Senza Pnrr crescita ferma, allarme Confindustria: Serve piano triennale da 8 mld

Serve un “piano con visione a tre anni” da 8 miliardi per rifinanziare le misure che hanno funzionato. L’alert parte da Confindustria, che stima una crescita bassa per il 2025 (+0,5%), ma anche per il prossimo anno (+0,7%). La fotografia scattata dal Centro studi è chiara: la “crescita anemica” del Prodotto interno lordo “rende necessario muovere l’Italia”. La buona notizia, però, è che il nostro Paese dovrebbe scendere sotto la soglia del 3% di deficit nel 2026, in modo da avviare l’uscita dalla procedura di infrazione europea. Così come l’inflazione è calcolata in terreno stabile (+1,8% nel biennio) e i consumi in lieve aumento (+0,5% nel 2025 e +0,7% l’anno successivo).

L’attenzione deve comunque restare alta, perché il debito pubblica “continua a salire, a causa della spesa per interessi e degli ulteriori effetti contabili del Superbonus”. La parola d’ordine è investimenti, come insegna il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha dato una scossa importante al Paese. La simulazione del Csc rileva effetti positivi sul Pil dello 0,8% nel 2025 e 0,6% nel 2026, rispetto alla variazione nello scenario base (+1,4% cumulato nei due anni), ma “questo significa che la dinamica in assenza di Pnrr sarebbe di -0,3% nel 2025 e di +0,1% nel 2026 (-0,2% nel biennio): non ci sarebbe crescita, ma una stagnazione”. Anche una delle voci di bilancio più fruttuose di questi anni, l’export, rischia un contraccolpo molto serio dalla combinazione di fattori come i dazi imposti dagli Usa e il perdurare delle crisi geopolitiche. Ad oggi, infatti, le esportazioni risultano “la componente più debole della domanda in Italia”, con uno scenario su ritmi vicini allo zero nel 2025-2026 per i beni e servizi. Gli industriali, però, vogliono vedere la luce ma soprattutto la fine del tunnel. “Continuiamo a insistere su un piano che abbia una visione di un piano industriale di 3 anni, perché rispecchia il fatto di avere una continuità di misure”, dice il presidente di Confindustria, Emanuele Orsini. “Non ci accontentiamo dello 0,5-0,6% di crescita, dobbiamo essere ambiziosi e puntare all’1,5-2%”. Come? Confermando misure come Industria 4.0, Transizione 5.0, Decontribuzione Sud, Ricerca e sviluppo (aumentando le risorse) e soprattutto le Zes. In questo senso rassicurano le parole del sottosegretario, Luigi Sbarra: “L’obiettivo è far fare un salto di qualità: da misura con limiti temporali a vera strategia di politica economica e rilancio degli investimento per il Mezzogiorno”.

Dal canto suo Adolfo Urso annuncia che il governo sta lavorando a una rimodulazione di misure (e risorse) sugli strumenti messi in campo finora e che non hanno funzionato come previsto, prevedendo di poter arrivare a rimettere in circolo quasi 30 miliardi di euro che serviranno a sostenere le imprese. Sarebbe una boccata d’ossigeno importante per l’industria, che dovrebbe recuperare quest’anno (+1%) per poi rallentare nuovamente nel prossimo (+0,4%). Intanto, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy, “sino a questo momento sono prenotati dalle imprese circa 2,2 miliardi” di Transizione 5.0 e “calcoliamo che si possa arrivare, a fine anno, a 2,5 miliardi”. Una delle fonti di forte preoccupazione per il mondo produttivo è il costo dell’energia, che in Italia resta alto. Orsini cerca di suonare la carica: “Fa piacere che il disaccoppiamento sia entrato nel vocabolario italiano, ma lo facciamo?”. Il presidente di Confindustria rincara anche la dose: “Non stiamo facendo nulla perché l’energia costi poco”, invece “bisogna fare presto, perché è essenziale che venga pagata come gli altri Paesi, per essere competitivi”. Del resto le nostre aziende ben presto dovranno tornare a competere con colossi come la Germania, che ha messo sul piatto circa 40 miliardi l’anno per rialzare la propria economia. Tra l’altro, questa è l’eventualità che lo stesso Csc auspica, ricordando che per l’Eurozona “cruciale sarà la traiettoria su cui riuscirà a posizionarsi la prima economia dell’area”. L’Ue se la passa maluccio con il macigno dei dazi americani e “investimenti finora molto volatili”.

I consumi invece sono più stabili, ma comunque deboli. Certo, anche il Vecchio continente risente di un calo generalizzato del commercio mondiale, che il Centro studi di Confindustria prevede in crescita moderata quest’anno (+2,8%), per poi frenare nel 2026 (+1,2%). L’incertezza, dunque, “resta su livelli elevatissimi”. Almeno il prezzo del petrolio è stimato in calo, 67 dollari nel 2025 (erano 81 nel 2024) e 62 dollari il prossimo anno. Chi non si fermerà, secondo i calcoli del Csc, sono i Paesi emergenti (+4,1% nel 2025 e +4,2% nel 2026), compresa la Russia che resta a galla con una “crescita moderata” grazie alla partnership con la Cina. Tutte queste ragioni, comprese sempre le tariffe imposte dall’amministrazione di Donald Trump, spingono l’Europa a esplorare nuovi mercati, come il Mercosur, di cui potranno beneficiare soprattutto Germania e Italia. Almeno l’inflazione dovrebbe rimanere stabile, mentre non si prevedono nuovi tagli ai tassi da parte della Bce.

