Il caso Norvegia: stop alle auto a motore endotermico dieci anni prima dell’Ue

In un sobborgo residenziale di Oslo, quasi una casa su due ha un’auto elettrica parcheggiata nel vialetto: tutti segnali che indicano che il tentativo della Norvegia di diventare il primo Paese al mondo a diventare completamente elettrico è vicino. Residente a Baerum, un comune con una delle più alte percentuali di auto elettriche del Paese (43%), Bård Gundersen ha fatto il grande passo nel 2016 e ora è alla sua seconda auto. “È stato un gioco da ragazzi”, dice il direttore d’azienda al volante della sua scintillante BMW iX. “Era molto più conveniente acquistare un’auto come questa che un’auto tradizionale – quasi la metà del prezzo, visto che volevo un SUV”. Con l’obiettivo più ambizioso al mondo, la Norvegia, nonostante sia un importante produttore di idrocarburi, vuole vendere solo nuove auto a emissioni zero a partire dal 2025, con dieci anni di anticipo rispetto all’obiettivo fissato dall’Unione Europea, di cui la Norvegia non fa parte.

Spinte in particolare da Tesla, le auto completamente elettriche hanno rappresentato il 96,4% delle nuove immatricolazioni in Norvegia a settembre, rispetto al 17,3% in Europa. Si tratta di una quota di mercato molto lontana da quella del 2012, pari ad appena il 2,8%. Questo boom è il risultato di una politica proattiva, inizialmente un po’ fortuita. In un Paese che non ha mai avuto una casa automobilistica nazionale, all’inizio del secolo le autorità hanno esentato le auto elettriche dalle tasse (IVA, certificato di immatricolazione, tassa sul peso), sperando in questo modo di mettere in sella un campione nazionale. Invano, però: il gruppo Pivco (poi diventato Think), che per un certo periodo è stato di proprietà del gigante americano Ford, è fallito nel 2011. Ma le esenzioni fiscali sono rimaste, anche se sono state ridotte negli ultimi anni, rendendo l’acquisto di auto completamente elettriche competitivo con i motori a combustione, che sono pesantemente tassati. “Abbiamo usato il bastone per i veicoli fossili e la carota per le auto elettriche”, afferma Cecilie Knibe Kroglund, Segretario di Stato presso il Ministero dei Trasporti. “È possibile che altri Paesi debbano utilizzare altri tipi di incentivi, a seconda dell’uso, della geografia e del modo in cui funziona il trasporto pubblico. Ma per quanto ci riguarda, i nostri incentivi hanno funzionato molto bene”, sottolinea.

Oltre a questo vantaggioso sistema di bonus-malus, le auto elettriche beneficiano da tempo di privilegi come il pedaggio urbano gratuito e la sosta gratuita nei parcheggi pubblici. Questo è stato il risultato di una campagna di disobbedienza civile condotta negli anni ’90 da un attivista ambientale, Frederic Hauge, cofondatore dell’ONG Bellona, e dal cantante del gruppo A-ha, Morten Harket, autore della hit ‘Take on me’. A bordo di una Fiat Panda elettrica riconvertita, i due uomini, desiderosi di promuovere questo modo di trasporto, si sono ostinatamente rifiutati di pagare i pedaggi e i parcheggi, accumulando una montagna di multe che si sono rifiutati di pagare. Il loro veicolo fu sequestrato, ma qualche anno dopo le autorità concessero finalmente il libero accesso ai veicoli elettrici, che all’epoca erano ancora una rarità. “Non mi sentivo un ribelle, in realtà”, ha detto Harket alla BBC. “Ma era semplicemente necessario”.

In un’altra misura storica, nel 2005 il governo ha permesso alle auto elettriche di utilizzare i corridoi del trasporto pubblico, evitando così gli ingorghi. Anche questi vantaggi occupazionali sono stati erosi nel tempo, ma le auto elettriche sono diventate la norma. In dieci anni, la loro tecnologia è migliorata notevolmente, l’autonomia si è diversificata ed è nata una vasta rete di stazioni di ricarica. A settembre, per la prima volta, il numero di auto elettriche sulle strade norvegesi ha superato quello delle auto a benzina, e ora si stanno avvicinando a quelle diesel. A Oslo, dal 1° novembre tutti i taxi devono essere a emissioni zero.

