clima

La nuova roadmap italiana per affrontare crisi climatica ed energetica

Una nuova roadmap per portare l’Italia fuori dalla crisi energetica e climatica, permettendole di fare quel necessario salto di qualità capace di garantire al nostro Paese un futuro e una sostenibilità economica. Un percorso in più tappe, lungimirante a sufficienza da arrivare al 2050, tentando di superare “30 anni di ritardi” e di “scarso impegno nella riduzione delle emissioni“, che hanno determinato “incendi, siccità, eventi meteorologici estremi“. La proposta è arrivata dalla Conferenza nazionale sul clima 2022, dal titolo ‘Crisi energetica e climatica: la nuova roadmap per l’Italia’, l’appuntamento più importante a livello nazionale dedicato al clima. Iniziativa promossa da Italy For Climate, è stata aperta da Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo sviluppo sostenibile. “La lotta al cambiamento climatico e l’obiettivo della neutralità climatica al 2050 – ha detto dal palco – sono una priorità, da cui dipendono il futuro e l’economia del nostro Paese”, che può essere capofila nel percorso da intraprendere verso “la neutralità climatica“, perché altrimenti il rischio è quello di “pagare costi sociali ed economici elevati“. Che è proprio ciò che sta già accadendo. La crisi climatica, ha ricordato Ronchi, deve essere una priorità e “servono misure di adattamento per renderci meno vulnerabili“. Fondamentale è dotarci di “una legge per clima, che già esiste “in Germania, in Francia e nel Regno Unito“, mentre nel nostro Paese “manca un quadro normativo aggiornato, meglio se pluriennale, oltre il 2030-2040 che aggiorni i target, gli strumenti, acceleri la transizione energetica e introduca anche misure di adattamento“.

INTENSIFICARE LE FONTI RINNOVABILI

Tre le proposte presentate alla Conferenza, che si aggiungono alle 40 lanciate a dicembre 2021 da Italy for Climate per ridurre del 60% rispetto al 1990 le emissioni di gas serra, per azzerare l’uso energetico del carbone e tagliare del 45% l’uso del gas. Ciò che serve, è l’appello arrivato dagli esperti, è “arrivare, entro il 2030, all’85% della produzione elettrica nazionale attraverso fonti rinnovabili (oggi è circa al 40%)“. L’elettrificazione dei consumi è un driver fondamentale della transizione energetica, ma solo se associata alla progressiva decarbonizzazione del kWh, grazie alle fonti rinnovabili. È la strategia del programma presentato nelle scorse settimane da Elettricità Futura e condivisa con il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che porterà l’Italia ad avere circa l’84% della generazione elettrica nazionale da fonti rinnovabili.

RIPENSARE AL SUPERBONUS

La seconda proposta mira a “ripensare il Superbonus dell’edilizia, per elettrificare 3 milioni di abitazioni in tre anni, con un risparmio di risorse pubbliche e un innalzamento dei benefici ambientali connessi“. Superbonus che, secondo quanto emerso durante la Conferenza “non ha prodotto risultati sufficienti nell’ottica della riduzione dei consumi energetici e della decarbonizzazione“. A maggio del 2022 sono stati realizzati 170 mila interventi con 30 miliardi di euro di finanziamenti che avrebbero interessato circa 500 mila abitazioni (meno del 2% del totale nazionale; stima di Italy for Climate) e prodotto un risparmio non superiore a 400 mila tep: meno dell’1% del consumo energetico degli edifici in Italia e dello 0,4% di tutti i consumi energetici finali nazionali. Ecco allora che puntare sull’elettrificazione degli edifici sarebbe “ambientalmente ed economicamente molto più efficiente e con tempi di realizzazione relativamente rapidi“.

CIASCUNO DEVE FARE LA SUA PARTE

E, infine, è necessario “mobilitare i cittadini, attraverso ‘Faccio la mia parte’, una campagna per incidere molto e velocemente sui consumi di energia attraverso i comportamenti individuali“. Secondo le stime questa campagna potrebbe portare in media a un risparmio annuo per le famiglie di 450 euro insieme alla riduzione di 3 miliardi di mc di gas e di 2 milioni di tonnellate di petrolio, per un taglio delle emissioni pari a circa 12 milioni di tonnellate di CO2.

Le tre proposte dovranno tenere conto, naturalmente, del contesto attuale e potrebbero consentire all’Italia “di ridurre notevolmente la dipendenza energetica dall’estero“, ma “senza un coinvolgimento attivo degli enti locali e dei territori non si potrà realizzare alcuna transizione“.

Papa

Il Papa invoca una ‘conversione ecologica’: “Urgente ridurre emissioni”

Papa Francesco invoca una “conversione ecologica” e lancia un nuovo appello per ridurre le emissioni di Co2. Lo fa in un messaggio inviato alla Conferenza ‘Resilience of People and Ecosystems under Climate Stress’, organizzata in Vaticano dalla Pontificia Accademia delle Scienze.

Il fenomeno del cambiamento climatico, sottolinea, è diventato un’emergenza che “non resta più ai margini della società“. Ha, al contrario, assunto un ruolo “centrale“, rimodellando non solo i sistemi industriali e agricoli ma anche “influenzando negativamente la famiglia umana globale, specialmente i poveri e coloro che vivono nelle periferie economiche del nostro mondo“.

