INFOGRAFICA INTERATTIVA Prezzo del carburante: Alto Adige e Basilicata le più care

Nella mappa interattiva di GEA vengono mostrati i prezzi medi del carburante regione per regione. Si può scegliere quale tipologia di carburante visualizzare e fare così un confronto tra le varie regioni. I dati sono quelli del Ministero delle imprese e del Made in Italy che vengono rilasciati ogni giorno. Per la benzina e il gasolio i prezzi più alti si trovano in provincia di Bolzano e in Basilicata, quelli più bassi in Veneto.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Prezzo del carburante: Alto Adige e Basilicata le più care

Nella mappa interattiva di GEA vengono mostrati i prezzi medi del carburante regione per regione. Si può scegliere quale tipologia di carburante visualizzare e fare così un confronto tra le varie regioni. I dati sono quelli del Ministero delle imprese e del Made in Italy (Mimit) che vengono rilasciati ogni giorno. La benzina più cara in media è in Alto Adige e Basilicata a 1,846 euro al litro. La più economica è in Veneto a 1,789 euro al litro.

A Roma giù il prezzo di 9 prodotti alimentari. Boom per olio d’oliva, birra e zucchero

Zucchero, tonno in scatola, succo di frutta, riso, pomodori pelati, piselli e patate surgelati, Parmigiano Reggiano, olio extra vergine, latte intero di alta qualità, biscotti e birra sono i prodotti che, almeno a Roma, hanno segnato un rincaro a doppia cifra a settembre rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. I dati sono forniti dall’osservatorio del ministero delle imprese e del made in Italy, che si basa a sua volta sulle rilevazioni Istat. I rialzi maggiori sono però quelli dell’olio d’oliva che sfiora il +50%, seguito da latte intero di alta qualità (+33,8%), birra (+31%) e, fuori dal podio, zucchero (+28,2%).

I prezzi globali dell’olio d’oliva proprio a settembre avevano superato gli 8.900 dollari per tonnellata, spinti dal forte calo della produzione e da un clima estremamente secco in gran parte del Mediterraneo. Il prezzo medio nel mese di agosto era stato del 130% più alto rispetto all’anno precedente, con prezzi che hanno rapidamente superato il precedente record di 6.242 dollari a tonnellata stabilito nel 1996, senza evidenziare alcun segno di allentamento. Ma, mentre l’offerta è crollata, la domanda di olio d’oliva è aumentata dal 2020 perché i consumatori cucinavano a casa più spesso durante e dopo la pandemia. La guerra in Ucraina, che ha creato una carenza globale di olio di girasole, ha spinto la domanda di olio d’oliva ancora più in alto, con una produzione invece precipitata specie in Spagna e Italia, con punte di -50/-60%, a causa della siccità e di eventi climatici estremi.

Lo zucchero poi, una delle soft commodity più famose al mondo ha visto le sue quotazioni, salire del 50% nell’ultimo anno, tornando a rivedere i massimi da 12 anni a 28 centesimi di dollaro per libbra sul mercato di New York. Questo perché la domanda globale cresce, nonostante la proliferazione delle diete, mentre l’offerta soffre per cambiamenti climatici e un maggiore utilizzo dell’estratto da canna o barbabietola per scopi industriali. Le colture da zucchero offrono infatti alternative di produzione al cibo, come mangimi per il bestiame, fibre ed energia, in particolare biocarburanti (etanolo a base di zucchero) e cogenerazione di elettricità (bagassa di canna).

Ci sono però anche prodotti che calano. Stracchino o crescenza, spinaci surgelati, pancetta in confezione, olio di semi di girasole, latte scremato a lunga conservazione, fior di latte, carne fresca di bovino adulto (primo taglio), carne fresca suina con osso e bastoncini di pesce surgelati costano di meno, nei confronti di un anno fa, nella capitale d’Italia. Crolla di quasi il 30% il prezzo in particolare dell’olio di girasole, grazie al fatto che l’industria italiana è riuscita dopo lo choc della guerra in Ucraina a diversificare le provenienze. Da notare poi il calo del prezzo della carne bovina, nonostante la tenuta dei consumi. A incidere sulla discesa delle quotazioni – come aveva sottolineato Ismea qualche settimana fa – il fatto che il picco di produzione della Polonia ha saturato il mercato tedesco, già intasato per il forte calo dei consumi in atto nel Paese a causa della crisi. Le produzioni polacche, ma anche quelle tedesche hanno cercato così sfogo negli altri Paesi, tra cui l’Italia in particolare, cosa che ha generato un forte impatto sui prezzi. L’effetto Covid che aveva spinto i consumi dei vari Paesi verso le produzioni nazionali è in pratica esaurito. A giugno infatti nel nostro Paese le quotazioni dei vitelloni hanno segnato un primo ripiegamento, legato proprio alla fortissima pressione concorrenziale della carne dagli altri Paesi Ue.

