Von der Leyen rieletta presidente della Commissione europea: “Manteniamo rotta su Green Deal”

Lo ha citato due volte nel suo discorso, durato quasi 50 minuti, e 4 nelle trenta pagine di linee programmatiche per i prossimi 5 anni di mandato: per von der Leyen il Green deal resta – non è rinnegato – ma cambia il modo con cui leggerlo, cioè “con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione”. L’accento dunque si sposta su un nuovo Patto per l’industria pulita che la presidente riconfermata al bis (con con 401 voti a favore, 284 contrari, 15 astensioni e 7 schede vuote) presenterà nei suoi primi 100 giorni di mandato. “La nostra massima attenzione sarà rivolta al sostegno e alla creazione delle giuste condizioni affinché le aziende possano raggiungere i nostri obiettivi comuni. Ciò significa semplificare, investire e garantire l’accesso a forniture energetiche e materie prime a basso costo, sostenibili e sicure. Ciò preparerà la strada verso l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% per il 2040 che proporremo di sancire nella nostra Legge europea sul clima. In ogni fase lavoreremo in collaborazione con l’industria, le parti sociali e tutte le parti interessate. Presenteremo una legge sull’acceleratore della decarbonizzazione industriale per sostenere le industrie e le aziende durante la transizione”, ha puntualizzato von der Leyen.

Un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell’Europa; una nuova era per la difesa e la sicurezza europea; sostenere le persone, rafforzare le nostre società e il nostro modello sociale; sostenere la qualità della nostra vita: sicurezza alimentare, acqua e natura; proteggere la nostra democrazia, sostenere i nostri valori; un’Europa globale: sfruttare il nostro potere e i nostri partenariati; realizzare insieme e preparare la nostra Unione per il futuro. Sono questi i sette capitoli in cui è declinato il documento contenente le linee guida di Ursula von der Leyen per la Commissione europea dei prossimi 5 anni. In 30 pagine, von der Leyen ha cercato di trovare la mediazione in modo tale che “il centro democratico in Europa regga” e sia “all’altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i cittadini devono affrontare nella loro vita”.

Oltre a rafforzare l’Unione dell’Energia, la presidente nominata intende proporre una nuova legge sull’economia circolare, “che contribuirà a creare una domanda di mercato per materiali secondari e un mercato unico per i rifiuti, in particolare in relazione alle materie prime critiche” e un nuovo pacchetto per l’industria chimica, con l’obiettivo di semplificare Reach (regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) e fornire chiarezza sui ‘prodotti chimici per sempre’ (Pfas).

Sul fronte dell’agricoltura, von der Leyen in aula richiama alla necessità di “superare le differenze e sviluppare buone soluzioni insieme a tutte le parti interessate” e scandisce alcuni impegni. Come ad assicurare “che gli agricoltori ricevano un reddito giusto” e che nessuno sia obbligato “a vendere il buon cibo al di sotto dei costi di produzione” e a fare in modo che ci siano “incentivi più intelligenti” affinché “chiunque gestisca la natura e la biodiversità in modo sostenibile e contribuisca a bilanciare il bilancio del carbonio deve essere adeguatamente ricompensato”. Per tutte queste ragioni, von der Leyen presenterà un piano per l’agricoltura per affrontare la necessità di adattamento ai cambiamenti climatici e, parallelamente, una strategia per la gestione sostenibile della preziosa risorsa acqua. “Da ciò dipende non solo la nostra sicurezza alimentare, ma anche la nostra competitività complessiva”, ha sottolineato.

 

Ursula von der Leyen

Ue, la settimana lampo delle nomine. Ora la parola passa al Parlamento

La settimana dei top jobs, cioè le figure apicali dell’Ue, si aperta e chiusa con gli stessi nomi: Ursula von der Leyen presidente alla Commissione europea, l’ex premier portoghese Antonio Costa come presidente del Consiglio europeo e la premier estone Kaja Kallas come Alta rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza. Una decisione lampo, con la maggioranza composta da popolari, socialisti e liberali che ha tenuto in sede di Vertice tra i 27 capi di Stato e di governo, nonostante i voti fuori dal coro di Italia e Ungheria.