Le sfide sono due: “Ridurre i rischi climatici riducendo le emissioni e aiutare e consentire alle persone di adattarsi ai cambiamenti del clima che si stanno progressivamente aggravando. Poi fa riferimento a due ulteriori preoccupazioni: “la perdita di biodiversità e le numerose guerre in corso in varie regioni del mondo che, insieme, comportano conseguenze dannose per la sopravvivenza e il benessere dell’uomo, tra cui i problemi di sicurezza alimentare e l’inquinamento crescente“. Sono crisi che, ricorda, dimostrano che “tutto è collegato” e che la promozione del bene comune a lungo termine del nostro pianeta è “essenziale per un’autentica conversione ecologica.

Nella prima settimana di luglio, Jorge Mario Bergoglio, in nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, ha approvato una legge che prevede l’obbligo di aderire alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e all’Accordo di Parigi, con, spiega, “la speranza che all’alba del ventunesimo secolo l’umanità sarà ricordata per essersi generosamente assunta le sue gravi responsabilità“.

(Photo credits: Vincenzo PINTO / AFP)

Praga alla presidenza Ue. Von der Leyen punta su attuazione ‘RePower’

Se c’è una sfida su cui Bruxelles si aspetta tanto dal semestre di presidenza della Repubblica ceca alla guida del Consiglio Ue – che ha preso il via ieri (primo luglio) e andrà avanti per i prossimi sei mesi – è proprio quella dell’energia e della sicurezza dell’Ue di fronte ai tagli alle forniture di gas da parte della Russia.

La crisi “non è alle nostre spalle” e Bruxelles dovrà lavorare a stretto contatto con la presidenza di Praga per presentare “verso metà luglio un piano d’emergenza per l’energia”. La conferma arriva dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in conferenza stampa a Litomyšl, in Repubblica ceca, al fianco del primo ministro, Petr Fiala, per l’avvio della presidenza di turno alla guida dell’Ue. E’ consuetudine per il collegio dei commissari europei, quando prende il via una nuova presidenza di turno dell’Ue, recarsi nel Paese che per i successivi sei mesi detterà l’agenda politica del Consiglio.

Il piano di riduzione della domanda di energia in questione era stato annunciato dalla stessa leader dell’Esecutivo comunitario al termine dell’ultimo Consiglio europeo del 23-24 giugno. Ieri è arrivata la conferma che arriverà a metà luglio e che sarà fondato sulla doppia priorità di tagliare la domanda e quindi i consumi “in maniera intelligente e di dimostrare solidarietà” tra gli Stati membri quando si parla di forniture di energia, principalmente attraverso accordi bilaterali con chi non dispone di strutture sotterranee per stoccare le riserve di gas in vista dell’inverno. Un piano che si rende urgente e necessario visti i tagli repentini alle forniture di gas da parte della Russia nei confronti di oltre dieci Stati membri dell’Ue, tra chi è andato incontro allo stop totale alle forniture russe e chi solo parziale.

Von der Leyen ricorda che gli Stati membri sono già ben collegati “attraverso gasdotti, abbiamo tutti questi interconnettori e possiamo sempre avere i flussi inversi” di gas. Ma di fronte ai tagli alle forniture “ci serve un buon piano comune che permetta all’energia e al gas di fluire dove è più necessario”, per non andare incontro a un inverno senza riscaldamento. Il colosso energetico russo Gazprom ha già annunciato una sospensione parziale delle forniture all’Europa per “lavori di manutenzione” che andranno avanti dall’11 al 21 luglio, che porteranno a un’ulteriore contrazione dei flussi all’Europa.

L’agenda di Praga alla guida dell’Ue sarà legata, senza dubbio, alla stretta attualità, tanto da non essere casuale la scelta del motto ‘Rethink, Rebuild, Repower’ (Ripensare, rinnovare e “ripotenziare” l’Ue) dal momento che il Paese dovrà concentrarsi sull’attuazione del pacchetto energetico ‘RePowerEu’, presentato lo scorso 18 maggio dalla Commissione Europea come una tabella di marcia per affrancare l’Unione dalla dipendenza dai combustibili fossili russi al più tardi entro il 2027. “Contiamo su Praga per raggiungere un rapido accordo tra Consiglio e Parlamento – i due co-legislatori – sull’adozione del regolamento che ha istituito il piano”. L’adozione del regolamento porterà gli Stati membri a iniziare a disporre delle risorse previste dal piano, che la Commissione Ue stima in 300 miliardi di euro. Il piano – ha ricordato la presidente – si basa su tre pilastri: la diversificazione dei fornitori di energia “in particolare per quanto riguarda il gas e il petrolio”, la riduzione della domanda di energia e soprattutto “massicci investimenti in energie rinnovabili, che hanno il vantaggio di essere prodotte a casa nostra e creare posti di lavoro”.