A Bruxelles il quadro è chiaro, come dimostra l’intervento del vicepresidente esecutivo della Commissione Ue, Raffaele Fitto, che parlando delle revisioni dei Pnrr usa la parola “flessibilità”. Spiegando che andrà coniugata anche sul bilancio pluriennale, perché “la rigidità, soprattutto per il modo alle imprese, costituisce un limite enorme. E noi non possiamo compiere scelte, che durano alcuni anni, senza poterle modificare mentre il mondo ci cambia intorno in poche settimane”.

Pnrr, revisione non interesserà la difesa. Foti: “Entro novembre ottava rata sarà liquidata”

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza procede spedito. L’Italia ha presentato la richiesta di liquidazione dell’ottava rata, che dovrebbe saldata entro i prossimi due mesi. Il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le politiche di coesione, Tommaso Foti, lo annuncia durante il question time di questo pomeriggio alla Camera: “Ho ragione di ritenere, dalle interlocuzioni che ci sono state con la Commissione europea e segnatamente in primo luogo con la task force che segue il Pnrr per la commissione, che entro il mese di novembre l’ottava rata sarà liquidata”.

Le risorse erogate attualmente ammontano a circa 140 miliardi di euro, pari al 72% della dotazione del piano. A novembre dovrebbe essere del 79%. In Ue, i Paesi che hanno concorso al Pnrr hanno per il momento liquidazioni pari al 57%. Su traguardi e obiettivi, ad oggi, l’Italia è al 54%. La media dei Paesi europei è al 38%. La revisione, ha chiarito il ministro, non intaccherà alcun piano che riguardi salute, cultura, istruzione e sport, né anticipa una rimodulazione per quanto riguarda le spese della Difesa.

Ad oggi il Pnrr ha in attivo interventi finanziati pari a 447.065, sono stati conclusi 294.597 interventi conclusi, 28.128 sono in fase di conclusione e 106.214 i progetti in esecuzione. In tutto c’è il 96% di progetti pienamente attivi con un impegno di spesa di 148 miliardi. Al 31 agosto sono stati 86 i miliardi certificati, a cui vanno aggiunti 20 miliardi di quelli che sono gli strumenti finanziari e le facility. Per il ‘Piano un Giga’ invece, il cui bando “ha previsto due soli soggetti attuatori”, il ministro sottolinea come sia stato realizzato uno strumento finanziario “di entità modesta, che consentirà entro i prossimi due anni di raggiungere l’obiettivo”.

Su questo punto protesta l’opposizione. “Senza Pnrr non ci sarebbe nemmeno la misera crescita del Pil dello zero virgola – dice Antonino Iaria deputato M5S e componente della Commissione trasporti, poste e telecomunicazioni – il governo fa solo revisioni, come quella del ‘Piano un Giga’, dimostratosi fallimentare, con gestione opaca del lavoro svolto dal principale operatore Open Fiber”. Pronta la replica del deputato di Fratelli d’Italia, Grazia Di Maggio: “Iaria può stare tranquillo, il ministro Foti è stato chiaro: tutti i dati relativi al ‘Piano un Giga’ sono stati verificati ed entro due anni gli obiettivi del progetto saranno raggiunti. Lo strumento finanziario è stato creato proprio per raggiungere l’obiettivo previsto, di certo non per ridimensionarlo”.

Sulle polemiche per la revisione del Piano, Foti risponde invece snocciolando i dati dei vari Stati che rientrano nel Pnrr: Belgio con Pnrr da 5,9 miliardi e sette proposte di revisione, Germania con 30 miliardi e quattro proposte di revisione, Portogallo con 22 miliardi e quattro proposte, Finlandia con 2 miliardi e quattro revisioni, Irlanda con un miliardo e cinque revisioni, Repubblica Ceca con 6,4 miliardi e quattro proposte, Grecia con 40 miliardi e quattro proposte. Spagna con 163 miliardi e cinque proposte. “Noi, con 194 miliardi, abbiamo proposto cinque revisioni. Il rapporto tra entità dei Piani e numero delle revisioni – conclude Foti – parla da sè”. 

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Agricoltura, 2 miliardi da revisione Pnrr. Coldiretti in piazza. Lollobrigida: “Sostegno a filiera grano”

Due miliardi di euro in più di risorse del Pnrr al ministero dell’Agricoltura. A prevederlo la proposta di rimodulazione discussa questa mattina a Palazzo Chigi nella Cabina di regia Pnrr convocata alla presenza del presidente del Consiglio Giorgia Meloni e presieduta dal ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le politiche di coesione, Tommaso Foti. A beneficiarne sarà la misura ‘Contratti di filiera’, col fondo che avrà ora una disponibilità di quattro miliardi di euro.

