irrigazione

Siccità, da Consiglio dei ministri ok a stato di emergenza per 5 regioni

Un Consiglio dei ministri lampo, durato circa dieci minuti, per dare l’ok allo stato di emergenza, in relazione alla situazione di deficit idrico in atto nei territori delle Regioni e delle Province Autonome ricadenti nei bacini distrettuali del Po e delle Alpi orientali, per cinque regioni: Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte e Veneto. Lo stato di emergenza è volto a fronteggiare con mezzi e poteri straordinari la situazione in atto, con interventi di soccorso e assistenza alla popolazione interessata, e al ripristino della funzionalità dei servizi pubblici e delle infrastrutture di reti strategiche. Per far fronte ai primi interventi sono stati stanziati 36,5 milioni di euro a carico del Fondo per le emergenze nazionali. La ripartizione vede andare 10,9 milioni di euro alla Regione Emilia Romagna, 4,2 milioni al Friuli Venezia Giulia, 9 milioni alla Lombardia, 7,6 milioni al Piemonte e 4,8 milioni al Veneto.

Le Regioni finora hanno fatto un ottimo lavoro e il confronto in Conferenza va avanti, ma questa crisi idrica impone un intervento nazionale”, ha commentato subito dopo il Consiglio dei ministri la titolare del dicastero per gli Affari regionali e le Autonomie Mariastella Gelmini. “Abbiamo il dovere di affrontare la mancanza di acqua con grande realismo, evitando di alimentare nuove divisioni tra territori o tra interessi diversi. Servono soluzioni immediate, a partire dalla priorità di garantire acqua potabile a tutti i cittadini, senza dimenticare però il comparto agricolo. Abbiamo il dovere di salvaguardare i raccolti, le aziende, i sacrifici di una vita di tanti agricoltori e produttori italiani“, ha aggiunto, spiegando che “la carenza idrica di queste ultime settimane, inoltre, non ha fatto altro che esacerbare una situazione già piuttosto critica nel nostro Paese: da decenni non vengono realizzati nuovi invasi e dighe, facciamo i conti con infrastrutture obsolete o acquedotti colabrodo“. Ecco che, quindi, vanno colte le opportunità del Pnrranche per affrontare il tema della gestione dell’acqua in modo strutturale“, visto che “nel Piano sono previsti 2 miliardi e 800 milioni euro per interventi al sistema di distribuzione delle acque, per la riparazione e l’ammodernamento delle reti idriche, ma anche investimenti sui sistemi irrigui per garantire all’agroalimentare una maggiore e più costante disponibilità di acqua. Sarà fondamentale dotarsi di un sistema avanzato di monitoraggio e previsione, utile per mitigare e gestire meglio il rischio idrogeologico. Tutto questo ci permetterà di salvaguardare la risorsa idrica di cui disponiamo e di rendere il Paese più resiliente ai cambiamenti climatici, proteggendo la natura e le biodiversità”.

catalyst

Edilizia sostenibile, un mattone rivoluzionario: l’idea di Catalyst

Utilizzare i materiali provenienti dalla demolizione degli edifici per dare vita a mattoni nuovi e resistenti: la proposta dell’azienda toscana potrebbe cambiare il mondo dell’edilizia. Un’idea rivoluzionaria può nascere anche da una semplice osservazione. È il caso di Catalyst, realtà fiorentina che intende promuovere il riciclo dei materiali che derivano dalle demolizioni con una proposta decisamente innovativa: riempire dei mattoni multipli utilizzando ciò che viene prodotto dall’abbattimento di un edificio esistente. Un approccio sostenibile che è orientato al ‘volume zero’: conservare il suolo tramite costruzioni da erigere sui terreni che in precedenza ospitavano già degli edifici, la cui demolizione si è resa necessaria a causa dell’usura del tempo.

La storia di Catalyst prende il via grazie a un’osservazione che aveva il sapore della battuta. Lo racconta a GEA Franco Paolieri, uno dei fondatori dell’azienda: “Una persona a noi vicina un giorno si chiese cosa ne avremmo fatto di tutta quella polvere di marmo che da secoli inquina la provincia di Carrara. Qualcuno suggerì di metterla nel mattone del babbo, che aveva brevettato una specie di mattone multiplo che poteva accogliere materiale di questo genere. Successivamente abbiamo pensato di riempire questo manufatto con componenti diversi, altre forme di lapidei, come il ricavato della demolizione dell’edilizia in genere”, spiega. Un’idea semplice, ma di grande impatto, che consentirebbe di demolire edifici vetusti e di ricostruirli a tempo di record, senza consumo di suolo e di nuovi materiali.

