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Oggi a Istanbul apre il centro di coordinamento grano

Oggi viene inaugurato il centro di coordinamento per la supervisione del trasporto del grano dall’Ucraina a Istanbul. È nell’accordo firmato il 22 luglio da Kiev, Mosca, Ankara e sotto l’egida dell’Onu per consentire la ripresa delle esportazioni dei cereali bloccati nei porti ucraini dall’inizio dell’invasione russa.

Il CCC sarà responsabile dell’ispezione delle navi in partenza e in ritorno dal Mar Nero, come richiesto da Mosca. Tuttavia, l’attacco russo di sabato al porto di Odessa sul Mar Nero, vitale per il commercio di cereali, ha messo in dubbio l’attuazione dell’accordo.

La ripresa delle esportazioni dovrebbe dare sollievo ai Paesi che dipendono dai mercati russo e ucraino, che insieme rappresentano il 30% del commercio mondiale di Grano. “La crisi è la riprova di come la guerra in Ucraina si ripercuota anche sui Paesi del Mediterraneo e su tutto il continente africano“, ricorda il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, nel corso delle comunicazioni nelle Commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato sulle missioni italiane nel mondo. Un’aggressione che è “uno spartiacque destinato a produrre ripercussioni sistemiche“.

La guerra, osserva, ha sconvolto la catena alimentare globale“, ma l’accordo firmato a Istanbul “apre uno spiraglio positivo”, nonostante l’attacco al porto di Odessa. Quei missili dimostrano per il titolare della Farnesina quanto sarà importante vigilare sull’azione dell’accordo: “È indispensabile che tutta la comunità internazionale offra sostegno allo sforzo delle Nazioni unite e all’impegno delle parti per l’attuazione degli impegni operativi“.

(Photo credits: STRINGER / AFP)

ucraina grano

Grano ucraino ripartirà in settimana nonostante attacco Odessa

Le esportazioni di grano ripartiranno dall’Ucraina “già questa settimana, nonostante sabato l’esercito russo abbia lanciato dei missili sul porto di Odessa. “Ci aspettiamo che l’accordo inizi a funzionare nei prossimi giorni e che venga presto istituito un centro di coordinamento a Istanbul“, spiega il ministro ucraino delle Infrastrutture, Oleksander Kubrakov.

Il principale ostacolo alla ripresa delle esportazioni è il rischio di bombardamenti russi. Mosca però giustifica gli attacchi come mirati ai soli obiettivi militari (una nave da guerra e i rifornimenti missilistici inviati dagli Stati Uniti e stoccati nel porto). Il bombardamento, rivendica il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, “non è assolutamente legato alle infrastrutture utilizzate per l’attuazione dell’accordo sull’esportazione di cereali” che, assicura, “non sarà ostacolata“. Il ministro ucraino alle Infrastrutture, Oleksander Kubrakov, invita i garanti dell’accordo, la Turchia e le Nazioni Unite, a vigilare sulla sicurezza dei convogli ucraini. “Se le parti non garantiscono la sicurezza, l’operazione non funzionerà“, avverte. Il suo vice, Yuri Vaskov, fa sapere che il porto sudoccidentale di Chornomorsk sarà il primo a funzionare per le esportazioni, seguito da Odessa e poi da Pivdenny.

L’accordo firmato venerdì a Istanbul tra Mosca e Kiev, sotto l’egida dell’Onu, prevede corridoi di navigazione sicuri per la circolazione delle navi mercantili nel Mar Nero. Dovrebbe consentire l’esportazione di 20-25 milioni di tonnellate di grano bloccate in Ucraina dall’inizio dell’invasione russa del 24 febbraio e facilitare le esportazioni agricole russe, riducendo così il rischio di una crisi alimentare nel mondo. Il 90% delle esportazioni ucraine di grano, mais e girasole avveniva via mare, soprattutto attraverso Odessa, il principale porto ucraino sul Mar Nero, che rappresentava il 60% dell’attività portuale del Paese. L’Ucraina e la Russia rappresentano circa il 30% delle esportazioni mondiali di grano e la guerra ha portato a un’impennata dei prezzi che ha colpito in modo particolare il continente africano.

