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Bando petrolio russo: Ue fatica a trovare intesa ma resta ottimista

Difficoltà e ostacoli” rallentano l’adozione del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ma più di una fonte diplomatica dell’Ue vicina al dossier è convinta che un accordo tra i Ventisette ci sarà. E ci sarà sull’intero pacchetto, quindi anche sull’embargo graduale sul petrolio russo proposto dalla Commissione Europea: sei mesi per liberarsi del greggio importato e fino alla fine del 2022 per i prodotti raffinati, come la benzina.

Il più grande ostacolo al raggiungimento di un accordo sul pacchetto proposto ormai dieci giorni fa, è proprio la dipendenza dal petrolio russo di alcuni Paesi europei come l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia che tengono in ostaggio l’intero pacchetto in cambio di garanzie finanziarie. Budapest e Bratislava hanno già ottenuto, rispetto a tutti gli altri Stati membri, un’esenzione per continuare a importare petrolio russo fino alla fine del 2024, mentre per Praga la deroga è prevista fino alla metà del 2024.

Nei giorni scorsi più di una delegazione ha sollevato l’ipotesi di ‘spacchettare’ il pacchetto, ovvero lasciare fuori l’embargo sul petrolio (la questione più divisiva), sbloccare l’impasse e arrivare più in fretta a un accordo. Secondo più di un diplomatico, non ci sono le premesse per farlo perché si potrebbe restituire a Mosca l’immagine di una Unione Europea molto divisa e quindi molto debole. La decisione spetterebbe ai governi, ma il pacchetto ha una sua “coerenza interna e quindi credo che sarà adottato tutto insieme”, ha spiegato una fonte diplomatica. Ammette che “stiamo affrontando ancora difficoltà e ostacoli per raggiungere” un accordo a Ventisette, ma si è detto fiducioso che “riusciremo a trovare una soluzione che rispecchi unità e forza dell’Ue” contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio.

Secondo un’altra fonte, la discussione è ormai in stallo a livello tecnico di ambasciatori all’UE e non resta che avere una “spinta” a livello politico direttamente dalle Capitali. Un nuovo impulso politico che arriverà lunedì 16 maggio alla riunione dei ministri degli Affari esteri, che affronteranno il nodo sanzioni dopo che nel fine settimana proseguiranno i colloqui tecnici sulle misure restrittive. “Sono sicuro che avremo un accordo, ne abbiamo bisogno e lo avremo: dobbiamo liberarci della nostra dipendenza dal petrolio importato dalla Russia, pur tenendo conto delle situazioni (di dipendenza) di tutti gli Stati membri”, ha chiarito l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, al suo arrivo alla riunione dei ministri esteri del G7 in Germania. Se non ci sarà modo di trovare un compromesso a livello di rappresentanti permanenti presso l’Ue, cosa che ormai appare irrealistica, “dal Consiglio Esteri dovrà arrivare un impulso politico, me ne assicurerò”.

Energia, la soluzione della crisi passa solo dalla transizione verde

Come ha detto il presidente del Consiglio, Mario Draghi, tutti i provvedimenti che sono stati adottati in un lunedì non proprio uguale agli altri “sono il senso stesso del Governo”. Vanno nella direzione dei cittadini e delle imprese, sono destinati ad affrettare la transizione ecologica e l’indipendenza dalla Russia, ci proiettano in un futuro molto prossimo.