La soluzione ideale per un mondo, come quello dell’edilizia sostenibile, che deve necessariamente guardare alla resistenza dei fabbricati riuscendo però a limitare l’impatto delle emissioni: “Due mattoni fatti con il peggior materiale possibile preso da demolizioni, incollati con la colla, sono più resistenti di due mattoni nuovi, vergini, incollati con la malta – prosegue Paolieri – e questo è stato dimostrato. Bisognerebbe espandere questo principio”. Uno dei riferimenti principali di Catalyst è dato dal terremoto del Centro Italia, un’area che ospita ancora moltissimo materiale da demolire e che sarebbe di difficile smaltimento. Collocarlo in nuove costruzioni “sarebbe l’idea vincente”, aggiunge Paolieri: non solo si risparmierebbe suolo e smaltimento dei materiali, ma si andrebbe anche ad abbattere i costi, in termini economici e di emissioni, provocati dal trasporto degli stessi materiali.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza – è la convinzione di Paolieri – può essere l’occasione per far diventare questi luoghi la più grande fabbrica italiana. Pensare che si possa, in pochi giorni, demolire tutto ciò che è danneggiato e ricostruire in tempi rapidissimi è follia. E si è fuori strada se si crede che sia possibile portare via quel materiale e consegnarlo alle discariche limitrofe”. L’approccio di bioarchitettura sostenibile trasmesso da Catalyst potrebbe dunque rivoluzionare il mondo dell’edilizia per come lo conosciamo.

pnrr

Da Pnrr e Pnc 11,5 mld: Risorse cruciali per la rigenerazione urbana

Uno dei fattori che sarà decisivo per vincere la sfida della rigenerazione urbana è sicuramente quello di sfruttare appieno tutte le potenzialità delle risorse del Pnrr. Perché “la dimensione urbana ricopre una posizione cruciale per il successo delle azioni messe in campo” dal Piano nazionale di ripresa e resilienza e “per il superamento dei divari territoriali e di genere che il piano persegue”. A sottolinearlo è lo studio ‘Le politiche di rigenerazione urbana-prospettive e possibili impatti‘ redatto dal Servizio studi della Camera dei deputati in collaborazione con l’istituto di ricerca Cresme, su richiesta della commissione Ambiente di Montecitorio.

La conferma di questa visione arriva dalla stima degli investimenti per le costruzioni, che è di circa 70,7 miliardi di euro. Di questi, 9,02 miliardi della Missione 5, Componente 2, sono dedicati proprio agli interventi di rigenerazione urbana. Nel dettaglio: 3,3 miliardi di prestiti assegnati ai comuni ammessi al finanziamento previsto per il periodo 2021-2026 per i progetti volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale; 2,9 miliardi di prestiti prevosti per i Piani urbani integrati, che comprendono l’intervento per il superamento degli insediamenti abusivi per combattere lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura (200 milioni), e il Fondo tematico dedicato al settore della rigenerazione urbana, da costituire nell’ambito del Fondo di fondi gestito dalla Bei (270 milioni); e 2,8 miliardi di euro di prestiti per il periodo 2021-2026 nel Programma innovativo della qualità dell’abitare.

A queste risorse vanno, poi, aggiunti altri 2,5 miliardi di euro del Piano nazionale complementare. Di cui 2 miliardi per il periodo 2021-2026 per il programma ‘Sicuro, verde e sociale’ per la riqualificazione dell’edilizia residenziale pubblica; 210 milioni di euro per gli anni dal 2021 al 2024 a favore del programma Piani urbani integrati; e un investimento finalizzato al risanamento urbano per complessivi 285 milioni di euro per il periodo 2021-2024, in favore dei comuni con popolazione tra 50mila e 250mila abitanti e dei capoluoghi di provincia con meno di 50mila abitanti.

In totale, dunque, le risorse stanziate dal Pnrr e dal Pnc per interventi di rigenerazione urbana ammontano a circa 11,5 miliardi di euro. Oltre agli investimenti in interventi direttamente rivolti ad azioni di rigenerazione urbana, le città – sottolinea l’analisi Camera-Cresme – sono destinatarie di ulteriori interventi del Pnrr all’interno delle azioni settoriali, che “potrebbero avere maggiore impatto qualora definite e sviluppate in modo integrato tra loro”. In sostanza, però, “tutte e sei le missioni del Piano hanno a che fare in quota parte con le città”.