Precipita la produzione industriale italiana: atteso un ulteriore calo dei prezzi

Ad aprile si registra, per il quarto mese consecutivo, una flessione congiunturale dell’indice destagionalizzato della produzione industriale, con diminuzioni estese a tutti i principali comparti. Il quadro è negativo anche su base trimestrale“, scrive l’Istat. “Pure in termini tendenziali, al netto degli effetti di calendario, si osserva una caduta marcata. A livello settoriale è molto ampia la flessione per l’energia e i beni intermedi, mentre risulta contenuto il calo per i beni strumentali“, conclude l’istituto di statistica. I numeri: la produzione industriale è calata dell’1,9% rispetto a marzo. Nella media del periodo febbraio-aprile il livello della produzione è sceso dell’1,3% rispetto ai tre mesi precedenti e in termini tendenziali la discesa è stata del 7,2%. Le stime di mercato erano per un +0,1% mensile e un -4,1% annuale.

Anno su anno le flessioni caratterizzano appunto tutti i comparti; la riduzione è modesta per i beni strumentali (-0,2%), mentre risulta più rilevante per l’energia (-12,6%), i beni intermedi (-11%) e i beni di consumo (-7,3%). Gli unici settori di attività economica in crescita tendenziale sono la fabbricazione di mezzi di trasporto (+5,7%), quella di coke e prodotti petroliferi raffinati (+2,1%) e la produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (+0,6%). Le flessioni più ampie invece si registrano nell’industria del legno, della carta e della stampa (-17,2%), nella fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (-13,6%) e nella fabbricazione di prodotti chimici e nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-10,9% per entrambi i settori).

A maggio la tendenza non cambierà, come è emerso dall’ultimo indice Pmi manifatturiero, che si basa su 400 interviste ai principali direttori acquisti. Tariq Kamal Chaudhry, Economist presso Hamburg Commercial Bank, non aveva usato mezzi termini nel commentare l’indagine diffusa la scorsa settimana: “L’industria italiana si sta dirigendo verso una recessione”. Il Purchasing Managers’ Index del mese passato si è attestato al di sotto della soglia neutra di non cambiamento di 50.0 (sopra segnala espansione e sotto contrazione), estendendo l’attuale periodo di peggioramento delle condizioni operative. Il crollo del Pmi a 45.9 da 46.8 di aprile indica, inoltre, la contrazione maggiore in tre anni. Le aziende hanno ampiamente ridotto le giacenze in eccesso, sia da parte loro che da parte dei loro clienti, e la domanda. Il fatto poi che si assista continuamente a un miglioramento dei tempi di consegna ha nel frattempo generato il crollo maggiore dei prezzi di acquisto in 14 anni. Questo fenomeno frena ulteriormente la produzione, in attesa di cali ancora superiori dei prezzi industriali. Il tutto mentre la discesa dei costi – come si leggeva nel rapporto Pmi di maggio – ha spinto le imprese addirittura a cercare di trasferire ai loro clienti qualche riduzione dei prezzi, in risposta a un ko delle vendite e ad un aumento della competizione. Il risultato netto rappresenta il terzo crollo mensile consecutivo dei prezzi di vendita che è stato inoltre il maggiore in tre anni.

Per questo, malgrado le difficili condizioni della domanda, gli attuali segnali di stabilità dei prezzi e della fornitura rafforzano la fiducia tra le aziende per il futuro. Nonostante sia crollato al livello minimo in tre mesi, l’ottimismo rispetto ai prossimi dodici mesi è sopra la tendenza. Ciò si è riversato sulla decisione di aumento di personale, con le aziende che hanno assunto extra dipendenti anche se ad un livello di crescita modesto e al tasso più debole finora riportato nell’anno in corso.