Volkswagen ha consegnato la sua ultima auto a combustione, una Golf, a luglio. “Dal 1° gennaio abbiamo eliminato dalla nostra gamma tutte le auto a combustibile fossile”, spiega Kim Clemetsen, responsabile marketing di una concessionaria che importa il marchio. “Ora vendiamo solo auto elettriche“. Alcuni marchi, come Toyota, stanno opponendo resistenza progettando di mantenere i modelli a combustione e ibridi nella loro gamma nel 2025. Il ministro delle Finanze Trygve Slagsvold Vedum, strenuo difensore degli interessi rurali, ha messo il bastone tra le ruote affermando che “non è affatto un problema” se l’anno prossimo saranno venduti ancora “alcuni” veicoli a combustione. Ma il Paese dovrebbe, come minimo, essere molto vicino alla sua ambizione di emissioni zero al 100%. “La Norvegia non aveva particolari possibilità di raggiungere questo obiettivo: è un Paese grande, con lunghe distanze e temperature invernali molto basse, che influiscono sull’autonomia delle auto”, sottolinea Christina Bu, segretario generale dell’Associazione norvegese dei veicoli elettrici. “Quindi non c’è alcun motivo per cui noi possiamo farlo e gli altri Paesi no”.

Fs, Nuovo Frecciarossa1000 dal 2025: 10-15% energia in meno, 97% riciclabile

Il nuovo Frecciarossa1000 riparte da Berlino. Alla biennale InnoTrans Trenitalia presenta i nuovi vagoni che saranno in circolazione sulla rete italiana (ed europea) dalla fine del 2025. Più tecnologici, meno impatto sull’ambiente per la riduzione dei consumi di energia dal 10 al 15% e con un alto tasso di sostenibilità con il 97% di riciclabilità dei materiali.

Carrozze ancora più confortevoli, cappelliere più ampie e spazio a sufficienza per i bagagli, il nuovo Frecciarossa 1000 fa parte di un ordine di Trenitalia commissionato a Hitachi per la fornitura di 36 treni Etr1000, con opzione per ulteriori 10 convogli, per un totale di 46 treni e un valore economico complessivo di oltre 1,3 miliardi di euro. Le prime consegne sono previste a partire dal prossimo anno, fino al 2028, con un ritmo di circa otto treni l’anno.

Come prestazioni, può toccare una velocità massima di 300 chilometri orari, ma è omologato per raggiungere i 360 km orari. Addirittura, in fase di test, è stato spinto fino alle soglie dei 400 km orari.

È il primo treno alta velocità al mondo ad avere ottenuto la certificazione di impatto ambientale basata su un’attenta Analisi del ciclo di vita. Ogni dettaglio, dalle leghe leggere di cui è composto, fino ai nuovi motori elettrici che lo spingono, è stato progettato per ridurre al minimo il consumo di energia.

Tra le caratteristiche della nuova generazione di Frecciarossa 1000, l’aumento del tasso di riciclabilità che arriva al 97,1% (+2,7% rispetto alla precedente flotta), un’affidabilità accresciuta grazie al miglioramento dell’efficienza del sistema di trazione, unito ad un miglioramento dell’efficienza energetica.

Il Frecciarossa 1000 è stato progettato e realizzato per viaggiare, oltre l’Italia, su sette reti ferroviarie europee, Francia, Germania, Spagna, Austria, Svizzera, Paesi Bassi e Belgio. Raggiunge 120 destinazioni in Italia con oltre 270 collegamenti giornalieri, e corre anche sui binari di Spagna e Francia.

Parigi e Milano vicine al modello di ‘città del quarto d’ora’

Secondo un’analisi globale pubblicata lunedì, Parigi e Milano sono tra le città più vicine al modello della “città del quarto d’ora”, un concetto di pianificazione urbana in cui ogni abitante vive nel raggio di quindici minuti a piedi o in bicicletta da tutto ciò che è necessario per la sua vita quotidiana. Il concetto di “città a un quarto d’ora” ha preso piede durante la pandemia di Covid-19, quando il lockdown ha portato a porre l’accento sui servizi locali. Da allora, è stato adottato da decine di sindaci in tutto il mondo, diventando al contempo oggetto di numerose teorie cospirative su Internet.