Le risorse del Pnrr dedicate al settore primario sono state infatti più che raddoppiate dal governo Meloni, passando da 3,6 miliardi previsti nel 2021 agli 8,5 attuali. I fondi da investire per lo sviluppo del sistema agricolo dal 2023 raggiungono così circa i 15 miliardi di euro. La decisione di rafforzare la misura nasce dal successo ottenuto dai ‘Contratti di filiera’. Approvata con la rimodulazione del piano di gennaio 2024, l’Italia avrebbe dovuto sottoscrivere contratti per un miliardo di euro entro giugno 2025 ma l’obiettivo è stato raggiunto e superato di oltre il 25%, con 1,256 miliardi di euro di contratti sottoscritti. I progetti di filiera finanziati ad oggi sono 63, con 1.042 imprese coinvolte e 2 miliardi di euro di investimenti liberati, grazie al cofinanziamento previsto e all’accesso agevolato al credito e l’elevato moltiplicatore economico. “I contratti di filiera – sostiene il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, Francsco Lollobrigidarappresentano uno strumento strategico per la crescita e la modernizzazione delle aziende e delle filiere agricole italiane. Le imprese potranno investire in digitalizzazione, innovazione ed efficientamento energetico, migliorando la produttività e riducendo sprechi e costi raggiungendo così l’obiettivo di una maggiore sostenibilità del comparto agricolo”.

Al tempo stesso, ulteriori somme verranno dedicate alla misura ‘Parco agrisolare’ per soddisfare le numerose domande meritevoli di finanziamento. Con questo investimento ad oggi sono state finanziate oltre 23.000 imprese e installati 800 MW di capacità rinnovabile. Il nuovo obiettivo è raggiungere 1,7 GW entro il 2026, superando il target concordato con Bruxelles (1,3 GW) e quadruplicando quello originario del 2021 fissato a 400 MW. Come evidenziato da Lollobrigida, secondo l’Istat nel 2024 il settore ha registrato un +2% di valore aggiunto, contribuendo in maniera sostanziale alla crescita del Pil Italiano. Il reddito degli agricoltori italiani è quello cresciuto di più in Europa in termini nominali, risultati a doppia cifra contro una media europea dello 0,9%, mentre le esportazioni agroalimentari nel 2024 hanno toccato il record storico di 70 miliardi di euro.

“Sosteniamo – ha proseguito il ministro – i nostri agricoltori, allevatori e pescatori per riconoscere loro una remunerazione sempre più equa e giusta”. Secondo Lollobrigida, l’energia verde “non si produce sacrificando i terreni ma utilizzando impianti e infrastrutture delle aziende agricole. Ne abbiamo già finanziate 24mila e continueremo ad investire su questo settore che permette di abbattere i costi di produzione agli imprenditori agricoli ma anche di garantire l’ambiente”.

La notizia arriva nel giorno della protesta della Coldiretti, con manifestazioni da nord a sud del Paese “per dire basta ai trafficanti di grano che schiacciano il prodotto nazionale sotto i costi di produzione, costringendo le imprese agricole a lavorare in perdita e spingendo sempre più sulle importazioni estere”. Un grido partito da Bari, cuore del ‘Granaio d’Italia’, e Palermo, con manifestazioni contemporaneamente anche a Cagliari, Rovigo e Firenze. A rischio – sostiene la Coldiretti – ci sono quasi 140mila imprese agricole, soprattutto nel Mezzogiorno. La protesta arriva mentre il prezzo del grano duro è crollato a 28 euro al quintale, con un calo del 30% in un anno, tornando ai livelli pre-guerra in Ucraina, mentre i costi di produzione sono aumentati del 20% dal 2021. Un chilo di pasta oggi viaggia sui 2 euro, ma agli agricoltori vengono riconosciuti appena 28 centesimi al chilo di grano.

Per il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, “bisogna ridare dignità agli agricoltori, rispettando la legge sulle pratiche sleali che vieta la vendita sotto i costi di produzione”. Da Roma Lollobrigida è intervenuto in collegamento con le piazze di Bari e Palermo per tranquillizzare i manifestanti e assicurare loro il sostegno delle istituzioni alla filiera: “Il grano duro italiano non è soltanto una coltura, ma rappresenta la nostra identità. Per questo già nel 2024 abbiamo garantito 30 milioni di euro per i contratti di filiera, coprendo oltre 130 mila ettari per circa 9mila aziende agricole. Crediamo nella concorrenza ma in quella leale, basata sulla reciprocità dei costi di produzione e sulla possibilità di individuare un prezzo equo”.

Pnrr, ok Commissione Ue al pagamento settima rata. Meloni: “Confermiamo primato”

Dopo l’invio, ieri, della richiesta di pagamento dell’ottava rata del Pnrr da 12,8 miliardi, oggi l’Italia incassa l’ok al pagamento della settima rata, da 18,3 miliardi dalla Commissione europea.

Con la revisione tecnica, che ha aggregato in un unico traguardo i tre obiettivi connessi alle misure su rinnovabili, batterie e alla riforma del rischio finanziario associato ai contratti di acquisto per le energie rinnovabili, gli obiettivi programmati e conseguiti sono 64, suddivisi in 31 milestone e 33 target.