Intanto, il capo della diplomazia russa, Sergei Lavrov, è impegnato in un tour africano per rassicurare i Paesi fortemente dipendenti dal grano ucraino: “Nulla negli impegni presi dalla Russia, in particolare nel quadro degli accordi firmati il 22 luglio a Istanbul – insiste, parlando in conferenza stampa in Congo – ci vieterebbe di continuare l’operazione militare speciale, distruggendo le infrastrutture militari ucraine“.

Firmato accordo Kiev-Mosca per sblocco grano, Onu e Turchia garanti

Mosca e Kiev firmano a Istanbul l’accordo per lo sblocco di circa 25 milioni di tonnellate di grano e cereali, bloccati da mesi nei porti del Mar Nero a causa della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. L’intesa, duramente negoziata da aprile, arriva a cinque mesi dall’inizio del conflitto e porta la firma del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, dei ministri della Difesa turco e russo, Hulusi Akar e Sergei Shoigu, e del ministro delle Infrastrutture ucraino, Oleksandr Kubrakov.

Si tratta di due testi perfettamente identici ma separati, su richiesta proprio degli ucraini, che si sono rifiutati di siglare qualsiasi documento con i russi. Con l’intesa raggiunta grazie alla mediazione di Ankara, e il sostegno di tutta la comunità internazionale, si risolve una situazione che rischia pericolosamente di creare una crisi alimentare a livello mondiale.

L’accordo prevede un centro di coordinamento a Istanbul gestito da delegati delle parti coinvolte: un rappresentante ucraino, uno russo, uno turco e uno delle Nazioni Unite, assistiti dai rispettivi team. Questa ‘cabina di regia’, secondo Guterres, sarà costituita entro pochi giorni e sarà responsabile della programmazione della rotazione delle navi nel Mar Nero. “Non posso darvi una data precisa. Ma al massimo tra quindici giorni“, ha fatto sapere il segretario generale. Inoltre, ci saranno ispezioni (in mare) delle navi che trasportano il grano alla partenza e all’arrivo in Turchia, come richiesto da Mosca, per garantire che non vengano contemporaneamente consegnate armi all’Ucraina. Altro punto è la garanzia di un corridoio di navigazione sicuro attraverso il Mar Nero, libero da attività militari.

Le navi partiranno da tre porti ucraini: Odessa, Pivdenny (Yuzhne) e Chornomorsk, e i ‘piloti ucraini’ apriranno la strada alle navi da carico nelle acque territoriali.

L’accordo è valido per 120 giorni. Le circa 25 milioni di tonnellate di grano attualmente ferme nei silos dei porti ucraini, saranno portate a destinazione con cadenza di otto milioni di tonnellate al mese, dunque quattro mesi dovrebbero essere sufficiente a smaltire le scorte, anche se praticamente a ridosso del nuovo raccolto. È stato poi raggiunto un’intesa per facilitare l’esportazione di prodotti agricoli e fertilizzanti russi, su richiesta di Mosca, che voleva proteggerli dalle sanzioni occidentali. Conditio sine qua non del Cremlino per dare il via libera al documento. Nel dossier c’è anche il capitolo dedicato allo sminamento delle acque che proteggono i porti, operazione per la quale la Turchia si è offerta di dare il proprio contributo come soggetto terzo, “se necessario“.

La notizia, ovviamente, ha fatto il giro del mondo. “Milioni di tonnellate di grano disperatamente necessarie bloccate dalla guerra russa lasceranno finalmente il Mar Nero per aiutare a sfamare le persone in tutto il mondo“, twitta la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che ringrazia Guterres per gli “instancabili sforzi” profusi nella trattativa. Breve ma incisivo il commento di Paolo Gentiloni: “Finalmente una buona notizia“. Anche per l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, “l’accordo di Istanbul è un passo nella giusta direzione, chiediamo la sua rapida attuazione“.