Per scoprire quali sono le città che più si avvicinano a questo modello, un team di ricercatori italiani è partito da un database di circa 10.000 città in tutto il mondo. Hanno poi utilizzato mappe ad accesso libero per calcolare la distanza che i loro abitanti dovrebbero percorrere per raggiungere, ad esempio, negozi, ristoranti, scuole e centri sanitari.

In realtà, “molte persone vivono già in una ‘città da un quarto d’ora’”, ha dichiarato all’AFP Hygor Piaget Monteiro Melo, coautore dello studio pubblicato su Nature Cities. “Ma in molti casi ci sono enormi differenze tra il centro e la periferia”, ha aggiunto. Come nell’immensa megalopoli di New York, dove “Manhattan è senza dubbio uno dei luoghi al mondo più vicini a un quarto d’ora di città”, anche se questo non è necessariamente il caso dei quartieri più periferici, aggiunge Matteo Bruno, primo autore dello studio. Da qui la difficoltà di quantificare il numero di quarti d’ora di città, a seconda che il confine sia tracciato intorno al centro o alla periferia. Un fattore chiave per identificarle è la densità di popolazione, perché più le persone vivono vicine tra loro, più è facile per loro accedere ai servizi essenziali. Città piccole ma densamente popolate come Milano e Barcellona sono ben posizionate, secondo la mappa sviluppata dai ricercatori, accessibile gratuitamente online (https://whatif.sonycsl.it/15mincity/).

Tra le città più grandi, “Parigi è un’eccezione”, sottolinea Bruno, ricercatore presso i Sony Computer Science Laboratories di Roma. Il consiglio comunale ha adottato il concetto nel 2020 e oggi una “porzione considerevole” della città è scesa sotto il quarto d’ora, secondo lo studio.

Le città europee hanno il vantaggio di essere sorte secoli fa, senza mezzi di trasporto diversi dagli spostamenti a piedi, favorendo così la concentrazione dei servizi. Al contrario, le città più recenti, progettate fin dall’inizio pensando al trasporto in auto, soprattutto negli Stati Uniti, hanno un handicap maggiore. È il caso di Los Angeles, città che ospiterà i Giochi Olimpici del 2028, di Atlanta e di alcune megalopoli cinesi come Chongqing (sud-ovest) con i suoi 32 milioni di abitanti. Il concetto dà regolarmente adito a teorie cospirative rilanciate da gruppi anti-vax o scettici sul clima, che sostengono che il “quarto d’ora di città” sia destinato a limitare gli spostamenti dei residenti, deplorano i ricercatori. Attaccati essi stessi su X, sottolineano che questo modello non intende confinare nessuno.

Il ricercatore Carlos Moreno, sostenitore del concetto e consulente del sindaco di Parigi Anne Hidalgo, è stato lui stesso bersaglio di “teorici della cospirazione in tutto il mondo”, ha dichiarato all’Afp. Egli accoglie con favore questo nuovo studio, lodando il fatto che l’idea sia diventata rapidamente un argomento di interesse per i ricercatori di tutto il mondo. Quando si tratta di pianificazione urbana, tuttavia, non esiste un’unica soluzione perfetta, avvertono i ricercatori italiani. “La città di un quarto d’ora viene spesso presentata come un’utopia, ma non lo è”, afferma Bruno. Per esempio, gli americani che vivono in città tentacolari abitano in case con piccoli giardini, mentre gli europei vivono in appartamenti in centri urbani densamente popolati. Il criterio dei 15 minuti è solo uno degli ingredienti della “ricetta” per una buona città, afferma Bruno, che cita anche la lotta alle disuguaglianze e alla segregazione, il miglioramento dei trasporti pubblici e la riduzione del traffico automobilistico.

Mobilità, crolla l’utilizzo dei monopattini a Milano

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA si può vedere il crollo dell’utilizzo dei mezzi in sharing a Milano nel periodo aprile e maggio, rispetto allo stesso periodo del 2023 secondo un rapporto diffuso oggi dall’Amat. A parte le biciclette, tutti gli altri mezzi, auto, scooter e soprattutto monopattini, registrano un calo vertiginoso.

