Nord stream

Il gas da Nord Stream non ripartirà. La Ue si prepara al peggio

La Commissione europea è ormai convinta che i flussi di gas russo non torneranno a scorrere attraverso il Nord Stream 1 tanto presto e si prepara allo “scenario peggiore, ovvero la completa interruzione delle forniture russe all’Europa. “Stiamo lavorando sulla base del presupposto che (il gasdotto, ndr) non tornerà in funzione“, ha ammesso martedì mattina il commissario europeo al Bilancio, Johannes Hahn, a margine di un evento a Singapore, citato dal Wall Street Journal. Nord Stream 1 – controllato dal gigante russo del gas Gazprom – è la principale infrastruttura per il trasporto del gas russo all’Europa, con 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno trasferiti dalla Russia alla Germania, passando sotto al Mar Baltico.

Gli impianti di Nord Stream sono fermi in una manutenzione programmata (e strumentale) da parte del Cremlino da lunedì 11 luglio, per dieci giorni. Il periodo di fermo, dunque, dovrebbe concludersi questo giovedì, ma Bruxelles è ormai certa che non sarà così e i flussi non ripartiranno. Sono già emerse varie indiscrezioni a mezzo stampa secondo cui la compagnia russa Gazprom avrebbe comunicato ad alcuni clienti in Europa di non poter garantire le forniture di gas a causa di circostanze “straordinarie“.

Su cosa attende i Paesi membri dopo il prossimo giovedì è incognita ma Bruxelles si prepara al peggio. “È impossibile per noi predire le prossime mosse del (gigante del gas russo) Gazprom, ha chiarito il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, durante il briefing quotidiano con la stampa. “Ad oggi ci sono almeno 12 Stati membri che hanno sperimentato un taglio parziale o totale alle forniture di gas“. E dal momento che la Commissione europea sta preparando un piano di emergenza per la riduzione della domanda di energia, stiamo “prendendo in considerazione lo scenario peggiore possibile”, ovvero un’interruzione totale delle forniture all’Europa. La presentazione del piano in questione è prevista domani da parte di Bruxelles e “stiamo lavorando a ogni possibile scenario e uno di questi è la possibilità che i flussi di gas non riprendano”, ha precisato il portavoce.

Von der Leyen domani in Azerbaigian, l’Ue cerca l’intesa sul gas

Se all’inizio dell’invasione dell’Ucraina un’interruzione “grave” delle forniture di gas russo all’Europa era solo possibile, oggi l’Unione europea è sempre più certa che ci sarà e dunque accelera il lavoro per diversificare i fornitori di energia. Lunedì 18 luglio, ha confermato venerdì (15 luglio) l’esecutivo comunitario, la presidente Ursula von der Leyen e la sua commissaria per l’energia, Kadri Simson, voleranno in Azerbaigian per “rafforzare ulteriormente la cooperazione esistente” tra i due partner. Cooperazione sopratutto energetica, di fronte a un possibile taglio alle forniture di gas dal principale fornitore all’Europa, la Russia.

Del viaggio a Baku dell’esecutivo comunitario aveva parlato per la prima volta lo scorso 27 giugno la commissaria Simson, al termine di un Consiglio dei ministri europei dell’energia in cui si era mostrata preoccupata della possibilità concreta di vedersi tagliare completamente il gas dalla Russia. Bruxelles si prepara dunque a siglare un memorandum d’intesa con l’Azerbaigian per aumentare le importazioni di gas provenienti dalla regione. “Il corridoio meridionale del gas ha un ruolo centrale da svolgere nell’approvvigionamento di gas naturale dell’Ue, in particolare per l’Europa sudorientale“, si legge in una nota dell’esecutivo comunitario in cui è stata comunicata la traversata.

Il memorandum dovrebbe spianare la strada al raddoppio della capacità del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto TAP che trasporta in Europa il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio. Il gasdotto è lungo 878 km e si collega con il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico, prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia). A gennaio 2022 ha erogato circa 8 miliardi di metri cubi standard, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di metri cubi nell’estate 2022. Le trattative con Baku sono iniziate già lo scorso febbraio – nell’ottica di diminuire la dipendenza delle forniture dalla Russia, da cui provengono il 40% delle importazioni di gas all’Europa – per aumentare la capacità di erogazione massima da 10 miliardi di metri cubi l’anno a circa 20, raddoppiandone quindi la capacità.