Non a caso lo studio cita il documento Ifel-Anci sui programmi di investimento del Piano nazionale di ripresa e resilienza, che allo scorso 5 gennaio ha stimato in “53,82 miliardi di euro l’ammontare degli investimenti che vedono gli enti locali come soggetti attuatori, 35,25 dei quali sono investimenti attivi (per cui è già stato pubblicato un decreto attuativo e/o bando); 9,62 sono investimenti in corso di attivazione (per cui è disponibile una bozza di decreto o è stato approvato un decreto in attesa di registrazione); e 8,47 sono investimenti non attivi (per cui non sono state attivate procedure attuative note)”. Ma anche secondo Cdp stima che Pnrr “prevede il coinvolgimento diretto dei Comuni nella messa a terra di progetti per almeno 30 miliardi di euro entro il 2026, che potrebbero arrivare fino a 50 miliardi di euro circa a seconda del volume di progetti di titolarità delle amministrazioni centrali che coinvolgeranno gli enti territoriali nella fase di attuazione”. Secondo lo studio di Cassa depositi e prestiti “Questo flusso di risorse potrebbe colmare, almeno in parte, il fabbisogno di investimenti comunali rimasto in parte insoddisfatto negli ultimi anni, tenendo conto che la spesa in conto capitale dei Comuni si è ridotta in media del 3% all’anno negli ultimi 15 anni”.

Osservando il dossier dall’angolatura dei privati, anche un operatore leader nel campo degli investimenti in riqualificazione e sviluppo urbano e nella gestione di patrimoni immobiliari come il gruppo Coima ha analizzato l’impatto del Pnrr sulla rigenerazione urbana, arrivando alla conclusione che “gli interventi con impatto diretto si possono stimare in 54 miliardi di euro, mentre considerando anche gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto, il valore degli investimenti in grado di interessare le città italiane si può valutare in 85 miliardi di euro”. Infine, il report Camera-Cresme cita l’ufficio studi dell’Associazione nazionale costruttori, per quel che concerne le attività che interessano la lunga filiera costituita da industrie produttrici di materiali, sistemi e componenti, distributori, progettisti, imprese di costruzioni e imprese specializzate: che stima investimenti del Pnrr destinati al settore delle costruzioni in 108 miliardi di euro.

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comunità energetiche

Comunità energetiche: diritti, normative e possibilità

In tema di comunità energetica, il Pnrr potrebbe rappresentare ciò che i bonus per la riqualificazione (soprattutto Superbonus 110%) rappresentano per l’edilizia. In pratica un boost per un intero settore, quello delle rinnovabili. A beneficiarne sarebbero però tutti gli stakeholders della comunità locale. La stessa Enea stabilisce che “l’autoconsumo collettivo è fatto da una pluralità di consumatori ubicati all’interno di un edificio in cui è presente uno o più impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili. Gli impianti possono essere di proprietà di soggetti terzi e usufruire di specifici benefici, come le detrazioni fiscali”. Si tratta di una delle disposizioni contenute nel decreto Milleproroghe 2019, convertito in legge nel febbraio 2020, nei relativi decreti attuativi, e del decreto legislativo del 2021 che dà attuazione alla direttiva europea RED II sulla “promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili”. Il Gse (Gestore servizi energetici), ricorda che una comunità di energia rinnovabile” è “un soggetto giuridico autonomo, che si basa sulla partecipazione aperta e volontaria (a condizione che, per le imprese private, la partecipazione alla comunità di energia rinnovabile non costituisca l’attività commerciale principale). Gli azionisti o i membri “che esercitano potere di controllo” sono persone fisiche, piccole e medie imprese (Pmi) ma anche enti territoriali o autorità locali incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, del terzo settore e di protezione ambientale. Tali soggetti devono essere situati “nelle vicinanze degli impianti di produzione” detenuti dalla comunità energetica. L’obiettivo principale delle comunità energetiche è quindi “fornire benefici ambientali, economici o sociali a livello di comunità ai propri azionisti o membri o alle aree locali in cui opera, piuttosto che profitti finanziari”. La normativa stabilisce inoltre che azionisti e associati mantengono i loro diritti di “cliente finale”, compreso quello di scegliere il proprio fornitore di energia elettrica e “possono uscire dalla comunità quando lo desiderano”.