I rincari della spesa familiare: +105% shampoo, boom dei tovaglioli. Giù pere e finocchi

Fare la spesa costa sempre più caro. Non è una novità. Tuttavia, spulciando i dati forniti dall’Osservatorio prezzi – città per città – fornito dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, si può andare in profondità. E notare ad esempio che il prezzo dello shampoo ha fatto un salto del 105% in un anno. Un prodotto di prima necessità, così come lo zucchero, rincarato di oltre il 60%. Una percentuale simile a quella dei tovaglioli di carta. Pochi, rari, i prodotti che invece sono calati rispetto a un anno fa. Fra questi i finocchi o le pere, questo per dire che l’ortofrutta – finito sul banco degli imputati per i rincari degli ultimi mesi – non è tutto uguale.

La scorsa settimana l’Istat aveva sottolineato che “ad aprile la fase di rientro dell’inflazione si interrompe, principalmente a causa di una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni Energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% dell’aprile 2022). Nel settore alimentare, i prezzi dei prodotti lavorati, come anche quelli dei beni non lavorati, evidenziano un’attenuazione della loro crescita in ragione d’anno, che contribuisce al rallentamento dell’inflazione di fondo (che si attesta a +6,2%). Si accentua, infine, la decelerazione su base tendenziale dei prezzi del ‘carrello della spesa’, che è scesa a +11,6%”.

Nel carrello della spesa tuttavia c’è di tutto. E come è emerso dal rapporto Eurispes presentato questa mattina nell’ultimo anno sono state ridotte le spese per i regali (69,6%). Sono stati acquistati più prodotti in saldo (64,6%), vestiti in punti vendita più economici (61%), prodotti alimentari nei discount (56,2%). E molti italiani hanno cambiato marca di un prodotto alimentare se più conveniente (64%).

A Roma, nel confronto aprile 2023 su aprile 2022, gli alimentari hanno visto impennare i prezzi della birra (+38,1%), del latte scremato a lunga conservazione (+30,9%), dell’olio extra vergine di oliva (+37,3%), della passata di pomodoro (+35%), dei pomodori pelati (+40%), del riso (+42%), degli spinaci surgelati (+39,1%) e dello zucchero (+66,3%). Costa invece meno (quasi -10%) l’insalata in confezione e l’olio di semi di girasole (circa un quinto inferiore). Al reparto ortofrutta perdono terreno anche i finocchi tondi (-11,8%), i kiwi verdi (-4,7%) e le pere Abate (-15%). Salgono forte i peperoni quadrati (+28%) e i cavolfiori bianchi così come le cipolle dorate di Parma (circa +22%).

E’ nei prodotti per l’igiene e la pulizia della casa che troviamo infine rincari consistenti: shampoo (250 ml) +105,8%, poi sapone toletta +74,5%, tovaglioli di carta +61%. E ancora: carta igienica +26,7%, candeggina +29,5% e detersivo per stoviglie a mano +35%. Unica consolazione, in tempi di crisi demografica, il prezzo dei pannolini per bambino: la confezione da 20 pezzi costa il 13% in meno rispetto a un anno fa.

Crollo ‘epico’ per il prezzo delle uova: -85% da inizio anno in Usa

Photocredits: Afp

 

C’è solo una commodity il cui prezzo ha fatto peggio delle uova: il gas. Il metano in America e ad Amsterdam vale il 70-80% in meno rispetto a un anno fa. Ma anche il future sul dono che la gallina fa all’umanità quasi quotidianamente è in caduta libera. Una caduta “epica” la definisce il sito finanziario Zerohedge. In effetti sono diminuite di 4,5 dollari a dozzina, circa -85% dall’inizio del 2023, -67% nei confronti dello stesso periodo di un anno fa. Karyn Rispoli, analista senior del mercato delle uova presso Urner Barry, ha dichiarato alla Cnn che i prezzi all’ingrosso hanno iniziato a crollare alla fine di marzo. “Mentre il mercato delle uova nel 2022 è stato dominato dall’influenza aviaria, quest’anno il mercato è stato dominato dalla sua assenza“, ha sintetizzato Rispoli.

