Ucraina, accordo Kiev e Washington su terre rare: la bozza dell’intesa

Kiev e Washington hanno raggiunto un accordo per sfruttare le ricchezze minerarie dell’Ucraina, dopo la situazione di stallo tra Donald Trump e Volodymyr Zelensky. Ma che si tratti degli importi in gioco o delle garanzie di sicurezza richieste dalla parte ucraina, i contorni del testo restano vaghi. Ecco cosa sappiamo dell’accordo, che potrebbe essere firmato a Washington venerdì in occasione della visita del presidente ucraino alla Casa Bianca.

UN FONDO COMUNE. Il presidente americano aveva insistito nel volere un risarcimento per gli aiuti erogati negli ultimi tre anni a sostegno dell’Ucraina. Secondo il Kiel Institute for the World Economy (IfW Kiel), Washington avrebbe visto un impegno di 500 miliardi di dollari, circa quattro volte superiore agli aiuti erogati finora, ovvero circa 120 miliardi di dollari. Il presidente ucraino ha poi respinto l’accordo, rifiutandosi di firmare un testo che “dieci generazioni di ucraini” dovranno pagare. Secondo una fonte ucraina informata del contenuto del compromesso questa richiesta finanziaria americana non figura più nel documento siglato ieri, 25 febbraio. Il documento, tuttavia, prevede che americani e ucraini sfrutteranno congiuntamente le risorse minerarie e che i proventi derivanti da ciò confluiranno in un fondo “congiunto tra Ucraina e America“. Secondo l’alto funzionario, gli americani hanno accettato di eliminare “tutte le clausole che non ci andavano a genio, in particolare quella da 500 miliardi di dollari”.

NESSUNA GARANZIA CONCRETA SULLA SICUREZZA. Per Kiev, una condizione fondamentale per garantire l’accesso alle proprie risorse agli alleati è l’ottenimento di garanzie di sicurezza, un meccanismo politico-militare per dissuadere la Russia da una nuova invasione dopo un eventuale accordo di cessazione delle ostilità. Il presidente Zelensky ha sollevato la possibilità di un simile scambio di ricchezze in cambio di garanzie di sicurezza già a ottobre, quando aveva delineato il suo “piano per la vittoria”. L’Ucraina ritiene che la migliore garanzia sarebbe l’adesione alla Nato, uno scenario respinto da Washington perché renderebbe impossibile qualsiasi tregua o pace, e Mosca lo vede come una linea rossa. Un’altra richiesta ucraina: forze di peacekeeping, in caso di cessate il fuoco. Ma gli Stati Uniti avevano già respinto questa opzione, pur essendo favorevoli all’impiego di truppe europee. Alla fine, il testo dell’accordo sui minerali conterrebbe un riferimento alla sicurezza dell’Ucraina, ma nessuna garanzia concreta. Secondo un alto funzionario ucraino su questo punto le discussioni sono ancora in corso. “Si tratta di una clausola generale che afferma che l’America investirà in un’Ucraina sovrana, stabile e prospera, che si adopererà per una pace duratura e che sosterrà gli sforzi volti a garantire la sicurezza“, ha spiegato la fonte.

QUALI GIACIMENTI COINVOLTI? QUALI MINERALI? Si dice che l’Ucraina contenga circa il 5% delle risorse minerarie mondiali, ma quelle ambite da Donald Trump sono per lo più inutilizzate, difficili da estrarre o di fatto sotto il controllo russo, perché si trovano in territori occupati. L‘Ucraina produce in particolare tre minerali essenziali: il manganese (8° produttore al mondo secondo World Mining Data), il titanio (11°) e la grafite (14°), essenziale per le batterie elettriche. Di quest’ultimo minerale, l’Ucraina concentra “il 20% delle risorse mondiali stimate“, sottolinea l’Ufficio francese per la ricerca geologica e mineraria (BRGM). La nazione è inoltre, secondo questa fonte, “uno dei principali Paesi in Europa per potenzialità” nello sfruttamento del litio, essenziale anche per le batterie. L’Ucraina sostiene di avere sul suo territorio “una delle più grandi risorse” di litio in Europa, ma secondo il governo, “finora” non viene estratto. Lo sfruttamento di questi giacimenti richiede investimenti considerevoli. Secondo l’ammissione dello stesso governo ucraino, solo lo sviluppo del deposito di Novopoltavske nella regione di Zaporizhzhia richiederebbe un investimento di 300 milioni di dollari. Il sito, che si dice contenga apatite, tantalio, niobio, stronzio, terre rare e persino uranio, si trova in territorio occupato dall’esercito russo. E il Cremlino ha escluso la cessione di aree sotto il suo controllo. Vladimir Putin, d’altro canto, si è detto favorevole agli investimenti americani in queste regioni occupate. Un altro esempio è il giacimento di Chevtchenkivske (in particolare minerali di litio, tantalio, niobio e berillio) che si trova a meno di 10 chilometri dal fronte, in un settore, quello di Pokrovsk, dove l’esercito russo sta ancora guadagnando terreno rispetto alle forze ucraine, meno numerose e meno armate.

