Allarme di Kiev: “La Russia ha ricominciato con il terrore energetico”

La Russia ha ricominciato con azioni destinate a diffondere il “terrore energetico” in Ucraina con l’avvicinarsi dell’inverno. A lanciare l’allarme è il primo ministro ucraino, Denys Shmyhal.

 “La fase del terrore energetico è già iniziata”, ha dichiarato il premier durante un forum economico, citato dall’agenzia di stampa Interfax-Ucraina. “Lo possiamo vedere nella distruzione delle infrastrutture energetiche” e nei “primi attacchi” contro le sottostazioni elettriche “nelle ultime due settimane”, ha aggiunto.

Il premier ucraino ritiene, però, che il Paese sia meglio preparato rispetto all’inverno precedente, quando gli attacchi di Mosca alle infrastrutture energetiche hanno regolarmente gettato milioni di persone nel buio e nel freddo. “Siamo molto più preparati e forti dell’anno scorso”, ha sottolineato, grazie soprattutto alla fornitura di sistemi di difesa aerea occidentali. “L’inverno sarà sicuramente duro, non certo più facile dell’ultimo”, ma “sappiamo cosa sta facendo il nemico e quali sfide ci attendono”, ha aggiunto Shmygal.

Quasi ogni notte, la Russia bombarda le città ucraine con missili e droni kamikaze. Giovedì, una nuova salva di oltre 40 missili da crociera ha ucciso tre persone a Kherson, nel sud, e ne ha ferite sette nella capitale, Kiev. Sebbene la maggior parte dei missili sia stata abbattuta, alcuni hanno colpito infrastrutture civili, secondo le autorità ucraine.

Per la prima volta in sei mesi, gli impianti energetici nell’ovest e nel centro del Paese sono stati danneggiati dagli attacchi russi, causando interruzioni di corrente in diverse regioni, ha riferito il fornitore ucraino Ukrenergo su Telegram.

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I giganti mondiali del grano: Russia è primo esportatore al mondo

La Cina produce molto ma non esporta, la Russia domina il commercio e detta le regole: una panoramica del mercato del grano, cereale essenziale per il pane, che solo una decina di Paesi al mondo è in grado di esportare.
Semola, farina o pane: “Tutti mangiano il grano, ma non tutti sono in grado di produrlo“, sintetizzava l’economista francese Bruno Parmentier, autore di ‘Nourrir l’humanité’, nel luglio 2022.

Frutto dei climi temperati, nato in Mesopotamia, il grano tenero consumato oggi da miliardi di esseri umani può diventare un vettore di guerra, quando manca o la sua mobilità è ostacolata.
Ad agosto, l‘International Grain Council (IGC), che riunisce i principali Paesi importatori ed esportatori del mondo, ha previsto una produzione mondiale di grano di 784 milioni di tonnellate nel 2023-24, in leggero calo del 2,4% rispetto all’anno precedente.

Solo una decina di Paesi produce abbastanza da poter esportare: la Cina, di gran lunga il maggior produttore mondiale con 138 milioni di tonnellate nel 2022-23, importa ancora più di 10 milioni di tonnellate all’anno per nutrire i suoi 1,4 miliardi di abitanti, tenendo sempre a disposizione un’enorme scorta.
Dopo un raccolto record di 92-100 milioni di tonnellate nel 2022-23, a seconda delle fonti, la Russia è “sulla buona strada per avere il secondo miglior raccolto di sempre“, secondo Sébastien Poncelet, specialista del mercato dei cereali di Agritel (gruppo Argus media), che prevede circa 90 milioni di tonnellate.

In quanto primo esportatore mondiale, con 46 milioni di tonnellate nel 2022-23 secondo le stime dell’USDA, la Russia da sola potrebbe rappresentare un quarto del commercio mondiale di grano quest’anno. Dietro Mosca, i principali esportatori sono il Canada, l’Australia, gli Stati Uniti, che dovrebbero scendere sotto i 20 milioni di tonnellate, il livello più basso degli ultimi 50 anni, e la Francia. L’Ucraina, che prima della guerra stava per diventare il terzo esportatore mondiale, dovrebbe esportare solo 10 milioni di tonnellate, secondo l’USDA.

Secondo Sébastien Abis, ricercatore associato presso l’Institut de relations internationales et stratégiques (Iris), dal 2018 la Turchia è il principale cliente di grano della Russia, seguita dall’Egitto: questi due Paesi rappresentano il 40% delle esportazioni russe. Seguono Iran e Siria. L’esperto sottolinea che il grano russo sta facendo progressi costanti sul mercato delle esportazioni e si sta ritagliando uno spazio tra i clienti tradizionali, dall’Europa occidentale al Maghreb e all’Africa subsahariana.

Secondo l’Istituto africano per gli studi sulla sicurezza (ISS), nel 2020 il commercio totale tra Russia e Africa ammontava a circa 14 miliardi di dollari, rispetto ai 295 miliardi di dollari con l’Unione europea, ai 254 miliardi di dollari con la Cina e ai 65 miliardi di dollari con gli Stati Uniti. Inizialmente incentrato su energia e armi, questo commercio si è esteso sempre più alle materie prime agricole, in particolare al grano.

Sebbene il grano non sia un alimento base nella maggior parte dell’Africa, rimane un’importante fonte di calorie in molti Paesi, in particolare nei centri urbani, dove la mancanza di pane può portare rapidamente a rivolte.

