ghiacciaio groenlandia

Caldo record in Groenlandia: sciolto 35% calotta glaciale a settembre

In Groenlandia sembra più luglio che settembre. Ed è allarme scioglimento ghiacciai. Dopo un’estate abbastanza fredda e umida, un’ondata di caldo lo scorso fine settimana ha causato un ampio scioglimento della calotta glaciale. “Il tipo di scioglimento che si vede tipicamente in piena estate” come scrive il Washington Post citando i ricercatori della zona secondo cui si tratta del più grande evento di fusione che si verifica a settembre, secondo analisi che coprono quasi quattro decenni. “Questo evento dimostra come il riscaldamento globale non solo aumenti l’intensità ma anche la durata della stagione di scioglimento dei ghiacciai“, ha affermato Maurice van Tiggelen, scienziato polare dell’Università di Utrecht nei Paesi Bassi.

Il primo giorno di settembre, in genere, segna la fine della stagione di scioglimento della Groenlandia, poiché i raggi del sole si abbassano e le temperature si raffreddano. Tuttavia, durante il fine settimana scorso, le temperature hanno iniziato a salire quando un getto d’aria calda si è spinto verso nord attraverso la baia di Baffin e la costa occidentale della Groenlandia. Di conseguenza, decine di miliardi di tonnellate di ghiaccio sono andate perse: un evento che, spiegano i ricercatori, potrebbe contribuire ad aumentare l’innalzamento del livello del mare. Tra venerdì e lunedì, diverse stazioni meteorologiche hanno registrato la temperatura massima per tutto l’anno: in alcune parti della Groenlandia occidentale si sono sfiorati i 36 gradi Fahrenheit (20°C), molto al di sopra della norma per questo periodo dell’anno. Il caldo ha quindi provocato lo scioglimento su circa il 35% della calotta glaciale, dato che si osserva di solito a luglio. In generale, a settembre si scioglie solo il 10 percento della superficie.

Con il cambiamento climatico, gli scienziati si aspettano che periodi di calore più duraturi e più forti influiscano sulla calotta glaciale, aumentando lo scioglimento generale dei ghiacciai.

(Photo credits: Kerem YUCEL / AFP)

Allerta Onu: “Qualità aria minacciata da un contraccolpo climatico”

Le ondate di calore e gli incendi boschivi diventeranno più frequenti, intensi e duraturi a causa dei cambiamenti climatici, con conseguente degrado della qualità dell’aria e della salute umana. È l’avvertimento lanciato dall’Onu attraverso il nuovo rapporto dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM). Una dinamica di rafforzamento reciproco tra inquinamento e riscaldamento globale, si legge nel report, porterà a un “contraccolpo climatico” che colpirà centinaia di milioni di persone.

Il Bollettino annuale dell’OMM sulla qualità dell’aria e il clima si concentra in particolare sull’impatto dei fumi degli incendi boschivi nel 2021, quando, come nel 2020, il caldo e la siccità hanno esacerbato la diffusione dei roghi nel Nord America occidentale e in Siberia, portando a un aumento significativo dei livelli di particolato fine (PM 2,5) dannoso per la salute. “Si prevede che il riscaldamento globale provochi un aumento degli incendi boschivi e dell’inquinamento atmosferico che essi causano, anche se le emissioni sono basse“, afferma il segretario generale dell’OMM Petteri Taalas, sottolineando che questo fenomeno avrà un impatto sulla salute umana, ma anche sugli ecosistemi, poiché gli inquinanti atmosferici si depositano sulla superficie terrestre. “Abbiamo osservato questo processo durante le ondate di calore in Europa e in Cina di quest’anno, quando le condizioni atmosferiche stabili, il forte soleggiamento e i venti deboli hanno favorito alti livelli di inquinamento“, spiega. Secondo le osservazioni globali, la superficie totale annua bruciata mostra una tendenza al ribasso negli ultimi due decenni, grazie alla diminuzione del numero di incendi di savane e praterie.