Che la sicurezza energetica sarà al centro del semestre di presidenza ceca lo ha confermato lo stesso primo ministro, Petr Fiala, al fianco di von der Leyen in conferenza stampa. Indipendenza dell’Unione Europea e abbassare i prezzi insostenibili dell’energia, che stanno “soffocando la nostra economia e creando problemi ai nostri cittadini”, saranno le sfide di Praga e più in generale dell’Ue di domani. La sicurezza energetica è una delle cinque priorità messe nero su bianco nell’agenda della presidenza e come nei piani di Bruxelles, il focus sarà sulla diversificazione dei fornitori di energia e l’accelerazione della transizione alle energie rinnovabili e a basse emissioni. “La Presidenza ceca è pronta a lavorare sull’attuazione della regolamentazione delle riserve di gas”, si legge sul sito della presidenza, in riferimento all’obbligo disposto dall’Esecutivo comunitario di riempire gli stoccaggi di gas prima dell’inverno.

Ma per Praga la sicurezza energetica dell’Ue passa anche per l’energia nucleare che sarà centrale nella sua agenda “anche per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Ue”. Il nucleare è un’importante fonte di energia nella Repubblica Ceca, rappresentando circa il 40 per cento del suo mix energetico, e Praga ha già chiarito l’intenzione di rilanciarne l’uso. La presidenza della Francia che si è appena conclusa, lascia nelle mani di Praga anche l’avvio dei negoziati interistituzionali con il Parlamento europeo sui principali dossier del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, dalla riforma del sistema Ets alla tassa sul carbonio alle frontiere su cui entrambi i co-legislatori ormai hanno definito la loro posizione. “Ora la presidenza è nella posizione ideale per guidare i triloghi (i negoziati a tre) sul ‘Fit for 550 tra Consiglio e Parlamento”, ha ricordato von der Leyen, che spera in un accordo prima della prossima Conferenza sul clima delle Nazioni Unite che si terrà a novembre in Egitto. Ma su questo Praga già mette le mani e fa sapere che si concentrerà soprattutto sui dossier dell’efficienza energetica e dell’uso delle energie rinnovabili, su cui Bruxelles ha proposto di alzare i target alla luce della guerra in Ucraina.

Cingolani: “Transizione ecologica rapida, ma senza lasciare indietro nessuno”

Il percorso verso la transizione energetica, in Italia, procede nonostante la crisi legata alle forniture di gas e petrolio e la riattivazione delle miniere di carbone. Il Consiglio europeo su energia e ambiente si è concluso con risultati che lasciano ben sperare. Al rientro dalla sua missione in Lussemburgo, il ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ripercorre le tappe più salienti toccate nel corso dell’incontro. Lo fa, innanzi tutto, con una breve ma trasparente introduzione: “Questi due giorni di lavori hanno dimostrato ancora una volta che stiamo mettendo in atto molte iniziative e stiamo facendo qualcosa di unico al mondo. Le scelte che sono state prese vanno nell’auspicata direzione di una transizione ecologica rapida ma che non lascia nessuno indietro”.

Per quanto riguarda il pacchetto ‘Fit for 55‘ è stato concordato l’orientamento generale sul testo di due direttive cruciali: ‘Fonti Rinnovabili’ ed ‘Efficienza Energetica’. I ministri hanno raggiunto un accordo che impegnerà i Paesi dell’Unione a produrre almeno il 40% di energia da fonti rinnovabili entro il 2030 e di realizzare interventi di efficientamento, che permettano di ridurre il consumo di energia del 9% rispetto ai livelli previsti nel 2030.

Ridurre le emissioni è anche il motivo per cui c’è stata la conferma del phase-out per i motori a benzina e diesel entro il 2035. Una misura che, nonostante risulti appropriata per l’obiettivo di riduzione delle emissioni, preoccupa, non poco, il Paese a livello di posti di lavoro. Tuttavia, Cingolani assicura: “Per il settore automotive sono stati raggiunti importanti risultati per assicurare una transizione verso una mobilità a zero emissioni sostenibile sia dal punto di vista tecnico che socio-economico”. Infatti, in tale ambito l’Italia ha ottenuto un percorso di transizione senza strappi per garantire l’eccellenza italiana delle piccole produzioni di automobili e furgoni. “È stata inoltre raggiunta un’apertura importante per l’utilizzo di carburanti sintetici a impatto ambientale zero (o comunque molto basso) che consentono la riduzione sostanziale della Co2 anche utilizzando motori tradizionali”, la sottolineatura.

Questa soluzione ripristina il principio della neutralità tecnologica del pacchetto normativo garantendo che tutte le tecnologie possano contribuire al processo di decarbonizzazione a tutela dei paesi e le fasce più deboli che potrebbero non essere in grado di completare la transizione alla mobilità elettrica entro la data prevista, garantendo comunque la decarbonizzazione.

Spazi ampi e sostenibili: Google punta sugli uffici ‘green’

I giganti tecnologici assumono sempre meno e gli ingegneri hanno adottato in larga misura il telelavoro, ma Google ha appena inaugurato nuovi uffici futuristici nella Silicon Valley, progettati per soddisfare tutte le esigenze attuali e anche future dei suoi dipendenti. A Mountain View, a un chilometro e mezzo in linea d’aria dalla sua sede, il gruppo californiano ha costruito due enormi edifici che sembrano tende di vetro e metallo, ricoperte di pannelli solari a forma di squame di drago. Alphabet, la società madre di Google, non ha reso noto il costo del Campus di Bay View, progettato per ospitare fino a 4.500 dipendenti.