In Italia è il premier, Mario Draghi, a far sentire la sua voce: “Un’ottima notizia per tutta la comunità internazionale“, dichiara in una nota. Sottolineando che “lo sblocco è essenziale per permettere a questi carichi di raggiungere i cittadini di molti Paesi a medio e basso reddito e evitare una crisi alimentare mondiale“. Avvertendo, allo stesso tempo, che “il successo di questo piano dipenderà dalla rapida e piena attuazione” delle intese. Auspicando che siano “un primo passo verso concrete prospettive di pace” ma “in termini accettabili per l’Ucraina“.

Kiev, però, continua a credere poco nelle buone intenzioni della Russia. “Contiamo sull’Onu per l’attuazione dell’accordo per le esportazioni, perché di Mosca “non ci si può fidare della Russia“. Il ministro della Difesa di Putin, però, assicura: “Non approfitteremo del fatto che questi porti ucraini siano stati liberati dalle mine e aperti, abbiamo preso l’impegno“. La situazione, dunque, resta sempre complicata, ma il passo avanti di oggi fa tirare almeno un piccolo sospiro di sollievo. Senza illusioni, la convinzione generale è che la strada sia ancora molto lunga prima che le armi finalmente tacciano.

nave grano

Via libera al grano. C’è l’accordo Russia-Ucraina su sblocco navi

Via libera al grano. Nel pomeriggio, a Istanbul, Russia e Ucraina firmeranno un accordo sulle esportazioni di cereali che permetterà, alle navi ferme nei porti, di uscire attraverso il Mar Nero e di alleggerire le barriere all’esportazione di grano e fertilizzanti russi.

Una mossa tra i due Paesi in conflitto che sarà in grado di dare sollievo all’economia del Pianeta. Anche perché, nonostante il calo dei raccolti, Kiev resta uno dei principali produttori e rappresenta il 10% del commercio mondiale di frumento tenero destinato alla panificazione ma anche il 15% del granoturco per gli allevamenti.

Secondo la Coldiretti, all’Italia è prevista la fornitura di quasi 1,2 miliardi di chili di mais per l’alimentazione animale, grano tenero per la panificazione e olio di girasole. Si tratta di un provvedimento vitale per il Paese dal momento che il 62% del proprio fabbisogno di grano per la produzione di pane e biscotti e il 46% del mais di cui ha bisogno per l’alimentazione del bestiame viene importato dall’estero.

Ulteriori numeri indicano che, per Italia, l’Ucraina rappresenta il secondo fornitore di granoturco con una quota di poco superiore al 13% (785 milioni di chili), ma garantisce anche il 3% dell’import nazionale di grano (122 milioni di chili) senza dimenticare gli arrivi di ben 260 milioni di chili di olio di girasole.

L’accordo raggiunto è importante per salvare dalla carestia quei 53 Paesi dove la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione”, afferma Coldiretti. Ma non solo, lo è anche per i Paesi più sviluppati “costretti ad affrontare una crescente inflazione spinta dal carrello della spesa e favorita dalla crisi energetica ma anche dai cambiamenti climatici che con caldo e siccità hanno tagliato i raccolti”, la sottolineatura.

Draghi

Draghi ha chiuso ma il dossier energia resta pericolosamente aperto

Mario Draghi ha terminato la sua esperienza a Palazzo Chigi e non è più a capo del governo se non per il disbrigo degli affari correnti, ma i suoi dossier – tutti delicatissimi – restano aperti. E, a stretto giro, andranno chiusi. La fretta di indire nuove elezioni per scongiurare l’esercizio provvisorio ma anche molte altre grane deriva proprio da questo. Cioè da quei dossier di cui sopra che, metaforicamente, l’ex premier ha ‘scaricato’ sulla scrivania del presidente della Repubblica nell’istante in cui si è dimesso.