Ora la palla passa al Parlamento europeo, dove Ursula von der Leyen dovrà guadagnarsi il 18 luglio la soglia di almeno 361 consensi (720 sono i deputati europei). La candidata al bis può contare sulla somma aritmetica di 399 seggi ai quali, però, secondo alcune fonti diplomatiche, andranno tolti franchi tiratori e oppositori che, nel segreto del voto, non avalleranno von der Leyen pur essendo parte della maggioranza centrista o della stessa famiglia politiche. Le stime parlano di una cinquantina di seggi in bilico. Per questo motivo, da qui al 18 luglio, von der Leyen cercherà di ampliare la sua maggioranza e, con i Popolari che pongono un veto all’allargamento ai Verdi e chiedono un dialogo con i conservatori, un’ipotesi è che si riproponga quanto avvenuto già 2019 quando, come ha ricordato il vice premier Antonio Tajani, “Angela Merkel chiese il consenso dei Conservatori, perché senza di loro von der Leyen non sarebbe stata eletta. Non tutti i Conservatori la votarono, ma i polacchi sì. Bisogna tenere conto di tanti variabili, quando si vota a scrutinio segreto”.

E proprio sulla possibilità che i 24 deputati di Fratelli d’Italia vengano richiesti per appoggiare Ursula von der Leyen in Aula si è espressa la premier Giorgia Meloni, nel punto stampa dopo il Consiglio europeo. “Il tema non è Ursula von der Leyen. Il tema è quali sono le politiche che Ursula von der Leyen intende portare avanti. E su questo, come accade anche per gli altri nomi che sono stati fatti, non abbiamo risposte”, ha dichiarato Meloni. Ma “la presidente della Commissione europea prima di andare in Parlamento dovrà dire che cosa vuole fare e, quindi, io penso che la valutazione vada fatta a valle e non vada fatta a monte”, ha precisato. Da qui l’astensione di Meloni sul nome di von der Leyen, oltre al fatto che è della stessa famiglia politica, il Ppe, di cui fa parte Forza Italia. Un voto di “rispetto” delle sensibilità della sua maggioranza, ricambiata dal suo vice Antonio Tajani che da giorni auspica l’apertura ai conservatori e che ieri, dopo il pre vertice, ha sottolineato come nei popolari tutti abbiano compreso bene “che non si può fare qualcosa senza tenere conto dell’Italia”.

Allo stesso modo dei popolari, anche i Verdi hanno posto una linea rossa: quella dell’allargamento a Ecr e a Id, proponendosi come forza europeista, pragmatica e credibile cui guardare per estendere la coperta della maggioranza Ursula. Un’offerta ancora in piedi, apparsa in filigrana anche nel punto stampa con i neo eletti di Sinistra Italia, Ilaria Salis e Mimmo Lucano, dove alla domanda se voteranno o meno la fiducia a von der Leyen è intervenuto il segretario Nicola Fratoianni spiegando che la decisione verrà presa nel gruppo della sinistra, ma che ci sarà anche con un confronto con i Verdi con cui sono in Alleanza.

Intanto, la prossima tappa certa è quella del programma che von der Leyen dovrà presentare ai deputati per convincerli. In conferenza stampa, la presidente ha ricordato che le servirà il via libera degli europarlamentari “dopo che presenterò le linee politiche al Parlamento europeo per il prossimo mandato”. Appuntamento confermato nella sessione a Strasburgo del 16-19 luglio, la cui agenda verrà definita l’11 luglio. Nella stessa sessione, i neoparlamentari saranno chiamati a votare anche il loro presidente. O la loro presidente. Anche in questo caso, infatti, il Ppe propone un bis: quello dell’uscente Roberta Metsola.

Al via a Strasburgo la plenaria del Parlamento Europeo tra metano e dibattito con Olaf Scholz

Riduzione delle emissioni di metano nel settore energetico, riforma del Patto di stabilità e nuove norme sulla sostenibilità dei prodotti. Tanti i dossier all’ordine del giorno della sessione plenaria del Parlamento europeo che si riunirà a Strasburgo fino a giovedì 11 maggio e che sarà segnata dal confronto degli eurodeputati con il cancelliere tedesco Olaf Scholz che interverrà martedì mattina in emiciclo nel consueto ciclo di dibattiti ‘Questa è l’Europa (This is Europe)’ che ormai da un anno in ogni sessione plenaria ospita un capo di stato e governo dei 27 Stati membri. Questa volta sarà il turno della Germania di Scholz. E non è una scelta casuale, dal momento che il 9 maggio ricorre anche la data simbolica della Festa dell’Europa, che celebra i 73 anni della Dichiarazione di Schuman, considerata il primo passo verso l’integrazione europea.