Ecco perché la ‘flotta fantasma’ russa è un pericolo per il Mar Baltico

Navi cisterna obsolete e in cattive condizioni, appartenenti alla “flotta fantasma” della Russia, potrebbero da un momento all’altro causare una marea nera nelle acque poco profonde del Baltico. “Il rischio di una fuoriuscita di petrolio esiste da molti anni” in questo mare, ma “la flotta fantasma russa lo ha aumentato considerevolmente”, spiega all’AFP Mikko Hirvi, capo di un’unità della guardia di frontiera finlandese – la Sicurezza marittima – responsabile di rispondere alle minacce all’ambiente marino. Da più di due anni tengono d’occhio la flotta fantasma russa che opera nel Golfo di Finlandia, la baia più orientale del Baltico, confinante con l’Estonia a sud e la Russia a est. Anche Lettonia, Lituania, Polonia, Germania, Svezia e Danimarca circondano questo mare poco profondo, collegato all’Oceano Atlantico solo da uno stretto tra Svezia e Danimarca.

Le autorità finlandesi la definiscono come un insieme di petroliere vecchie e tecnicamente difettose mai viste nel Baltico prima che la Russia invadesse l’Ucraina nel 2022. Operano senza assicurazione occidentale e con equipaggi inesperti delle condizioni invernali. Il numero di navi della flotta ombra è esploso dal 2022, dopo che le sanzioni dell’Ue e dell’Occidente hanno preso di mira le esportazioni russe di petrolio nel tentativo di prosciugare le casse della Russia.

“Stimiamo che ogni settimana 70-80 petroliere cariche lascino i porti russi per trasportare petrolio attraverso il Golfo di Finlandia. Di queste, circa 30-40 navi appartengono alla flotta fantasma”, afferma Mikko Hirvi. Secondo un rapporto della Kiev School of Economics, sono state identificate circa 430 navi in tutto il mondo. “Gran parte naviga nello Stretto di Danimarca, poiché la Russia dipende fortemente dai suoi porti baltici per le esportazioni, in particolare di petrolio greggio”, sottolinea Yevgeniy Golovchenko, professore di scienze politiche all’Università di Copenhagen.

Alcune di queste navi sono state coinvolte nel danneggiamento di diversi cavi sottomarini, con esperti e politici che accusano la Russia di orchestrare una “guerra ibrida”. Queste petroliere nascondono sempre più spesso i dati relativi alla loro posizione disturbando il Gps e disabilitando l’Ais, osserva Hirvi. L’Ais è un sistema di localizzazione globale che le navi utilizzano per fornire informazioni sull’identificazione e il posizionamento al fine di evitare collisioni. “Disattivano il sistema per nascondere le loro visite in Russia e aggirare le sanzioni”, dice il funzionario finlandese. “Il rischio di incidenti è elevato”.

Queste navi operano spesso sotto la bandiera di Paesi come Gabon, Liberia e Isole Cook e visitano i porti petroliferi russi di Primorsk, Ust-Luga, Vyssotsk e San Pietroburgo. Alcune trasportano più di 100.000 tonnellate di petrolio, il che significa che una collisione o un incaglio potrebbero causare la fuoriuscita di migliaia di tonnellate di greggio, con conseguenze fatali per i fragili ecosistemi locali. In caso di incidente al largo delle coste danesi, “lo scenario più probabile è che i contribuenti danesi dovranno pagare per ripulire” il mare, osserva Golovchenko, poiché queste navi non hanno un’assicurazione adeguata per le fuoriuscite di petrolio.

Di fronte ai rischi creati da questa flotta fantasma, all’inizio di febbraio l’autorità marittima danese ha annunciato che avrebbe intensificato i controlli sulle petroliere. In quanto acque internazionali, gli stretti danesi sono soggetti al diritto di libero passaggio, e qualsiasi misura che impedisca a queste navi di entrare o uscire dal Mar Baltico richiede un equilibrio tra gli obblighi del diritto internazionale e la volontà politica, osserva Golovchenko.

Mattarella vede Zelensky: “Pieno sostegno Italia”. Da presidente ucraino invito a Kyev

Volodymyr Zelensky torna a Roma e rafforza il legame con il nostro Paese. Il presidente ucraino giovedì sera ha incontrato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, questa mattina invece è stato ricevuto al Quirinale dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che lo ha accolto con parole di profonda amicizia: “Confermo la determinazione dell’Italia a mantenere pieno, inalterato e costante sostegno all’Ucraina contro l’aggressione della Federazione Russa”.

Il capo dello Stato spiega che questa scelta è frutto della “amicizia che lega i nostri Paesi, per il rispetto delle regole della convivenza internazionale contro la pretesa di imporre con le armi la volontà a un altro Stato” e “per la sicurezza dell’Europa”. Zelensky ascolta e ricambia, innanzitutto ringraziando “per l’appoggio del governo italiano e per i pacchetti di sostegno all’Ucraina, sia al nostro esercito, alla nostra capacità di resistenza, sia a livello umanitario al nostro popolo”. Il presidente ucraino consegna a Mattarella anche un invito speciale a visitare Kyev, ricordando che sono ormai trascorsi 25 anni dall’ultima volta di un presidente della Repubblica italiana.

C’è anche un altro tema al centro dei colloqui intrattenuti da Zelensky a Roma, città dove il 10 e 11 luglio prossimi si svolgerà la Conferenza per la ricostruzione dell’Ucraina. “Sono molto contento che questa conferenza si tenga in Italia”, dice infatti al Quirinale, spiegando che “sul restauro del patrimonio culturale vogliamo davvero il sostegno dei vostri tecnici, che hanno molta esperienza”.