Tuttavia, su scala continentale, alcune regioni mostrano tendenze all’aumento, tra cui aree del Nord America occidentale, dell’Amazzonia e dell’Australia. Intensi incendi boschivi hanno provocato concentrazioni insolitamente elevate di PM 2,5 in Siberia, Canada e Stati Uniti occidentali nei mesi di luglio e agosto 2021. Nella Siberia orientale, queste concentrazioni hanno raggiunto livelli “mai osservati prima“, secondo l’OMM, soprattutto a causa delle temperature particolarmente elevate e dei terreni aridi. Quello che è successo quest’anno è “un’anticipazione di ciò che accadrà, poiché si prevede un ulteriore aumento della frequenza, dell’intensità e della durata delle ondate di calore, secondo Taalas. Questi sviluppi potrebbero degradare ulteriormente la qualità dell’aria attraverso un fenomeno noto come ‘backwash climatico’, un termine che si riferisce all’effetto di amplificazione che il cambiamento climatico ha sulla produzione di ozono troposferico a scapito dell’aria che respiriamo. Le regioni in cui questo fenomeno sarà più evidente – soprattutto in Asia – ospitano circa un quarto della popolazione mondiale, ha dichiarato ai giornalisti Lorenzo Labrador, scienziato capo dell’OMM. Il cambiamento climatico, intensificando gli episodi di inquinamento da ozono in superficie, potrebbe quindi influire sulla salute di centinaia di milioni di persone.

(Photo credits: EVARISTO SA / AFP)

tempesta

Tempeste causate da riscaldamento globale: “Un colpo di frusta meteorologico”

Le tempeste che si sono abbattute sugli Stati Uniti e in altre parti del mondo questa estate sono un chiaro segnale del riscaldamento globale. La scienza concorda: il cambiamento climatico sta avendo effetti devastanti su tutto il pianeta e questi fenomeni meteorologici, un tempo raro, ora stanno diventando più intensi e frequenti, con effetti potenzialmente devastanti. Gli Usa stanno pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane: almeno 40 persone sono smorte a luglio in Kentucky, Illinois, Texas e Missouri, a causa delle tempeste arrivate in un periodo di estrema siccità. Il suolo, troppo secco, non è più in grado di assorbire l’acqua. Durante uno di questi episodi sono caduti più di 300 millimetri di pioggia, evento che, secondo i modelli statistici, si verifica solo una volta ogni mille anni. “È come un colpo di frusta meteorologico“, spiega Peter Gleick, co-fondatore del Pacific Institute, una ong specializzata nello studio dell’acqua. E ciò è dovuto ad “un’intensificazione del ciclo idrologico globale“, conseguenza del riscaldamento globale.

Da anni gli scienziati da anni avvertono dell’impatto dell’innalzamento della temperatura del pianeta causato in particolare dall’uso di combustibili fossili e dall’emissione di gas serra, le cui conseguenze ora sono chiare. Gli effetti del cambiamento climatico stanno infatti diventando molto concreti: i luoghi asciutti sono ancora più asciutti, i luoghi umidi ancora più umidi. “Il punto in comune tra queste forti precipitazioni e altri fenomeni eccezionali dello stesso tipo è un cocktail di ingredienti molto preciso“, necessario per il loro innesco, sottolinea David Novak, che dirige l’ufficio previsioni del tempo all’interno dei Servizi meteorologici americani (NWS). “Servono umidità e instabilità nell’atmosfera. E poi un innesco per la formazione della tempesta“, spiega.

Le tempeste ovviamente non sono rare in Texas o nell’Illinois in estate, ma la loro intensità legata all’altissima pressione atmosferica è la diretta conseguenza del riscaldamento del pianeta. “Più l’aria è calda – dice il meteorologo – più sarà maggiormente umida. E più c’è umidità più è facile che si formino le tempeste“. Secondo la formula di Clausius-Clapeyron, un aumento della temperatura di 1 grado Celsius è associato a un aumento di circa il 7% dell’umidità nell’atmosfera. Questo, dice Novak, è ciò che capovolge i modelli statistici delle previsioni meteorologiche e spiega perché quello che una volta era un fenomeno raro ora è più frequente, come le cinque tempeste che hanno colpito gli Stati Uniti quest’estate. tempeste che, prima dell’era industriale, avevano una probabilità dello 0,1% di formarsi, il che significa che in media si verificavano solo ogni mille anni. Ma questa percentuale aumenta drammaticamente in un contesto di riscaldamento globale.