Sono in stand by le riforme di fisco, giustizia e concorrenza, c’è la grana del superbonus, ci sono i provvedimenti da adottare per ridurre l’impatto sociale dei rincari di bollette e benzina. C’è la rata del Pnrr da 19 miliardi da riscuotere. E poi c’è il piano energia, che rappresenta un problema di portata non inferiore agli altri e che rischia di essere trascurato con conseguenze deleterie per aziende (già sul piede di guerra, ovviamente) e famiglie. Ma qualcuno ci ha pensato? Il sospetto è no, che nessuno ci abbia pensato. Il guasto lo percepiremo nella sua drammatica totalità al ritorno dalle vacanze, quando si affaccerà l’inverno. Allora lì capiremo i pericoli a cui stiamo scelleratamente andando incontro nella speranza che non sia troppo tardi.

Draghi, nel discorso al Senato, ha posto l’accento su alcune priorità: l’indipendenza dal gas russoentro un anno e mezzo”, le alleanze da stringere con nuovi partner, la spinta sulle rinnovabili con un occhio ai rigassificatori di Piombino e Ravenna che vengono etichettati come “questioni di sicurezza nazionale”. Come faremo adesso? E chi lo farà? Chi si occuperà di portare avanti il discorso del price cap sul gas che era stato un cavallo di battaglia dell’ex Presidente del Consiglio e del ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani? Mentre gli altri Paesi della Ue si stanno muovendo per allestire un piano emergenziale sotto il profilo energetico, l’Italia sarà costretta a rallentare almeno fino ad inizio autunno, sempre che le elezioni si tengano – come sembra – a settembre. La sensazione è che non ce lo possiamo permettere, che l’interesse dei partiti abbia prevaricato l’interesse nazionale anche se qualcuno (che ha straccato la spina al Governo) va raccontando che si tratta di allarmismi ingiustificati. Niente di nuovo sotto il sole e in questo caso l’eolico non c’entra…

Ue clima

Ue si prepara a inverno senza gas russo. “Situazione grave”

Ci si prepara ad un inverno senza il gas russo”. Data la situazione questa possibilità non può essere ignorata, e “bisogna essere pronti” a tutto. Thierry Breton riassume con pragmatismo le incertezze e le tensioni che investono il mercato dell’energia, e il commissario per l’Industria spiega con la crisi potenziale le misure di risposta della Commissione europea, inclusa l’estensione delle deroghe sugli aiuti di Stato. L’esecutivo comunitario autorizza gli Stati a sostenere la produzione di energie da fonti rinnovabili e le misure utili a ridurre le emissioni di CO2 del settore industriale.

C’è la consapevolezza che staccarsi dal gas russo è una scelta non più rinviabile e per questo da attuare il più rapidamente possibile, e Bruxelles decide di agevolare questo processo allentando ulteriormente le maglie sulle regole di sostegno pubblico. Si prosegue lungo le scelte compiute dopo la crisi sanitaria, per puntellare ancora di più la tenuta dell’economia a dodici stelle.

Il quadro temporaneo di crisi modificato amplia dunque i tipi di sostegno esistenti che gli Stati membri possono fornire alle imprese che ne hanno bisogno. Ad esempio, consente ora agli Stati membri di concedere aiuti di importo limitato alle imprese colpite dalla crisi attuale o dalle successive sanzioni e controsanzioni fino all’importo aumentato di 62 mila euro e 75 mila rispettivamente nei settori dell’agricoltura, della pesca e dell’acquacoltura, e fino a 500 mila euro in tutti gli altri settori. Una finestra che per ora resterà aperta fino al 30 giugno 2023 , e che riguarderà anche il gas. Qui si procederà a valutazioni “caso per caso”, ma possibili a determinate condizioni, spiega Margrethe Vestager, la vicepresidente esecutiva responsabile per la Concorrenza. Con le nuove modifiche e l’estensione delle deroghe agli aiuti di Stato si prevede la possibilità di sostegno per le imprese interessate dalla riduzione obbligatoria o volontaria del gas, e sostegno per il riempimento degli stoccaggi di gas.