Il decreto legislativo del 2021 inoltre ha specificato nuovi criteri di età, allacciamento e soprattutto dimensionamento degli impianti di produzione da energia rinnovabile. La norma prevede che debbano avere “una potenza complessiva non superiore a 1 MW” sotto la medesima cabina elettrica di bassa tensione (che in Italia corrisponde a circa 3-4 piccoli Comuni o 2-3 quartieri di una grande città). Per condividere l’energia prodotta, gli utenti possono utilizzare le reti di distribuzione già esistenti e utilizzare forme di autoconsumo virtuale. Ad una comunità energetica possono oltre aderire anche impianti a fonti rinnovabili già esistenti (alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 199/2021), purché entro la quota del 30% della potenza complessiva che fa capo alla comunità. Lo Stato ha previsto anche un sistema di incentivi “per promuovere l’utilizzo di sistemi di accumulo e la coincidenza fra produzione e consumo” e “remunerare l’energia autoconsumata istantaneamente”. I requisiti prevedono che l’impianto sia di nuova realizzazione, cioè costruito dopo l’1 marzo 2020. La tariffa d’incentivo (cumulabile con le detrazioni fiscali) può essere di 100 euro per MWh nel caso di “energia condivisa nell’ambito dell’autoconsumo collettivo (stesso edificio o condominio)” e di 110 euro/MWh nel caso di “energia condivisa nell’ambito delle comunità energetiche rinnovabili (stessa cabina elettrica di media/bassa tensione)”.

A ciò si affianca la possibilità di restituzione in bolletta “a fronte dell’evitata trasmissione dell’energia in rete che questi impianti permettono”, con conseguente sgravio che Arera quantifica in 10 euro/MWh per l’autoconsumo collettivo e in 8 euro/MWh per l’energia condivisa. Secondo Enea, la somma di tutti i benefici ammonterebbe a circa 150-160 euro/MWh. Tra le varie misure introdotte dal governo in tema di incentivi per la riqualificazione energetica, quello che più riguarda le comunità energetiche è l’Ecobonus, che introduce una detrazione pari al 110% delle spese relative a specifici interventi di efficientamento. Al momento la legge non fa riferimento alla tecnologia di fonte rinnovabile da adottare, ma a conti fatti quella che si presta meglio agli attuali provvedimenti è il fotovoltaico, per cui sono previste detrazioni fiscali del 50% in 10 anni o del 110% in 5 anni (ma solo per i primi 20 kWp di potenza e in questo caso con il nuovo incentivo calcolato solo sulla quota di produzione a partire da 20,01 kWp dell’impianto).

Di maio

Di Maio: “Con caro energia e materie prime la guerra incide su Pnrr”

La guerra in Ucraina incide negativamente anche sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il costo dell’energia e quello dei materiali, purtroppo, hanno effetti negativi sulla realizzazione di parte dei progetti del Piano. Così, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, a margine del convegno dal titolo ‘Il Pnrr e i principali driver per un modello di sviluppo sostenibile’, affronta il legame guerra-Pnrr.

Le conseguenze del conflitto non si fermano a Mosca e Kiev, ma interessano il mondo intero. Per fare un esempio, spiega il ministro, “rischiamo che scoppino nuove guerre a migliaia di chilometri di distanza dall’Ucraina a causa del fatto che la Russia con le navi militari sta bloccando l’export di grano dai porti ucraini. L’Italia lavora a un’iniziativa che coinvolge tutti i Paesi del Mediterraneo e i nostri partner, e questa settimana terremo un importante evento di dialogo tra tutti gli Stati per trovare una soluzione che, per esempio, eviti una crisi alimentare che provochi maggiori flussi migratori verso il BelPaese“.

Intanto, sono stati mossi i primi passi per resistere alle inevitabili conseguenze della guerra. “Le nuove partnership con Qatar, il Congo, l’Algeria, l’Angola, l’Azerbaijan e il Mozambico ci permetteranno di diversificare sempre più le fonti di approvvigionamento, al momento importiamo il 40% del gas dalla Russia”, dichiara il responsabile della Farnesina. Alla dipendenza da Mosca, dunque, si arriverà, ma non senza oltrepassare alcuni ostacoli. Oggi, infatti, “siamo in grado di negoziare e quantità di gas con i Paesi esteri ma non siamo in grado di stipularne il prezzo perché come in Europa il prezzo del gas si determina al Ttf di Amsterdam, una sorta di borsa dove si decide il prezzo per tutto il Vecchio continente”.

A fronte di questo, sottolinea il responsabile della Farnesina, si è già discusso, ma si discuterà ancora, dell’adozione di un tetto massimo al prezzo del gas, un regolamento europeo che permetta a livello europeo di non andare oltre una certa soglia. Il fatto è che “in Italia il prezzo del gas è collegato a quello dell’energia elettrica, anche se non prodotto da gas. E’ un meccanismo di legame che esisteva tanti anni fa e che si basava sul principio di quando il gas aveva un prezzo abbastanza moderato, ma adesso le dinamiche non sono più così, quindi anche la produzione di energia elettrica da rinnovabili risente del prezzo del gas”, conclude Di Maio. La necessità del tetto massimo è impellente ed è una battaglia che deve vedere tutti uniti, al di là dei colori politici e dei livelli istituzionali, per arrivare a centrare l’obiettivo.