Ma non è solo la cultura che interessa. In un’intervista esclusiva a Rainews, infatti, sottolinea di avere avuto “un ottimo incontro con Giorgia Meloni ieri, abbiamo un rapporto particolare, ne sono contento”. E ripete i ringraziamenti per gli aiuti umanitari: “Sono fondamentali, soprattutto ora che ci sono attacchi al nostro sistema energetico, siamo infinitamente grati all’Italia”. Grazie alle infrastrutture inviate dal nostro Paese in questi anni, infatti, ci sono quelle utili a garantire energia elettrica per reggere al freddo degli inverni ucraini.

Inoltre, Zelensky mette in luce l’importanza di “scongelare i beni degli oligarchi russi per ricostruire l’Ucraina: è una cosa estremamente positiva. Sono molto grato a Meloni per quello che è stato fatto”. Della premier, poi, intercettato dal ‘Messaggero’ dice apertamente “mi fido di lei”.

Il presidente ucraino, al termine degli incontri, fa un resoconto ampio anche sui suoi canali social, sempre alimentati con tante informazioni quasi in tempo reale. “Ho ringraziato il presidente Mattarella per l’incrollabile sostegno dell’Italia, per la sua posizione chiara e di principio su una pace giusta e duratura e per l’importanza di una stretta collaborazione con i partner internazionali per raggiungere questo obiettivo”, scrive su Telegram. Aggiungendo di apprezzare “la visione positiva” del nostro Paese “sull’integrazione dell’Ucraina nella Ue e nella Nato come elemento chiave del sistema di sicurezza paneuropeo. Ho sottolineato – continua – che l’integrazione del mio Paese nelle strutture di sicurezza esistenti non è solo la soluzione più efficace, ma anche la più conveniente per tutti i partner”.

A quasi tre anni dall’inizio del conflitto si moltiplicano gli sforzi per arrivare a un accordo che metta fine alle armi. In attesa ovviamente che il neo presidente Usa, Donald Trump, entri in carica il 20 gennaio prossimo. In queste ore si fa largo l’ipotesi di un incontro tra il tycoon e il presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin: da Mosca arrivano aperture, ma la strada verso un negoziato risolutore è ancora lunga da percorrere.

La bolletta del gas tutelato sale ancora. Pichetto: “Rivedere price cap europeo”

Il mese di dicembre 2024 segna un nuovo aumento dei prezzi del gas in Italia, con il costo di riferimento per il cliente tipo che arriva a 125,22 centesimi di euro per metro cubo, in crescita del 2,5% rispetto a novembre. L’incremento è stato determinato dall’aumento dei prezzi all’ingrosso, un fattore che incide direttamente sulla spesa per la materia prima. La conferma arriva dall’Arera, l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, che ha comunicato anche il valore della materia prima per il Servizio di Tutela della Vulnerabilità gas, che per dicembre 2024 si attesta a 47,59 euro/MWh. Attualmente, circa 2,36 milioni di clienti domestici usufruiscono di questo servizio di protezione, che in due mesi – tra novembre e dicembre – hanno visto la loro tariffa aumentare di ben oltre il 20%. In particolare, secondo Arera, la spesa per la materia prima gas naturale incide per il 42,98% del totale della bolletta, pari a 53,82 centesimi di euro. La spesa per il trasporto e la gestione del contatore, che copre la distribuzione, la misura e i servizi correlati, rappresenta il 22,4%, pari a 28,03 centesimi. Gli oneri di sistema e le imposte incidevano rispettivamente per il 2,35% e il 27,36%.

A complicare ulteriormente la situazione, il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, ha sottolineato l’impatto dello stop al transito delle forniture di gas da parte di Gazprom attraverso l’Ucraina. Sebbene l’Italia abbia continuato a ricevere gas dalla Russia nel corso del 2024, Pichetto ha rassicurato sullo stoccaggio nazionale, che ha raggiunto l’80% della quota di dosaggio. “Abbiamo una decina di miliardi di metri cubi di disponibilità e riusciamo a far fronte al passaggio invernale“, ha dichiarato il ministro, facendo riferimento anche ai rifornimenti verso l’Austria attraverso il punto di Tarvisio.

Tuttavia, la principale preoccupazione resta l’incremento dei prezzi, legato non solo alla riduzione dei quantitativi di gas disponibili per l’Europa, ma anche ai possibili rischi di speculazione nel mercato spot. Pichetto ha suggerito che uno degli strumenti per contrastare tale fenomeno sia rappresentato dai contratti di lungo termine, che permettono una maggiore stabilità e protezione contro le fluttuazioni improvvise dei prezzi. Per quanto riguarda le soluzioni politiche, Pichetto a Radio Radicale ha sottolineato che “l’Unione europea dovrebbe, a questo punto, e lo abbiamo chiesto, rinnovare l’eventuale price cap, ma non a 180 euro come il precedente, ma a 50-60 euro – ha sottolineato il responsabile del Mase -. Questo significherebbe porre anche un freno a quelle operazioni puramente finanziari che non c’entrano niente con la materia prima, ma pesano sulle famiglie e sulle imprese“.