La situazione è grave”, riconosce anche Vestager, come già ammesso dal collega Breton. Per cui “dobbiamo intensificare i nostri sforzi per eliminare gradualmente i combustibili fossili su cui abbiamo fatto grande affidamento fino ad ora”. Il capo dell’Antitrust comunitario sa bene che “la guerra ingiustificata della Russia contro l’Ucraina continua a farsi sentire, anche sull’economia dell’Ue”, e per questo, con la proposta che permette di sostenere la produzione di energia da fonti rinnovabili e la decarbonizzazione delle industrie, “ aiuteremo ad accelerare” la transizione verde e rispondere a questo momento di difficoltà e incertezze. Il tutto, “ in linea con gli obiettivi di REPowerEU”, la strategia per affrancarsi dalla dipendenza da Gazprom.

(Photo credits: JOHN THYS / AFP)

Nord stream

Il gas da Nord Stream non ripartirà. La Ue si prepara al peggio

La Commissione europea è ormai convinta che i flussi di gas russo non torneranno a scorrere attraverso il Nord Stream 1 tanto presto e si prepara allo “scenario peggiore, ovvero la completa interruzione delle forniture russe all’Europa. “Stiamo lavorando sulla base del presupposto che (il gasdotto, ndr) non tornerà in funzione“, ha ammesso martedì mattina il commissario europeo al Bilancio, Johannes Hahn, a margine di un evento a Singapore, citato dal Wall Street Journal. Nord Stream 1 – controllato dal gigante russo del gas Gazprom – è la principale infrastruttura per il trasporto del gas russo all’Europa, con 55 miliardi di metri cubi di gas all’anno trasferiti dalla Russia alla Germania, passando sotto al Mar Baltico.

Gli impianti di Nord Stream sono fermi in una manutenzione programmata (e strumentale) da parte del Cremlino da lunedì 11 luglio, per dieci giorni. Il periodo di fermo, dunque, dovrebbe concludersi questo giovedì, ma Bruxelles è ormai certa che non sarà così e i flussi non ripartiranno. Sono già emerse varie indiscrezioni a mezzo stampa secondo cui la compagnia russa Gazprom avrebbe comunicato ad alcuni clienti in Europa di non poter garantire le forniture di gas a causa di circostanze “straordinarie“.

Su cosa attende i Paesi membri dopo il prossimo giovedì è incognita ma Bruxelles si prepara al peggio. “È impossibile per noi predire le prossime mosse del (gigante del gas russo) Gazprom, ha chiarito il portavoce della Commissione europea, Eric Mamer, durante il briefing quotidiano con la stampa. “Ad oggi ci sono almeno 12 Stati membri che hanno sperimentato un taglio parziale o totale alle forniture di gas“. E dal momento che la Commissione europea sta preparando un piano di emergenza per la riduzione della domanda di energia, stiamo “prendendo in considerazione lo scenario peggiore possibile”, ovvero un’interruzione totale delle forniture all’Europa. La presentazione del piano in questione è prevista domani da parte di Bruxelles e “stiamo lavorando a ogni possibile scenario e uno di questi è la possibilità che i flussi di gas non riprendano”, ha precisato il portavoce.

Von der Leyen domani in Azerbaigian, l’Ue cerca l’intesa sul gas

Se all’inizio dell’invasione dell’Ucraina un’interruzione “grave” delle forniture di gas russo all’Europa era solo possibile, oggi l’Unione europea è sempre più certa che ci sarà e dunque accelera il lavoro per diversificare i fornitori di energia. Lunedì 18 luglio, ha confermato venerdì (15 luglio) l’esecutivo comunitario, la presidente Ursula von der Leyen e la sua commissaria per l’energia, Kadri Simson, voleranno in Azerbaigian per “rafforzare ulteriormente la cooperazione esistente” tra i due partner. Cooperazione sopratutto energetica, di fronte a un possibile taglio alle forniture di gas dal principale fornitore all’Europa, la Russia.