Non credo che nessuno dei nostri edifici sarà vuoto. Non siamo preoccupati“, scherza Michelle Kaufmann, direttore della ricerca e dello sviluppo per gli uffici dell’azienda, durante un tour per la stampa. “Siamo più preoccupati di avere spazio a sufficienza. Perché l’azienda è ancora in crescita“, aggiunge. Alla fine di marzo, Alphabet contava circa 164.000 dipendenti in tutto il mondo (+17% in un anno). Solo nella Bay Area di San Francisco, 45.000 persone lavorano per il gigante tecnologico. La vicina Meta (Facebook, Instagram) e altre grandi aziende digitali (Microsoft, Amazon, Nvidia, Snap, Uber…) hanno recentemente annunciato un rallentamento delle assunzioni a causa del contesto economico sfavorevole, dopo aver assunto in massa durante la pandemia.

CONNESSIONI E DISCONNESSIONI

Diverse aziende, come Twitter a San Francisco, hanno lasciato la porta aperta al telelavoro perché molti ingegneri lo preferiscono. Alcuni hanno difficoltà a convincere le squadre a tornare a lavoro di persona, in parte a causa della paura per il Covid. “Credo che il 10% del personale (di Google, ndr) abbia scelto e ottenuto l’opzione di lavorare da casa come prima cosa”, osserva Michelle Kaufmann. Che spera che i nuovi uffici, progettati molto prima della pandemia, soddisfino le aspettative degli altri dipendenti, che dividono la loro settimana tra lavoro di persona e telelavoro. Il piano terra è costituito da ristoranti, caffè, palestre e sale riunioni, distribuiti intorno a diverse “piazze pubbliche” – dal ‘Dinosaur District’ al ‘Neon Nature’ – fiancheggiate da divani. Al piano superiore ci sono uffici modulari, separati da vari mobili, ma senza pareti, in modo che i team abbiano “la privacy di cui hanno bisogno” pur rimanendo “collegati al resto della comunità“, dice l’architetto. Google spera di incoraggiare la creatività e il lavoro di squadra, mentre i compiti più solitari possono essere svolti da casa. Ma attenzione alla dipendenza dalla tecnologia: nelle toilette, un avviso dà consigli su come non farsi ‘catturare’ dal telefono e mette in guardia dalla “apnea da e-mail” (quando si trattiene il respiro mentre si controlla la posta elettronica).

ACQUA RICICLATA, ARIA NATURALE

La costruzione degli edifici è durata cinque anni, con ambiziose specifiche ambientali. Alphabet ha promesso di essere completamente neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio entro il 2030. Il campus è a zero emissioni di carbonio “per il 90% del tempo” grazie ai pannelli solari e alle batterie geotermiche. Tutte le esigenze di acqua non potabile sono soddisfatte dall’acqua riciclata prodotta in loco. E i sistemi di ventilazione utilizzano il 100% di aria esterna, “invece del 20% medio” degli uffici, dice Michelle Kaufmann. Si tratta di un’iniziativa tempestiva nell’era della pandemia. “Per fortuna, molte delle cose che abbiamo progettato funzionano perfettamente con il Covid“, dice l’architetto. “Pensavamo di avere altri dieci anni per alcuni elementi, ma il virus ha accelerato il processo“. Assicura poi che gli spazi di lavoro sono stati progettati con la flessibilità necessaria per far fronte a esigenze che nessuno ha ancora immaginato. Per ora, l’acustica “da opera” non è disturbata da molti dipendenti, dato che il nuovo campus è stato appena inaugurato. E i dipendenti di altre sedi di Google, se sono in visita per qualche giorno, possono alloggiare in uno dei 240 appartamenti costruiti dall’altra parte della strada.

(Photo credits: NOAH BERGER/AFP)

La Nato si allinea al Green Deal Ue, verso la neutralità climatica al 2050

Ridurre le emissioni di gas serra civili e militari di almeno il 45% entro il 2030, per arrivare alla neutralità climatica entro la metà del secolo. La Nato si allinea agli obiettivi ‘verdi’ del Green Deal europeo e ha annunciato martedì (28 giugno) i primi target di riduzione delle emissioni di gas serra dell’Alleanza Atlantica che oggi conta 30 Paesi membri.

Ad annunciarli dal palco di Madrid, dove fino al 30 giugno è in corso il Vertice Nato, è il segretario generale Jens Stoltenberg, avvertendo del fatto che “non sarà facile, ma si può fare“. Spiega di aver “condotto analisi approfondite su come farlo” e una grande parte di questo percorso sarà la transizione verso l’indipendenza dai combustibili fossili, di cui oggi sono dipendenti la gran parte dei Paesi che ne fanno parte. “Tutti i nostri Paesi alleati si già sono impegnati a ridurre le proprie emissioni per essere in linea con gli obiettivi del Patto di Parigi”. L’adattamento delle loro forze armate “contribuirà a questo” obiettivo, inclusa una tecnologia più verde, come le energie rinnovabili, “i combustibili sintetici rispettosi del clima e soluzioni più efficienti dal punto di vista energetico“, ha menzionato.