(Photo credits: Valery HACHE / AFP)

kenya

In Kenya si alza il livello del Lago Turkana: isolata un’antica tribù

Alle prime luci dell’alba, i bambini della tribù El-Molo, una delle più piccole e isolate del Kenya, indossano i loro giubbotti di salvataggio arancioni. La strada per la scuola inizia attraversando il lago Turkana su una barca di legno. Fino a poco tempo fa coprivano la distanza a piedi. Una strada collegava il loro piccolo villaggio al resto del mondo, un’ancora di salvezza per questa antica comunità di pescatori e artigiani che vive sulle rive del lago desertico più grande del mondo.

Ma tre anni fa le acque color smeraldo hanno cominciato a lambire le capanne circolari, per poi salire, raggiungendo livelli mai visti a memoria d’uomo. L’area del Lago Turkana, considerata una delle culle dell’umanità, si estende per oltre 250 km di lunghezza e 60 di larghezza nel nord del Kenya. Tuttavia, secondo uno studio governativo pubblicato lo scorso anno, è aumentata del 10% tra il 2010 e il 2020 e quasi 800 km2 di terreno sono stati inghiottiti. Diversi fattori spiegano questo fenomeno: precipitazioni estreme sui bacini idrografici, legate al riscaldamento globale, aumento del deflusso dal suolo legato alla deforestazione e all’agricoltura, ma anche movimenti tettonici. L’innalzamento dell’acqua ha fatto scomparire anche l’unica fornitura di acqua dolce.

Prima non c’era mai acqua qui. Ci si poteva guidare una jeep“, dice Julius Akolong, mentre attraversa l’ampio canale che ora separa la sua comunità dal resto del Kenya settentrionale. Intrappolata dalle acque del lago, a volte chiamato il “mare di giada“, la comunità di El-Molo è ora pesantemente minacciata. Secondo l’ultimo censimento del 2019, gli abitanti erano 1100, una goccia d’acqua tra i 50 milioni di abitanti e gli oltre 40 gruppi etnici del Paese.

Conosciuti come ‘coloro che mangiano pesce’ dalle tribù di pastori del Kenya settentrionale, gli El-Molo sono migrati un millennio fa dall’Etiopia al Turkana. Oggi pochissimi parlano la loro antica lingua. Nel corso delle generazioni e con i matrimoni con le tribù vicine, le usanze si sono evolute o sono scomparse. L’inaspettata ascesa del lago sta facendo il resto.

Alcuni degli abitanti hanno eretto un accampamento improvvisato sulla sponda opposta del lago: baracche incastonate in una radura arida e battuta dal vento. La scuola è sicuramente più vicina, ma chi ha scelto di vivere lì è più distante dalla comunità. Per coloro che sono rimasti, la vita sull’isola si è trasformata in una battaglia. Reti da pesca e cesti usati da millenni, intrecciati a mano con canne e fibre di palma, sono diventati meno efficaci in acque più profonde, rendendo la cattura più limitata. Non potendo più accedere all’acqua dolce, gli El-Molo sono costretti a bere l’acqua del Turkana, il lago più salato dell’Africa, con tutti i conseguenti disturbi.

I bambini sono i più penalizzati. La maggior parte di loro è bloccata in in casa, privata ​​della scuola perché i loro genitori non possono pagare il trasporto sul peschereccio. Il governo locale e la Ong World Vision stanno aiutando questa popolazione, ma le risorse sono scarse e le esigenze sono molte in questa regione gravemente colpita dalla siccità. La recinzione della scuola e i servizi igienici sono sott’acqua, i coccodrilli hanno invaso parte del parco giochi.

Ma il vero danno per El-Molo è quello identitario. Si stanno perdendo i riti di iniziazione, le cerimonie battesimali e i funerali che rafforzano l’identità e la comunità tribale. Le tombe degli avi sono state inghiottite dall’acqua e il lago minaccia anche i santuari delle divinità tribali.