Del viaggio a Baku dell’esecutivo comunitario aveva parlato per la prima volta lo scorso 27 giugno la commissaria Simson, al termine di un Consiglio dei ministri europei dell’energia in cui si era mostrata preoccupata della possibilità concreta di vedersi tagliare completamente il gas dalla Russia. Bruxelles si prepara dunque a siglare un memorandum d’intesa con l’Azerbaigian per aumentare le importazioni di gas provenienti dalla regione. “Il corridoio meridionale del gas ha un ruolo centrale da svolgere nell’approvvigionamento di gas naturale dell’Ue, in particolare per l’Europa sudorientale“, si legge in una nota dell’esecutivo comunitario in cui è stata comunicata la traversata.

Il memorandum dovrebbe spianare la strada al raddoppio della capacità del Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto TAP che trasporta in Europa il gas naturale proveniente dal giacimento gigante di Shah Deniz nel settore azero del Mar Caspio. Il gasdotto è lungo 878 km e si collega con il Trans Anatolian Pipeline (TANAP) al confine turco-greco a Kipoi, attraversa la Grecia e l’Albania e il Mar Adriatico, prima di approdare in Italia, a San Foca (in Puglia). A gennaio 2022 ha erogato circa 8 miliardi di metri cubi standard, con la previsione di raggiungere i 10 miliardi di metri cubi nell’estate 2022. Le trattative con Baku sono iniziate già lo scorso febbraio – nell’ottica di diminuire la dipendenza delle forniture dalla Russia, da cui provengono il 40% delle importazioni di gas all’Europa – per aumentare la capacità di erogazione massima da 10 miliardi di metri cubi l’anno a circa 20, raddoppiandone quindi la capacità.

A metà giugno Bruxelles aveva già siglato un memorandum d’intesa con cui Egitto e Israele si sono impegnati a incrementare le esportazioni di gas naturale verso il Continente. L’insicurezza per ulteriori tagli alla fornitura di gas russo è aumentata questa settimana quando è iniziata la manutenzione programmata del gasdotto Nord Stream 1 che porta gas russo in Germania attraverso il Mar Baltico. Impianti fermi almeno fino al 21 luglio, ma si teme un prolungamento del fermo anche oltre. A quanto riferito da Bruxelles, l’Ue e l’Azerbaigian stanno anche lavorando insieme per costruire un partenariato a lungo termine sull’energia pulita e l’efficienza energetica e negoziando un nuovo accordo globale, che consentirà una cooperazione rafforzata in un’ampia gamma di settori, tra cui la diversificazione economica, gli investimenti e il commercio.

Ucraina, Guterres: “A Istanbul progressi sostanziali per grano”

Per la prima volta in tre mesi, Mosca e Kiev si incontrano a Istanbul per cercare di sbloccare le esportazioni di grano dai porti ucraini.

Le delegazioni militari dei due paesi si sono parlate per tre ore. Un “raggio di speranza“, secondo il segretario generale delle Nazioni Unite, Antònio Guterres, che in tarda serata, rivolgendosi ai media, ha parlato di “progressi davvero sostanziali e fatto riferimento a un accordo formale che potrebbe arrivare presto anche se, ha precisato, “non ci siamo ancora“. Servirà un ulteriore lavoro tecnico.

Abbiamo assistito a un importante passo avanti per garantire l’esportazione sicura di prodotti alimentari ucraini attraverso il Mar Nero“, ha spiegato il capo dell’Onu. “Abbiamo un raggio di speranza per alleviare la sofferenza umana e la fame nel mondo. Un raggio di speranza per sostenere i Paesi in via di sviluppo e le persone più vulnerabili, un raggio di speranza per portare un po’ di necessaria stabilità al sistema alimentare globale“, ha scandito. Davanti alla “molta buona volontà” e all’ “impegno” dimostrati dalle parti, Guterres si è detto pronto a interrompere le sue imminenti vacanze per recarsi in Turchia e finalizzare l’accordo.