Alla tre giorni di vertice di Madrid, l’Alleanza Atlantica aggiornerà il suo ‘Strategic Concept’, il programma di azione aggiornato l’ultima volta dieci anni fa, che guarderà al prossimo decennio della Nato fondandosi sul concetto di ‘Resilienza’, che questa volta riguarderà anche la resilienza ai cambiamenti climatici, considerandoli “un moltiplicatore di crisi“. Stoltenberg ha spiegato che il documento definirà il cambiamento climatico come “una sfida decisiva nel tempo, che per gli alleati significherà tre cose: “aumentare la nostra comprensione, adattare le nostre alleanze e ridurre le nostre emissioni“.

Sulla riduzione delle emissioni, il segretario Nato presenterà ai Paesi alleati in questi giorni la prima metodologia per calcolare le emissioni di gas serra, sia civili che militari, provenienti dalla Nato. Comprensiva di un indicatore su “cosa contare e come contarlo”, e “lo renderò disponibile a tutti gli alleati per fare in modo che possano calcolare il loro impatto ambientale delle emissioni che vengono prodotte”. Partendo dal presupposto che tutto ciò che può essere quantificato”, come le emissioni di gas a effetto serra “può essere anche ridotto.

Stoltenberg ha parlato della necessità di riduzione dell’uso dei combustibili fossili anche in chiave strategica. La guerra in Ucraina “mostra i rischi di essere troppo dipendenti da materie prime che sono importati da regimi autoritari” e il modo con cui Mosca usa il gas come arma ci rende chiaro che dobbiamo “bisogna abbandonare presto il petrolio e il gas russi“, ha detto mettendo in guardia sul fatto che “non dobbiamo però finire per dipendere da un altro regime autoritario“. Il riferimento esplicito è proprio alla Cina da cui arrivano “molte materie prime che sono necessarie alle tecnologie verdi“. Imperativo per l’Unione europea come anche per la NATO “diversificare fonti e fornitori” di energia.

(Photo credits: JAVIER SORIANO / AFP)

milano cortina

Milano-Cortina, le Olimpiadi più green della storia

La narrazione è che saranno Olimpiadi diverse, quelle di Milano-Cortina, anno di grazia 2026. Le “più green” di sempre, a dare retta allo slogan che dall’inizio di questa avventura sta accompagnando la marcia di avvicinamento al grande giorno della cerimonia inaugurale, con luci a San Siro e il mondo telecollegato. Marcia non proprio agilissima, fino adesso, al punto da sollevare qualche apprensione a livello organizzativo. Qualcosa è stato fatto, molto dovrà essere completato nei prossimi anni: meno di quattro, sulla carta, in realtà poco più di due e mezzo nella pratica.

SEDI TEMPORANEE

Va subito delimitato il perimetro di questi Giochi italiani. Il Comitato organizzatore si occupa, appunto, dell’organizzazione dell’evento sportivo ed è un soggetto di diritto privato. Le infrastrutture, invece, sono di competenza dell’Agenzia per le infrastrutture e di soggetti di natura pubblica. I Giochi si svolgeranno su un territorio di 22mila chilometri quadrati che coinvolgerà non solo Milano e Cortina, non solo la Lombardia e il Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano, ma tutta l’Italia a cui il pianeta guarderà. In base a quanto viene riferito, il 93% delle sedi che ospiteranno le competizioni e le cerimonie delle Olimpiadi e delle Paralimpiadi sono esistenti o temporanee. Spreco zero? Probabilmente sì.

ENERGIA RINNOVABILE

Ogni intervento – raccontano – è stato pensato in funzione dell’eredità che le Olimpiadi lasceranno al Paese. L’investimento costerà 1,6 miliardi di euro, sarà finanziato con soldi privati e una particolare rilevanza avranno gli investimenti sull’efficienza nell’uso dell’energia che sarà generata da fonti rinnovabili, sull’impatto ambientale e sociale degli approvvigionamenti, sulla gestione dei rifiuti, sul recupero del 100% del cibo non consumato. “Si può dire che ogni euro del bilancio dei Giochi è speso nell’ottica della sostenibilità e dell’inclusività. L’obiettivo di Milano Cortina 2026 è fornire al mondo dello sport un modello innovativo per organizzare un grande evento realmente sostenibile”, dicono dall’headquarter.

VALUTAZIONE AMBIENTALE STARTEGICA

Le regole, per Olimpiadi e Paralimpiadi, le ha riscritte il Cio, che ha messo la sostenibilità ambientale, economica e sociale al centro dell’evento. Per quanto riguarda la VAS (Valutazione Ambientale Strategica), il Comitato organizzatore è in attesa delle pronunce del ministero della Transizione Ecologica, guidato da Roberto Cingolani, e dei soggetti chiamati a decidere sul tema. Il Comitato organizzatore ha proposto una Vas interregionale per il Programma di Realizzazione dei Giochi di sua responsabilità, che si limita agli aspetti organizzativi dell’evento, con valutazione degli effetti dello scenario futuro con le opere permanenti di reale interesse per i Giochi.