Urso a Pechino: mobilità elettrica e tecnologia green al centro della missione

Inizia la missione del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, in Cina: una due giorni fitta di incontri istituzionali, con imprese cinesi interessate a investire in Italia e con aziende italiane presenti nel Paese.

L’obiettivo della visita ufficiale è verificare la possibile cooperazione e le partnership industriali negli ambiti della tecnologia green e della mobilità elettrica, in cui i cinesi sono molto competitivi, così da poter realizzare in Italia una piattaforma produttiva legata a questi due settori chiave nella transizione ambientale.

Il Governo, spiega Urso, ha una “visione strategica” di come possano crescere i rapporti tra Italia e Cina e “può dare finalmente garanzie di affidabilità, stabilità e continuità, elementi fondamentali nella scelta di ogni investitore”.

Dopo essere stato accolto dall’ambasciatore Massimo Ambrosetti, il ministro ha incontrato il presidente di CCIG (China City Industrial Group), Gu Yifeng, il presidente di Chery Automobile Yin Tongyue, e la comunità imprenditoriale italiana presente in Cina.

Con le due aziende cinesi si è discusso delle opportunità di investimento in Italia e si è fatto il punto sulle collaborazioni avviate. È stato, inoltre, ribadito l’impegno del governo italiano a creare un ambiente imprenditoriale favorevole e competitivo con partnership industriali che possano utilizzare anche gli strumenti agevolativi per i nuovi insediamenti produttivi, oltre ai programmi di supporto per la ricerca e lo sviluppo.

Il ministro ha poi sottolineato le opportunità offerte dall’Italia come “hub produttivo in Europa e nel Mediterraneo” e i principali punti di forza che rendono il Paese “luogo ideale per le attività sulla tecnologia green e la mobilità elettrica” anche per la presenza di una filiera produttiva e di una componentistica leader in Europa e per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo.

Nella delegazione del governo è presente anche il presidente di Anfia, Roberto Vavassori, l’associazione che rappresenta le imprese della componentistica dell’automotive. La prima giornata della missione si è conclusa con l’incontro, presso l’Istituto italiano di cultura di Pechino, con la comunità imprenditoriale italiana presente in Cina. Ad accogliere il ministro i rappresentanti di molte grandi aziende e Pmi italiane. Assicurando il sostegno del governo e delle istituzioni di Roma, il ministro ha ascoltato gli imprenditori, di diversi settori produttivi, che hanno raccontato i punti di forza e le difficoltà che si riscontrano nel Paese, sottolineando la necessità di portare avanti progetti di innovazione per poter competere nel mercato cinese.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Il commercio di biciclette in Ue: mercato cala del 10% nel 2023

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, il commercio di bici in Ue. Secondo Eurostat, nel 2023 l’Unione europea ha esportato biciclette, sia elettriche che non, per un valore di 1,03 miliardi di euro, con un calo del 10% rispetto al 2022. Il valore delle importazioni si è attestato a 1,98 miliardi di euro, con un calo del 21% rispetto al 2022. Più nello specifico, nel 2023, l’Ue ha esportato 293 mila biciclette elettriche (-21% rispetto al 2022) e importato 867 mila biciclette elettriche (-27%). Allo stesso tempo, l’Ue ha esportato 852 mila biciclette non elettriche (-17% rispetto al 2022) e ne ha importate 3,5 milioni (-34%).

Mobilità, Descalzi (Eni): “Non si può puntare su un’unica soluzione”

Nel sistema energetico” per quel che concerne il segmento della mobilità “non si può mai puntare su un’unica soluzione”. Lo dice l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, a margine del Forum di Coldiretti. “Come Eni puntiamo sui biocarburanti, ma ci sono mezzi pesanti, tutta la parte aeronautica e i mezzi navali che ovviamente non possono passare in modo immediato, e forse mai, all’elettrico – aggiunge -. Quindi, hanno bisogno anche delle alternative con bassa impronta carbonica”. Ma “puntiamo molto sull’elettrico, siamo la prima o tra le prime società in termini di stazioni di ricarica in Italia e ne abbiamo molte anche in Europa”, dice ancora Descalzi. Che prosegue: “Abbiamo la parte dell’elettrico, quella del biodiesel e dei biocarburanti in senso generale, anche se l’elettrico resta fondamentale – sottolinea -. Bisogna avere tante soluzioni, perché dobbiamo cercare anche soluzioni che siano economiche e che possano auto-giustificarsi senza dover pesare sul governo o, ancora di più, a livello tariffario su tutti i cittadini”.