Intanto, l’eurodeputata Annalisa Corrado, responsabile Ambiente del Partito Democratico, in una nota sottolinea che “occorre proteggere in maniera strutturale e solida le fasce più fragili della popolazione, a partire dai consumatori cosiddetti ‘vulnerabili’, difendendoli dalle speculazioni di un mercato fuori controllo; occorre accelerare ogni azione possibile per far penetrare nelle bollette i benefici del basso costo delle rinnovabili, il modo più rapido ed efficace che abbiamo di correre ai ripari, abbassando la nostra dipendenza dal gas di qualunque provenienza, che rende elevati e instabili i costi. Torniamo a chiedere al Governo e a tutte le forze politiche di prendere in considerazione la nostra proposta di riforma dell’Acquirente Unico, che risponde in maniera strutturale a diverse delle problematiche qui illustrate, innanzitutto a immediata tutela dei consumatori vulnerabili“, conclude la nota della Corrado.

Tabarelli

Il prezzo del gas a 50 euro al megawattora. Tabarelli: “Rincari medi di 30mila euro anno per le imprese”

Il prezzo del gas resta intorno ai 50 euro per megawattora, ma potrebbe subire un nuovo aumento nel breve periodo, arrivando fino a 70 euro/MWh. A lanciare l’allarme è Gianclaudio Torlizzi, fondatore di TCommodity, intervistato da Class Cnbc. Secondo Torlizzi, infatti, l’interruzione delle forniture di gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina sta mettendo sotto pressione i mercati energetici, già tesi da mesi. Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia, sentito da GEA, non fa previsioni ma evidenzia che, nonostante l’alto livello delle scorte a gennaio, basta un lieve disallineamento tra domanda e offerta per far schizzare i prezzi alle stelle. “Il mercato è molto tirato e i traders non vedono l’ora di far salire i prezzi”, sottolinea, calcolando che nel 2025, “la previsione per una famiglia media è un aumento della bolletta energetica tra i 250 e i 300 euro annui. Le imprese, invece, potrebbero affrontare un incremento più consistente, che per una realtà con un consumo annuo di 1 milione di kWh potrebbe arrivare fino a 30.000 euro in più all’anno”.

Secondo Torlizzi, uno degli ostacoli principali alla competitività dell’Unione Europea nella “guerra economica” contro Mosca è il Green Deal. La necessità di accelerare la transizione verso fonti di energia rinnovabile potrebbe rendere più difficile per l’UE rispondere prontamente alle sfide imposte dalla crisi energetica in corso. E Tabarelli fa notare che le politiche annunciate dall’Unione Europea per diversificare le fonti di approvvigionamento energetico non hanno portato ai risultati sperati. “La Commissione Europea sta continuando a diffondere ottimismo da anni, ma la realtà è che siamo ancora in piena crisi. E si è fatto poco per concretizzare le politiche di diversificazione”, osserva a GEA il presidente di Nomisma Energia.

Un altro aspetto che preoccupa gli esperti è la domanda debole, un fenomeno che ha caratterizzato la crescita economica negli ultimi anni. “Siamo in una fase di ‘decrescita felice’, se vogliamo definirla così”, commenta Tabarelli, mettendo in evidenza la necessità di risposte più rapide ed efficaci da parte delle istituzioni.

Tra le alternative al gas naturale, il biogas e il biometano sembrano essere soluzioni promettenti, ma non sufficienti a colmare il gap creato dalla crisi energetica. Tabarelli spiega che, sebbene ci siano buoni risultati nel settore delle energie rinnovabili, l’Italia consuma circa 61 miliardi di metri cubi di gas all’anno e solo una piccola parte di questo fabbisogno può essere soddisfatta dal biometano, che al momento produce circa 0,2 miliardi di metri cubi. “Se riusciremo a raggiungere 1 miliardo di metri cubi di biometano, sarà un grande successo, ma è un obiettivo ancora lontano”, spiega.

I rincari intanto vengono al pettine e venerdì l’Arera, Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente, è attesa per l’annuncio dei nuovi prezzi del gas per il mese di dicembre, noto come ‘Componente CMEMm’. Le previsioni indicano che i clienti in tutela, cioè i più vulnerabili, potrebbero subire un incremento del 2,5% sulle bollette, mentre per chi è nel mercato libero con un’offerta indicizzata al PSV (Punto di Scambio Virtuale), il rincaro potrebbe essere simile, considerando che il prezzo medio del gas di dicembre è stato pari a 47,6 euro/MWh. E Tabarelli conferma: “Per il gas, ci aspettiamo aumenti tra il 4 e il 5% già nei primi mesi del 2025”.

Non sale però solo il gas. I future sul petrolio Wti salgono di quasi il 2,5% a 73,4 dollari al barile, raggiungendo il livello più alto da ottobre, alimentati dall’ottimismo sulla domanda di petrolio e da un rapporto che mostra una riduzione delle scorte di greggio statunitensi. L’ottimismo è cresciuto dopo il discorso di Capodanno del presidente cinese Xi Jinping, nel quale ha espresso fiducia nella ripresa economica della Cina nonostante le incertezze globali. Inoltre, il settore manifatturiero cinese ha continuato la sua leggera espansione per il terzo mese consecutivo, sollevando ulteriormente le aspettative di una forte domanda di petrolio. L’aumento dei prezzi è stato anche supportato da un rapporto dell’Eia, che ha mostrato che le scorte di greggio statunitensi sono diminuite di 1,178 milioni di barili la scorsa settimana, segnando la sesta settimana consecutiva di riduzione delle scorte

In Italia non c’è allarme scorte di gas, ma il livello di attenzione diventa massimo

Lo stop al transito di gas russo via Ucraina in direzione Europa mette in allarme sugli stoccaggi. L’Ue minimizza, facendo sapere che avrò impatti minimi; l’Italia non fa drammi e tramite il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, assicura che le scorte sono “a un livello adeguato”, ma comunque “si stanno valutando ulteriori misure per massimizzare la giacenza”.