Circa 20 milioni di tonnellate di grano sono bloccate nei porti della regione di Odessa, nell’Ucraina meridionale, a causa dell’invasione russa iniziata il 24 febbraio, i colloqui di Istanbul avevano lo scopo di stabilire corridoi di navigazione sicuri per portarli fuori.

L’Ucraina è uno dei principali esportatori mondiali di grano e altri cereali, il tempo sta per scadere mentre l’aumento dei prezzi alimentari globali minaccia una nuova carestia, in particolare in Africa.

Secondo il Ministero della Difesa russo, Mosca “ha preparato e presentato una serie di proposte per una rapida risposta pratica al problema“. Martedì il Cremlino ha ribadito la richiesta di “controllo e perquisizione delle navi per evitare il contrabbando di armi e l’impegno di Kiev a non organizzare provocazioni“. La Russia chiede che l’Ucraina liberi i suoi porti, ipotesi che quest’ultima rifiuta di prendere in considerazione per paura di un assalto anfibio a città come Odessa.

Il capo della diplomazia ucraina, Dmytro Kuleba, si è detto relativamente fiducioso sull’esito dell’incontro: “Siamo vicini a un accordo, ha dichiarato al quotidiano spagnolo El Pais. “Tutto dipende dalla Russia“, ha aggiunto, avanzando il sospetto che i russi stiano cercando di privare Kiev di entrate: “Sanno che se esportiamo, riceveremo fondi dai mercati internazionali e questo ci rafforzerà“.

La Turchia, membro della Nato e alleato di entrambe le parti, ha compiuto per mesi sforzi diplomatici per facilitare la ripresa delle consegne. I funzionari turchi hanno dichiarato di avere 20 navi da carico nel Mar Nero pronte per essere caricate rapidamente con il grano ucraino.

Il viaggio del Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ad Ankara, all’inizio di giugno, non ha portato ad alcun progresso sul tema, in assenza di una rappresentanza ucraina. Ma il Presidente russo Vladimir Putin e il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan si incontreranno il 19 luglio a Teheran a margine di un vertice sulla Siria, che potrebbe fornire il quadro per l’annuncio di un accordo.
Il capo di Stato turco ha svolto il ruolo di mediatore fin dall’inizio del conflitto, facendo attenzione, pur fornendo droni da combattimento all’Ucraina, a non offendere Mosca.

Via libera della Camera al dl Energia2, ma M5S si astiene. Draghi al Colle da Mattarella

Il decreto Energia 2 passa alla Camera, nonostante la scelta del M5S di non partecipare al voto finale. Il governo, intanto, sta mettendo a punto un piano di risparmio del gas in vista dell’inverno, e in caso di stop improvvisi (e totali) delle forniture da Mosca. Le cui avvisaglie ci sono da settimane. Anche nelle ultime ore: Gazprom, infatti, ha annunciato la sospensione dei flussi verso l’Europa fino al 21 luglio per la manutenzione del gasdotto Nord Stream. Non solo, il colosso russo ha anche ridotto i volumi per la giornata di lunedì, comunica Eni, “a circa 21 milioni di metri cubi, rispetto a una media degli ultimi giorni pari a circa 32 milioni di metri cubi”.

Aria pesante e nuvole di tempesta si affacciano, dunque, all’orizzonte sui cieli dei Palazzi della politica romana. Il fenomeno è frutto anche dello scontro tra il caldo intenso provocato dal dl Energia2 e il freddo del prossimo inverno contro cui il governo sta lottando con la corsa agli stoccaggi. L’effetto è una totale incertezza sul futuro prossimo. I due fattori sembrano slegati, invece sono interconnessi: se salta il primo, a cascata rischia di venire meno anche il secondo. In poche parole, se giovedì il M5S deciderà di non votare la fiducia al provvedimento, di fatto si porrebbe fuori dal perimetro della maggioranza, indebolendo le gambe su cui si regge l’esecutivo. Almeno per credere che si possa tirare avanti fino a fine legislatura. Del resto, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, è stato chiaro nei giorni scorsi: ritiene impossibile portare avanti l’azione del suo governo senza il Movimento.