Maria Elisabetta Alberti Casellati

Casellati: “Transizione, rinnovabili e sostenibilità come sfida epocale”

L’ambizioso traguardo delle zero emissioni fissato dall’Europa per l’anno 2050 impone all’Italia un grande “salto di qualità”, attraverso “transizione ecologica, fonti rinnovabili, efficienza e autosufficienza energetica e mobilità sostenibile”. In merito a questo le “risorse del Recovery Fund, insieme al Pnrr, possono dare una spinta eccezionale” ma solo se “pianificando con intelligenza e lungimiranza strategie e investimenti”, ha dichiarato la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati nel suo messaggio per la prima edizione di ‘Duezerocinquezero’, forum nazionale su energia e sostenibilità, promosso dal Comune di Padova in collaborazione con AssoEsco.

La “sinergia tra pubblico e privato“, ha sottolineato Casellati, è “indispensabile sostenere il coraggio, l’intraprendenza e la creatività di tanti settori delle nostre economie che hanno messo innovazione, sostenibilità, integrazione con l’ambiente ed efficienza energetica al centro dei loro programmi di sviluppo“. Anche il coinvolgimento dei cittadini è essenziale in quanto “ogni transizione implica per definizione un’evoluzione della società, ovvero una crescita culturale prima ancora che tecnologica e infrastrutturale”. Inoltre, è importante “diffondere la consapevolezza che investire nella sostenibilità non è più soltanto una scelta meritevole, solida e durevole nel tempo, ma una via obbligata tanto sul piano ambientale, quanto su quello economico e sociale“, ha aggiunto la presidente del Senato.

ROBERTO CINGOLANI

Pnrr, 450 milioni per l’idrogeno verde: Cingolani firma il decreto

Il ministro della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani, ha firmato il Decreto che dà attuazione all’Investimento 5.2 (M2C2) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. La misura mette a disposizione 450 milioni di euro per finanziare progetti finalizzati allo sviluppo della filiera dell’idrogeno verde, elemento fondamentale nel processo di decarbonizzazione dell’industria, dei trasporti e del terziario. Il Decreto ripartisce le risorse del Pnrr tra le diverse linee progettuali individuate per la realizzazione di impianti per la produzione di elettrolizzatori, i macchinari che consentono di scomporre le molecole di acqua in ossigeno e idrogeno, utilizzando energia pulita da fonti rinnovabili.

L’obiettivo dell’Investimento 5.2 è di realizzare entro giugno 2026 una filiera tutta italiana con stabilimenti che producano elettrolizzatori e componenti associati, per una potenza complessiva annua di almeno 1 gigawatt, che consentirà di soddisfare la domanda di idrogeno verde. Dei 450 milioni complessivi previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il Decreto assegna 250 milioni a progetti Ipcei (Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo) per la realizzazione di impianti per la produzione di elettrolizzatori e 200 milioni ad ulteriori progetti che saranno selezionati attraverso avvisi pubblici di prossima pubblicazione, finalizzati alla realizzazione sia di ulteriori impianti per la produzione di elettrolizzatori, sia di impianti per la produzione di componenti a servizi degli elettrolizzatori stessi.

Attraverso questo investimento l’Italia punta a espandere il mercato dell’idrogeno e a diventare leader in un settore altamente innovativo, creando nuove competenze e posti di lavoro.

isole tremiti

Dal Pnrr 200 milioni per rendere ‘green’ le isole minori italiane

Duecento milioni di euro del Pnrr per incentivare la transizione ecologica delle isole minori. È con questo scopo che è nato il progetto ‘Isole verdi’ promosso dal Governo e sostenuto dal ministero della Transizione ecologica. I termini, da parte delle amministrazioni delle piccole isole, per presentare richiesta di finanziamento, sono stati prorogati e scadono il 22 aprile. La proroga è stata disposta per superare eventuali difficoltà nella trasmissione delle istanze di finanziamento causate dal malfunzionamento della piattaforma del ministero, che si è verificato a seguito dell’attacco informatico delle settimane scorse.