L’inverno 2024/2025 si sta rivelando più freddo di quello dell’anno scorso, ragion per cui i riscaldamenti sono a pieno regime già dallo scorso mese di novembre in tutta Italia, e in alcuni casi anche da fine ottobre. È ragionevole immaginare un consumo più alto, dunque, ma non oltre la soglia di attenzione. “L’interruzione dei transiti di gas dall’Ucraina è tutto meno che una sorpresa”, dice al ‘Corsera’ il presidente di Arera, Stefano Besseghini. Dall’Authority non arrivano allarmi, visto che “gli impatti sul sistema saranno ragionevolmente gestibili”, ma “appare in tutta la sua evidenza la delicatezza del sistema Gas ancora oggi a quasi tre anni dall’inizio della guerra”. Ragion per cui, raccomanda Besseghini, “molto è stato fatto, ma non deve scendere il livello di attenzione”.

La fine delle forniture di Gazprom via Ucraina non è di sicuro un fulmine a ciel sereno: da tempo era preventivata questa interruzione e “il sistema si era già preparato”, assicura il numero uno di Arera al ‘Sole 24 Ore’. Ricordando come la combo tra stoccaggi “coperti” nel breve periodo e temperature non estremamente rigide, con consumi tutto sommato sotto controllo, “non deve portarci a rallentare il percorso di rafforzamento del sistema”. Questo perché “non dobbiamo dimenticarci che siamo ancora in una situazione di mercato estremamente fragile ed è troppo presto per scordarsi dell’emergenza”.

Non a caso dal mondo delle imprese partono i primi, preoccupati appelli. “L’annuncio di Gazprom di interrompere le forniture di Gas alla Moldavia a partire dall’inizio di gennaio segnala un aumento del rischio di una grave crisi energetica e umanitaria in Europa”, avverte ad esempio il presidente di Confapi, Cristian Camisa.

Il tema, ovviamente, tiene banco anche nel mondo politico. Dall’opposizione è Angelo Bonelli ad attaccare: “La storia non ha insegnato nulla a chi governa l’Italia: ci ritroviamo a dover affrontare costi energetici inaccettabili per imprese e famiglie che ci riportano al 2021-2022 – sostiene il deputato di Avs -, quando l’aumento del prezzo del Gas portò alla triplicazione del costo delle bollette realizzando un vero e proprio salasso economico per i settori sociali ed economici più deboli. L’esecutivo è responsabile di questa situazione perché non ha una strategia energetica ed invece di puntare sulle rinnovabili è impegnato a riportare l’Italia nella produzione di nucleare da fissione che porterà a fare pagare l’energia più di quanto la paghiamo oggi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Cinquestelle, Davide Aiello, sottolineando che “la stangata sulle bollette di luce e gas nell’ex mercato tutelato registra un incremento del 18% per i prossimi mesi”. Il 2025, dunque, inizia già in salita ma senza (ancora) il suono d’allarme delle ‘sirene’.

Capodanno col botto: stop al gas russo in Europa via Ucraina, prezzo a 50 euro/Mwh

Il 2025 inizia con una crisi energetica per l’Europa. Capodanno col botto, viene da dire, considerando che dalle 6 dell’1 gennaio i flussi di gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina potrebbero cessare per sempre, visto il decadere dell’accordo sul transito che legava Mosca e Kiev dal 2019. Secondo i dati forniti dall’operatore di rete ucraino, le richieste di gas alla stazione di aspirazione di Sudzha, al confine tra Russia e Ucraina, sono scese a zero, una cifra ben al di sotto dei 40 milioni di metri cubi al giorno solitamente registrati. L’interruzione dei flussi russi, salvo improvvise retromarce nelle prossime ore o nei prossimi giorni, avrà impatti diretti sull’Europa, che già fatica a fronteggiare l’alta domanda e la scarsità delle risorse.

Nonostante la quantità di gas perduto rappresenti solo il 5% del fabbisogno complessivo, l’effetto sull’economia potrebbe “essere devastante, con una stima che parla di un aumento dei costi energetici per i consumatori europei fino a 120 miliardi di euro, tra gas e elettricità”, scrive Bloomberg. I prezzi del gas, infatti, hanno già cominciato a salire, superando anche i 50 euro per megawattora, il livello più alto da novembre 2023. L’Unione Europea, grande assente in questi mesi di tentativi di accordo andati a vuoto, ha cercato di rassicurare in questi giorni affermando che la sicurezza energetica non è a rischio grazie alla diversificazione delle fonti, tra cui le importazioni di gas naturale liquefatto, in particolare dagli Stati Uniti. Tuttavia, paesi come la Slovacchia, che dipendono ancora dalle forniture russe, potrebbero incontrare difficoltà nell’affrontare la carenza di gas, con conseguenti costi più elevati per il trasporto delle risorse alternative.