L’anno scorso, la peggiore influenza aviaria degli ultimi anni aveva decimato la popolazione di galline ovaiole degli Stati Uniti, riducendo così le scorte di uova. Inoltre, gli agricoltori erano alle prese con l’impennata dei costi di mangimi, gasolio e fertilizzanti. Cal-Maine Foods, il più grande produttore di uova negli Stati Uniti, aveva registrato una crescita degli utili di oltre il 700% nel trimestre conclusosi il 25 febbraio  per l’aumento dei prezzi delle uova. Alcuni politici statunitensi come la senatrice Elizabeth Warren avevano anche chiesto maggiore chiarezza sul motivo per cui i prezzi fossero diventati così alti, sollevando preoccupazioni su possibili truffe. Ma ora l’offerta è tornata in carreggiata. A inizio di dicembre, c’erano circa 308 milioni di galline che deponevano uova per il consumo, in calo rispetto ai circa 328 milioni di dicembre 2021, secondo il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti. Ma da allora il numero è cresciuto: ad aprile erano 314 milioni le ovaiole. E così ad aprile – ricorda Zerohedge – Cal-Maine Foods ha registrato il più grande calo azionario mensile dal 2008, per il crollo dei prezzi del pollame.

Non sembra però essere tornata in carreggiata la domanda, scottata appunto dai super rincari. Quando i prezzi stavano salendo, “tutti avevano una storia su cosa stavano facendo i prezzi delle uova“, ha detto sempre alla Cnn, Amy Smith, vicepresidente di Advanced Economic Solutions. Le uova sono diventate “il manifesto di quello che stava succedendo con l’inflazione“, ha aggiunto Smith. Nel mese scorso le vendite unitarie di uova negli Stati Uniti sono diminuite del 4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

L’aviaria ha fatto danni anche in Italia. “Il 2022 è stato un anno difficile per il settore delle produzioni avicole. L’offerta nazionale di carne di pollame ha subito la flessione più pesante che si ricordi, scendendo al disotto di quella del 2021 di quasi il 12%, toccando il livello “minimo” degli ultimi dieci anni. Altrettanto è avvenuto – spiega Ismeaper le disponibilità di uova da consumo. Alla base dell’eccezionale calo del prodotto della macellazione nazionale, oltre al sostanzioso aumento dei costi legato alla particolare situazione geopolitica”, c’è appunto “un problema sanitario di importante dimensione”. Tuttavia, nel 2023 “la produzione dovrebbe infatti gradualmente riposizionarsi a livelli precrisi mentre è verosimile prevedere un’ulteriore graduale crescita dei consumi, sia di carne di pollame che di uova, che potrebbero tornare – e forse addirittura superare – i livelli precedenti”, conclude Ismea.

caro prezzi

In un anno volano prezzi patate, succo arancia e zucchero. Crollano gas, litio e legna

Un anno fa, a due mesi dallo scoppio della guerra in Ucraina, c’era il timore di imminenti attacchi chimici russi su Odessa e l’Onu chiedeva una tregua immediata a Mariupol. Il gas, che continuava ad arrivare in Europa dai gasdotti russi, era scambiato a 75 euro/Mwh, mentre il petrolio viaggiava spedito ben sopra i 100 dollari al barile. In Europa, poi, i tassi d’interesse erano a zero. Un anno dopo i prezzi energetici sono crollati, mentre hanno preso il volo le commodities agro-alimentari, con il costo del denaro che negli Usa è salito al 5% mentre da noi attualmente è al 3,5%.

Partendo proprio dall’energia colpisce il -20% delle quotazioni dei greggi, nonostante l’Opec+ abbia deciso di ridurre la produzione negli ultimi mesi anche con la domanda che invece dovrebbe arrivare al record storico nel 2023 sostenuta dalla riapertura della Cina dopo i blocchi legati al Covid. Il Ttf olandese invece, che ha fatto tremare l’Europa quando si inerpicò a 348 euro/Mwh, precipita di quasi il 60% perché il Vecchio Continente ha drasticamente ridotto (quasi 20%) il consumo di gas e si sta dotando di numerosi rigassificatori per non dipendere più dalla Russia eliminando dunque l’allarme sulla carenza di metano. Fra le principali commodities energetiche non ce n’è una che non costi meno rispetto a un anno fa.