(Photo credits: SIMON MAINA / AFP)

Squalo di tre metri intrappolato in Liguria. Predatore in aumento in Italia causa surriscaldamento

Uno squalo di circa tre metri è rimasto intrappolato nelle reti di un peschereccio a largo di Capo Nero, tra Sanremo e Ospedaletti. L’animale è stato poi ributtato in mare. Non è la prima volta che uno squalo di queste dimensioni viene avvistato o catturato nei nostri mari e, soprattutto in Liguria. Una delle cause dell’aumento della loro presenza intorno alla penisola potrebbe essere legata al riscaldamento dei mari.

montagna

Montagne in pericolo: sempre più crolli, il caldo può essere una concausa

Scalare le vette alpine sta diventando sempre più pericoloso. Prima il crollo del seracco del ghiaccio della Marmolada che il 3 luglio scorso ha fatto 11 vittime, poi la frana sul Cervino avvenuta il 2 agosto a quota 3.715 metri, infine una frana di grandi dimensioni che si è verificata nel primo pomeriggio del 3 agosto in val Fiscalina, nelle Dolomiti di Sesto in Alto Adige.

Alla luce di questi eventi, il 14 luglio a causa delle condizioni in alta quota legate alla siccità e al connesso rischio di crolli, in via precauzionale le società Guide alpine del Cervino e di Courmayeur hanno sospeso la vendita della salita alla vetta del Cervino e del Monte Bianco, le vie per il Dente del Gigante e la Cresta di Rochefort. Ieri invece il sindaco di Saint-Gervais, in Francia, ha disposto la chiusura dei rifugi di Tete Rousse e del Gouter, lungo la via normale al Monte Bianco più frequentata. Appena qualche giorno prima aveva annunciato una cauzione da 15mila euro per eventuali spese di soccorso e sepoltura per quegli alpinisti che si arrischiavano a salire.

Anche secondo il sindacato delle Guide Alpine il caldo eccessivo e prolungato delle ultime settimane può essere il responsabile della più debole tenuta del permafrost sulle pareti delle vette più elevate. Il permafrost è il substrato costituito da rocce e ghiaccio tenuto insieme dal gelo, che caratterizza il corpo delle montagne al di sopra dei 3.300-3.500 metri.

Per Daniele Giordan, ricercatore del Cnr Irpi, raggiunto da GEA, “il perdurare dello zero termico a quote molto elevate può costituire un fattore destabilizzante aggiuntivo, ma non è la causa principale delle frane, può essere invece una concausa. Il crollo delle montagne, non solo delle Alpi, è infatti un processo naturale; questi fenomeni in estate si sono sempre verificati. La sensibilità attuale però, dopo i fatti della Marmolada, deve far aumentare l’attenzione su questi processi fisiologici. Va ricordato come in realtà il trend climatico attuale ed estremamente evidente, costituisca un elemento di disturbo aggiuntivo, soprattutto a quote più alte. Esistono zone con permafrost, il ghiaccio contenuto nelle fratture della massa rocciosa che fa da collante, che possono venire sottoposte a stress. Ma l’elemento su cui ragionare è che queste condizioni stanno facendo aumentare la quantità di rischi aggiuntivi. Le montagne non sono zone a rischio zero, tanto è vero che nei giorni precedenti al crollo sul Cervino, le guide alpine avevano smesso di utilizzare la via principale per la salita in vetta. Allo stato attuate delle cose dunque vanno prese in considerazione cautele aggiuntive. In queste condizioni è necessario valutare con estrema attenzione gli itinerari da seguire e le vette che si vogliono scalare, quindi è fondamentale affidarsi ai consigli e all’accompagnamento di guide esperte“.

Quindi, cosa porta le montagne a frammentarsi?

Gli esperti spiegano che le catene montuose non sono elementi statici, ma corpi vivi. Ma la destabilizzazione delle pareti rocciose non è un fenomeno che si verifica all’improvviso; a un occhio inesperto potrà sembrare così, perché si valuta solo il momento della frana, ma l’evento ‘cedimento’ è invece il risultato di un lungo processo che può durare diverse migliaia di anni. A seconda della struttura delle rocce e della topografia i processi di erosione possono agire in modo più lento o più veloce. In alta montagna assumono poi un ruolo importante anche i ghiacciai e il permafrost. Diversi fattori possono portare alla formazione e all’apertura di fessurazioni, tra questi le variazioni di temperatura nell’alternanza delle stagioni, la pressione del ghiaccio nelle fessurazioni (pressione criostatica), l’erosione ad opera dei ghiacciai, i cambiamenti dei livelli dei ghiacciai e le intense precipitazioni.