I COMUNI COINVOLTI NEL PROGETTO

Il programma è finalizzato a promuovere il miglioramento e rafforzare, in termini ambientali ed energetici, i Comuni delle 19 isole minori non interconnesse, attraverso la realizzazione di progetti integrati di efficientamento energetico e idrico, mobilità sostenibile, gestione del ciclo rifiuti, economia circolare, produzione di energia rinnovabile e diverse applicazioni per gli usi finali. I Comuni interessati al programma sono Isola del Giglio, Capraia, Ponza, Ventotene, Isole Tremiti, Ustica e Pantelleria; Leni, Malfa e Santa Marina Salina, tutti ricadenti nell’Isola di Salina; Favignana, Lampedusa e Lipari. I 13 Comuni, destinatari del programma, potranno dunque impiegare i fondi del Pnrr per rafforzare la gestione energetica ed ambientale del territorio. Nello specifico, il programma ‘Isole verdi’ intende a trasformare i piccoli territori in modelli virtuosi, ’100% green’ e auto-sufficienti. L’ obiettivo è realizzare, entro il 30 giugno 2026, almeno tre delle tipologie di interventi fra quelli previsti, a partire dalle singole specificità territoriali e secondo una logica integrata di gestione efficiente delle risorse.

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QUALI PROGETTI POSSONO ESSERE FINANZIATI

Tra le tipologie di interventi finanziabili spiccano quelle relative alla tutela dell’ambiente e alla gestione dei rifiuti. E il ministero fa qualche esempio: acquisto di materiale e attrezzature per migliorare il sistema di raccolta differenziata (sacchi, mastelli, ceste, cestini, ecc.); oppure l’attivazione di protocolli ‘Plastic free’ che vietino l’utilizzo di imballaggi e stoviglie monouso in plastica e prevedano, ad esempio, installazione di erogatori di acqua potabile e distribuzione di borracce riutilizzabili; acquisto e distribuzione di imballaggi e stoviglie fabbricate con biopolimeri di origine vegetale e compostabili; promozione di campagne di pulizia delle spiagge o azioni mirate per ripulire i fondali marini (ad esempio recupero attrezzi da pesca dispersi in mare). Sarà finanziabile anche l’acquisto di sistemi di raccolta automatici, e/o robotizzati, e sistemi galleggianti per la raccolta dei rifiuti in mare (da installare nelle marine, nelle aree portuali e darsene, negli specchi d’acqua degli stabilimenti, ecc.) oltre all’acquisto di materiale e attrezzature propedeutiche a supportare la raccolta/recupero e lo stoccaggio per il riciclo da parte dei diversi utenti del mare (diportisti, pescatori, ecc.) della plastica recuperata in acqua, anche sostenendo specifiche campagne e prevedendo incentivi in tal senso. Si potranno anche acquistare natanti a impatto zero appositamente deputati alla raccolta e alla pulizia del mare dai rifiuti presenti e finanziare attività di formazione, informazione e coinvolgimento delle utenze e dei turisti.

PRIMI PASSI, MA ANCORA TANTA STRADA DA FARE

Da tempo Legambiente e l’Istituto atmosferico del Cnr (Cnr-Iia) promuovono l’osservatorio ‘Isole sostenibili’ ed elaborano l’omonimo rapporto annuale che pone al centro le 27 isole minori italiane abitate. Tanti sono gli esempi di buone pratiche, ma resta ancora tanta strada da fare in tema di servizi, soprattutto nell’ambito dell’acqua e della gestione delle acque reflue. Dal punto di vista dell’energia, sono 20 su 27 le isole minori non interconnesse alla rete elettrica nazionale. “Nonostante diverse presentino alcuni dei potenziali di soleggiamento e ventosità più promettenti in Italia – riferisce lo studio – in queste isole larga parte dei fabbisogni viene garantito da vecchi e inquinanti impianti a gasolio portato via nave. I numeri delle installazioni di impianti da fonti rinnovabili sono, per contro, tra i più bassi a livello nazionale”. Tra fotovoltaico ed eolico, complessivamente, al 31 dicembre 2020 le isole minori contavano 2014 impianti per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili, per un totale di 15.764 kWe di potenza. Nel settore idrico, le isole minori si trovano ad affrontare da un lato il problema dell’approvvigionamento di acqua potabile, strettamente legato alla scarsità delle risorse locali, dall’altro quello della depurazione delle acque reflue, ancora oggi non garantita in tutte le isole. La carenza di acqua potabile costringe alcune di queste a dipendere (in certi casi anche durante tutto l’anno) dal trasporto attraverso navi cisterna o da impianti di desalinizzazione, con criticità che aumentano in estate. Mentre sul fronte depurazione, quasi il 40% delle isole analizzate non dispone di un sistema di trattamento delle acque reflue. Sul fronte dei rifiuti, tra il 2010 e il 2019, la capacità di differenziare è cresciuta un po’ ovunque e anche le isole hanno fatto la loro parte. Rispetto al 2018, nel 2019 i maggiori incrementi nella percentuale di raccolta differenziata sono stati osservati a Ustica (dal 5 al 20%), nelle Egadi (dal 15 al 38%), nelle Pelagie (dal 16 al 38%), nelle Tremiti (dal 21 al 38%) e a Salina (dal 39 al 51%). Infine, un altro problema riguarda la mobilità: il numero di auto per abitante si conferma ancora troppo alto in molte isole minori. “Le isole con il parco auto più giovane – spiega lo studio Legambiente – sono San Pietro con il 73% e Isola d’Elba con il 68% di Euro 4,5,6; quelle con il parco auto più vecchio sono invece le Isole Pelagie e le Isole Tremiti che contano rispettivamente il 58% e 53% di Euro 0,1,2,3”.