Nel campo dei metalli troviamo l’oro che è salito oltre i 2000 dollari l’oncia, seguendo l’ipotesi di uno stop della politica restrittiva ad opera della Federal Reserve. Negli ultimi giorni il metallo giallo è sceso sotto quota 2000, rispetto a un anno fa tuttavia il prezzo è cresciuto del 4,5%. Più alto il rincaro dell’argento, utilizzato nel mondo industriale e nel campo della transizione energetica, ora superiore al 6%. Poi quasi tutti segni meno: -10,4% il rame e -64% il litio, due metalli molto richiesti per le auto elettriche che stentano a sbranare il mercato. Non a caso il platino, +20%, è richiesto per la sua funziona anti-emissioni nelle marmitte dei veicoli sempre meno inquinanti ma a motore endotermico. L’acciaio, infine, segna -25%.

Nel mondo agricolo ci sono i rialzi annuali maggiori: la patata, cresciuta di oltre il 70% tra deficit produttivi legati a rincari energetici e siccità, è la commodity che ha messo a segno il rialzo più alto tra tutte le commodities. Segue il succo d’arancia, +53%, lo zucchero (+31,8%) molto usato anche nella produzione di carburanti vegetali e il cacao col suo +31%. Male invece legno (meno 60%), latte (-23%) e burro (-34,5%) e perfino il grano (-38%) al centro di numerose trattative internazionali legate alla guerra russo-ucraina. Nel mondo alimentare colpisce il forte rialzo dei bovini vivi (+26,6%) e del salmone (+22%), mentre sono in netto calo le uova americane (-29%) e il pollame (-17%).

Sul fronte industriale sprofonda l’urea (-66%) in seguito alla diminuzione del prezzo del gas, mentre vola il molibdeno (+59%) per la forte domanda da parte della siderurgia cinese che ha creato un deficit di offerta. Giù anche il palladio (-26%) sempre più sostituito dal platino. In ribasso anche alluminio (-23%) e nichel (-26%), quest’ultimo frenato per ora dalla lentezza di diffusione delle auto elettriche.
Complessivamente, secondo PricePedia, l’indice totale commodity evidenzia una caduta dei prezzi annuale del 14%. E per il 2024 si prevede una diminuzione annua dei prezzi pari al -5%. In particolare quello delle materie prime energetiche registra una caduta del -21% e quello dei prezzi degli industriali segnala un -12 per cento.

grano

Indice Fao materie prime alimentari giù del 20,5% su marzo 2022

Le forniture di grano aumentano, la domanda di importazioni diminuisce e l’Iniziativa sui cereali del Mar Nero viene estesa. La discesa dei prezzi sulle materie prime alimentari registrata dall’indice Fao non si arresta, per il 12esimo mese consecutivo, con una media di 126,9 punti nel mese di marzo 2023 e fa registrare un -2,1% su febbraio 2023 e addirittura un -20,5% rispetto al livello massimo raggiunto nel marzo 2022.

A fare da traino, naturalmente, è il calo delle quotazioni mondiali di cereali e oli vegetali.

Nel dettaglio, l’indice dei cereali scende del 5,6% rispetto a febbraio, con un calo del 7,1% dei prezzi internazionali del grano, spinto al ribasso dalla forte produzione australiana, dalle migliori condizioni dei raccolti nell’Unione Europea, dalle elevate forniture della Federazione Russa e dalle esportazioni in corso dall’Ucraina dai porti del Mar Nero. I prezzi mondiali del mais sono scesi del 4,6%, in parte a causa delle aspettative di un raccolto record in Brasile, mentre quelli del riso sono diminuiti del 3,2% a causa dei raccolti in corso o imminenti nei principali Paesi esportatori, tra cui India, Vietnam e Thailandia.

L’Indice degli oli vegetali registra una media inferiore del 3,0% rispetto al mese precedente e del 47,7% rispetto al livello del marzo 2022, in quanto l’ampia offerta mondiale e la scarsa domanda di importazioni globali hanno spinto al ribasso le quotazioni di soia, colza e girasole. Ciò ha più che compensato l’aumento dei prezzi dell’olio di palma, che sono cresciuti a causa dei minori livelli di produzione nel sud-est asiatico dovuti alle inondazioni e alle restrizioni temporanee alle esportazioni imposte dall’Indonesia. “Sebbene i prezzi siano scesi a livello globale, sono ancora molto alti e continuano ad aumentare nei mercati interni, ponendo ulteriori sfide alla sicurezza alimentare. Questo vale soprattutto per i Paesi in via di sviluppo importatori netti di prodotti alimentari, la cui situazione è aggravata dal deprezzamento delle loro valute rispetto al dollaro USA o all’euro e dall’aumento del debito“, sottolinea Máximo Torero, Economista Capo della Fao.