Secondo l’istituto svizzero per lo studio della neve e delle valanghe (Slf), il riscaldamento climatico accelera alcuni processi: “In molti luoghi – spiega infatti la dottoressa Marcia Phillipssi osserva un aumento della temperatura del permafrost roccioso, come evidenziato dalle misurazioni dell’Slf e della rete di rilevamento Permos presso diverse località delle Alpi svizzere. Questo avviene all’incirca nella stessa misura in cui si innalza anche la temperatura dell’aria. Quando il ghiaccio si riscalda, la sua azione stabilizzante sulle fessurazioni perde efficacia. Poco sotto gli 0° la sua stabilità diminuisce rapidamente. In questo modo i versanti montuosi ripidi possono diventare instabili, con un conseguente aumento dei crolli di rocce nelle regioni caratterizzate dal permafrost. I ghiacciai possono fornire un supporto meccanico alle pareti rocciose. Lo scioglimento dei ghiacci in seguito al riscaldamento globale fa venir meno tale sostegno, per cui la roccia già fragile può in alcuni casi crollare“.

ghiacciai

Scienziati in allerta: “Il mondo non si sta preparando al peggio”

La possibilità di una catena di disastri dovuti al riscaldamento globale è “pericolosamente sottovalutata” dalla comunità internazionale. È l’avvertimento lanciato in uno studio pubblicato martedì 2 luglio da alcuni scienziati che invitano il mondo a pensare al peggio per prepararsi al meglio. In un articolo pubblicato sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), i ricercatori affermano che è stato fatto troppo poco lavoro sui meccanismi che potrebbero portare a rischi “catastrofici” e “irreversibili” per l’umanità: ad esempio, se gli aumenti di temperatura saranno peggiori del previsto o se innescheranno eventi a cascata non ancora previsti, o entrambe le cose. “Conosciamo meno gli scenari che contano di più“, scrive Luke Kemp del Centre for the Study of Existential Risk di Cambridge.

Con l’intensificarsi delle ricerche sui punti critici del clima terrestre, come lo scioglimento irreversibile delle calotte glaciali o la perdita della foresta amazzonica, aumenta la necessità di considerare scenari ad alto rischio nella modellazione climatica, afferma Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impacts e coautore della ricerca. “Le vie dei disastri non si limitano agli impatti diretti delle alte temperature, come gli eventi meteorologici estremi. Effetti di ricaduta come crisi finanziarie, conflitti e nuove epidemie potrebbero innescare ulteriori calamità e ostacolare la ripresa da potenziali disastri come la guerra nucleare“, aggiunge Luke Kemp.

In risposta al tragico scenario, il team propone un’agenda di ricerca per aiutare i governi a combattere i “quattro cavalieri” di quella che chiamano una “apocalisse climatica“: carestie e malnutrizione, eventi meteorologici estremi, conflitti e malattie trasmesse da vettori. Gli autori sottolineano che i rapporti scientifici degli esperti climatici delle Nazioni Unite (IPCC) si sono concentrati principalmente sugli effetti previsti di 1,5-2°C di riscaldamento. Ma le attuali azioni governative stanno invece portando la Terra su una traiettoria di riscaldamento di 2,7°C entro la fine del secolo, ben lontana dagli 1,5°C previsti dall’accordo di Parigi del 2015. Lo studio suggerisce che una certa tendenza scientifica aprivilegiare lo scenario meno peggiore” ha portato a non prestare sufficiente attenzione agli impatti potenziali di un riscaldamento di 3°C o più. I ricercatori hanno calcolato che le zone di calore estremo – con una temperatura media annua superiore a 29°C – potrebbero colpire due miliardi di persone entro il 2070.

(Photo credits: Kerem Yücel / AFP)

ghiacciai

Nel 2100 quasi tutti i ghiacciai lombardi saranno scomparsi

Siccità e cambiamenti climatici non danno scampo: secondo il Servizio glaciologico lombardo nel 2100 (scenario pessimistico) quasi tutti i ghiacciai della Lombardia saranno scomparsi. Il dato emerge dal monitoraggio e dalle stime che il sistema diffonde attraverso il link ‘Scenari futuri’.