L’energia per i veicoli del futuro: elettrico, idrogeno e biocarburanti

La mobilità e i trasporti sono uno dei vulnus della transizione energetica, soprattutto in Italia dove è ancora largamente diffuso l’utilizzo dell’automobile. In questo contesto, guardando al futuro, è fondamentale capire come i veicoli dovranno evolversi, soprattutto per quanto riguarda l’utilizzo dell’energia, per garantire il percorso verso la sostenibilità. E se l’elettrico, al momento, sembra la strada maestra, non si possono non considerare le altre possibilità: idrogeno, biocarburanti, e-fuels. ‘Elettricità, idrogeno, biocarburanti, e-fuel: l’energia per i veicoli di domani’ sarà il titolo di uno dei panel dell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’ che Withub, con la direzione editoriale di eunews, GEA e Fondazione art. 49, organizzerà a Roma il prossimo 12 ottobre presso l’esperienza Europa David Sassoli.

 

E se la decarbonizzazione dei trasporti è ormai un punto fermo, la modalità con cui raggiungerla non è ancora nettamente delineata. Lo stesso ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, più volte ha ribadito come l’elettrico sia “la via maestra”, ma come vadano considerate anche le altre tecnologie. In particolare i biocarburanti, sui quali sembra che l’Ue sia pronta ad una riapertura anche dopo il 2035.

 

Diversa la posizione delle associazioni ambientaliste, che in un position paper formulato a maggio continuano a perseguire l’elettrico come unica via. La sola apertura a biocarburanti avanzati, con l’idrogeno verde e i carburanti sintetici rinnovabili, è concessa per i trasporti non elettrificabili come l’aviazione e la navigazione a lunga distanza. Secondo le associazioni la crescita sia delle rinnovabili che dell’efficienza nei trasporti consentirà di ridurre del 25% le emissioni di CO2 del settore. Netta la posizione sul biodiesel all’olio di palma e derivati: “Chiediamo di uscire dalla ‘false rinnovabili’ e di usare d’ora in poi solo biocarburanti ‘avanzati’, quelli derivati da rifiuti ‘veri’ cioè scarti non altrimenti utilizzabili, con meccanismi di certificazione che ne possano garantire la tracciabilità, e di concentrare la sperimentazione di idrogeno verde e carburanti sintetici rinnovabili limitatamente ai trasporti non elettrificabili, come ad esempio l’aviazione e la navigazione di lunga distanza”.

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Aerei e navi faticano a ridurre emissioni per alti costi carburanti verdi

Sebbene l’aviazione e il trasporto marittimo rappresentino solo l’8% delle emissioni totali di gas serra della Ue, queste sono le fonti di emissioni in più rapida ascesa. L’obiettivo sulla carta è ridurle del 55% entro il 2030 e raggiungere poi l’obiettivo di emissioni nette zero entro il 2050. Un percorso che passa dalla produzione di nuovi mezzi capaci di consumare e inquinare meno e dall’utilizzo di nuovi tipi di carburanti sostenibili. La crisi energetica in corso da oltre un anno e mezzo e il boom dell’inflazione non aiutano il mondo delle navi e degli aerei, che investono per rivedere le loro flotte ma combattono con i prezzi nel tentativo di non perdere competitività.