Prima del dibattito con Scholz, l’Europarlamento discuterà per la prima volta con la Commissione Ue sulla proposta di riforma del Patto di stabilità, avanzata da Palazzo Berlaymont la scorsa settimana. Gli eurodeputati voteranno anche su diversi dossier importanti, a partire dalle nuove regole per ridurre le emissioni (e le perdite) di metano nel settore energetico, su cui discuteranno lunedì pomeriggio alla ripresa dei lavori e voteranno martedì sul mandato per avviare i negoziati con gli Stati membri. La proposta di regolamento è stata avanzata dalla Commissione europea il 15 dicembre 2021, all’interno di un più ampio pacchetto di decarbonizzazione del mercato del gas. Il metano è tra i peggiori gas inquinanti atmosferici che contribuisce ai cambiamenti climatici: intrappola più calore rispetto alla CO2, ma si decompone nell’atmosfera più rapidamente, quindi impegnarsi per tagliare queste emissioni dovrebbe avere un impatto più rapido sul surriscaldamento globale. Oltre a petrolio, gas fossili, carbone e biometano i deputati hanno chiesto che le nuove regole includano anche il settore petrolchimico, esortando la Commissione Ue a proporre entro la fine del 2025 un obiettivo vincolante di riduzione delle emissioni di metano dell’Ue per il 2030 per tutti i settori interessati dalla normativa.

L’Europarlamento discuterà, sempre martedì, il mandato negoziale su una nuova direttiva per migliorare l’etichettatura dei prodotti e porre fine alle false dichiarazioni ambientali, ovvero le regole Ue contro il greenwashing. L’Europarlamento vuole vietare l’uso di indicazioni ambientali generiche, come “rispettoso dal punto di vista ambientale“, “naturale“, “biodegradabile“, “neutrale dal punto di vista climatico” o “eco“, quando non accompagnate da prove scientifiche.

Sul fronte agricolo, mercoledì mattina la sessione sarà aperta da un dibattito sul ruolo degli agricoltori nella transizione verde e su come sostenere il settore agricolo in modo più efficace, mentre gli eurodeputati dovrebbero dare via libera alla proroga di un altro anno della sospensione dei dazi all’importazione dell’Ue sui prodotti agricoli ucraini. In un dibattito separato, discuteranno dell’impatto delle importazioni di cereali dall’Ucraina sui prezzi dell’Ue, appena dopo l’accordo tra la Commissione Ue e Bulgaria, Polonia, Ungheria, Romania e Slovacchia per un pacchetto di aiuti da 100 milioni di euro per sostenere gli agricoltori gravati dall’eccesso di beni agroalimentari importati da Kiev. A margine dei lavori di plenaria, a Strasburgo le commissioni per il mercato interno e per le libertà civili voteranno su un progetto di norme per garantire la sicurezza e la legalità dei sistemi di intelligenza artificiale immessi sul mercato dell’Ue, con obblighi specifici per i sistemi di IA ad alto rischio e il divieto di alcune pratiche considerate inaccettabili.

Case Green, Meloni affila le armi: “Scelta irragionevole, ci batteremo”

La battaglia in Europa sulle Case Green si farà. Lo giura Giorgia Meloni, che affila le armi alla Camera. Durante i negoziati in Consiglio, l’Italia era riuscita a ottenere una revisione delle tempistiche per l’adeguamento delle prestazioni energetiche degli edifici, per rendere la transizione più graduale e garantire possibilità di esenzione per alcune categorie. L’Europarlamento però “ha ritenuto di inasprire ulteriormente il testo iniziale e questa scelta che consideriamo irragionevole, mossa da un approccio ideologico, impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della nazione”, assicura la premier, rispondendo al Question Time. Gli obiettivi temporali della direttiva europea “non sono raggiungibili dall’Italia“, rileva la leader di Fdi. Il patrimonio immobilitare del nostro Paese, osserva, è inserito in un contesto molto diverso dagli altri Stati membri per ragioni storiche, di conformazione geografica, “oltre che per una praticata visione della casa come bene-rifugio delle famiglie“.