Se alla Camera l’incidente non ha prodotto danni irreparabili, visto che il voto di fiducia (accordato dai Cinquestelle) non coincide con quello finale, a Palazzo Madama sono contemporanei, dunque il rischio di stravolgere gli equilibri è altissimo. Certo, c’è ancora tempo per ricucire lo strappo, ma l’impressione è che l’ex premier – come riferiscono diverse fonti parlamentari – non sembri avere il pieno controllo del gruppo a Palazzo Madama. Dove molti senatori sono fortemente tentati dallo strappo con Draghi. Ma se fino ad oggi si è lasciato uno spiraglio aperto al dialogo tra il presidente del Consiglio e Conte, ora anche le forze di maggioranza alzano il pressing sui pentastellati. Silvio Berlusconi invita l’ex Bce a “sottrarsi a questa logica politicamente ricattatoria” e chiede, a nome di Forza Italia, “una verifica della maggioranza”. Incassando il plauso anche della Lega. Il Pd, che del M5S è alleato, non affonda colpi ma la posizione è chiara: se Conte facesse cadere Draghi mandando il Paese a elezioni anticipate in una situazione di crisi, sarebbe difficile pensare di proseguire il cammino insieme.

Le prossime ore saranno decisive. Lo si capisce anche dal colloquio avvenuto nel tardo pomeriggio al Colle, tra il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e Draghi. Da quanto filtra, l’incontro è servito per un esame della situazione politica internazionale e nazionale. Il capo dello Stato, infatti, ha riferito del suo recente viaggio in Africa, in Mozambico e Zambia. Mentre non ha commentato eventuali scenari sul piano interno, dopo le turbolenze nell’aula di Montecitorio e quelle possibili a Palazzo Madama.

Anche perché il quadro attuale non consente previsioni a lunga scadenza. Proprio mentre il Paese è impegnato nell’altra grande sfida: riempire gli stoccaggi per trascorrere un inverno tranquillo, in attesa di far entrare a pieno regime le nuove forniture che sostituiranno quelle russe, frutto dell’opera di diversificazione delle fonti di questi mesi. “Dobbiamo assolutamente arrivare ad avere gli stoccaggi al 90% entro gli ultimi mesi dell’anno”, avvisa il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Attualmente, rivela l’amministratore delegato di Snam, Stefano Venier, “siamo a 6,1 miliardi di metri cubi, il 64% dell’obiettivo che ci siamo dati, ovvero 11 miliardi”. La strategia prevede anche una riduzione dei consumi di gas, da sostituire con l’accelerazione sulle rinnovabili.

In queste condizioni “il risparmio, in particolare quello residenziale, può giocare un ruolo enorme”, spiega ancora il ministro. Ma nessun piano drastico. Come conferma anche una nota del Mite “il Governo mantiene lo stato di pre-allerta necessario al monitoraggio costante dei flussi, senza alcun bisogno di misure emergenziali e di un passaggio allo stato di allerta”. Dunque, “non è prevista l’attuazione di piani di emergenza energetica con misure di risparmio straordinarie, come erroneamente riportato da diversi quotidiani oggi”.

Per il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, però, oltre alla parsimonia si devono prendere anche decisioni “spiacevoli”, come “andare tutto a carbone” o “chiedere alla Francia di darci più energia nucleare”, perché “le rinnovabili non bastano”. Soluzioni per tamponare la possibile crisi energetica, su cui però il governo non pare stia ragionando. Anche perché prima va chiarito se quelle nuvole sono passeggere o si trasformeranno presto in una tempesta politica.