ACCORDO DI PARIGI

In occasione della Pre COP26 di Milano, è stato sottoscritto il Mou delle Nazioni Unite ‘Sport for Climate Action Framework’. L’iniziativa, mirata a contribuire all’attuazione degli accordi di Parigi, punta ad accelerare il cambiamento necessario per raggiungere la mitigazione delle emissioni di gas serra ed il coinvolgimento del mondo dello Sport al fine di aumentare la sensibilizzazione dei cittadini. I Giochi di Milano Cortina dovrebbero essere un passo, anzi un salto, nell’ecofuturo.

Malagò

Malagò e i Giochi sostenibili: “Scelta necessaria, dialoghiamo con ambientalisti”

Dicono che saranno le Olimpiadi più sostenibili di sempre. E dicono, anche, che Giovanni Malagò, al terzo mandato come presidente del Coni, voglia fare di Milano-Cortina 2026 il suo capolavoro come capo dello sport italiano. Dicono, infine, che nella veste di presidente della Fondazione e presidente del Consiglio di Amministrazione, Malagò abbia posto la ‘questione ambientale’ al centro del progetto olimpico perché se il mondo va in una certa direzione obbligata sarebbe per lo meno anacronistico – se non addirittura autolesionistico – procedere in senso opposto. “La sostenibilità non è una scelta voluta o dovuta ma necessaria. Frutto del combinato disposto tra i dettami del Cio e una tendenza sempre più diffusa e incline a favorire politiche in quella direzione. La sostenibilità è un dogma ormai irrinunciabile per chi vuole ambire a costruire progetti vincenti in ottica futura”, racconta in esclusiva a GEA.

DIALOGO AMBIENTALISTA

Eppure non tutto è facile. Il presidente del Coni sa perfettamente che l’interlocuzione con le organizzazioni ambientaliste non è facile. Il timore che l’impatto infrastrutturale di Milano-Cortina possa incidere sul delicato ecosistema alpino è elevato. “Abbiamo un dialogo aperto e costante per illustrare in modo trasparente ogni tipo di intervento. Non c’è alcuna volontà di deturpare il paesaggio o impattare in modo irresponsabile a livello ambientale. È un tema che sta a cuore all’intera organizzazione nell’interesse del Paese e del suo sviluppo”, la sottolineatura fondamentale in vista dei ‘lavori’ che dovranno essere svolti nell’immediato futuro.

BOB A CORTINA

Sono due i temi caldi: la pista di bob a Cortina e la tangenzialina di Bormio. Nel primo caso c’è chi, addirittura, ha proposto di emigrare in Austria o di recuperare l’impianto olimpico del 2006 di Cesena Torinese: “Sono passati tre anni dall’assegnazione dei Giochi a Milano Cortina, risultato che ci ha inorgoglito, frutto di un lavoro straordinario capace di valorizzare le nuove regole d’ingaggio del Cio con un progetto low cost. Chi ha scelto il nostro bid lo ha fatto sulla base di un dossier preciso, sarebbe poco rispettoso e serio cambiare in corso gli orientamenti assunti, gratificati dal voto del Comitato Olimpico Internazionale. Senza dimenticare che parliamo di un intervento relativo a un’infrastruttura che versa in condizioni di degrado da molti anni”, dice Malagò. Insomma, Innsbruck è da escludere così come Cesana e ciascuna per ragioni diverse. Cortina avrà una pista nuova, anche a costo di esborsi non proprio in linea con la progettualità a bassi costi.

TANGENZIALE A BORMIO

Quanto al secondo tema, quello della ‘tangenzialina’ di Bormio, la posizione del presidente del Coni è netta: “Non entro nel merito degli interventi viari. Ci sono due distinti piani di lavoro, uno prettamente sportivo, direttamente riconducibile alla Fondazione che presiedo, e quello infrastrutturale che è una prerogativa afferente a un’agenda di emanazione pubblica. È stato nominato il Commissario Luigi Valerio Sant’Andrea per gestire con procedure semplificate la progettazione e l’esecuzione di interventi stradali e ferroviari tra Lombardia e Veneto”.

TERRITORI E LEGACY

La volontà del Coni e della Fondazione Milano Cortina è quella di lasciare qualcosa di concreto ai territori coinvolti. “Una legacy che va oltre le infrastrutture, un orizzonte vincente per affrontare il futuro”, puntualizza Malagò. “Ci sono studi importanti, realizzati da qualificati Atenei, che sottolineano la portata dell’indotto prodotto dall’evento, ma voglio soffermarmi sulla grande rilevanza delle ricadute immateriali. Sono quelle determinanti per il cambio di marcia nell’ottica di un Paese migliore”, sottolinea.