In questa sezione dell’Osservatorio si mostra l’evoluzione futura della massa glaciale dell’intera regione Lombardia nei più recenti scenari climatici Ipcc (Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico) elaborati da Zekollari et. al. nel 2019. Lo studio mette a confronto tre scenari: il primo è definito ‘Business as usual’, cioè sic stantibus rebus, perché non prevede alcun intervento per il contenimento del cambiamento climatico. Il secondo scenario è mediano e prende in considerazione interventi moderati che non consentono comunque il raggiungimento degli obiettivi di contenimento a +2 °C previsto dall’accordo di Parigi; infine il terzo considera raggiunti gli obiettivi di contenimento. In tutti i casi la prospettiva non è allettante; si va infatti sempre verso la quasi completa scomparsa dei ghiacciai, ma a un ritmo un po’ più lento a seconda delle misure intraprese.

Il Servizio glaciologico prende in considerazione gli oltre 100 ghiacciai lombardi e per ognuno realizza un grafico con i tre scenari. Quelli più indicativi riguardano però i ghiacciai maggiori, come l’Adamello, Forni o Fellaria Palù. Secondo il grafico dell’Adamello, i tre scenari corrono paralleli e crollano intorno al 2050 per azzerare il ghiacciaio intorno al 2060. Il ghiaccio Forni invece nella peggiore delle ipotesi scomparirà poco prima del 2100; secondo lo scenario mediano resterà intorno al 10% a fine secolo e nella migliore delle ipotesi al 2100 sarà presente solo il 24% del ghiacciaio originario. L’altro terzo grande ghiacciaio è quello di Fellaria Palù: qui le cose vanno un po’ meglio, nel senso che per lo scenario più ottimistico nel 2100 la massa di ghiaccio sopravvivrà per poco più del 50%; lo scenario mediano lo vede ridotto al 25% nel 2100; quello peggiore completamente estinto alla fine del secolo.

Questi modelli – spiega a GEA il responsabile scientifico del Servizio glaciologico lombardo, Riccardo Scottifunzionano meglio su un ghiacciaio consistente, sono infatti più attendibili. Chiaramente questa è una stima di massima, perché vanno tenute in debita considerazione le variabili annuali con minore o maggiore apporto di neve, ma è innegabile che i ghiacciai si stanno ritirando a ritmo molto sostenuto“. Secondo Scotti questa accelerazione è stata osservata con chiarezza a partire dagli anni Novanta del secolo scorso e poi dal 2003. “Da quelle date – spiega – ci sono state sempre più annate molto negative; in pratica negli ultimi vent’anni i ghiacciai arretrano sei volte più velocemente rispetto alla media degli anni precedenti agli anni Novanta. Chiaramente questo è imputabile al surriscaldamento globale, evento che pare inarrestabile“.

Ma perché i ghiacciai sono importanti? “La loro funzione – prosegue Scotti – è quella di fornire acqua ai fiumi durante l’anno, ma con impatto maggiore durante l’estate; nelle altre stagioni invece i fiumi vengono ingrossati dalle piogge o dallo scioglimento delle nevi. Quindi i ghiacciai sono un prezioso serbatoio di acqua in periodi siccitosi come quello che stiamo vivendo in questi mesi. Si stima che i ghiacciai diano un contributo del 30% ai fiumi, percentuale che sale in estate a causa della scarsità di piogge. Se scomparissero dunque, perderemmo una risorsa d’acqua che serve a tamponare i periodi di siccità estiva“.

Tutto l’arco alpino in questi anni e negli ultimi mesi sta vivendo un periodo di forte disequilibrio naturale a causa del cambiamento climatico. In questa fase di transizione i ghiacciai tendono quindi a sparire e anche il permafrost (il ghiaccio ritenuto perenne) risale.

Non va poi dimenticato un altro aspetto – chiarisce Scotti –: anche se non sembra, i ghiacciai sono degli ecosistemi ricchi di vita; contengono infatti batteri ed alghe poco conosciuti e che forse non conosceremo mai se il ghiaccio continua a sciogliersi a questa velocità. La scomparsa dunque significa anche una perdita ecologica. Poi la loro presenza ha un’importanza anche turistica ed energetica; della loro acqua infatti si arricchiscono i torrenti che producono energia idroelettrica. Questo per quanto riguarda i ghiacciai alpini, se guardiamo invece a quelli molto più estesi a livello globale, la loro perdita significa l’innalzamento dei livelli degli oceani“.