Con il pagamento della settima rata, rivendica Giorgia Meloni, “l’Italia confermerà il primato europeo nell’avanzamento del Piano, con oltre 140 miliardi di euro ricevuti, corrispondenti al 72% della dotazione finanziaria complessiva e al 100% degli obiettivi programmati nelle prime sette rate, pari a 334 tra milestone e target, obiettivi tutti conseguiti nel pieno rispetto del cronoprogramma stabilito dalla Commissione”. La premier lo definisce un primato anche qualitativo: “Abbiamo dimostrato di essere capaci di utilizzare in modo virtuoso gli strumenti che l’Europa ci ha fornito e siamo diventati un modello per gli altri Stati membri”, osserva, dicendosi orgogliosa del “grande lavoro” fatto finora. Un lavoro che non è terminato, ricorda: “Deve anzi continuare con la medesima determinazione, per una Nazione sempre più moderna, produttiva e competitiva, forte e inclusiva, consapevole e pronta alle sfide globali del presente e del futuro”.

Tra gli obiettivi conseguiti figurano diverse riforme, come la legge sulla concorrenza, le misure per velocizzare i pagamenti della Pubblica Amministrazione e la revisione del servizio civile universale.

“Alla settima rata – spiega il ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le politiche di coesione, Tommaso Fotisono legati diversi investimenti strategici“. Come il collegamento elettrico tra Sardegna, Corsica e penisola, SA CO I.3, e il collegamento elettrico sottomarino tra Sicilia, Sardegna e penisola, Tyrrhenian Link. Infrastrutture “fondamentali per implementare le reti di trasmissione dell’energia elettrica e per rafforzare l’autonomia energetica dell’Italia, con l’obiettivo di garantire energia a famiglie e imprese a condizioni migliori”, sostiene Foti.

La valutazione positiva per il pagamento di questa rata segue la presentazione della richiesta di pagamento dell’ottava rata, a “conferma dell’allineamento del Piano italiano con la roadmap europea del Pnrr, nel pieno rispetto dei suoi impegni, delle sue priorità e della sua scadenza finale ad agosto 2026”, riferisce il ministro.

Agli investimenti sulle infrastrutture energetiche si aggiungono altri interventi, come il potenziamento della flotta di autobus e di treni a emissioni zero per il trasporto regionale, dei nodi metropolitani e dei principali collegamenti nazionali, la riqualificazione di molte stazioni ferroviarie, le misure per la cybersicurezza, l’attivazione di 480 Centrali Operative Territoriali (COT) per rafforzare le prestazioni in materia di salute pubblica, gli investimenti per una migliore gestione delle risorse idriche, il conferimento di 55.000 borse di studio agli studenti meritevoli meno abbienti per l’accesso all’Università, di 7.200 borse di dottorato per la ricerca e di ulteriori 6.000 borse per dottorati innovativi, specificatamente dedicate alle imprese.

L’Italia chiede il pagamento della VII rata del Pnrr. Meloni: “2025 fondamentale per messa a terra”

18,3 miliardi di euro. E’ l’ammontare della settima rata del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza la cui richiesta di pagamento è stata trasmessa dall’Italia alla Commissione Europea. La richiesta segue i lavori della Cabina di regia del 29 novembre scorso, per la verifica del conseguimento dei 67 obiettivi collegati, distinti in 32 target e 35 milestone. L’Italia è la prima Nazione europea a presentare formale richiesta per il pagamento della settima rata del Pnrr, cosa per la quale festeggia la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “È un primato – sottolinea – che ci consentirà presto di superare quota 140 miliardi di euro, oltre il 72% della dotazione complessiva del Piano. Il 2025 sarà un anno fondamentale per la fase 2 del Pnrr, cioè la messa a terra degli investimenti. È una fase cruciale, che non ammette ritardi e che vede il Governo e tutte le Amministrazioni coinvolte in prima linea per raggiungere l’obiettivo“.

Un buon segnale di esordio anche per il neo ministro per gli Affari europei, il Pnrr e le Politiche di coesione, Tommaso Foti, che subentra così con successo all’attuale commissario europeo Raffaele Fitto, ma che guarda già al futuro: “Il Pnrr non ammette soste: a partire dai primi giorni del 2025 lavoreremo alacremente per il conseguimento degli obiettivi inseriti nelle ultime tre rate e per il monitoraggio rafforzato sullo stato di attuazione del Piano, al fine di individuare tutti gli aggiustamenti necessari per portare a compimento le riforme e gli investimenti programmati”.

Tra gli obiettivi della settima rata, gli investimenti per l’implementazione delle infrastrutture di trasmissione dell’energia elettrica (SA CO I.3 e Tyrrhenian link), il potenziamento della flotta di autobus e di treni a emissioni zero per il trasporto regionale, dei nodi metropolitani e dei principali collegamenti nazionali, la riqualificazione di molte stazioni ferroviarie, le misure per la cybersicurezza, l’attivazione di 480 Centrali Operative Territoriali (COT) per rafforzare le prestazioni in materia di salute pubblica, gli investimenti per una migliore gestione delle risorse idriche, il conferimento di 55.000 borse di studio agli studenti meritevoli meno abbienti per l’accesso all’Università, di 7.200 borse di dottorato nei settori della ricerca, della PA e della cultura e di 6.000 borse di dottorato innovative dedicate alle imprese. Agli investimenti si aggiungono diverse riforme strategiche, come la legge sulla concorrenza, il completamento delle misure per velocizzare i pagamenti della Pubblica Amministrazione, la revisione del servizio civile universale per favorire la partecipazione dei giovani e il provvedimento sulle rinnovabili, in linea con gli ambiziosi obiettivi della nuova missione REPowerEU del Pnrr dell’Italia.