transizione ecologica

Novità per transizioni ecologica e digitale: dal Cdm il piano per accelerare Pnrr

Il governo vara un nuovo piano per accelerare l’attuazione del Pnrr. Proprio nel giorno in cui Ursula von der Leyen annuncia il versamento della prima tranche di finanziamenti europei da 21 miliardi del Next Generation Eu, dal Cdm arrivano novità sostanziali e anche semplificazioni, che riguardano soprattutto le transizioni gemelle: ecologica e digitale. Al Mite viene istituito un Fondo per l’attuazione degli interventi del Pnrr pari a 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2022, 2023 e 2024: un’iniezione di 15 milioni che risulteranno molto utili per la cosiddetta ‘messa a terra’ dei progetti. Inoltre, nasce il Sistema nazionale prevenzione salute dai rischi ambientali e climatici, che avrà lo scopo di “migliorare e armonizzare le politiche e le strategie messe in atto dal Servizio sanitario nazionale per la prevenzione, il controllo e la cura delle malattie acute e croniche, trasmissibili e non trasmissibili“. Lo Snps, “mediante l’applicazione dell’approccio integrato ‘one-health’ nella sua evoluzione ‘planetary health’ e tramite l’adeguata interazione con il Sistema nazionale a rete per la protezione ambientale, concorre al perseguimento degli obiettivi di prevenzione primaria correlati in particolare alla promozione della salute, alla prevenzione e al controllo dei rischi sanitari associati direttamente e indirettamente a determinanti ambientali e climatici, anche derivanti da cambiamenti socio-economici, valorizzando le esigenze di tutela delle comunità e delle persone vulnerabili o in situazioni di vulnerabilità, in coerenza con i principi di equità e prossimità“.

Il nuovo testo, poi, semplifica i progetti destinati alla realizzazione di opere e impianti di elettrificazione dei porti, che “sono da considerarsi di pubblica utilità, e caratterizzati da indifferibilità ed urgenza“. La copertura è destinata anche alle “opere e infrastrutture connesse, necessarie o comunque indispensabili alla costruzione, alla elettrificazione e all’esercizio degli impianti” che sono “finanziati, in tutto o in parte, con le risorse previste dal Pnrr e dal Pnc e dai programmi cofinanziati dai fondi strutturali dell’Unione europea“. La misura prevede che, fatti salvi i provvedimenti di competenza del ministero dell’Interno in materia di prevenzione incendi, queste opere siano soggette ad una autorizzazione unica, rilasciata dalla regione competente nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico, che costituisce, nel caso, variante allo strumento urbanistico.

Anche dal punto di vista fiscale cambiano alcune regole. Perché il consumo di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili in impianti di elettrolisi per la produzione di idrogeno verde, anche qualora siano collegati attraverso una rete con obbligo di connessione di terzi, “non è soggetto al pagamento degli oneri generali afferenti al sistema elettrico“. In più, l’idrogeno verde “non rientra tra i prodotti energetici del Testo unico delle accise e non risulta sottoposto ad accisa“. Mentre per migliorare il controllo remoto e l’individuazione dell’estrazione illegale di acqua, per le concessioni di derivazioni per uso irriguo, viene “privilegiato” il sistema di digitalizzazione.

Ci sono novità anche per Enea, al quale viene affidato il monitoraggio degli interventi previsti da Ecobonus e Sismabonus fino al 110% per l’efficienza energetica e la sicurezza degli edifici, compresa la valutazione del risparmio energetico conseguito, “in analogia a quanto già previsto in materia di detrazioni fiscali per la riqualificazione“. L’Agenzia elabora le informazioni e trasmette una relazione sui risultati al ministero della Transizione Ecologica, al ministero dell’Economia, alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano, nell’ambito delle rispettive competenze territoriali. Cambia anche lo Statuto di Enea, che ora prevedrà l’istituzione della figura del direttore generale. Per quanto riguarda il tema sismico, il decreto sancisce che diventa “parte integrante del piano di gestione dei rifiuti il piano di gestione delle macerie e dei materiali derivanti dal crollo e dalla demolizione di edifici ed infrastrutture” a seguito di un terremoto.