Ammantarsi di ideali è bello, commenta il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin, che fa notare come in Italia ci siano 31 milioni di case cui quasi la metà, 15 milioni, sono oggetto di classificazione: “Anche se molte sono escluse perché sotto i 100 metri quadrati, vincolate o per altri motivi, le abitazioni da portare in classe F al 2030 sarebbero comunque circa 5,1 milioni e quelle da portare in classe D al 2033 ammonterebbero a 11,1 milioni“. Per questo chiede di procedere per gradi e questo percorso va valutato a suo avviso dagli Stati nazionali: “Se con il Superbonus, spendendo 110 miliardi, siamo riusciti a intervenire su 360 mila immobili, quanto servirebbe per intervenire entro il 2030 su quasi 15 milioni di unità immobiliari? Si tratterebbe di cifre astronomiche che non possono permettersi né lo Stato né le famiglie italiane“. Questi costi, spiega infatti, sarebbero “caricati sullo Stato o sulle famiglie, in questo caso peserebbero sulle famiglie meno abbienti, quelle in difficoltà”. Ecco perché il responsabile del Mase sottolinea: “E’ una valutazione di razionalità”. A livello europeo “c’è un plenum aperto e c’è una posizione al Consiglio energia di fine ottobre, in cui avevo detto che si potevano prevedere step di controllo al 2033 e al 2040. La posizione di Parlamento e Commissione Ue, invece, non è quella di consentire step ma di un obbligo, addirittura un obbligo individuale. Lo faremo presente a livello europeo, poi essendo la direttiva valuteremo come comportarci”, fa sapere.

Il rischio, per il capogruppo di FI alla Camera, Alessandro Cattaneo, è che crolli l’intero mercato immobiliare:Non possiamo costringere otto milioni di famiglie a sostenere interventi costosi in tempi brevissimi, inapplicabili e irragionevoli“, insiste. La destra è troppo allarmista per il Pd e “continua a negare l’urgenza di affrontare la crisi climatica”: “La direttiva europea per le ‘Case green’ non è un inutile e costoso orpello a danno di inquilini e proprietari, ma il contributo necessario e doveroso di tutti i cittadini per difendere l’ambiente, ridurre le bollette e gli sprechi energetici”, scandisce Chiara Braga, deputata Dem e Segretaria di Presidenza della Camera dei Deputati.Un obiettivo sacrosanto, tanto più in un Paese come il nostro – rileva – che conta 6 milioni di poveri energetici e che ha il patrimonio edilizio più energivoro d’Europa“. Meloni “dimostra ancora una volta di non sapere di cosa parla” per il vicecapogruppo M5s a Montecitorio, Agostino Santillo. Richiama il Superbonus, quella misura che, rivendica, “è l’unica vera soluzione per avviare il percorso della direttiva: lo capirebbe anche un bambino, e l’Italia la aveva già. Anzi, con il 110% si può dire che l’Italia ha tracciato la strada in Europa. Però quella stessa misura ha pagato un peccato originale: è stata ideata dal M5s. Pertanto la Meloni, guidata da ignavia e sete di consenso, l’ha voluta demolire insieme al sodale Giorgetti, che da mesi farnetica su buchi di bilancio inesistenti“. Meloni però non incassa e parla di emergenze e priorità: “La norma ha generato oneri finanziari privi di copertura per decine di miliardi di euro, è state pagata anche da chi non ha ristrutturato casa e perfino da chi una casa non ce l’ha, per efficientare forse il 4% del patrimonio italiano“, denuncia la premier. Poi affonda: “Il Superbonus ha consentito la proliferazione di un mercato opaco e non governato di circolazione dei crediti fiscali a tutto vantaggio non delle imprese che quegli interventi avevano realizzato e per le quali oggi reclamano il pagamento, ma dei vari intermediari anche finanziari intervenuti a raccogliere questi crediti con un prezzo a sconto sul valore nominale, lucrando sul differenziale poi portato all’incasso con l’erario”.

Dalle rinnovabili all’idrogeno, il 2023 del Parlamento Ue

Il 2022 ha visto il Parlamento europeo protagonista di voti utili ai fini del Green Deal e dell’agenda politica di sostenibilità dell’Ue, e il 2023 riserva altri appuntamenti fondamentali per la traduzione in pratica del Fit for 55, la strategia per la riduzione delle emissioni di CO2 per un sistema economico-produttivo votato alla neutralità climatica entro il 2050. L’agenda di lavoro per il nuovo anno ormai alle porte, vede diversi dossier legati alle transizioni verde e sostenibile, per un’attività che intende far progredire il lavoro a dodici stelle nella direzione ormai stabilita.