L’Indice dei prodotti lattiero-caseari scende dello 0,8% a marzo. I prezzi del burro sono aumentati a causa della solida domanda di importazioni, mentre quelli del formaggio sono scesi a causa del rallentamento degli acquisti da parte della maggior parte dei principali importatori in Asia e dell’aumento delle disponibilità nei principali esportatori.

L’Indice dello zucchero, invece, aumenta dell’1,5% rispetto a febbraio, raggiungendo il livello più alto dall’ottobre 2016, a causa delle preoccupazioni per il calo delle prospettive di produzione in India, Thailandia e Cina. Le prospettive positive per le coltivazioni di canna da zucchero che stanno per essere raccolte in Brasile hanno limitato la pressione al rialzo sui prezzi, così come il calo dei prezzi internazionali del greggio, che ha ridotto la domanda di etanolo.

Quanto alla carne, l’Indice Fao aumenta leggermente, dello 0,5%. Le quotazioni internazionali della carne bovina sono aumentate, influenzate dall’aumento dei prezzi interni negli Stati Uniti d’America, a causa delle aspettative di minori forniture in futuro, mentre i prezzi della carne suina sono aumentati a causa dell’aumento della domanda in Europa in vista delle festività. Nonostante i focolai di influenza aviaria in diversi grandi Paesi esportatori, i prezzi mondiali della carne di pollame sono scesi per il nono mese consecutivo a causa di una domanda d’importazione globale contenuta.

Nel Cereal Supply and Demand Brief, la Fao alza le previsioni per la produzione mondiale di grano nel 2023, ora fissata a 786 milioni di tonnellate, con un calo dell’1,3% rispetto al livello del 2022 e il secondo risultato più alto mai registrato. In Asia si prevedono aree seminate quasi da record, mentre le condizioni di siccità stanno colpendo il Nord Africa e l’Europa meridionale.

Nell’emisfero meridionale, le superfici seminate e le prospettive di produzione del mais in Brasile sono previste ai massimi storici, sostenute da una robusta domanda di esportazione. Le prospettive di resa sono buone anche in Sudafrica, che nel 2023 potrebbe registrare il suo secondo raccolto più abbondante. Per contro, le prolungate condizioni di siccità hanno influito negativamente sui raccolti di mais in Argentina. Su anche le previsioni per la produzione cerealicola mondiale nel 2022 a 2.777 milioni di tonnellate, con un calo di solo l’1,2% rispetto all’anno precedente. La produzione mondiale di riso nel 2022/23 è ora fissata a 516 milioni di tonnellate, l’1,6% in meno rispetto al record raggiunto nel 2021/22, ma con un raccolto superiore alla media. La previsione aggiornata della Fao per l’utilizzo dei cereali a livello mondiale nel 2022/23 è ora di 2.779 milioni di tonnellate, in calo dello 0,7% rispetto al 2021/22. Le scorte mondiali di cereali alla fine della stagione 2022/2023 dovrebbero diminuire dello 0,3% rispetto ai livelli iniziali, attestandosi a 850 milioni di tonnellate. Il rapporto scorte mondiali di cereali/utilizzo scenderà probabilmente dal 30,7% del 2021/22 al 29,7%, indicando comunque un livello globale confortevole. Si prevede che il commercio mondiale di cereali nel 2022/23 subirà una contrazione del 2,7% rispetto al livello del 2021/22, attestandosi a 469 milioni di tonnellate. Il calo riflette principalmente le aspettative di riduzione del commercio di cereali secondari, mentre si prevede un aumento del commercio globale di grano. Il commercio internazionale di riso nel 2023 è previsto in calo del 5,2% rispetto al livello record del 2022.