Scotti conclude infine con un’immagine poco confortante per le generazioni future: “Alla fine di questo secolo, osservare la scomparsa dei ghiacciai, non sarà il problema più urgente per l’umanità. Se si sarà infatti giunti a questo punto, significa che la situazione climatica a livello globale sarà drammatica“.

rifugio

Lo scioglimento dei ghiacciai ridisegna confini tra Italia e Svizzera

In cima alla montagna c’è un rifugio costruito sul versante italiano. Ma il cambiamento climatico ha spostato il confine del ghiacciaio e due terzi della struttura arroccata a 3.480 metri sul livello del mare si trovano ora in Svizzera. Guide del Cervino, inaugurato nel 1984, si trova a Valtournanche, in Valle d’Aosta, sulla vetta della Testa Grigia, ai bordi del ghiacciaio del Plateau Rosa. Vi si accede da Breuil-Cervinia, sfruttando gli impianti di risalita che passano da Plan Maison e Cime Bianche Laghi. Da qui parte la funivia che raggiunge il Plateau. Il rifugio, che offre vitto e alloggio, è uno dei più apprezzati in questo angolo delle Alpi e per più di tre anni è stato oggetto di intense trattative diplomatiche tra l’Italia e la Svizzera, fino al raggiungimento di un compromesso, trovato lo scorso anno. Il contenuto della trattativa, però, resterà segreto fino al 2023, quando il governo svizzero lo approverà. Al centro della diatriba c’è proprio il nuovo disegno dei confini. Alain Wicht, responsabile del confine nazionale svizzero, ha partecipato alle trattative in cui, dice, ciascuno ha fatto concessioni per trovare “una soluzione affinché entrambi si sentano se non vincitori, almeno non perdenti“.

Sui ghiacciai alpini, la frontiera italo-svizzero segue la linea di separazione delle acque, il cui flusso verso nord segna il territorio svizzero, quello verso sud il territorio italiano. Lo scioglimento del ghiacciaio Theodul, che ha perso quasi un quarto della sua massa tra il 1973 e il 2010, ha lasciato il posto alla roccia, costringendo i due Paesi a ridisegnare i confini. Di solito, spiega Witch, la questione si risolve confrontando i dati raccolti dai due Paesi, senza necessità di interventi politici. Questa volta, però, la situazione è diversa, perché il rifugio Guide del Cervino dà un valore economico al terreno. Il ragionamento è chiaro: se il suolo su cui è necessario tracciare le nuove frontiere è ‘povero’, cioè non ha un valore misurabile dal punto di vista economico, la partita si gioca velocemente e non lascia feriti in campo. Se, invece, come in questo caso, c’è di mezzo una struttura che porta un valore aggiunto all’economia, ecco che la querelle si trasferisce sul piano diplomatico.

Dall’Italia nessun commento “per la complessa situazione internazionale. Più loquace l’ex capo della delegazione svizzera, Jean-Philippe Amstein, che spiega che di solito queste controversie si risolvono attraverso uno scambio di territori di simile superficie e valore.

Il custode di Guide del Cervino, Lucio Trucco, 51 anni, è stato informato che rimarrà sul suolo italiano. “Il rifugio resta italiano – dice – perché siamo sempre stati italiani: il menu è italiano, il vino è italiano e le tasse sono italiane“. Questi anni di trattative hanno ritardato la ristrutturazione del rifugio, perché nessuno dei due Paesi ha potuto rilasciare i necessari permessi. I lavori non saranno quindi terminati in tempo per l’apertura, nel 2023, di una nuova funivia sul versante italiano del Piccolo Cervino.

(Photo credit: Tamer BÜKE)

squalo bianco

Sempre più squali a largo degli Usa: colpa del surriscaldamento

Una storia di successo per la protezione degli animali, con però alcune ripercussioni negative: negli ultimi anni gli squali bianchi sono aumentati di numero al largo della costa orientale degli Stati Uniti, aumentando però anche la probabilità di sfortunati incontri con i nuotatori. Ogni anno, durante i mesi estivi, questi predatori risalgono la costa atlantica degli Stati Uniti verso il New England. Il picco della stagione si verifica tra agosto e ottobre. A Cape Cod, nel Massachusetts, il personaggio principale del film ‘Lo squalo’ è diventato un’attrazione turistica, adornando cappellini e magliette. Ma quest’anno le spiagge sono già state temporaneamente chiuse a causa della presenza dell’animale.