Gli europarlamentari torneranno al lavoro il 9 gennaio, con attività di gruppo in vista poi della sessione plenaria di Strasburgo della settimana successiva. Sarà quella l’occasione per iniziare un ragionamento, con dibattito, sulle nuove regole sullo spostamento dei rifiuti tra Stati membri dell’Ue. Interventi di modifica normativa a regolamenti esistenti che intendono coniugare tutela della salute umana e salvaguardia dell’ambiente. È questo il primo tassello di un’attività parlamentare che, in tema di rifiuti, avrà anche altri dossier su cui doversi esprimere.
Il 2023, per il Parlamento europeo, sarà contraddistinto anche da voti su eco-design e rifiuti tessili. L’eco-design comprende l’insieme dei nuovi requisiti di progettazione ecocompatibile per specifici gruppi di prodotti, come elettrodomestici da cucina, computer e server, motori elettrici e pneumatici. In nome dell’economia circolare, che vuole la riduzione degli scarti per un riutilizzo continuo e completo nel ciclo produttivo, si intende avere prodotti più durevoli, riutilizzabili e meno dannosi per l’ambiente. Non solo. I deputati lavoreranno anche sugli obiettivi dell’Ue per ridurre gli sprechi alimentari e su una nuova strategia per rendere i tessuti più riutilizzabili e riciclabili, per affrontare il problema dei rifiuti tessili.

C’è poi il capitolo energie pulite. La Commissione europea ha proposto di aumentare drasticamente la produzione di elettricità da fonti rinnovabili offshore. La sola capacità eolica offshore passerebbe dagli attuali 12 GW a 300 GW entro il 2050. Il Parlamento è chiamato a esprimersi in merito, e il 2023 è il momento per prendere questa posizione. Qui si preannuncia battaglia. In materia di rinnovabili, l’esecutivo comunitario mira ad aumentare la quota di energia rinnovabile nel consumo finale lordo di energia al 40% entro il 2030 al fine di raggiungere il suo obiettivo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Il Parlamento ha chiesto di alzare la soglia al 45% e dovrà negoziare su questo.
Non è questo l’unico negoziato inter-istituzionale che attende il Parlamento europeo. C’è ancora tutta la trattativa per il fondo climatico sociale, lo speciale strumento finanziario a sostegno della transizione. Al fine di non gravare su famiglie e imprese e garantire una trasformazione verde dell’economia equa per tutti, l’Ue vuole istituire il Fondo sociale per il clima, con un budget stimato di 16,4 miliardi di euro fino al 2027, raggiungendo potenzialmente 72 miliardi di euro entro il 2032. Il Fondo includerebbe incentivi per il passaggio alle energie rinnovabili, nonché misure per ridurre le tasse e le tasse sull’energia, incentivi per il rinnovamento degli edifici e il car-sharing e lo sviluppo di un mercato dell’usato per i veicoli elettrici. Il Parlamento sta negoziando con i governi dell’UE sul fondo, e il 2023 dovrebbe essere l’anno di svolta.

Manca poi il negoziato con il Consiglio dell’Ue sulla mobilità sostenibile. A giugno la Plenaria ha votato in favore di un taglio delle emissioni di CO2 del 55% per auto e del 50% per furgoni entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Manca l’accordo inter-istituzionale con il Consiglio, e nell’agenda 2023 del Parlamento rientra anche questo file. In nome delle sostenibilità, i deputati europei saranno chiamati al voto su un nuovo quadro per un mercato interno dell’idrogeno, la riduzione delle emissioni di metano e l’effetto serra fluorurato gas. Infine, ma non per questo meno importante, per il prossimo anno è atteso il voto sul Chips Act, la strategia dell’Ue per i semiconduttori, fondamentali per le transizioni verde e sostenibile. L’obiettivo di questa strategia è garantire che l’Ue disponga delle competenze, degli strumenti e delle tecnologie essenziali per diventare un leader nel settore.