San Valentino

Caro San Valentino: il caro energia trascina i rincari dei regali, cioccolatini +45%

Caro San Valentino, questa volta è proprio il caso di dirlo. La festa degli innamorati quest’anno porta con sé anche tutti i rincari e l’O.N.F. – Osservatorio Nazionale Federconsumatori ha effettuato il monitoraggio sui costi dei regali più gettonati e sulle tendenze per il 2023. L’aumento medio del costo dei regali ammonta al 13,7%, trainato dal rincaro dei cioccolatini. Il caro energia, infatti, ha fatto schizzare alle stelle i costi di molti prodotti. Dalle pasticcerie, alle serre, ai ristoranti: gli aumenti per le materie prime non risparmiano nessuno e incidono sui costi di produzione e su quelli al consumo. Proprio per questo il prezzo medio di una scatola di cioccolatini è aumentato del 45% rispetto allo scorso anno. Rincari più moderati riguardano anche gli altri prodotti che tradizionalmente vengono regalati in questa giornata: dai fiori (+6,4%) ai gioielli (+7,1%).

Una tendenza sempre più diffusa è il progressivo abbandono dei classici regali, per scegliere piuttosto delle attività da svolgere insieme, all’insegna del buon cibo o del relax, come il trattamento di coppia presso una SPA, il corso di cucina o di degustazione, un breve weekend fuori casa. In voga anche la ricerca di regali originali: tra i più gettonati una coppia di alberi da piantare, il quadro della mappa del luogo del primo incontro e targhe luminose con QR code della canzone di coppia. Meno popolare dello scorso anno regalare una stella con il nome della persona amata. Sempre più coppie, scelgono di dedicare questa giornata alla solidarietà, aiutando enti e associazioni a portare avanti i propri programmi educativi, sanitari, di ricerca, nonché sostenendo associazioni animaliste.

San Valentino è sinonimo anche di cena romantica: i prezzi variano da città a città, ma pure su questo fronte si registrano rincari dal +7% al +30% circa. Nonostante l’aumento dei costi e la fase critica per i bilanci familiari saranno molte le coppie che decideranno di cenare comunque fuori casa (1 su 3), magari rinunciando al regalo per condividere un momento insieme. Chi cenerà fuori, in molti casi, approfitterà di app e promozioni per ottenere sconti sulla cena. I più estrosi prepareranno manicaretti fatti in casa per il proprio partner degustati a lume di candela.

Mancano uova in Gb credits: Afp

Mancano le uova nel Regno Unito. A rischio l’English breakfast

E’ emergenza uova nel Regno Unito, dove nelle ultime settimane sono diventate un prodotto proibitivo, a causa di un’epidemia locale di influenza aviaria che si è aggiunta alle difficoltà degli allevatori già colpiti dall’aumento dei prezzi del grano e dell’energia dopo la guerra in Ucraina. Insomma, anche la colazione degli inglesi è parte della tempesta perfetta che sta travolgendo l’Europa. Alcuni supermercati come Lidl o Asda hanno già avviato il razionamento, consentendo a ogni cliente di acquistare al massimo due confezioni di uova. La catena di pub JD Wetherspoon ha cambiato il suo menu, sostituendo questo prodotto con alcune alternative.

Le uova rappresentano l’alimento basilare della colazione di Londra, ma attualmente il loro costo è triplicato. La capitale britannica pullula di negozi con l’insegna ‘English breakfast’ che serve omelette e bacon sandwich a tutte le ore. Questi caffè sono particolarmente apprezzati dai lavoratori che sono soliti pranzare a prezzi contenuti. In particolare, si raccolgono qui manovali, addetti alle costruzioni, operai. Un uovo fritto, qualche striscia di bacon, due salsicce e fagioli bianchi al sugo accompagnati da grosse fette di pane tostato: il Gate Grill Cafe, nel cuore di Londra, serve il pasto essenziale a sole sei sterline (sette euro). Ma il costo di produzione del piatto, popolare tra turisti e britannici, è salito alle alle stelle in un Paese in cui l‘inflazione supera l’11%.

Il ministro dell’Ambiente e dell’Alimentazione, Therese Coffey, ha cercato di minimizzare la carenza, sottolineando che c’erano ancora “14 milioni di galline ovaiole disponibili” nel Paese. Ma la fornitura è in calo dall’inizio di novembre. Con l’avvicinarsi del Natale, un terzo dei produttori ha già ridotto la propria produzione, secondo le associazioni di categoria.
La crisi delle uova si aggiunge a un generale malcontento tra la popolazione. La Brexit prima, la crisi del costo della vita poi e ora anche il bilancio di austerità presentato giovedì dal governo, che prevede aumenti delle tasse e minori spese in un Paese già in recessione.