In linea con quanto accaduto con le precedenti richieste di pagamento, il versamento della settima rata avverrà al termine del consueto iter di valutazione previsto dalle procedure europee, finalizzato a verificare il conseguimento delle milestone e dei target previsti.

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Pnrr, Commissione europea versa all’Italia la sesta rata da 8,7 miliardi

L’Italia è ancora in testa in Ue per importo di finanziamento del Pnrr. Oggi la Commissione europea versa la sesta rata, da 8,7 miliardi di euro, portando il finanziamento ricevuto da Roma a 122 miliardi, il 63% della dotazione complessiva del Piano italiano (194,4 miliardi di euro).
Il pagamento segue la valutazione positiva della Commissione, adottata lo scorso 26 novembre, connessa al conseguimento di 39 obiettivi, distinti in ventitré milestone e sedici target.

Un risultato positivo per la premier, Giorgia Meloni, che spiega “permetterà all’Italia di investire in molti settori strategici intensificando la produzione in attività in cui questo Governo ha creduto fin dal suo insediamento”. Il pagamento della sesta rata, riferisce la presidente del Consiglio, è “frutto di un intenso lavoro, svolto in sinergia anche con la Commissione europea, che ci spinge a proseguire in questa direzione per il benessere della nazione e dei cittadini”.

Tra gli obiettivi conseguiti con il pagamento della sesta rata ci sono investimenti strategici come il potenziamento dei collegamenti ferroviari del Mezzogiorno e del centro Italia, la realizzazione di nuove infrastrutture per il trasporto del gas (Linea Adriatica) e per l’autonomia energetica dell’Italia, il rinnovo della flotta per il Comando nazionale dei Vigili del Fuoco, i crediti d’imposta per la transizione ecologica 4.0 e l’attivazione della misura per la transizione ecologica 5.0, rispetto alla quale sono in corso modifiche normative per renderla più accessibile e vantaggiosa per le imprese, il rafforzamento della dotazione organica dei tribunali penali, civili e amministrativi, l’avvio degli interventi per nuovi impianti sportivi nei plessi scolastici e la formazione delle competenze tecniche, digitali e manageriali per efficientare le prestazioni del sistema sanitario nazionale. Agli investimenti si aggiungono riforme in favore degli anziani non autosufficienti e delle persone con disabilità, le azioni per prevenire e contrastare il lavoro sommerso, lo sfruttamento dei lavoratori e le altre forme di lavoro irregolare, oltre alla definizione di uno standard nazionale per la professione di guida turistica.

Il lavoro del governo non si ferma. Il ministro per gli Affari europei, il PNRR e le Politiche di coesione, Tommaso Foti, che ha preso il posto di Raffaele Fitto, nuovo vicepresidente esecutivo della Commissione europea, garantisce l’impegno del Governo per formalizzare, entro fine anno, anche la richiesta di pagamento della settima rata, da 18,3 miliardi di euro, “prestando la massima attenzione all’attività di monitoraggio del Piano e delle misure inserite nelle ultime tre rate, alle risultanze delle Cabine di coordinamento presso le Prefetture e ai conseguenti piani di azione, all’allineamento della piattaforma ReGiS con l’Italia reale degli investimenti in corso, al fine di individuare i necessari correttivi per la piena e puntuale attuazione del Piano nei tempi previsti”.

Pnrr, Italia risale. Corte conti: Nel 2024 centrati tutti gli obiettivi, migliora spesa

La Corte dei conti certifica l’accelerazione dell’Italia sul Pnrr nel 2024. La magistratura contabile, infatti, approva la relazione semestrale al Parlamento sullo stato dell’arte e mette in fila alcuni dei dati principali sul Piano di ripresa e resilienza. Primo tra tutti quello sui target. Secondo i magistrati contabili “risultano tutti conseguiti i 39 obiettivi europei in scadenza al primo semestre 2024, raggiungendo così un tasso di avanzamento del 43% nel percorso complessivo” che fanno registrare un incremento di 6 punti rispetto al semestre precedente. Così come arriva all’88% la percentuale sugli step procedurali nazionali con finalità di monitoraggio interno.

Migliora anche la spesa, che allo scorso 30 settembre supera i 57,7 miliardi, dunque il 30% delle risorse del Pnrr e circa il 66% di quelle programmate entro l’anno. “L’incremento registrato nel corso dei primi 9 mesi del 2024 è di 12,6 miliardi, il 30% di quanto previsto per l’anno nel cronoprogramma finanziario e circa il 60% delle stime più contenute del DPB di ottobre”, sottolinea la Corte dei conti. Mentre “la procedura di rendicontazione della spesa si trova ancora in uno stadio iniziale” con tempi medi richiesti per l’approvazione dei primi rendiconti da parte delle Amministrazioni centrali titolari delle relative misure, che finora si attestano a circa tre mesi, “in prevalenza dovuti alle verifiche di tipo formale (circa 73 giorni) e per la quota restante ai controlli sostanziali esercitati su base campionaria (oltre 19 giorni)”, spiegano ancora i magistrati contabili. Aggiungendo comunque che le tempistiche allo stato sono “coerenti con le esigenze, da un lato di assicurare il rispetto dei principi di legalità e regolarità della spesa, dall’altro di consentire una celere erogazione di liquidità ai soggetti attuatori per l’ulteriore avanzamento delle iniziative”.