Fly Net Zero è l’impegno delle compagnie aeree a raggiungere zero emissioni di carbonio entro il 2050. Alla 77esima assemblea generale della Iata – l’organizzazione internazionale delle compagnie aeree – era stata approvata nel 2021 una risoluzione che impegna le società a raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette di carbonio dalle loro operazioni entro il 2050. Attualmente il settore dell’aviazione emette quasi 1 miliardo di tonnellate di Co2 ogni anno, pari al 12% delle emissioni globali dei trasporti, ha affermato il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti. E con un aumento previsto della domanda di viaggi aerei in media del 4,3% annuo nei prossimi 20 anni, secondo un rapporto Onu, il volume di anidride carbonica che potrebbe essere emesso dalle compagnie aeree nell’atmosfera metterà ulteriormente a dura prova l’ambiente. In questo senso l’introduzione del Saf è fondamentale. Il Saf è un biocarburante che ha proprietà simili al carburante per aerei convenzionale ma con un’impronta di carbonio inferiore dell’80%: alcune delle materie prime per produrlo sono mais, semi oleosi, canna da zucchero, residui agricoli, olio da cucina usato, rifiuti biologici e grasso animale. L’adozione del Saf però è ancora nella sua fase nascente, nonostante le iniziative di quasi 30 Paesi in tutto il mondo per investire in progetti di combustibili rinnovabili.

Secondo un rapporto della Iata la produzione globale di Saf è stata stimata a 240.000 tonnellate nel 2022, +200% rispetto all’anno precedente, ma rappresentava solo lo 0,1% della produzione totale di carburante per aerei di 254 milioni di tonnellate. Pertanto l’obiettivo della stessa Iata di approvvigionarsi di Saf sufficiente a soddisfare il 100% della domanda di carburante per l’aviazione entro il 2050 sembra un miraggio. Il prezzo è un problema: il Saf attualmente costa quasi 2-2,5 volte di più del carburante per aerei convenzionale, rendendo economicamente irrealizzabile per l’industria aeronautica investire nella produzione e nell’uso di biocarburanti. Anche le infrastrutture per la produzione, lo stoccaggio e la distribuzione di Saf sono attualmente limitate, il che rende molto difficile aumentare la produzione e ottenere prezzi competitivi.

Difficoltà nella transizione anche nel trasporto marittimo, le cui emissioni in Europa hanno raggiunto il massimo storico lo scorso anno, secondo una nuova analisi su Trasporti e Ambiente (T&E). Con oltre 135 milioni di tonnellate, le navi del Vecchio Continente stanno emettendo più carbonio di quanto non facessero prima della pandemia. L’incremento è dovuto principalmente alle navi da crociera, cresciute notevolmente rispetto all’anno precedente, e a un numero elevato di navi che trasportano Gnl. Qualcosa si muove tuttavia nell’ambito della transizione. A metà del 2022, un terzo del tonnellaggio ordinato potrebbe già utilizzare Gnl, Gpl o metanolo nei motori a doppia alimentazione e a metà di quest’anno il valore è salito alla metà. “La tendenza è incoraggiante, ma sono ancora troppo poche queste navi (6,5%) che utilizzano effettivamente carburanti a basse emissioni di carbonio o a zero emissioni per avere un impatto reale”, avverte Eirik Ovrum, consulente principale marittimo della società di consulenza indipendente DNV. I carburanti verdi per la navigazione prodotti da elettricità rinnovabile come l’idrogeno e l’e-ammoniaca rappresentano il modo più promettente per decarbonizzare un settore, sottolinea ancora T&E, ma “la diffusione dei carburanti elettronici non avverrà da sola. Ciò è dovuto principalmente ai costi molto elevati, nonostante i piani Ue per aumentare la produzione. Se le proposte della Ue per il trasporto marittimo fossero dotate dei giusti incentivi per i carburanti elettronici, la domanda potrebbe raggiungere fino al 7% del mix di carburanti per il trasporto marittimo europeo già entro il 2030”. E questo – conclude T&E – “darebbe al settore il rilancio necessario per utilizzare carburanti rinnovabili e, infine, raggiungere emissioni nette zero entro il 2050”.