ENERGIA RINNOVABILE

Ma in concreto in che modo quelle del 2026 saranno le Olimpiadi più green di sempre? Malagò lo spiega in maniera semplice ed efficace: “Sarà dedicata una speciale attenzione alla massimizzazione dell’impiego di materiali riciclati o rinnovabili sia nella fase di costruzione delle strutture temporanee e permanenti, sia durante l’allestimento delle sedi olimpiche”. Nello specifico, “è anche previsto l’utilizzo esclusivo di energia da fonti rinnovabili, prodotta sul posto o acquistata da fonti certificate, per soddisfare il fabbisogno complessivo durate l’evento. È un crocevia nevralgico nell’attuazione del progetto, una delle declinazioni irrinunciabili”, spiega Malagò. Che ha un obiettivo ambizioso: “Spero che l’Olimpiade possa determinare un cambio di passo che incida a livello culturale, mettendo lo sport – sempre più – al centro delle politiche sociali come essenziale strumento di crescita e di benessere”.

smart building

Italia non è ancora Smart Building, lo dice un report del Poli Milano

Lo smart building viene spesso utilizzato come parola-simbolo dell’edilizia del futuro: più sostenibile in termini di consumi, più attenta all’uso delle rinnovabili, e capace di migliorare comfort e salute degli abitanti. Il tutto grazie all’attivazione di sistemi automatici di gestione. Ma nella reale applicazione, in Italia, siamo ancora indietro, ed è sempre più urgente mettere a terra questo potenziale. Soprattutto considerando l’impatto degli edifici sull’ambiente, che pesa – stime del Politecnico di Milano – il 40% dei consumi energetici complessivi.

LA MATURITA’ TECNOLOGICA DEGLI SMART BUILDING

L’Italia non è un paese per gli smart building (ma non lo è ancora nemmeno l’Europa). A fine 2021, un report Energy&Strategy della school of management del Politecnico di Milano ha stimato il livello di maturità tecnologica degli smart building nel nostro paese. Il risultato? In ambito residenziale l’85% degli edifici intelligenti è caratterizzato da un limitato numero di device e tecnologie, gestite fra l’altro da piattaforme diverse fra loro.

In uno smart building, gli impianti sono gestiti in maniera intelligente e automatizzata attraverso un’infrastruttura di supervisione e controllo capace di minimizzare il consumo energetico e garantire le migliori condizioni per gli occupanti, assicurandone poi l’integrazione con il sistema elettrico di cui l’edificio fa parte. “Uno smart building completo, però, è quello che riesce ad avere un layer di intelligenza comune che gestisce e automatizza tutti i componenti” spiega Federico Frattini, vicedirettore dell’Energy&Strategy. “Nel residenziale soltanto il 3% degli edifici risponde a queste caratteristiche, e il dato sale a circa il 20% nel terziario”. Continua Frattini: “Pesano ancora i costi infrastrutturali, che rendono necessari investimenti importanti. E, soprattutto, la mancanza di una vera standardizzazione dei componenti, specialmente digitali”.

LA RIPRESA ATTESA DOPO IL COVID

La pandemia non ha aiutato la diffusione di edifici smart. Il trend degli investimenti relativi al 2020 (gli ultimi dati al momento elaborati dalla school of management) aveva infatti restituito un calo dell’11% rispetto ai dati pre-covid. Escludendo le superfici opache, tra residenziale e terziario, siamo fermi a 7,67 miliardi di euro investiti nell’ambito dell’edilizia intelligente.

Ancora presto per conoscerne l’evoluzione, “ma se facciamo un parallelo con l’andamento degli investimenti del settore industriale nell’ambito dell’efficienza energetica” spiega Federico Frattini, “possiamo immaginare per gli smart building uno scenario analogo, con una crescita sul 2020 vicina al 10%, senza però ancora arrivare ai livelli pre-pandemia”.

È comunque vero che il ruolo centrale della casa fra lockdown e smart working ha ridato attenzione alla qualità dell’abitare, tanto è vero che, a differenza di quanto accade per gli edifici, ha ripreso a correre il mercato della ‘smart home‘ (in questo caso i dati vengono dell’osservatorio Internet of Things del Politecnico), con un +29% nel 2021 guidato dall’acquisto di elettrodomestici connessi, smart speaker, soluzioni per la sicurezza, caldaie, termostati e condizionatori connessi per riscaldamento e climatizzazione. “In generale, anche nelle tecnologie per il building ci aspettiamo una crescita di alcune tecnologie con livelli di investimenti consistenti, come sistemi per il monitoraggio e l’ottimizzazione dell’aria, serrature intelligenti, o sistemi di videosorveglianza”, spiega Frattini, “ma va sempre considerato il freno dovuto all’oscillazione dei prezzi che ha colpito il settore dei microchip e dell’elettronica”.

IL VOLUME D’AFFARI NEGLI SMART BUILDING

La ricerca verso una gestione sempre più efficiente dell’energia guida gli investimenti negli smart building in Italia. Degli oltre 7 miliardi e mezzo investiti, il 63% viene dall’implementazione di ‘building device and solutions’, vale a dire tecnologie e impianti per la generazione di energia, per l’efficienza energetica, safety&security e comfort. Di tutta la categoria, oltre la metà del valore investito (circa 4,8 miliardi di euro) è relativa a tecnologie per la produzione di energia elettrica e produzione efficiente di energia termica.

Nel caso della generazione di energia termica, sono i sistemi di climatizzazione e le pompe di calore a rappresentare la maggioranza degli investimenti. Mentre “nell’ambito della generazione elettrica il fotovoltaico è la tecnologia più diffusa (94% del totale), spinta anche da costi sempre minori che la rendono sostenibile anche senza incentivi” spiega Federico Frattini. “Ma la crescita più interessante è nei sistemi di accumulo associati al fotovoltaico, anche nel residenziale. Accoppiare batterie a un impianto, infatti, permette di aumentare la quota di autoconsumo dal 30% fino al 70-80%. Un dato importante in un momento di aumento dei prezzi dell’energia”. Il restante 37% degli investimenti totali, invece, è riferito agli attuatori e alla sensoristica per la raccolta dati dagli impianti, oltre ai software che compongono la piattaforma di controllo e gestione e l’infrastruttura di rete.