Anche sulle riforme il bilancio è positivo, visto che al 30 giugno 2024 risulta completato il percorso degli obiettivi europei “per il 63% delle 72 misure di riforma (a fronte del dato del 6% degli investimenti)”. Ma la quota “salirà al 66% con il conseguimento degli ulteriori 17 obiettivi europei associati a riforme del II semestre 2024”. L’analisi della Corte spiega che questo progresso “riguarda il complesso delle missioni: tutte presentano una quota di riforme completate superiore al 45%”. Resta, invece, “più contenuto l’avanzamento finanziario delle 7 riforme con dotazione di fondi”: al 30 settembre 2024 “rispetto al totale delle risorse associate, la spesa sostenuta si attesta al 4% (circa 278 milioni su 6,9 miliardi). In 3 casi su 7 la spesa sostenuta è stata pari a zero, mentre nei restanti casi il dato si è attestato a valori inferiori al 31%”.

E’ “sostanzialmente in linea con il cronoprogramma aggiornato” pure l’avanzamento dei 13 investimenti ferroviari, “con il conseguimento dei due target previsti nel semestre in corso lo stato di avanzamento si collocherà al 39%”, sottolinea la magistratura contabile. Mettendo in luce che “un tasso di attuazione simile emerge anche sul piano della spesa” che al 30 settembre 2024 “era pari a poco meno di 8,9 miliardi, circa il 39% della dotazione complessiva”. Il documento è approfondito: circa il 77% dei progetti avviati sono in fase di esecuzione lavori, l’11% è in attesa delle autorizzazioni o della progettazione, l’8% è in fase di aggiudicazione e stipula del contratto e solo il 4% è arrivato al collaudo. “Guardando alla data prevista di chiusura delle diverse fasi, circa il 20% dei progetti appare mostrare ritardi – proseguono i magistrati contabili -. L’esigenza di contrastare il divario infrastrutturale si riflette nell’articolazione territoriale dei progetti che, per il 48,2%, riguardano le Regioni del Sud e le isole. Tuttavia, se si rivolge l’attenzione alla distribuzione per importi, cresce fortemente il peso dei progetti dislocati al Nord (circa la metà delle dimensioni finanziarie complessive)”.

Corposo il capitolo sull’efficientamento energetico degli edifici. La Corte dei conti cita i dati ancora parziali dell’Enea, secondo i quali “è possibile stimare che gli obiettivi della misura, in termini di risparmio energetico e di emissioni di Co2, siano stati ampiamente superati”. Il problema sta nell’analisi costi-benefici, perché “restituisce un tempo di ritorno dell’investimento del Superbonus abbastanza elevato (circa 35 anni), non coerente con l’orizzonte di vita utile degli interventi incentivati”. Stessa lettura considerando “un costo per lo Stato al netto delle maggiori entrate fiscali generate dalla misura (circa 24 anni). Dati – viene sottolineato – che fanno guardare con favore alla scelta del Governo di rivedere, in netta riduzione, la portata agevolativa della misura”. Resta, sullo sfondo dei numeri in miglioramento, un unico nodo ancora irrisolto: l‘ammodernamento delle infrastrutture energetiche, che ha risorse per 5,5 miliardi. “Risulta attivata la ripartizione per 53 progetti, che segnano un grado di avvicinamento ai target assegnati pari al 5,7%”, segnalano i magistrati contabili. Spiegando, però, che questo valore ancora basso è frutto “del cronoprogramma del Piano che prevede la chiusura della fase di selezione dei progetti entro il 2024, per poi concentrarne la fase esecutiva nel biennio 2025-26”.

Le sfide del neoministro Foti: per Bce rischio ritardi per due terzi dei cantieri Pnrr aperti

Tommaso Foti ha giurato da ministro nelle mani del presidente Mattarella e a lui desidero rivolgere le più sentite congratulazioni, mie personali e di tutto il Governo”, commentava questa mattina la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “Il ministro Foti raccoglie il testimone di Raffaele Fitto, neo vicepresidente esecutivo della Commissione europea, e io sono certa che saprà lavorare con la sua stessa determinazione e la sua stessa meticolosità. Per il bene dell’Italia e degli italiani”.

Cosa erediterà Foti lo ha ricordato la Bce proprio oggi, in un documento che fa il punto sugli effetti dei piani nazionali di ripresa e resilienza nell’eurozona e ovviamente in Italia, Paese che beneficia della cifra più alta tra gli Stati che hanno ottenuto fondi Pnrr, ovvero 191,5 miliardi di euro. “Fino a giugno 2024, il Paese aveva completato 269 traguardi e obiettivi, inclusi importanti provvedimenti di riforma. Alla fine di dicembre 2023, oltre l’85% dei fondi disponibili era stato assegnato agli enti di attuazione, con circa 120 miliardi destinati alle amministrazioni pubbliche. Per quanto riguarda l’implementazione dei progetti di investimento che richiedono una procedura di gara, più della metà del finanziamento (circa 56 miliardi) è stato messo a gara. Questo importo è iniziato a crescere nel 2022 e ha accelerato nel 2023 – si legge nel report pubblicato sul blog della Banca centrale europea – quando sono stati messi a gara più di 28 miliardi, principalmente legati a contratti di valore medio (tra 1 e 5 milioni di euro) e ad alto valore (oltre 5 milioni di euro) per progetti infrastrutturali di grande portata”.