A metà giugno Bruxelles aveva già siglato un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. L’insicurezza per ulteriori tagli alla fornitura di gas russo è aumentata questa settimana quando è iniziata la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino al 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre. A quanto riferito da Bruxelles, l’Ue e l’Azerbaigian stanno anche lavorando insieme per costruire un partenariato a lungo termine sull’energia pulita e l’efficienza energetica e negoziando un nuovo accordo globale, che consentirà una cooperazione rafforzata in un’ampia gamma di settori, tra cui la diversificazione economica, gli investimenti e il commercio.

Ucraina, Guterres: “A Istanbul progressi sostanziali per grano”

Per la prima volta in tre mesi, Mosca e Kiev si incontrano a Istanbul per cercare di sbloccare le esportazioni di grano dai porti ucraini.

Le delegazioni militari dei due paesi si sono parlate per tre ore. Un “raggio di speranza“, secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Antònio Guterres, che in tarda serata, rivolgendosi ai media, ha parlato di “progressi davvero sostanziali e fatto riferimento a un accordo formale che potrebbe arrivare presto anche se, ha precisato, “non ci siamo ancora“. Servirà un ulteriore lavoro tecnico.

Abbiamo assistito a un importante passo avanti per garantire l’esportazione sicura di prodotti alimentari ucraini attraverso il Mar Nero“, ha spiegato il capo dell’Onu. “Abbiamo un raggio di speranza per alleviare la sofferenza umana e la fame nel mondo. Un raggio di speranza per sostenere i Paesi in via di sviluppo e le persone più vulnerabili, un raggio di speranza per portare un po’ di necessaria stabilità al sistema alimentare globale“, ha scandito. Davanti alla “molta buona volontà” e all’ “impegno” dimostrati dalle parti, Guterres si è detto pronto a interrompere le sue imminenti vacanze per recarsi in Turchia e finalizzare l’accordo.

Circa 20 milioni di tonnellate di grano sono bloccate nei porti della regione di Odessa, nell’Ucraina meridionale, a causa dell’invasione russa iniziata il 24 febbraio, i colloqui di Istanbul avevano lo scopo di stabilire corridoi di navigazione sicuri per portarli fuori.

L’Ucraina è uno dei principali esportatori mondiali di grano e altri cereali, il tempo sta per scadere mentre l’aumento dei prezzi alimentari globali minaccia una nuova carestia, in particolare in Africa.

Secondo il Ministero della Difesa russo, Mosca “ha preparato e presentato una serie di proposte per una rapida risposta pratica al problema“. Martedì il Cremlino ha ribadito la richiesta di “controllo e perquisizione delle navi per evitare il contrabbando di armi e l’impegno di Kiev a non organizzare provocazioni“. La Russia chiede che l’Ucraina liberi i suoi porti, ipotesi che quest’ultima rifiuta di prendere in considerazione per paura di un assalto anfibio a città come Odessa.

Il capo della diplomazia ucraina, Dmytro Kuleba, si è detto relativamente fiducioso sull’esito dell’incontro: “Siamo vicini a un accordo, ha dichiarato al quotidiano spagnolo El Pais. “Tutto dipende dalla Russia“, ha aggiunto, avanzando il sospetto che i russi stiano cercando di privare Kiev di entrate: “Sanno che se esportiamo, riceveremo fondi dai mercati internazionali e questo ci rafforzerà“.

La Turchia, membro della Nato e alleato di entrambe le parti, ha compiuto per mesi sforzi diplomatici per facilitare la ripresa delle consegne. I funzionari turchi hanno dichiarato di avere 20 navi da carico nel Mar Nero pronte per essere caricate rapidamente con il grano ucraino.

Il viaggio del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ad Ankara, all’inizio di giugno, non ha portato ad alcun progresso sul tema, in assenza di una rappresentanza ucraina. Ma il Presidente russo Vladimir Putin e il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan si incontreranno il 19 luglio a Teheran a margine di un vertice sulla Siria, che potrebbe fornire il quadro per l’annuncio di un accordo.
Il capo di Stato turco ha svolto il ruolo di mediatore fin dall’inizio del conflitto, facendo attenzione, pur fornendo droni da combattimento all’Ucraina, a non offendere Mosca.