Pitto (Fedespedi): “Servono nuove infrastrutture per trasporto merci e tutela export”

Il 27 settembre si terrà a Roma l’assemblea di Fedespedi, la Federazione guidata da Alessandro Pitto che rappresenta le imprese di spedizioni internazionali in Italia: un settore che genera un fatturato di oltre 15 miliardi di euro l’anno – circa il 20% del giro d’affari dell’intero settore dei trasporti e della logistica – e impiega circa 50.000 addetti. Il titolo dell’assemblea di quest’anno è ‘La merce al centro: politiche e prospettive di sviluppo del commercio internazionale’’. “Al centro” di una transizione e di un cambiamento storico, legato alle direttive ambientali europee e internazionali. “Al centro”, spiega Pitto, “per risvegliare l’attenzione istituzionale sull’importanza del made in Italy“. “Servono nuove infrastrutture per consentire lo spostamento di persone, ma anche di merci considerando la strategicità dell’export per l’Italia e serve una semplificazione amministrativa e burocratica. Questa è la vera sostenibilità”.

Presidente, la transizione energetica e il boom della mobilità possono andare di pari passo o si rischia di non fare bene l’una o l’altra?

“A me piace parlare di ottimismo ambientale, non di catastrofismo ambientale. Dobbiamo essere spinti da ottimismo, anche perché, non da oggi, stiamo già facendo molto per cambiare il nostro mondo. Gli Usa oggi, ad esempio, producono la stessa quantità di CO2 del 1970, ma l’economia americana oggi è 30 volte più grande. Un altro esempio è che con la quantità di plastica necessaria oggi per realizzare 10 bottigliette, dieci anni se ne produceva una. Per questo affermo che occorre essere animati da un sano ottimismo ambientale. Certo, la sfida non è semplice: da una parte il contesto normativo e di indirizzo dato dalla Ue ci spinge a ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, dall’altra parte abbiamo previsione di aumento del trasporto che incrementerà le emissioni. Noi spedizionieri siamo un punto di contatto privilegiato con le imprese esportatrici e importatrici e possiamo incidere fornendo loro un servizio consulenziale che le orienti a scelte di sostenibilità anche nella gestione della logistica. A conferma di questa consapevolezza, la Federazione, e in particolare Fedespedi Giovani, ha avviato fin dal 2019 un percorso di sensibilizzazione della categoria rispetto al ruolo che le imprese di spedizioni possono giocare nella transizione green del settore logistico. Questo impegno si è concretizzato nel 2023 con il progetto ‘KPI di sostenibilità ambientale’, realizzato in partnership con il Green Transition Hub dell’Università LIUC e volto a individuare una serie di indicatori di misurazione delle performance ambientali derivanti dall’attività delle imprese di spedizioni”.

A proposito di sfide: l’Italia vale 600 miliardi di export. Saremo in grado di sostenere la domanda innanzitutto europea seguendo le direttive di Bruxelles su ambiente e trasporti? La tempistica non è troppo stringente?

“Trovo che sia corretto darsi obiettivi ambiziosi e sfidanti, che ci spronino a un cambio di mentalità, anche correndo il rischio di non centrarli in pieno. Un cambiamento è già in atto: abbiamo clienti che ci chiedono di ridurre le emissioni nel trasporto di merci, c’è un movimento di pensiero che si è messo in moto. La cosa importante è che non è più in discussione, ma in pratica”.

La lotta alle emissioni rivoluzionerà il mondo dei trasporti. Vedete più opportunità o più criticità sui costi?

“Ci sono due temi sul tavolo. C’è un tema di investimenti per essere più sostenibili e qui le risorse non mancano, sia a livello pubblico che privato: penso all’incremento di mezzi a propulsione alternativa, allo sviluppo porti più green, allo switch modale da strada a treno molti di questi punti ad esempio sono oggetto del Pnrr. Da questo punto di vista la preoccupazione è semmai più sui tempi che sui costi viste le scadenze del 2026. Indubbiamente per le aziende ci sono costi da sostenere nell’immediato ma credo che si tratti di un tema di scala: se si inizia a usarli di più ci sarà un progressivo allineamento. L’altro tema è scegliere la tecnologia su cui puntare – su cui l’Unione Europea ha dato obiettivi ben precisi – e soprattutto trovare standard universalmente riconosciuti per orientare le scelte”.

Si riferisce alle certificazione ambientale o Esg?