Andando un po’ più nel dettaglio, l’analisi sottolinea che “il monitoraggio del Pnrr con microdati mostra che l’Italia ha compiuto significativi progressi nell’esecuzione delle opere pubbliche. Tra il primo trimestre del 2023 e il secondo trimestre del 2024, la percentuale di gare Pnrr che hanno attivato un cantiere è aumentata da meno del 10% a più del 35%. Questa quota corrisponde a più della metà dell’importo complessivo già messo a gara, indicando che le gare più grandi sono entrate nella fase di esecuzione. La maggior parte delle gare per le quali i lavori non sono ancora iniziati (quasi i due terzi) sono comunque state aggiudicate. In termini di avanzamento dei lavori, il 18% dei progetti è stato completato. Tuttavia – evidenzia la Banca centrale europeadei cantieri aperti e in corso, circa i due terzi sono a rischio di ritardi nei tempi previsti. Esistono differenze nell’esecuzione delle opere pubbliche in tutto il paese, con il sud Italia che fatica a tenere il passo con le altre aree. Ciò è dovuto a una maggiore congestione e all’avvio di opere pubbliche relativamente più complesse”.

Guardando avanti e guardando l’intero continente, secondo la Bce le spese pubbliche e le riforme strutturali legate al Recovery and Resilience Facility (Rrf) hanno il potenziale di aumentare il prodotto interno lordo dell’area dell’euro dello 0,4-0,9% entro il 2026 e dello 0,8-1,2% entro il 2031, a seconda della produttività del capitale e del grado di assorbimento dei fondi. Tuttavia, si prevede che l’impatto delle riforme strutturali aumenterà nel tempo, mentre l’effetto delle spese pubbliche inizialmente prevalenti svanirà. Per quanto riguarda l’Italia e la Spagna, l’impatto sul Pil fino al 2026 è significativo, con stime comprese tra l’1,3% e l’1,9% per noi e tra l’1,2% e l’1,7% per Madrid. In merito invece al debito pubblico, la Bce stima che l’impatto complessivo del Rrd sull’Italia e la Spagna ridurrà il rapporto debito/PIL di circa 7-8 punti percentuali entro il 2031, assumendo una produttività del capitale media e un alto assorbimento dei fondi nei prossimi due anni.

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Fitto a Parlamento Ue: “Impegno per attuazione Pnrr entro il 2026”

Cresciuto in un’Europa profondamente divisa, la mia formazione è stata ispirata dal rispetto per i valori e i principi sanciti nei Trattati europei”. Esordisce così Raffaele Fitto, designato vice presidente esecutivo della Commissione europea a Coesione e riforme, nelle sue risposte alle 13 domande che la commissione per lo sviluppo regionale (Regi) del Parlamento europeo gli ha presentato in forma scritta in vista dell’audizione del 12 novembre in cui verrà ulteriormente esaminato. Questo accade, in base al processo di valutazione dell’Eurocamera, a tutti i commissari e vice presidenti designati dalla presidente Ursula von der Leyen: un vero e proprio esame, scritto e orale.

L’audizione del candidato italiano si presenta come una delle più tese dato che l’ala progressista del Parlamento europeo non vede di buon occhio l’inclusione di un membro di Fratelli d’Italia nel prossimo esecutivo Ue. E sarà forse per questo motivo che Fitto, nel presentarsi, in risposta alla prima domanda, spiega di aver iniziato la sua carriera politica nella Democrazia Cristiana ma non menziona il suo passaggio a FdI. E precisa: “Sono sempre stato un fermo sostenitore del progetto europeo, nonché dei principi e dei valori fondamentali dello Stato di diritto che lo sostengono”.

Fitto ricorda che “nei prossimi cinque anni, l’Unione europea dovrà affrontare sfide importanti”, come la transizione verde e digitale e il rilancio della competitività, e “sarà essenziale garantire risorse adeguate e lavorare insieme per un bilancio solido”. Ed è qui che puntella le sue competenze, cioè l’esperienza come ministro responsabile dell’attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza dell’Italia, “il più grande in Europa per dimensioni”. In questo contesto Fitto si attiene alle regole concordate e non annuncia alcun cambiamento sulla scadenza del Recovery: “Se sarò confermato, intendo mettere a frutto questa esperienza collaborando con il commissario per l’Economia e la produttività per realizzare, come indicato nella mia lettera di missione, le riforme e gli investimenti concordati nel Piano di ripresa e resilienza degli Stati membri, entro il termine di spesa del 2026”. E assicura che – nel caso di difficoltà dei governi a rispettare gli impegni – lavorerà con gli Stati per “modificare i loro piani e garantire che i fondi siano concentrati su investimenti alternativi altrettanto ambiziosi che possano essere completati entro la durata dello strumento”. Ma se “alcune delle ultime tappe od obiettivi saranno ancora considerati non soddisfatti”, “la corrispondente erogazione non verrà effettuata”.