Studio Parlamento Ue: crisi temporanea per energia, ma impossibile prevedere sviluppi

Il caro-bollette non sarà per sempre, perché conseguenza di fattori temporanei. Ma per famiglie e imprese, al pari della politica, il punto centrale della questione è la durata del fenomeno, indubbiamente problematico. Perché se sulla natura dell’aumento dei prezzi dell’energia non ci sono dubbi, sui tempi invece non vi sono certezze ma solo auspici. A mettere insieme buone e cattive notizie è un’analisi condotta dal centro ricerche del Parlamento europeo per conto della commissione Affari economici. E da una parte si cerca di rassicurare, mercati, imprese e consumatori. “L’attuale crisi energetica dell’Europa può essere considerata temporanea, in quanto non ha cause strutturali ma geopolitiche, che possono essere rimosse e addirittura dar luogo a un contraccolpo dei prezzi dell’energia in caso di cessate il fuoco o, auspicabilmente, di risoluzione del conflitto”. Però… C’è un però. “Al momento nessuno può prevedere con ragionevole approssimazione la probabilità e la tempistica di questo positivo sviluppo geopolitico”.

Bisogna rassegnarsi all’idea che il caro-energia persisterà ancora, con tutto ciò che ne deriva. Sui cartellini merceologici, innanzitutto. Perché gli shock nei costi produzione, “tipicamente dovuti a prezzi più elevati delle materie prime o degli input energetici”, sono tali che “le imprese possono produrre tanto quanto prima, allo stesso livello di margini, a condizione che possano trasferire i costi più elevati sui prezzi di vendita”. E’ la classica legge economica della domanda e dell’offerta. Se entrambe restano invariate ma i costi di produzione aumentano, anche i prezzi aumentano.

Qui si pone il dilemma della politica nazionale, visto che tutto ciò che riguarda mercato del lavoro ricade tra le competenze degli Stati membri. Indicizzare i salari al costo della vita rischia di alimentare la spirale inflattiva. Così come le misure di contrasto al caro-bollette. Gli analisti dell’europarlamento mettono in guardia sul “rischio che le autorità di bilancio di alcuni Paesi sfruttino il coordinamento monetario-fiscale per effettuare interventi di politica inflazionistica”. E’ quello che viene definito “l’elefante nella stanza”. Servirebbe dunque una politica coordinata, soluzione facile a dirsi ma assai meno a farsi.
I membri Ue con la moneta unica sono consapevoli dell’importanza di non agire in ordine sparso, e in tal senso la Banca centrale europea può fornire un valido sostegno. Però, di fronte al problema dell’aumento dei costi dell’energia e dell’alta inflazione che ne deriva, “la Bce non ha altra scelta se non quella di procedere sulla base del ‘meeting-by-meeting’ (volta per volta, ndr)”, rileva il documento di lavoro. Questo “rende piuttosto problematico qualsiasi tentativo di coordinare le proprie mosse con le altre banche centrali”, e non solo quelle degli Stati membri.

Se la sfida della crisi energetica si pone certamente per l’Unione europea, per altri soggetti si pone in modo diverso. Vuol dire che “la possibilità per la Bce di coordinare le proprie azioni con la Federal Reserve è ulteriormente complicata dal fatto che gli Stati Uniti sono (dal 2019) un esportatore netto di energia, mentre l’area euro è un forte importatore di energia”. Anche per questo il caro-bollette, almeno per ora, resterà un assillo per famiglie e imprese, e motivo di lavoro per la politica, nazionale ed europea.

commissione ue

Sì o no alla tassonomia? C’è tensione per l’esito della plenaria

Una smorfia che dice tutto. Quell’omone alto, candidamente barbuto, dall’aria simpatica di un babbo Natale, usa tutto il suo corpo per dire che sì, la sconfitta è vicina, forse quasi certa. Frans Timmermans, vice presidente della Commissione europea con delega al Clima fosse, nel suo intimo, è anche contento che la tassonomia verde messa a punto dal Team von der Leyen venga bocciata dal Parlamento europeo la prossima settimana.

Quando gli abbiamo chiesto se ritiene possibile una bocciatura da parte dei deputati resta qualche istante con gli occhi fissi sull’interlocutore, poi gira un poco la testa sulla destra e la fa seguire da un accenno di torsione del busto e sorride, e sospira, e sorride ancora, ma non parla. La posizione della Commissione è quella e lui sa che i deputati ne hanno un’altra, e si rassegna.

La tassonomia è un affare in sostanza tutto finanziario, definisce quali investimenti sono “verdi” e dunque possono giovarsi di aiuti pubblici. È, come spiega bene la collega Fabiana Luca su Eunews, testata sorella di Gea sulla quale anche abbiamo raccontato la storia, il sistema europeo di classificazione degli investimenti economici sostenibili con cui Bruxelles vuole fissare criteri comuni per assicurarsi che grandi somme di capitale (soprattutto privato) vadano nella direzione del Green Deal e della transizione. Il problema è su due punti: l’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche sostenibili con cui realizzare il Green Deal europeo.