Via libera della Camera al dl Energia2, ma M5S si astiene. Draghi al Colle da Mattarella

Il decreto Energia 2 passa alla Camera, nonostante la scelta del M5S di non partecipare al voto finale. Il governo, intanto, sta mettendo a punto un piano di risparmio del gas in vista dell’inverno, e in caso di stop improvvisi (e totali) delle forniture da Mosca. Le cui avvisaglie ci sono da settimane. Anche nelle ultime ore: Gazprom, infatti, ha annunciato la sospensione dei flussi verso l’Europa fino al 21 luglio per la manutenzione del gasdotto Nord Stream. Non solo, il colosso russo ha anche ridotto i volumi per la giornata di lunedì, comunica Eni, “a circa 21 milioni di metri cubi, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi”.

Aria pesante e nuvole di tempesta si affacciano, dunque, all’orizzonte sui cieli dei Palazzi della politica romana. Il fenomeno è frutto anche dello scontro tra il caldo intenso provocato dal dl Energia2 e il freddo del prossimo inverno contro cui il governo sta lottando con la corsa agli stoccaggi. L’effetto è una totale incertezza sul futuro prossimo. I due fattori sembrano slegati, invece sono interconnessi: se salta il primo, a cascata rischia di venire meno anche il secondo. In poche parole, se giovedì il M5S deciderà di non votare la fiducia al provvedimento, di fatto si porrebbe fuori dal perimetro della maggioranza, indebolendo le gambe su cui si regge l’esecutivo. Almeno per credere che si possa tirare avanti fino a fine legislatura. Del resto, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato chiaro nei giorni scorsi: ritiene impossibile portare avanti l’azione del suo governo senza il Movimento.

Se alla Camera l’incidente non ha prodotto danni irreparabili, visto che il voto di fiducia (accordato dai Cinquestelle) non coincide con quello finale, a Palazzo Madama sono contemporanei, dunque il rischio di stravolgere gli equilibri è altissimo. Certo, c’è ancora tempo per ricucire lo strappo, ma l’impressione è che l’ex premier – come riferiscono diverse fonti parlamentari – non sembri avere il pieno controllo del gruppo a Palazzo Madama. Dove molti senatori sono fortemente tentati dallo strappo con Draghi. Ma se fino ad oggi si è lasciato uno spiraglio aperto al dialogo tra il presidente del Consiglio e Conte, ora anche le forze di maggioranza alzano il pressing sui pentastellati. Silvio Berlusconi invita l’ex Bce a “sottrarsi a questa logica politicamente ricattatoria” e chiede, a nome di Forza Italia, “una verifica della maggioranza”. Incassando il plauso anche della Lega. Il Pd, che del M5S è alleato, non affonda colpi ma la posizione è chiara: se Conte facesse cadere Draghi mandando il Paese a elezioni anticipate in una situazione di crisi, sarebbe difficile pensare di proseguire il cammino insieme.

Le prossime ore saranno decisive. Lo si capisce anche dal colloquio avvenuto nel tardo pomeriggio al Colle, tra il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e Draghi. Da quanto filtra, l’incontro è servito per un esame della situazione politica internazionale e nazionale. Il capo dello Stato, infatti, ha riferito del suo recente viaggio in Africa, in Mozambico e Zambia. Mentre non ha commentato eventuali scenari sul piano interno, dopo le turbolenze nell’aula di Montecitorio e quelle possibili a Palazzo Madama.

Anche perché il quadro attuale non consente previsioni a lunga scadenza. Proprio mentre il Paese è impegnato nell’altra grande sfida: riempire gli stoccaggi per trascorrere un inverno tranquillo, in attesa di far entrare a pieno regime le nuove forniture che sostituiranno quelle russe, frutto dell’opera di diversificazione delle fonti di questi mesi. “Dobbiamo assolutamente arrivare ad avere gli stoccaggi al 90% entro gli ultimi mesi dell’anno”, avvisa il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Attualmente, rivela l’amministratore delegato di Snam, Stefano Venier, “siamo a 6,1 miliardi di metri cubi, il 64% dell’obiettivo che ci siamo dati, ovvero 11 miliardi”. La strategia prevede anche una riduzione dei consumi di gas, da sostituire con l’accelerazione sulle rinnovabili.