Il dl energia vale 14 miliardi, soprattutto imprime una svolta netta e inequivocabile sul fronte delle rinnovabili. Di fronte ai ritardi che rischiavano di zavorrare l’Italia e metterla in una posizione di grave disagio rispetto agli altri Paesi dell’Unione, l’esecutivo ha scelto di pigiare sul pedale dell’acceleratore senza esitazioni e andando oltre le controversie interne. Il pacchetto di semplificazioni che Roberto Cingolani, ministro della Transizione Ecologica, ha snocciolato in conferenza stampa è asciutto e ma molto efficace. In sostanza, via libera ai rigassificatori che saranno galleggianti e non permanenti, la strada più veloce per rimpiazzare i 29 miliardi di metri cubi di gas che attualmente arrivano da Mosca: il tutto verrà consegnato nelle mani di un commissario ma ci vorrà ancora almeno un anno, tempo ‘tecnico’ non eludibile; per 18-24 mesi utilizzo massivo delle 4 centrali a carbone che sono attualmente ancora attive in Italia, sempre nel rispetto dei dettami stabiliti dalla Ue; accelerazione dei processi autorizzativi riguardo alle procedure di valutazione dell’impatto ambientale e paesaggistico, sfruttando le aree militari; semplificazione, infine, anche per i cosiddetti “allacci” che collegano gli impianti alla rete.

Ha ricordato, il ministro Cingolani, che nei primi quattro mesi del 2022 sono stati autorizzati 2,5 gigawatt su 9 impianti e si è provveduto a sveltire il pregresso per evitare, ad esempio, che un parco eolico ci metta sedici anni a prendere vita, come è accaduto a Taranto. Nelle chiacchiere del dopo Cdm si è insistito molto sulla diversificazione energetica per arrivare al ‘crossing’, si è parlato anche di risparmio con il contenimento delle temperature (termosifoni e condizionatori), si è accennato al biogas, si è evidenziato il valore prezioso delle rinnovabili elettriche, è stata pure offerta la garanzia che il percorso di decarbonizzazione non subirà interruzioni. Tutto chiaro, pare. Tutto fissato in diagrammi, in schemi, in brochure. Tutto già pronto per l’attuazione perché non si può più esitare. Non resta che capire se basterà questo ‘pacchetto’ di provvedimenti per fare fronte a una crisi che sta svuotando le tasche della gente e degli imprenditori.

Ue, Comitato delle Regioni dà l’ok al suo ‘pacchetto energia’

Stop a gas e petrolio russi, ma “gradualmente. La guerra in Ucraina con le sue ripercussioni finisce nell’agenda dei lavori del Comitato europeo delle regioni, che richiama l’Europa degli Stati a fare attenzione alle realtà dei territori e alle loro necessità. Perché se esistono diversi sistemi Paese, al loro interno esistono città, provincie e regioni che non possono permettersi un arresto netto, immediato, di tutto ciò che serve per produrre e svilupparsi. Il ‘pacchetto energia’ votato dai membri riuniti in sessione plenaria dunque pone l’accento sulla diversità centro-periferia, differenza tra governi centrali e locali, e a questi ultimi chiede maggiore voce in capitolo per tutto ciò che riguarda la strategia di sostenibilità dell’Unione europea, a cominciare dall’ultimo tassello dettato dall’instabilità geopolitica, quella dell’indipendenza energetica.

Chiediamo la nuova strategia europea RepowerEu per sostenere la pianificazione locale per sicurezza energetica e investimenti nelle fonti di energia rinnovabile”, spiega il primo vicepresidente del Comitato, Vasco Alves Cordeiro (Pes), al termine del voto. Fermo restando che per il bene delle realtà locali è necessario immaginare “una riduzione progressiva delle importazioni di gas e petrolio” russi, per arrivare ad uno stop completo nel 2030. L’esatto contrario di quello che vorrebbe una parte dei governi nazionali e pure e soprattutto il Parlamento europeo, che su questo pacchetto sarà chiamato ad esprimersi nelle prossime settimane. A maggio sono attesi i voti delle commissioni, a giugno quello dell’Aula. Sulla base del voto, la Commissione europea dovrà stabilire come legiferare in materia.