Le tensioni politiche tra Russia e Ucraina avevano già causato interruzioni nel 2006 – due settimane di stop – e nel 2009 – qualche giorno senza flusso di gas – ma la situazione attuale appare più complessa per via di una guerra ancora in corso. Il presidente ucraino Zelensky ha escluso qualsiasi accordo che possa rafforzare l’economia russa, mentre Putin ha dichiarato che non ci sarebbe stato tempo per trovare un compromesso prima della fine dell’anno. Mosca comunque continuerà a fornire gas a Serbia e Ungheria tramite il gasdotto TurkStream, che non attraversa l’Ucraina, ma questo non basta a compensare la perdita della rotta principale verso l’Europa centrale e, a cascata, levando materia prima e quindi potenziale elettricità ai Paesi attorno, fino all’Italia. Lo testimonia la galoppata del prezzo del gas, che in Europa è salito di oltre il 50% in un anno. Non siamo fortunatamente ai livelli dell’estate 2022. All’epoca il Ttf quotato ad Amsterdam arrivò al picco di 340 euro per megawattora perché si temeva che il Vecchio Continente non avrebbe avuto gas a sufficienza in vista dell’inverno e tutti i grandi Paesi spesero cifre folli per assicurarsi le forniture. Adesso siamo sui 50 euro/Mwh, ma è pur sempre il 200% in più rispetto a fine 2019. Le bollette non a caso hanno ripreso a salire a doppia cifra, con inevitabili conseguenze per inflazione, redditi familiari e competitività delle imprese. E l’inverno non è finito. Anzi…

Con guerra in Ucraina e calo del nucleare francese elettricità in Italia costa il 33% in più

In base alla rilevazione settimanale del Gme, il Gestore dei mercati energetici italiani, il prezzo del gas all’ingrosso è stato di 40,67 euro per megawattora nella settimana 32 di quest’anno, quella tra il 5 e l’11 agosto, in rialzo del 7,3% nei confronti dell’ottava precedente. Lo scorso anno, sempre nella settimana 32, il prezzo del gas all’ingrosso era scambiato a 30,78 euro per megawattora. Rispetto allo stesso periodo del 2023, il gas in Italia costa dunque il 32,1% in più. A surriscaldare i prezzi c’è il pericolo che l’escalation Ucraina-Russia coinvolga gli impianti energetici, ma c’è anche la concorrenza asiatica per il Gnl.

Il contratto Ttf con scadenza settembre sale di oltre il 5% a 45,4 euro per megawattora, durante la seduta odierna, in seguito all’attacco delle forze armate ucraine alla centrale nucleare di Zaporizhzhia e all’annunciata riduzione di capacità nucleare di 2,4 Gwh da parte di Edf a causa dell’ondata di calore che sta colpendo la Francia e l’Europa. Poi in realtà chiude perdendo circa l’1,5% e torna sotto i 40 euro. Si resta comunque sui massimi da 8 mesi perché sullo sfondo il più grande assalto dell’Ucraina in territorio russo, dopo l’invasione del 2022, sta mettendo ancora più pressione alle quotazioni di una delle materie prime chiave dell’Europa. Si combatte nella regione russa di Kursk, sede di un punto chiave di immissione di gas. La stazione di Sudzha è infatti vicino al confine e fa parte dell’ultimo punto di transito del gasdotto russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina.

I flussi per ora restano comunque in linea con le settimane precedenti, come sottolineato da Gazprom. C’è grande timore però per un’interruzione improvvisa e anticipata dei flussi, il che rappresenterebbe uno shock per nazioni come la Slovacchia e l’Austria, che attualmente dipendono da questa fornitura e potrebbero vedere prezzi del gas più elevati per aziende e consumatori se venisse bloccata.
I commercianti di gas europei evitano quindi lo stoccaggio in Ucraina dopo gli attacchi russi. E, oltre al confine orientale, l’attenzione è rivolta anche alla prossima manutenzione intensiva presso gli stabilimenti norvegesi a partire da fine agosto, che ridurrà inevitabilmente le forniture.

Non è solo la guerra però ad accendere il gas. Al 6 agosto il tasso di riempimento degli stoccaggi in Europa supera l’86%, al di sopra della media quinquennale del 78%, tuttavia i minori afflussi di Gnl hanno fatto sì che il ritmo delle costruzioni di stoccaggio sia un po’ più lento anno su anno, e quindi le scorte stanno iniziando a scendere al di sotto dei livelli dell’anno precedente quando, in questo periodo, erano all’87%. Il principale colpevole di questa lentezza è stato il minor afflusso di Gnl in Europa. La forte domanda asiatica di gas liquefatto ha garantito che il JKM – l’equivalente del Ttf nell’Asia nord orientale specialmente in Giappone e Corea – sia stata scambiata a un premio superiore rispetto a Ttf per gran parte del 2024, il che ha portato a una deviazione dei carichi di Gnl dall’Europa all’Asia. Gli invii di gas liquefatto alla Ue a luglio sono rimasti sostanzialmente invariati mese su mese, a poco meno di 7,6 miliardi di metri cubi. Tuttavia, questo lascia comunque i volumi di luglio in calo del 25% anno su anno e i volumi mensili più bassi visti dall’inizio della guerra Russia/Ucraina.