In queste condizioni “il risparmio, in particolare quello residenziale, può giocare un ruolo enorme”, spiega ancora il ministro. Ma nessun piano drastico. Come conferma anche una nota del Mite “il Governo mantiene lo stato di pre-allerta necessario al monitoraggio costante dei flussi, senza alcun bisogno di misure emergenziali e di un passaggio allo stato di allerta”. Dunque, “non è prevista l’attuazione di piani di emergenza energetica con misure di risparmio straordinarie, come erroneamente riportato da diversi quotidiani oggi”.

Per il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, però, oltre alla parsimonia si devono prendere anche decisioni “spiacevoli”, come “andare tutto a carbone” o “chiedere alla Francia di darci più energia nucleare”, perché “le rinnovabili non bastano”. Soluzioni per tamponare la possibile crisi energetica, su cui però il governo non pare stia ragionando. Anche perché prima va chiarito se quelle nuvole sono passeggere o si trasformeranno presto in una tempesta politica.

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Stop gas da Nord Stream all’Ue? Mcphie: “Situazione seria, prepararsi a ogni scenario”

Il ‘panorama’ energetico sta cambiando. La notizia dell’interruzione, decisa da Gazprom, dei flussi dal gasdotto russo Nord Stream1 per operazioni di “manutenzione”, è un ulteriore allarme che impone all’Ue la necessità di “prepararsi a ogni scenario. Infatti, non è escluso che Mosca possa scegliere di chiudere totalmente – e senza troppi preavvisi – i rubinetti del gas verso l’Europa. Secondo il portavoce della Commissione europea, Tim Mcphie, si tratterebbe di “una situazione molto seria”, che rende urgente “una preparazione a ogni evenienza.

Siamo già di fronte a una situazione in cui la Russia ha interrotto parzialmente o completamente le forniture a 12 Stati membri” dell’Ue, Italia compresa. Nel corso del briefing quotidiano con la stampa, il portavoce ha poi ricordato che il 20 luglio la Commissione europea presenterà un piano per la preparazione e la riduzione della domanda di gas, che “si concentrerà in particolare sugli usi industriali dell’energia per la riduzione dei consumi e fornirà agli Stati membri delle linee guida per essere pronta a tagli più significativi delle forniture valutando anche le implicazioni sul mercato unico e cosa succede se uno Stato membro ha più forniture rispetto a un altro”. Mcphie ha anche annunciato che “l’Unione Europea sta lavorando sul piano REPower EU”, dopo la decisione politica presa a livello di leader di ridurre prima possibile la dipendenza dagli idrocarburi russi.

Intanto, da Eni arriva la notizia che Gazprom, per la giornata di oggi, fornirà alla compagnia italiana “volumi di gas pari a circa 21 milioni di metri cubi/giorno, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi/giorno”.

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In Italia, la situazione stoccaggi continua a crescere. Secondo i dati – al 9 luglio – Gie Agsi, il nostro Paese è al decimo posto in Europa per quantità di gas stoccato. Infatti, la percentuale ha raggiunto il 63,77%, superiore alla media europea che è del 61,63%. In cima alla classifica c’è il Portogallo (100%), seguito da Polonia (97,23%), Danimarca (82,15%), Spagna (73,1%), Repubblica ceca (72,32%), Francia (67,54)%, Belgio (64,93%), Germania (63,98%), Slovacchia (63,88%). L’obiettivo Ue è arrivare a uno stoccaggio dell’80% entro il primo novembre 2022 e al 90% a partire dal 2023.

Il prossimo passo per l’Italia, secondo il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, è “raggiungere l’indipendenza dalle forniture russe entro la seconda metà del 2024”. E un’altra priorità consiste nell’arrivare ad “avere gli stoccaggi al 90% entro gli ultimi mesi dell’anno”. Questo per non rimanere in carenza di energia il prossimo inverno, che si preannuncia “un pochino più delicato”.