Il sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ancora oggetto di lavori, sembra andare nella direzione indicata dal Comitato delle regioni. Sempre in tema di sicurezza delle forniture, l’istituzione Ue rappresentativa di comuni, province e regioni, propone il disaccoppiamento di gas ed elettricità come possibile misura per evitare che i prezzi elevati del gas incidano sui prezzi dell’energia elettrica. Si invita poi ad accelerare sincronizzazione, completamento e miglioramento delle reti e delle interconnessioni di gas, idrogeno ed elettricità in tutta l’Ue. Chiesto inoltre modifiche alle regole sugli aiuti di Stato per “stimolare gli investimenti strategici chiave” nell’idrogeno rinnovabile e nelle infrastrutture pubbliche per la ricarica dei veicoli elettrici. Sul fronte del meccanismo di compravendita dei certificati di emissione (Ets) i leader locali chiedono che almeno il 20% dei ricavi generati dalla vendita all’asta delle quote di Co2 sia gestito “direttamente dagli enti locali e regionali”. Inoltre, i membri del Comitato ribadiscono la loro richiesta di estendere la tariffazione del carbonio a tutti i settori, compresi i trasporti e l’edilizia. Maggiore centralità degli enti locali, poi, per la gestione della transizione. Si chiede maggior coinvolgimento nella stesura dei piani nazionali per il clima, e gestione diretta di almeno il 35% della dotazione finanziaria del Fondo sociale per il clima, da 72,2 miliardi di euro. Sul fronte dell’efficienza energetica si sostengono gli obiettivi del 3% di ristrutturazioni annuali degli edifici del settore pubblico e di almeno l’1,7% di riduzione della domanda di energia del settore pubblico, ma si chiedono “fondi diretti alle città e alle regioni” per realizzare i progetti del Green Deal. Nodo centrale anche lo sviluppo di energia da fonti rinnovabili, dossier slegato dalla strategia RepowerEu per l’indipendenza energetica ma comunque centrale per la transizione green a dodici stelle. Qui si chiede di facilitare le autorizzazioni e di “sviluppare più progetti transfrontalieri di energia rinnovabile al fine di diversificare l’approvvigionamento energetico” dell’Ue e realizzare un sistema energetico integrato e decarbonizzato. Infine si invita la Commissione a mantenere congelato il patto di stabilità e crescita, con i suoi vincoli, per tutto il 2023, così da evitare strozzature della crescita in tempi di incertezze e nuove crisi.

Gas, Ue avvisa imprese: “Pagare in rubli viola sanzioni alla Russia”

La Russia apre la guerra al gas contro l’Europa tagliando le forniture alla Polonia e Bulgaria, e trova un’Unione Europea impreparata su come affrontarne le conseguenze. La Commissione europea ha avvertito le imprese europee del fatto che accettare il “ricatto” di Mosca e pagare il gas in rubli è di fatto una chiara violazione del regime di sanzioni varato dall’Ue contro Mosca per l’aggressione dell’Ucraina, così come anche una violazione della maggior parte dei contratti di fornitura in essere con la Russia. Il 97% di questi prevede esplicitamente che le forniture siano pagate in euro o in dollari, non in valuta locale, e quindi pagarli in rubli sarebbe di fatto una violazione dei contratti stessi.

Il colosso energetico russo Gazprom ha tagliato mercoledì le forniture a Polonia e Bulgaria dopo che si sono rifiutate di pagare il gas in rubli, dando il via alla prima grande ritorsione di Mosca alle sanzioni europee da quando la guerra in Ucraina è cominciata lo scorso 24 febbraio. Il presidente russo Vladimir Putin ha firmato lo scorso 31 marzo un decreto per cambiare le regole sui pagamenti delle forniture di gas ai “Paesi ostili” alla Russia (ovvero tutti i Paesi occidentali) obbligando di fatto le imprese e gli acquirenti del gas russo ad aprire due conti in Gazprombank, la banca di Stato, uno in rubli e uno in euro: dopo aver depositato euro o dollari nel primo conto, Gazprombank deve poi convertirli in rubli in un secondo. Nel passaggio tra il primo e il secondo conto bancario c’è la ragione per cui l’Ue denuncia una violazione dell’attuale regime di sanzioni, dal momento che si considera il pagamento completato solo dopo il passaggio effettivo in rubli. Una operazione, ha spiegato un funzionario dell’Ue, che coinvolge la Banca centrale russa, una delle banche colpite dalle sanzioni varate dall’UE con cui i Paesi non possono effettuare transazioni di alcun tipo.