A Bruxelles i lobbisti del settore sono in fibrillazione, a seconda di chi rappresentano sono felici o sono disperati, soprattutto quelli che da un anno organizzano il loro lavoro, e quello delle aziende che rappresentano, dando per scontato che alla fine la tassonomia sarebbe passata, con dentro nucleare e gas.

Invece le commissioni riunite degli Affari economici (detta ‘Econ’) e dell’Ambiente (‘Envi’) del Parlamento europeo hanno approvato il 14 giugno (con 76 voti favorevoli, 62 contrari e 4 astenuti) un’obiezione sull’atto delegato con cui la Commissione europea vuole considerare gas e nucleare tra gli investimenti sostenibili dal punto di vista climatico. Se l’obiezione sarà approvata anche dalla maggioranza assoluta dei deputati (353) in seduta plenaria, la Commissione UE sarà costretta a rivedere la sua idea di tassonomia.

E questa volta è possibile che finisca così, perché se è vero che spesso la Envi si lancia su posizioni che poi la plenaria ribalta, la Econ (presieduta dall’italiana Irene Tinagli, PD), no, è molto influente e difficilmente l’Aula si discosta dalle sue decisioni.

Il voto sarà nella plenaria del 4-7 luglio. Saranno momenti intensi.

Unione dell’Energia più vicina: da Parlamento Ue un passo in avanti

Completare l’Unione dell’Energia, basandola sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili, in linea con gli accordi internazionali per mitigare i cambiamenti climatici. L’Europarlamento riunito a Strasburgo in sessione plenaria ha approvato a larga maggioranza (355 voti favorevoli, 154 contrari e 48 astensioni) giovedì una risoluzione per chiedere ai capi di stato e governo l’apertura di una convenzione per riformare i trattati dell’Unione europea. Anche affidando all’UE maggiori competenze nei settori in cui ne ha poche (tra le materie “concorrenti” tra Ue e governi c’è anche l’energia) o nessuna (come nel caso della salute).

L’atto di indirizzo chiede di “adeguare le competenze conferite all’Unione nei trattati”, tra le altre cose nel “completamento dell’unione dell’energia basata sull’efficienza energetica e sulle energie rinnovabili, in linea con gli accordi internazionali per mitigare i cambiamenti climatici”, come si legge. L’Unione dell’energia è un progetto strategico presentato dalla Commissione UE nel 2015, per iniziare a integrare la politica energetica e la politica climatica dell’Unione per il raggiungimento di obiettivi successivi al 2020. La strategia si articola principalmente in tre pilastri: decarbonizzazione; efficienza energetica; sicurezza energetica e solidarietà nell’Unione Europea. Soprattutto si manifesta attraverso l’interconnessione dei sistemi energetici degli Stati membri. Il dibattito su come portare avanti il lavoro sull’Unione dell’energia è pienamente rilanciato ora, alla luce della guerra di Russia in Ucraina e dalla necessità di ripensare il sistema energetico dell’Unione Europea (compresa la sua dipendenza strategica da Paesi terzi).

E’ un fatto che verso una vera Unione dell’Energia, l’UE sta già andando senza rimettere mano alle proprie competenze specifiche. Ad esempio, la guerra ha costretto Bruxelles a porre degli obblighi nazionali per tenere piene le riserve comuni di gas. Come è accaduto per i vaccini anti-Covid19, l’UE ha dato vita a una task force per negoziare a nome degli Stati membri e cercare approvvigionamenti di gas prima del prossimo inverno per sostenere i governi e mantenere anche i prezzi più contenuti potendo gestire la domanda. Nei prossimi mesi, come già annunciato dalla presidente dell’Esecutivo comunitario, Ursula von der Leyen, seguirà una proposta per un’ampia riforma del mercato elettrico dell’Ue, che porterà inevitabilmente a sistemi energetici più integrati e funzionali.

La richiesta degli eurodeputati di aprire una convenzione per la riforma dei Trattati sarà sul tavolo dei capi di stato e di governo al prossimo Consiglio europeo del 23-24 giugno. Al Consiglio europeo è necessaria una maggioranza semplice (14 Stati membri) per aprire una convenzione europea in cui discutere di riforma dei trattati, quindi non è così impensabile. Non è però vincolante che con l’apertura di una convenzione si arrivi poi a una riforma strutturale dell’UE.