“Certo, ci preme sottolineare la strategicità dell’elaborazione di standard di misurazione che possano uniformare le numeriche di sostenibilità su cui costruire strategie concrete di transizione verde. Per questo apprezziamo gli ultimi sviluppi a livello europeo con cui la Commissione ha riconosciuto il nuovo standard internazionale ISO 14083 per il calcolo delle emissioni dell’attività di trasporto merci”.

Camion, treno, aereo, nave: quale tipo di mobilità vedete più sulla retta via per gli obiettivi del 2030?

“Il trasporto su ferro è indubbiamente la modalità di trasporto più sostenibile e che consente di movimentare ingenti quantità di merci, peraltro riducendo la congestione delle arterie stradali. Il trasporto su strada, come detto, è il classico settore cosiddetto ‘hard to abate’, in cui diverse tecnologie si profilano all’orizzonte, ma non è ancora chiara la strada che le aziende dovranno seguire e su cui investire. Il trasporto marittimo ha un notevole impatto in termini assoluti sull’ambiente, per via dei volumi trasportati, ma è anche quello che risulta più sostenibile per tonnellata trasportata, soprattutto dove si pone in alternativa alla strada. in vantaggio, grazie a motrici elettrici, segue il trasporto aereo considerato che ci sono già sperimentazioni in corso su Saf, il biocarburante che impatta meno che si sta proponendo anche al trasporto marittimo. Porto poi l’esempio italiano: le autostrade del mare. Un recente studio ha rilevato che contribuiscono a togliere 1,7 milioni di camion dalla strada all’anno”.

Per quanto riguarda la strada, in Europa si punta tutto sull’elettrico, in altri continenti si portano invece avanti tutte le tecnologie, idrogeno compreso, o semplicemente spingendo sui biocarburanti. Qual è la vostra visione o preoccupazione?

“Dal mio punto di vista sarebbe stato preferibile un approccio di neutralità tecnologica: porre l’obiettivo e lasciare libere le aziende di raggiungere il target di emissioni zero. Credo che la strada intrapresa sui biocarburanti rappresenti una soluzione transitoria, in attesa che si affaccino tecnologie che risolvano definitivamente il problema, ma che oggi non sono ancora percorribili, come ad esempio l’elettrico. Sull’utilizzo in larga scala dei mezzi pesanti pesa il tema dei tempi di ricarica ancora troppo lunghi: è una questione che impatta a sua vota sui tempi di guida degli autisti. E poi la sostenibilità della rete: come viene prodotta l’energia?”

Ci saranno maggiori costi?

“Nel breve termine probabilmente sì, ma credo che tutti gli stakeholders siano consapevoli di dover fare uno sforzo oggi per evitare di avere costi ancora maggiori in futuro. Il vero costo della transizione non è però oggi rappresentato dai costi espliciti, ovvero dall’uso di carburanti più costosi, quanto da quelli impliciti legati a soluzioni che potrebbero creare ritardi o disservizi su larga scala, come ad esempio i tempi di ricarica”.

Tutto ciò potrebbe alimentare un’inflazione alta?

“Penso sia un rischio di breve periodo. Il mercato dei noli marittimi e dei noli aerei è stato molto oscillante negli ultimi tempi, toccando livelli mai sperimentati in precedenza. Oggi i livelli sono mediamente molto bassi, per cui non penso che un cosiddetto costo ambientale potrebbe avere un grande riflesso su prezzi al consumo”.

C’è il rischio, con le regole che si sta dando l’Unione Europea, di favorire operatori extra-Ue che non sono soggetti alle nostre norme?

“La Ue ha pensato a misure a contrasto del rischio, attraverso il Cbam, una carbon tax su prodotti realizzati ad alta intensità di Co2. La normativa entrerà in vigore l’1 ottobre in via sperimentale e transitoria fino a fine 2025. Per ora l’applicazione sarà informativa, ovvero gli importatori dovranno comunicare le emissioni legate a merci importate. Dal 2026 scatterà il dazio e dovranno essere eventualmente acquistati certificati ambientali come compensazione. Una misura che ritengo corretta. Occorre tuttavia monitorarne da vicino l’applicazione per evitare che si trasformi solo in un nuovo onere burocratico a carico delle imprese di spedizioni”.