%“. Il piano di emergenza occorrerà, ma servirà anche, e con urgenza, un piano per ovviare alle carenze infrastrutturali. Draghi parla di un ‘grande piano dell’acqua’: “C’è già nel Pnrr: sono stati stanziati 4 miliardi per questo” ma gli stanziamenti saranno aumentati e si arriverà a un “coordinamento massiccio” dei tanti enti preposti all’amministrazione dell’acqua. “Il governo non può far piovere, ma sta facendo tutto quello che può“, gli fa eco il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli.

A soffrire maggiormente, al momento, sono le Marche, dove ormai si rischia il razionamento degli approvvigionamenti, avverte l’osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi. Nelle zone di Ascoli Piceno e Fermo la condizione di siccità è estrema: i volumi d’acqua, trattenuti negli invasi, calano di 1 milione di metri cubi a settimana per riuscire a dissetare le campagne e tutti i fiumi hanno portate inferiori alle annate scorse.

Non va meglio in Toscana, dove il 90% del territorio è in una condizione di siccità estrema, la riduzione delle portate dei fiumi non si ferma: il Bisenzio è quasi azzerato (0,30 metri cubi al secondo contro una media di mc/sec 2,42) e l’Ombrone è trasformato in un “rigagnolo” da 500 litri al secondo, denuncia l’Anbi.

Per l’associazione, anche nel Lazio la situazione è “drammatica”. A Roma, dall’inizio dell’anno, è piovuto il 63% in meno e nella provincia si sono registrati, in pochi giorni, 496 interventi dei vigili del fuoco per spegnere gli incendi. L’Aniene è praticamente dimezzato rispetto alla portata media, il Tevere registra livelli più bassi anche del 2017, Liri e Sacco il dato più basso in anni recenti, il lago di Nemi è di oltre 1 metro più basso del 2021 e Bracciano è a -32 centimetri dal livello dello scorso anno.

Più a Sud, dalla Basilicata in una settimana sono stati prelevati oltre 11 milioni di metri cubi d’acqua dagli invasi, le cui disponibilità idriche stanno segnando un deficit di circa 37 milioni di metri cubi sull’anno scorso. Resta, invece, ancora positivo il bilancio dei principali bacini pugliesi, nonostante un prelievo settimanale superiore ai 14 milioni di metri cubi. In Campania, tutti i fiumi sono in deficit rispetto allo scorso anno, mentre in Abruzzo è la zona di Chieti a soffrire maggiormente per la mancanza d’acqua.

Al Nord invece è tornata la pioggia, che ha permesso in Valle d’Aosta di arricchire la portata della Dora Baltea e di dare sollievo alla portata del Po, che a Pontelagoscuro è risalita a 200 metri cubi al secondo, quando comunque l’allarme cuneo salino scatta già a 450 metri cubi al secondo (l’ingressione marina è ormai segnalata a 30 chilometri dalla foce). L’incremento di portata non risolve comunque il problema del gravissimo deficit idrico nel Grande Fiume, “ma scongiura, per ora, lo stop ai prelievi, che comporterebbe enormi danni all’agricoltura“.

Tornano, anche sul Piemonte, le piogge a macchia di leopardo: più abbondanti sul bacino del fiume Sesia, meno intense su quello del Tanaro.

L’Osservatorio crisi idriche dall’Autorità Distrettuale del fiume Po-Ministero della Transizione Ecologica ha stabilito una riduzione del 20% dei prelievi irrigui a livello distrettuale rispetto ai valori medi dell’ultima settimana e un aumento dei rilasci dai grandi laghi alpini (Maggiore, Como, Iseo, Idro e Garda) pari al 20% rispetto al valore di oggi. Le misure serviranno a contrastare la risalita del cuneo salino nelle acque superficiali e sotterranee riducendo, allo stesso tempo, i rischi di potenziali impatti negativi sullo stato ambientale dei corpi idrici.

Il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, garantisce che con le operazioni che messe in campo, per l’agricoltura ci sarà acqua sufficiente fino all’8-9 luglio. “Poi se non dovesse piovere fino a quella data è chiaro che si porrà un altro problema“, afferma. Per quanto riguarda l’acqua per uso civile, per ora scongiura problemi immediati: “Dobbiamo monitorare la situazione e muoverci a seconda delle condizioni climatiche. C’è bisogno che piova“.

In Piemonte il governatore Alberto Cirio ha istituito un tavolo permanente per combattere la situazione. L’iniziativa va ad aggiungersi, con funzioni di coordinamento, alle altre misure messe in campo dalla Regione: richiesta dello stato di emergenza per l’intero territorio e dello stato di calamità per l’agricoltura, rilascio di acque dai bacini utilizzati per produrre energia idroelettrica a supporto dell’irrigazione delle colture e deroga al minimo deflusso vitale dei fiumi.

Al G7 raggiunta intesa su price cap per gas e petrolio

Non solo il petrolio, come desiderava da principio Joe Biden, ma anche il gas, come auspicava (da molto prima dell’ultimo Consiglio europeo) Mario Draghi. Al G7 di Garmish, in coda a una lunedì di straordinaria intensità operativa, si è raggiunta l’intesa per mettere un tetto ai prezzi dei prodotti energetici più ‘gettonati’ del pianeta. Toccherà proprio ai ministri ‘energetici’ fare in modo che questa linea di condotta comune ai Sette Grandi passi dallo stato teorico a quello pratico.

Perché c’è “urgenza” di fare in maniera che i prezzi di gas e petrolio, segnatamente forniti dalla Russia, non siano più soggetti a manovre speculative, mettendo sotto controllo l’impennata delle bollette e, per estensione del concetto, l’inflazione. I negoziati hanno partorito l’agognato sì alle nove della sera, quando di solito ci si accomoda al tavolo per consumare la cena, superando perplessità (Germania) e ritrosie (Francia), dando in qualche modo ragione alla linea italiana che punta sul price cap almeno da un paio di mesi. Il premier, tornato dal Consiglio europeo con una mezza vittoria (avrebbe voluto una convocazione straordinaria per luglio, in realtà se ne parlerà a ottobre), questa volta può sorridere consapevole che ha ottenuto al G7 ciò che non gli è riuscito pienamente a livello europeo. “Dobbiamo continuare a lavorare su come imporre un tetto al prezzo del gas”, aveva insistito Draghi mentre le delegazioni tecniche stavano ancora pensando al modo più proficuo per raggiungere il risultato finale.

Il preludio all’accordo di poche ore dopo, quasi che il premier avesse capito che la discussione stava per incanalarsi per il verso giusto. A monte di tutto, l’obiettivo è abbastanza chiaro. Non solo sotto il profilo militare, ma anche geopolitico – e quindi energetico – Vladimir Putin non deve vincere: al G7 se ne sono fatti una ragione, passando sopra a qualsiasi dubbio. Nella conferenza stampa di oggi verrà spiegato tutto questo e, magari, altro ancora.