Al G7 raggiunta intesa su price cap per gas e petrolio

Non solo il petrolio, come desiderava da principio Joe Biden, ma anche il gas, come auspicava (da molto prima dell’ultimo Consiglio europeo) Mario Draghi. Al G7 di Garmish, in coda a una lunedì di straordinaria intensità operativa, si è raggiunta l’intesa per mettere un tetto ai prezzi dei prodotti energetici più ‘gettonati’ del pianeta. Toccherà proprio ai ministri ‘energetici’ fare in modo che questa linea di condotta comune ai Sette Grandi passi dallo stato teorico a quello pratico.

Perché c’è “urgenza” di fare in maniera che i prezzi di gas e petrolio, segnatamente forniti dalla Russia, non siano più soggetti a manovre speculative, mettendo sotto controllo l’impennata delle bollette e, per estensione del concetto, l’inflazione. I negoziati hanno partorito l’agognato sì alle nove della sera, quando di solito ci si accomoda al tavolo per consumare la cena, superando perplessità (Germania) e ritrosie (Francia), dando in qualche modo ragione alla linea italiana che punta sul price cap almeno da un paio di mesi. Il premier, tornato dal Consiglio europeo con una mezza vittoria (avrebbe voluto una convocazione straordinaria per luglio, in realtà se ne parlerà a ottobre), questa volta può sorridere consapevole che ha ottenuto al G7 ciò che non gli è riuscito pienamente a livello europeo. “Dobbiamo continuare a lavorare su come imporre un tetto al prezzo del gas”, aveva insistito Draghi mentre le delegazioni tecniche stavano ancora pensando al modo più proficuo per raggiungere il risultato finale.

Il preludio all’accordo di poche ore dopo, quasi che il premier avesse capito che la discussione stava per incanalarsi per il verso giusto. A monte di tutto, l’obiettivo è abbastanza chiaro. Non solo sotto il profilo militare, ma anche geopolitico – e quindi energetico – Vladimir Putin non deve vincere: al G7 se ne sono fatti una ragione, passando sopra a qualsiasi dubbio. Nella conferenza stampa di oggi verrà spiegato tutto questo e, magari, altro ancora.

G7, coordinamento tra leader su sicurezza energetica e alimentare

Scendono in campo i leader. Unione Europea, Stati Uniti, G7, a cercare soluzioni coordinate alle crisi scatenate dall’invasione russa in Ucraina: alimentare ed energetica, in primis. “Siamo uniti e determinati a sostenere la produzione e l’esportazione di grano, olio e altri prodotti agricoli e promuoveremo iniziative coordinate che stimolino la sicurezza alimentare globale“. È quanto si legge nelle conclusioni del vertice dei leader G7 in Baviera, che intimano al Cremlino di cessare “senza condizioni” gli attacchi alle infrastrutture agricole e di trasporto dei cereali, oltre a “consentire il libero passaggio delle spedizioni dai porti ucraini nel Mar Nero.

L’aggressione armata russa, “caratterizzata da bombardamenti, blocchi e furti“, in questi mesi ha “gravemente impedito” a Kiev di esportare prodotti agricoli, con “forti aumenti dei prezzi e dell’insicurezza alimentare per milioni di persone“. Una situazione che il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, ha definito un “missile alimentare lanciato dalla Russia contro i più vulnerabili“, dopo il confronto con il presidente dell’Unione Africana, Macky Sall: “Sostengo personalmente il suo appello perché diventi membro del G20“, ha commentato, sottolineando la necessità di “ripetere con l’Africa ciò che abbiamo fatto con i vaccini“, ovvero “sostenere la produzione locale di fertilizzanti sostenibili per migliorare la produzione“.

Ma è l’energia a occupare il nucleo centrale delle discussioni tra i leader di Canada, Francia, Germania, Giappone, Gran Bretagna, Italia, Stati Uniti (alla presenza di quelli Ue). In un incontro aperto anche ad Argentina, India, Indonesia, Senegal e Sudafrica, è stato concordato di “esplorare le opzioni per decarbonizzare il mix energetico e accelerare la transizione dalla dipendenza dai combustibili fossili”. A questo si aggiunge la “rapida espansione” delle fonti rinnovabili e l’efficienza energetica. Alla base dell’accordo globale c’è la collaborazione sulle riforme delle politiche energetiche per “accelerare la decarbonizzazione delle economie verso l’azzeramento delle emissioni“, garantendo allo stesso tempo “l’accesso universale a un’energia sostenibile e a prezzi accessibili“.