Col gas più caro, anche il prezzo dell’energia elettrica rincara. A luglio luglio il Pun – cioè il prezzo della luce all’ingrosso – è salito “a 112,32 euro/MWh (+9,15 euro/MWh), livello più alto da inizio anno”, riflettendo “soprattutto lo stagionale aumento della domanda, con gli acquisti in decisa crescita ai massimi da agosto 2019, dinamica a cui si affianca anche un calo dei volumi rinnovabili“, si legge nell’ultima newsletter del Gme, il Gestore dei mercati energetici italiano. E se le rinnovabili perdono peso nel mix energetico, lo riacquista inevitabilmente il gas. Risultato finale: secondo la rilevazione settimanale del Gme, il prezzo dell’elettricità all’ingrosso è stato di 128,7 euro per megawattora nella settimana 32 di quest’anno, quella tra il 5 e l’11 agosto, in rialzo del 7,1% nei confronti dell’ottava precedente. Lo scorso anno, sempre nella settimana 32, il Pun (prezzo unico nazionale) dell’energia elettrica era di 96,31 euro per megawattora. Rispetto allo stesso periodo del 2023, l’elettricità in Italia costa dunque il 33,6% in più.

G7, si lavora alla bozza: alla Cina si chiederà lo stop degli aiuti a Russia. Appello dell’Onu per il clima

La Cina smetta di sostenere la guerra della Russia in Ucraina e Hamas accetti l’accordo per il cessate il fuoco proposto dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Sono due punti su cui lavorano gli sherpa del G7 per il documento finale che dovrà essere adottato dai leader a Borgo Egnazia, in Puglia (13-15 giugno).

In giornata, si solleva la polemica su un punto saltato, in cui i Grandi della Terra sottolineavano l’importanza di garantire “un accesso effettivo e sicuro all’aborto, inserito nel corso del G7 di Hiroshima. Il punto sarebbe stato eliminato su iniziativa del governo Meloni, creando tensioni tra le delegazioni. Fonti della presidenza italiana fanno però sapere che “nessuno Stato ha chiesto di eliminare il riferimento alle questioni relative all’aborto dalla bozza” e che “tutto quello che entrerà nel documento conclusivo sarà un punto di caduta finale frutto di un negoziato fra i membri G7”.

Sulla Cina, “Il continuo sostegno di Pechino alla base industriale della difesa russa ha implicazioni significative e di ampia portata sulla sicurezza”, si legge nella bozza che Bloolmerg ha lasciato trapelare.

Gli alleati di Kiev accuserebbero Pechino di fornire alla Russia tecnologie e componenti – sia presenti nelle armi sia necessari per costruirle – aiutando gli sforzi di Mosca per aggirare i pacchetti di restrizioni commerciali del G7 su molti di questi beni. I materiali vietati infatti spesso arrivano in Russia attraverso paesi terzi come Cina e Turchia o attraverso reti di intermediari. Le misure in discussione includono la quotazione di più società, il targeting delle banche di paesi terzi che facilitano gli scambi, la richiesta che le aziende intensifichino i controlli sulle loro filiali e subappaltatori all’estero e l’espansione delle restrizioni sui prodotti di marca occidentale che continuano a finire in Russia.

Il G7 chiederà anche a Pechino di spingere la Russia a ritirarsi dall’Ucraina e a sostenere una pace giusta. Si prevede che i leader affermino che le politiche della Cina “stanno creando ricadute globali, distorsioni del mercato e dannosa sovraccapacità in una serie di settori”. E ancora, i leader del G7 metteranno in guardia la Russia da minacce nucleari “irresponsabili”.

Quanto al Medioriente, ci sarà la sollecitazione ad Hamas ad accettare l’accordo di cessate il fuoco a Gaza presentato dal presidente Usa Joe Biden. Israele dovrebbe essere direttamente sollecitata ad allentare l’escalation di una “offensiva militare su vasta scala” a Rafah: la bozza potrebbe includere un linguaggio che chieda con decisione un passo in questo senso, in linea con le misure provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia. “Esortiamo i paesi che hanno influenza su Hamas” a contribuire a garantire che accetti un cessate il fuoco, si legge.

Non c’è invece per il momento accordo unanime sul riconoscimento dello Stato palestinese come parte di un processo di pace a due Stati. “Notiamo che il riconoscimento di uno Stato palestinese, al momento opportuno, sarebbe una componente cruciale”, si legge nel testo provvisorio.

Arriva dal segretario dell’Onu Antonio Guterres, in un punto con la stampa a Ginevra, l’invito ai leader per un impegno alla fine all’uso del carbone entro il 2030. “I Paesi più grandi – ha aggiunto – hanno la responsabilità di andare più lontano, più velocemente” e per questo è necessario “creare sistemi energetici privi di combustibili fossili e ridurre la domanda e l’offerta di petrolio e gas del 60% entro il 2035”. “I leader del G7 hanno una responsabilità particolare, in primo luogo, sul clima”, sottolinea Guterres che denuncia il “vortice dell’inazione climatica, con alluvioni, incendi, siccità e caldo devastanti”.

C’è attesa intanto per il bilaterale più importante che Meloni potrà avere in questo senso: quello con il presidente americano Joe Biden, che questa sera arriva all’aeroporto di Brindisi. Il faccia a faccia dovrebbe avvenire, secondo quanto riferisce la Casa Bianca, venerdì 14 giugno, a margine, del summit. Cruciale sarà anche il bilaterale di Biden con Papa Francesco e la conferenza stampa, attesa per domani, giovedì 13 giugno, con il presidente ucraino Volodomir Zelensky.