UN CAMBIO DI PASSO

Ma su quali leve dovremmo intervenire per immaginare un buon livello di maturità tecnologica negli smart building italiani, e avvicinarci di conseguenza agli obiettivi europei di decarbonizzazione? “Gli stanziamenti del Pnrr sono un buon inizio ma non possono bastare per raggiungere gli obiettivi richiesti dal pacchetto Pniec e dal Fit for 55” dice Federico Frattini, “soprattutto perché il tasso di ristrutturazione è ancora troppo basso”. Gli edifici italiani registrano infatti un consumo di energia termica più alto della media europea. “Serve un passo diverso, insomma, e non solo nel residenziale” continua Frattini, “promuovendo interventi importanti anche negli edifici della pubblica amministrazione”.

Un aiuto in più potrebbe arrivare dall’Europa, con l’avvio dello ‘Smart readiness indicator’, l’indice comune dell’Unione europea introdotto per valutare la predisposizione degli edifici a utilizzare tecnologie intelligenti. “Molto dipenderà da come verrà implementato” conclude Frattini, “ma potrebbe dare un incentivo importante a predisporre edifici all’uso di tecnologie smart per migliorare la qualità complessiva della vita e del lavoro nelle strutture”. Con effetti sulla qualità della vita e sull’ambiente.

edilizia

Gli standard Ue per edifici sostenibili entro il 2050

Nuovi edifici a emissioni zero dal 2030 e standard minimi di rendimento energetico per la ristrutturazione di quelli esistenti. Sono i pilastri della proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (EPDB – ‘Energy Performance of Building Directive’) avanzata dalla Commissione europea a metà dicembre con l’obiettivo di arrivare al 2050 con un parco immobiliare europeo a zero emissioni nette, sia sugli edifici vecchi e che su quelli ancora da costruire.

L’edilizia è responsabile del 40% dei consumi energetici d’Europa e del 36% dei gas a effetto serra provenienti dal settore energetico. Per i nuovi edifici da costruire viene introdotta la regola standard di emissioni zero dal 2030, mentre per la ristrutturazione degli edifici esistenti – di cui solo l’1% è sottoposto a processi di efficientamento annuale – Bruxelles ha scelto un approccio graduale a partire dal 2027. La direttiva rivista vincola gli Stati a individuare almeno il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni energetiche e a ristrutturarlo passando dalla classe energetica più bassa “G” a fasce superiori. Nello specifico, i requisiti minimi di efficienza saranno dunque introdotti partendo prima dagli edifici non residenziali (come gli uffici o gli hotel) e a seguire quelli residenziali. Quanto ai primi, gli edifici che hanno il livello di prestazione energetica più scarso – indicato con la lettera “G” – dovranno rientrare almeno nella classe superiore “F” entro il primo gennaio 2027 e di classe “E” entro il primo gennaio 2030.

Per gli edifici residenziali, ovvero le case vere e proprie, i tempi sono più lunghi e dovrebbero raggiungere la classe “F” entro il primo gennaio 2030 e la classe “E” entro il primo gennaio 2033. Agli Stati membri come parte dei loro piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, Bruxelles ha chiesto di inserire una roadmap con specifiche scadenze su come intendono arrivare a raggiungere classi di rendimento energetico più alte. Le tabelle di marcia dovranno indicare il percorso per eliminare gradualmente i combustibili fossili usati per il riscaldamento e il raffreddamento entro il 2040 al più tardi, insieme a un percorso per trasformare il parco edilizio nazionale in edifici a zero emissioni entro il 2050. Questi piani saranno integrati in quelli nazionali di energia e clima (PNEC).

La Commissione propone inoltre di armonizzare ed estendere gli attestati di prestazione energetica – che già sono presenti – per includere, ad esempio, le emissioni di gas serra come un nuovo indicatore obbligatorio. Entro il 2025 tutti gli attestati di prestazione a livello europeo dovrebbero essere basati su una scala armonizzata di classi di rendimento energetico uguali per tutti gli Stati: da “A” a “G” con “A” che significa ‘edifici a zero emissioni’ e “G” che corrisponde alla prestazione energetica peggiore. Dovranno avere degli attestati di prestazione anche tutti gli immobili messi in vendita o in affitto con l’indicazione della classe energetica di riferimento. Di nuovo, invece, la Commissione ha pensato all’introduzione di un “passaporto di ristrutturazione o di rinnovo”, per registrare quali potrebbero essere le diverse fasi nel processo di ristrutturazione di un edificio.

La proposta di revisione è parte centrale dei piani della Commissione europea per raddoppiare il tasso di rinnovamento energetico annuale delle abitazioni e degli edifici non residenziali entro il 2030 e favorirne una profonda ristrutturazione energetica, inseriti nella strategia “Ondata di rinnovamento” (Renovation Wave) presentata a ottobre 2020.