Infine, per quanto riguarda la transizione digitale, nasce la società 3-I Spa per lo sviluppo, manutenzione e gestione di soluzioni software e di servizi informatici a favore degli enti previdenziali delle pubbliche amministrazioni centrali. Sul Pnrr, dunque, il governo ingrana la quinta.

Andrea Orlando

Orlando: “Putin non cancella Greta, transizione verde continua”

Vladimir Putin non ha cancellato Greta Thunberg”, ovvero, la crisi energetica non può essere un alibi per frenare sulla transizione ecologica. È incisivo il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, dal palco della quarta Conferenza Nazionale dell’economia circolare. Confessa di vedere il rischio di una “interpretazione dei fatti che porti a una risposta reazionaria, l’idea che la transizione sia un lusso per i tempi di pace”. Il momento, invece, è convinto, deve essere uno “stimolo” per accelerare sul processo di transizione, “abbiamo dalla nostra il Pnrr”.

La transizione green è un passo importante per l’Italia, ma perché venga compresa a pieno, spiega Orlando, “occorre cambiare la narrazione”, far capire alla popolazione che “il processo non sarà un bagno di sangue”. A patto che viaggi parallela a un potenziamento della circolarità nell’economia, perché “Non c’è solo un problema di cambiare il mix energetico, ma c’è un problema di produrre in modo diverso e di avere necessità di produrre meno”. Nell’analisi della transizione non bisogna dimenticare il tema della coesione sociale e della questione salariale: “Siamo un paese che ha i salari bloccati da 30 anni e se non c’è una ripresa della dinamica salariale avremo una reazione sociale a qualunque cambiamento molto pericolosa“, avverte.

Secondo l’ultimo Rapporto del Circular Economy Network, infatti, tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità nel mondo è sceso dal 9,1% all’8,6%. Negli ultimi cinque anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8% (superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno), a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate): sprechiamo quindi ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi. In più, in Italia, la crescita dei consumi è più veloce di quella della popolazione. “È evidente che questo crea un problema di prezzi e di accesso ai materiali, di qui la necessità di cambiare economia, aumentare la circolarità”, commenta il presidente del Cen, Edo Ronchi. Nel nostro Paese c’è un “perfetto accoppiamento tra Pil e import di materiali”, un modello, segnala Ronchi “Vulnerabile, altamente esposto alla volatilità dei prezzi e all’approvvigionamento. Dovremmo fare una riflessione specifica per avere più consapevolezza dell’importanza di aumentare la circolarità dell’economia”.

Molte materie prime mancano e, quando si trovano, i prezzi vanno alle stelle. Le responsabilità sono diverse: l’aumento della domanda, che è crescente; la crisi climatica, che diminuisce la capacità degli ecosistemi di offrire risorse; la pandemia, che ha imposto una lunga battuta d’arresto all’economia globale; il conflitto in Ucraina, che ha esasperato la fragilità energetica dell’Europa. La soluzione si chiama economia circolare. E anche se in Europa ancora non decolla, l’Italia è uno dei Paesi che “tiene”: nel quadro delle prime cinque economie europee si posiziona al primo posto per gli indicatori più importanti di circolarità, assieme alla Francia.

Buone notizie per l’Italia anche in tema di rifiuti: la percentuale di riciclo ha raggiunto quasi il 68%, è il dato più elevato dell’Unione europea. Al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75%. Per quanto riguarda i rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione europea) l’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035. Nel 2020 nell’Ue 27 è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani; in Italia il 54,4%. Sempre nel 2020 i rifiuti urbani avviati in discarica in tutta l’Ue sono stati il 22,8%. Dopo la Germania, le migliori prestazioni sono quelle di Francia (18%) e Italia (20,1%).

Una transizione circolare, a ogni modo, è necessaria, in particolare nel nostro Paese, “vista la dipendenza totale dall’import delle materie prime critiche per il nostro sistema”, insiste Roberto Morabito, direttore del dipartimento sostenibilità sistemi produttivi e territoriali dell’Enea, che propone di puntare sull’eco-innovazione come motore principale dello sviluppo e chiede di sviluppare un programma nazionale di simbiosi industriale: “La Commissione europea – spiega – ci dice che un euro di investimento a supporto di Pmi produce 12 euro di vantaggi per le imprese in tema di risparmi, ma anche un notevole vantaggio per l’ambiente”.