Discussioni che riguardano da vicino i Paesi Ue e l’intesa con il maggiore tra i partner, gli Stati Uniti del presidente Joe Biden. Nella dichiarazione congiunta, firmata dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è stato messo nero su bianco che Bruxelles e Washington intensificheranno gli sforzi per “ridurre ulteriormente le entrate della Russia derivanti dall’energia nei prossimi mesi“, ma anche “la dipendenza dell’Ue dai combustibili fossili russi, diminuendo la domanda di gas naturale, cooperando sulle tecnologie di efficienza energetica e diversificando le forniture“. Una risposta coordinata che passa dalla task force Ue-Stati Uniti sulla sicurezza energetica europea (istituita il 25 marzo), per rispondere al “continuo utilizzo del gas naturale come arma politica ed economica“, che “ha esercitato pressioni sui mercati, aumentato i prezzi per i consumatori e minacciato la sicurezza energetica globale“.

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Draghi: “Dipendenza da gas russo scesa al 25%, stoccaggi procedono bene”

Stanno arrivando i primi risultati provenienti dagli sforzi fatti per diversificare le forniture di gas, con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dall’energia russa. Durante la conferenza stampa che si è tenuta al termine del Consiglio europeo, il premier Mario Draghi ha analizzato con una certa soddisfazione gli sviluppi di una situazione da monitorare costantemente per colpa della guerra russo-ucraina: “Voglio ricordare che l’anno scorso dipendevamo per il 40% dal gas russo, oggi siamo arrivati al 25%, quindi le misure che il governo ha messo in campo già dall’inizio della guerra si stanno rivelando utili“, l’annuncio. In altre parole gli altri fornitori di gas cominciano a sostituire il flusso in arrivo dalla Russia. E non solo: “Per gli stoccaggi ci stiamo preparando per l’inverno e, al momento, stanno andando molto bene“.

Per quanto riguarda invece il discorso relativo al price cap, l’obiezione è solo una: “La paura di nuovi tagli da Mosca”, avverte Draghi. “Ci deve essere solidarietà, ma anche una risposta alle richieste di controllare il tetto sul prezzo del gas”. Nonostante la proposta avanzata dal premier di convocare un vertice straordinario a luglio per affrontare l’argomento, i piani per la Ue restano quelli di discuterne solo all’Eurosummit, che avrà luogo a ottobre. Ma c’è comunque soddisfazione: “Immaginavo – spiega l’ex presidente Bce – che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago“. Al contrario, “le cose si stanno muovendo, ma le cose non vengono da sole e spesso non subito o non così rapidamente”. In ogni caso, Draghi è sicuro che al G7 se ne parlerà: “Gli Usa sono consapevoli delle difficoltà che stiamo incontrando per le sanzioni, che sono molto pesanti per noi. Gli Stati Uniti hanno già deciso qualche misura di aiuto nel portare gas liquido in Europa, ma sono cifre molto contenute ancora. Sono preoccupati soprattutto del prezzo del petrolio, in quel senso è stata avanzata l’ipotesi di un price cap” anche per il greggio.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)

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Tajani: “Se Russia taglia gas sono problemi, più autosufficienza”

La questione energetica continua ad agitare la politica europea. Un rischio di tagli delle forniture russe verso l’Ue è uno scenario che nessuno auspica, ma che comunque entra prepotentemente nella agende non solo nazionali, tanto è vero che il tema è stato oggetto di confronto anche attorno al tavolo del Partito popolare europeo (Ppe), riunito come consuetudine prima del vertice dei capi di Stato e di governo dell’Ue. “Se la Russia smette di inviare gas sono problemi”, riconosce Antonio Tajani, coordinatore unico di Forza Italia e vicepresidente del Ppe, nel colloquio concesso a Gea a margine dei lavori. “Ci auguriamo che non succeda, ovviamente”, ma in ogni caso quello che serve è uno sforzo collettivo per trovarsi preparati se mai il peggio dovesse concretizzarsi. “Dobbiamo accelerare sui tempi dell’autosufficienza energetica”, il che vuol dire investimenti e politiche mirate. I primi vanno stimolati, le seconde varate con priorità assoluta.