In quel passaggio le aziende perderanno totalmente il controllo del denaro, che rimarrà tutto “nelle mani della Russia, che può utilizzarlo per qualunque cosa prima di trasformarlo in rubli”, ha spiegato. Il pagamento, ha chiarito ancora, sarà considerato completato solo quando convertito in rubli. La stessa fonte ha precisato che a livello europeo c’è ampio consenso da parte dei governi a rifiutare questo ricatto da parte di Mosca e continuare a pagare in euro per le proprie forniture. Rassicurazioni che sono state poco dopo smentite dall’annuncio dell’Ungheria di soddisfare le richieste del Cremlino pagando in euro ma tramite Gazprombank. La precisazione dell’Esecutivo europeo arrivata giovedì si è resa necessaria dopo che varie delegazioni europee hanno sollevato preoccupazioni e denunciato scarsa chiarezza su in che modo accettare il decreto di Putin possa portare a violare il regime di sanzioni dell’Ue.

Più di una indiscrezione parla di vari acquirenti di gas russo che avrebbero già aperto il secondo conto in rubli presso Gazprombank, di cui la Commissione europea sostiene di non essere a conoscenza ufficialmente. Lunedì è stato convocato un Consiglio energia straordinario in cui il tema centrale sarà probabilmente la richiesta di maggiore chiarezza su cosa possono o non possono fare le aziende europee di fronte alle richieste di Putin per evitare di vedersi tagliate le forniture come nel caso di Sofia e Varsavia. E per non trovarsi, ancora, impreparati e divisi.

Energia, Commissione Ue punta a indipendenza dalla Russia nel 2027

La Commissione Europea prevede di eliminare gradualmente tutti i combustibili fossili in arrivo dalla Russia entro il 2027, nel suo piano per l’indipendenza energetica da Mosca. Nel corso della prima giornata di Consiglio Europeo a Versailles, giovedì la Commissione Ue ha presentato e dettagliato ai capi di Stato e governo il suo piano ‘REPower EU’, pubblicato l’8 marzo, chiarendo che a metà maggio avanzerà la proposta formale per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili (con esplicito riferimento non solo al gas naturale, ma anche al petrolio e al carbone), con le azioni per metterla in pratica. Nella comunicazione pubblicata martedì, l’Esecutivo europeo aveva indicato solo il periodo approssimativo di “prima del 2030” per porre fine alla dipendenza europea dalle risorse energetiche russe, diversificando i fornitori e accelerando gli investimenti alle rinnovabili.

L’Ue è dipendente per il 45% dalle importazioni di carbone dalla Russia, per quasi il 28% per il petrolio greggio e per il 38% per il gas (dati aggiornati al 2020). La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha chiesto ai leader il mandato per presentare la proposta a metà maggio, fissando per lo stesso periodo anche l’impegno per una proposta per ottimizzare la struttura del mercato europeo dell’elettricità in modo che sia più stabile di fronte alle crisi. Una valutazione che farà sulla base della relazione finale dell’Agenzia dell’Ue per la cooperazione tra i regolatori dell’energia (Acer) che dovrebbe arrivare in aprile e sulla base della quale deciderà come agire, se disaccoppiare i prezzi del gas e dell’elettricità per evitare che si influenzino troppo a vicenda. Entro la fine di marzo la Commissione prevede di mettere in campo anche misure eccezionali sul mercato, incluso il tetto temporaneo ai prezzi del gas. Sarà presentata la proposta per riempire le riserve di gas al 90% ogni anno prima dell’inizio dell’inverno e lanciata la task force per monitorare questo obiettivo.