Attacchi alla centrale di Zaporizhzhia. Allarme Aiea: Rischio grave incidente nucleare

Accuse reciproche tra Mosca e Kiev sugli attacchi, con droni, contro la centrale nucleare di Zaporizhzhia, occupata dalla Russia nel sud dell’Ucraina e periodicamente presa di mira da pericolosi bombardamenti. Tanto che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (l’Aiea) ha parlato di “rischio di un grave incidente nucleare” esortando allo stop dei bombardamenti.

La centrale nucleare, la più grande d’Europa con sei reattori, è stata presa di mira domenica da diversi droni e lunedì da un ordigno, secondo quanto riportato dall’amministrazione di Mosca. “I tentativi delle forze armate ucraine di attaccare la centrale nucleare di Zaporizhzhia continuano”, ha detto su Telegram, riferendosi a “un drone suicida abbattuto sopra la centrale” che “è caduto sul tetto” del reattore numero 6, senza costituire un pericolo per l’impianto. Il giorno prima, l’agenzia atomica russa Rosatom aveva riferito che un drone si era schiantato contro la mensa della centrale, ferendo tre persone, mentre altri droni erano caduti su una banchina di carico e sul tetto di uno dei reattori.

L’Ucraina, da parte sua, ha accusato la Russia di diffondere informazioni “false” assicurando che le forze russe hanno attaccato con i droni la centrale che occupano dal marzo 2022. Il capo del Centro ucraino per la lotta alla disinformazione, Andriï Kovalenko, ha accusato la Russia di una “campagna di provocazione e falsificazione” volta a far credere “che la minaccia alla centrale nucleare e alla sicurezza provenga dall’Ucraina”. Un portavoce dell’intelligence ucraina, Andriï Yussof, aveva già accusato Mosca di aver effettuato “attacchi simulati”. “L’Ucraina non ha nulla a che fare con la minima provocazione armata all’interno della centrale elettrica“, ha assicurato domenica. Intanto, come confermato sui social network da Ivan Federov, capo dell’amministrazione regionale di Zaporizhzhia “3 persone sono state uccise e altre tre ferite“. Secondo Federov, le forze russe hanno colpito otto aree popolate della regione “357 volte” nelle ultime 24 ore.

Si tratta di una grave escalation dei pericoli per la sicurezza nucleare che la centrale nucleare di Zaporizhzhia deve affrontare. Tali attacchi sconsiderati aumentano significativamente il rischio di un grave incidente nucleare e devono cessare immediatamente”, ha commentato il direttore generale dell’Aiea, Rafael Mariano Grossi. Al momento, spiega l’Aiea, non vi sono indicazioni di danni alla sicurezza nucleare critica o ai sistemi di protezione del sito. Tuttavia, gli attacchi militari sono stati un’altra dura testimonianza delle persistenti minacce alla centrale e ad altri impianti nucleari durante il conflitto armato, nonostante gli sforzi dell’Aiea per ridurre il rischio di un grave incidente che potrebbe danneggiare le persone e l’ambiente in Ucraina e oltre. “Come ho ripetutamente affermato – anche al Consiglio di Sicurezza e al Consiglio dei Governatori dell’Aiea – nessuno può concepibilmente beneficiare o ottenere alcun vantaggio militare o politico dagli attacchi contro impianti nucleari. Attaccare una centrale nucleare è assolutamente vietato“, ha affermato Grossi. “Faccio appello fermamente ai decisori militari affinché si astengano da qualsiasi azione che violi i principi fondamentali che proteggono gli impianti nucleari”.

Dopo aver ricevuto informazioni sugli attacchi dei droni, gli esperti dell’Aiea di stanza sul posto si sono recati nelle tre località colpite. Sono stati in grado di confermare l’impatto fisico delle detonazioni dei droni, anche in uno dei sei edifici del reattore del sito, dove sembravano essere state prese di mira le apparecchiature di sorveglianza e comunicazione. Mentre si trovavano sul tetto del reattore, unità 6, le truppe russe hanno ingaggiato quello che sembrava essere un drone in avvicinamento. Ciò è stato seguito da un’esplosione vicino all’edificio del reattore. Anche se finora il team non ha osservato alcun danno strutturale a sistemi, strutture e componenti importanti per la sicurezza nucleare o l’incolumità dell’impianto, ha riferito di aver notato lievi bruciature superficiali sulla parte superiore del tetto della cupola del reattore dell’Unità 6 e rigature su una parete di cemento, di sostegno dei serbatoi di stoccaggio dell’acqua primaria di reintegro. “Sebbene il danno all’unità 6 non abbia compromesso la sicurezza nucleare, si è trattato di un incidente grave che ha il potenziale per minare l’integrità del sistema di contenimento del reattore“, ha affermato il direttore generale Grossi.

Per Mosca, però, “la colpa degli attacchi alla centrale nucleare di Zaporozhzhia, così come delle loro possibili conseguenze, ricade interamente sulla leadership di quegli Stati che forniscono armi e informazioni al regime di Kiev, gli forniscono risorse finanziarie, addestrano il personale militare delle Forze Armate Forze ucraine e fornire informazioni di “sostegno” ai crimini ucraini”. In una nota il ministero russo degli Esteri ribadisce che “la Russia sta facendo tutto il necessario per garantire la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia in conformità con la legislazione nazionale e gli obblighi legali internazionali”.