L’autosufficienza energetica passa anche per un maggior ricorso al gas petrolio liquefatto, il Gnl che l’Ue ha iniziato ad acquistare sul mercato, soprattutto quello nordamericano. Ma anche qui “occorre accelerare”, insiste Tajani. “Servono rigassificatori”, che l’Europa degli Stati al momento non ha. “Ne servono più di quanti ce ne sono” attualmente. È una consapevolezza diffusa, attorno al tavolo del centro-destra europea, che “rifiuta di chiudere gli occhi di fronte a queste sfide impegnative”. Un passaggio contenuto anche nella dichiarazione del Ppe diffusa alla fine summit. “Abbiamo discusso anche della situazione economica”, spiega ancora Tajani, perché se il possibile taglio alle consegne di gas russo sono un’eventualità, il problema dei prezzi dell’energia è già un problema reale, che si ripercuote sul tessuto produttivo e le prospettive di crescita dell’Europa.

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Draghi: “Risoluzione dell’Onu per sbloccare il grano”

Il conflitto in corso tra Russia e Ucraina rischia di creare una crisi umanitaria di dimensioni straordinarie e, tra la ‘guerra del grano’ e la riduzione delle forniture di gas russo all’Europa, il grido d’allarme si fa sempre più forte. Questa volta proviene direttamente dal premier, Mario Draghi: “Dobbiamo muoverci con rapidità e decisione per tutelare i cittadini Ue dalle ricadute innescate dalla guerra”.

Uno dei tasselli che compongono questa possibile ‘crisi umanitaria’ riguarda proprio l’emergenza relativa al blocco di milioni di tonnellate di cereali nei porti che, oltretutto, rischiano di marcire. “Le proiezioni fornite dall’Ucraina indicano che la produzione di frumento potrebbe calare tra il 40 e il 50% rispetto all’anno scorso“, spiega Draghi nelle comunicazioni in Senato in vista del prossimo Consiglio europeo. “Dopo vari tentativi falliti – aggiunge – non vedo alternativa a una risoluzione delle Nazioni Unite che definisca i tempi dell’operazione di sblocco del grano fermo nei porti ucraini e lo sminamento delle acque antistanti e dove l’Onu garantisca, sotto la propria egida, la sua esecuzione“.

L’ex capo della Bce dirige poi l’attenzione su piani e prospettive dell’Italia: “Continueremo a lavorare con l’Unione europea e i nostri partner del G7 per sostenere l’Ucraina, ricercare la pace, superare questa crisi. Questo è il mandato che il governo ha ricevuto dal Parlamento. Questa è la guida per la nostra azione“.

Un’azione che sta prendendo piede poco a poco ma che ha già regalato risultati sorprendenti. Per fare un esempio: se la Russia, da una parte, riduce le forniture di gas al Paese, dall’altra noi “stringiamo accordi importanti con vari Paesi fornitori, dall’Algeria all’Azerbaijan, e promuoviamo nuovi investimenti anche sulle rinnovabili”, precisa il premier. “Grazie a queste misure potremmo ridurre in modo significativo la nostra dipendenza dal gas russo già dall’anno prossimo”. Così Draghi apre uno spiraglio di speranza su quello che sarà il prossimo futuro. Un futuro non più incerto ma basato su fatti concreti e su una maggiore indipendenza geopolitica.

Infine, il premier rivolge al Senato un sentito ringraziamento: “Grazie per il sostegno nell’aiutare l’Ucraina a difendere la libertà e la democrazia, a continuare con le sanzioni contro il Paese invasore, a sostenere il potere d’acquisto degli italiani, a cercare di fare di tutto per evitare la tragedia della crisi alimentare nei Paesi più poveri del mondo, a continuare insomma sulla strada disegnata dal decreto 14 del 2022”.  Il sostegno è stato unito e l’unità, come molti hanno osservato, “è essenziale, specialmente in questi momenti“.