Quasi 300 squali bianchi sono stati marcati nel corso degli anni e una dozzina si trovano già nella zona, secondo il biologo degli squali del Massachusetts Gregory Skomal. Secondo le sue stime, ogni anno più di 100 squali bianchi passano per queste acque. Dagli anni Novanta, nell’Atlantico sono in vigore norme per proteggere queste specie dalla pesca. “C’è un aumento generale della popolazione, che pensiamo sia una ripresa da livelli molto elevati di sovrasfruttamento“, ha dichiarato all’AFP, anche se è difficile fornire una stima precisa del loro numero.

Inoltre, gli squali bianchi tendono a nuotare sempre più vicino alla costa per cacciare una delle loro specie preferite: le foche. Anche loro sono state protette e il loro numero sta crescendo. Il risultato è un maggior numero di squali che si avvicinano alle zone di balneazione. “Gli attacchi di squali sono molto rari, ma negli ultimi dieci anni sono aumentati“, afferma Gregory Skomal.

ATTACCHI

Nello Stato di New York, il governatore ha appena annunciato ulteriori pattuglie di sorveglianza, anche con droni o elicotteri. Sulle spiagge turistiche di Long Island sono già stati segnalati dalla stampa diversi morsi di squalo. Gli squali bianchi non sono necessariamente responsabili, in quanto nella zona sono presenti diverse altre specie, tra cui squali toro e tigre. Si tratta di un numero insolito di attacchi dopo tre anni di assenza. Secondo Gavin Naylor, direttore di un programma di ricerca sugli squali presso l’Università della Florida, ciò è legato alla maggiore presenza quest’anno di alcuni pesci che attirano i predatori, forse a causa delle correnti calde. Ma mentre i numeri locali possono variare notevolmente da un anno all’altro, a livello globale si registrano ancora circa 75 attacchi di squali all’anno, dopo essere scesi a circa 60 durante i due anni di pandemia. Il numero di morti è di circa cinque. Negli ultimi 20 anni, negli Stati Uniti ci sono stati solo due decessi a nord del Delaware, a Cape Cod nel 2018 e nel Maine nel 2020. Ma in futuro è ragionevole pensare che il numero di vittime aumenterà. “Ci sono più squali bianchi, quindi la probabilità aumenterà. Ci saranno più morsi“, ha riassunto Gavin Naylor. Per il momento, le variazioni generali osservate non sono statisticamente significative. I surfisti, che si avventurano più al largo, hanno rappresentato la metà delle vittime degli attacchi nel 2021. Più a sud, la Florida, con le sue numerose spiagge turistiche e il clima tropicale, rappresenta ancora il 60% degli attacchi statunitensi e quasi il 40% di quelli globali.

squalo bianco

LIMITARE I RISCHI

Gli squali sono ben lontani dalle bestie assetate di sangue che a volte vengono ritratte nei film. Gli studi hanno dimostrato che possono scambiare i surfisti e i nuotatori per le loro prede abituali, in particolare gli squali bianchi, che hanno una vista scarsa. “Con così tante persone in acqua in tutto il mondo, se gli squali preferissero nutrirsi di prede umane, avremmo decine di migliaia di attacchi ogni anno“, afferma Gregory Skomal. Con il cambiamento climatico, l’esperto prevede che l’aumento delle temperature oceaniche allungherà gradualmente la stagione in cui gli squali sono presenti negli Stati Uniti settentrionali. Cosa si può fare per limitare i rischi? Esiste un’app che consente a chiunque di segnalare l’avvistamento di uno squalo. In acqua, “guardatevi intorno“, consiglia Nick Whitney, scienziato del New England Aquarium. Se un gran numero di uccelli insegue i pesci, “probabilmente significa che anche gli squali se ne nutrono. Se si viene morsi, il pericolo reale è quello di morire dissanguati, quindi è importante raggiungere la riva e controllare l’emorragia fino all’arrivo dei soccorsi.