Fitto precisa che “la politica di coesione deve essere in grado di adattarsi alle sfide emergenti” e che, nonostante “innegabili progressi”, “le disparità regionali persistono e ne sorgono di nuove”. E qui, “gli investimenti e le riforme della politica di coesione dovrebbero andare di pari passo per affrontare le sfide di lunga data, accelerando la convergenza verso l’alto dei nostri territori e la fornitura di investimenti sul campo”. Per questo motivo, “è necessaria un’ulteriore semplificazione, la riduzione degli oneri amministrativi e la possibilità per i beneficiari, in particolare le piccole e medie imprese e le comunità locali, di accedere ai fondi in modo più efficiente”.

Infine, Fitto rassicura sulla gestione dei fondi di Coesione in rapporto al rispetto dello Stato di diritto: “Il Regolamento sulla condizionalità dello Stato di diritto si applica a tutti i fondi dell’Ue, inclusa la politica di coesione. Sono pienamente impegnato a rispettare questi principi”, scrive.

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Pnrr, Corte dei Conti Ue: Governi a rilento, obiettivi entro 2026 a rischio

Il governo Meloni non è messo male. Al contrario, il percorso che conduce all’attuazione del piano per la ripresa (Pnrr) appare uno dei più brillanti: per risorse erogate dal meccanismo per la ripresa post-pandemico è il terzo Stato membro dell’Ue, con il 46% di quanto spetta già messo a disposizione delle autorità competenti.

Anche sul lavoro svolto, l’Italia è sul podio di quanti hanno completato in modo completo e soddisfacente gli impegni assunti. Il tasso tricolore è del 34%, un terzo del percorso di riforme. Eppure tutto questo potrebbe non bastare. Palazzo Chigi, al pari degli altri governi europei, deve agire con senso di urgenza e senza ritardi, perché in Italia come altrove si fa fatica a utilizzare le risorse del Recovery Fund messe a disposizione per finanziare i piani nazionali per la ripresa. A Roma come nella altre capitali si procede “a rilento”, avverte la Corte dei conti Ue, il che implica che gli Stati membri “potrebbero non essere in grado di attingere ai fondi o assorbirli per tempo”, e quindi “non completare” le misure e le riforme previste entro il 2026, scadenza fissata per l’utilizzo di tutte le risorse europee. La speciale relazione dei revisori di Lussemburgo accende un vero e proprio campanello d’allarme. In sintesi “rimangono a rischio il completamento delle misure e, quindi, il conseguimento degli obiettivi del dispositivo stesso”.

Sul Recovery Fund e il primo strumento di debito comune si rischia dunque il fallimento, dunque. A meno di concedere più tempo agli Stati, come già chiesto dall’Italia e peraltro già suggerito dalla Banca centrale europea nelle scorse settimane. Precisazione d’obbligo: la situazione di difficoltà riguarda tutti, non si tratta di una realtà solo italiana. Anzi, fin qui il Paese sta facendo bene: alla fine del 2023 sono state presentate tutte le richieste di pagamento previste. Ma è la fase operativa che un po’ ovunque preoccupa la Corte dei Conti dell’Ue. “I prefinanziamenti hanno facilitato inizialmente l’erogazione dei fondi, ma l’assorbimento de Recovery Fund sta subendo ritardi e non è necessariamente detto che i fondi abbiano raggiunto i destinatari finali“.

Diversi i motivi alla base dei ritardi, cause che differiscono da uno Stato membro all’altro. Tra i più frequenti però circostanze esterne quali inflazione o carenze di approvvigionamento, la sottovalutazione del tempo necessario per attuare le misure, e le sfide connesse alla capacità amministrativa degli Stati membri. Una sfida, quest’ultima, vera soprattutto per l’Italia. La Corte dei Conti, nella relazione di oltre 60 pagine, rileva come nel marzo 2023 l’istituzione superiore di controllo italiana ha rilevato “difficoltà relative all’elevato avvicendamento del personale assunto” e ha sottolineato anche che le procedure per l’attuazione del Pnrr “erano complesse e molte autorità non disponevano ancora dell’organico necessario“.

C’è però un dato generale che non sfugge ai revisori di Lussemburgo e che mette gli stessi in apprensione, ed è la tabella di marcia. Un’analisi dei singoli Stati membri rivela che 16 Stati membri prevedevano di completare i traguardi e gli obiettivi relativi ad almeno il 30 per cento dei propri investimenti solo nel 2026, con valori che andavano dal 30 per cento nel caso della Spagna al 62 per cento nel caso dell’Italia e al 70 per cento in quello della Polonia.

Emerge dunque una difficoltà generale nel fare le riforme nei tempi che pure l’Ue si è data, e la necessità dei correttivi del caso per evitare che il Recovery Fund fallisca. “Lanciamo un segnale d’allarme“, riconosce Ivana Maletić, il membro della Corte responsabile della relazione, “perché a metà percorso i paesi Ue avevano attinto a meno di un terzo dei finanziamenti previsti ed erano avanzati per meno del 30 per cento verso i traguardi e gli obiettivi prefissati”. Da qui l’invito alla Commissione aiutare gli Stati a far sì che l’assorbimento delle risorse del Recovery Fund sia tempestivo ed effettivo, al fine di “evitare strozzature nell’esecuzione delle misure verso la fine del ciclo di vita del dispositivo e ridurre il rischio di spese inefficienti e irregolari“, come già emerso in Italia, con le frodi da 600 milioni di euro registrate dalla Procura europea, che ad aprile ha disposto l’arresto di 22 persone.