Secondo uno studio dell’IFPRI (International Food Policy Research Institute), tra il 2019 e il 2021, il grano destinato all’Africa subsahariana rappresenterà in media circa il 18% delle esportazioni annuali totali di questo cereale da parte della Russia. I volumi, pur non essendo enormi, non sono insignificanti: 3,9 milioni di tonnellate di grano russo nel 2022-23 (poco meno del 20% delle importazioni di grano della regione, ma in calo rispetto ai 4,5 milioni di tonnellate del 2021-22).
La Russia, che ha intensificato le promesse di forniture a basso costo all’Africa, “non ha compensato” il calo delle esportazioni ucraine, che si sono più che dimezzate a 701.000 tonnellate nel 2022-23, sottolinea lo studio. Il Corno d’Africa, la Liberia e il Madagascar sono tra i Paesi più dipendenti dalle importazioni di grano russo.

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Mosca annuncia la fine dell’accordo sul grano. Onu: “Milioni di persone ne pagheranno le spese”

Fine degli accordi del Mar Nero. La Russia ha annunciato di non essere disposta a rinnovare l’intesa – in scadenza il 17 luglio – sull’esportazione di grano ucraino, cruciale per le forniture alimentari mondiali. E la conferma è arrivata a poche ore dall’attacco ucraino che ha parzialmente distrutto per la seconda volta il ponte strategico che collega la Russia alla penisola di Crimea, annessa nel 2014.

Firmata nel luglio 2022 con Russia e Ucraina sotto l’egida della Turchia – Paese facilitatore – e delle Nazioni Unite e già rinnovata due volte, la ‘Black Sea Grains Initiative’ mira ad alleviare il rischio di carestia nel mondo assicurando, nonostante la guerra, l’immissione sul mercato di prodotti agricoli ucraini. Garantendo la sicurezza del traffico merci nel Mar Nero in partenza dai porti ucraini, l’accordo, che richiede l’ispezione delle navi da parte dei rappresentanti dei quattro firmatari, ha consentito l’esportazione di quasi 33 milioni di tonnellate sin dal suo inizio, il 1 agosto 2022, principalmente grano e mais.

Ma il Cremlino ha ignorato gli appelli che si sono moltiplicati negli ultimi giorni per il rinnovo dell’accordo, spiegando che la decisione “è definitiva”. Tuttavia, il ministero degli Esteri, ha rilanciato la palla: “se le capitali occidentali apprezzano davvero l’iniziativa del Mar Nero“, allora dovrebbero prendere “seriamente” in considerazione “l’adempimento dei loro obblighi e rimuovere effettivamente i fertilizzanti e i prodotti alimentari russi dalle sanzioni”. Solo quando si otterranno “risultati concreti, e non promesse e rassicurazioni”, la Russia sarà pronta a prendere in considerazione il ripristino dell’accordo. E il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è detto convinto che il suo “amico Putin” voglia ripensarci.

Immediata la replica dell’Onu, che attraverso il Segretario generale Antonio Guterres, ha spiegato che “centinaia di milioni di persone stanno affrontando la fame” e saranno proprio loro a “pagare il prezzo” dello stop all’accordo. Per Save the children saranno “milioni di bambini in più in tutto il mondo” a soffrire maggiormente.

L’ambasciatrice statunitense presso le Nazioni Unite, Linda Thomas-Greenfield, ha accusato Mosca di “prendere in ostaggio l’umanità“, mentre la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, insieme a Londra, Parigi e Berlino, ha definito “cinica” la decisione russa e ha spiegato che l’Unione europea “sta lavorando per garantire la sicurezza alimentare per le persone vulnerabili del mondo e le corsie di solidarietà continueranno a portare i prodotti agroalimentari dall’Ucraina ai mercati globali”.

La questione, ha invece assicurato il titolare della Farnesina, Antonio Tajani, sarà affrontata al vertice sulla sicurezza alimentare che si terrà a Roma il 24 luglio, ma in ogni caso “siamo già al lavoro per soluzioni alternative”. E per la premier, Giorgia Meloni, la decisione della Russia di interrompere l’accordo del grano “è l’ulteriore prova su chi è amico e chi è nemico dei paesi più poveri”. Riflettano –  ha detto – i leader di quelle nazioni che non vogliono distinguere tra aggredito e aggressore. Usare la materia prima che sfama il mondo come un’arma è un’altra offesa contro l’umanità”.

L’Ucraina, da parte sua, ha dichiarato di voler continuare a esportare il suo grano attraverso il Mar Nero, con o senza la firma dell’accordo da parte di Mosca. “Non abbiamo paura”, ha detto il presidente Volodymyr Zelensky.

Sul fronte economico, con la mancata proroga dell’accordo, mancheranno dai mercati mondiali 32,8 milioni di tonnellate di grano, mais e olio di girasole che sono partiti dai porti Ucraini del Mar Nero nell’anno di attuazione dell’intesa. Secondo i dati elaborati da Coldiretti, l’intesa è stata “anche per fronteggiare il pericolo carestia in quei 53 Paesi dove secondo l’Onu, la popolazione spende almeno il 60% del proprio reddito per l’alimentazione. Un pericolo quindi anche per la stabilità politica proprio mentre si moltiplicano le tensioni sociali ed i flussi migratori, anche verso l’Italia”.

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A rischio il ribasso dei prezzi di pane e pasta con lo stop della Russia all’accordo sul grano

“La Russia non vede alcuna ragione per estendere l’accordo sul grano ucraino”, ha annunciato il ministro russo degli Esteri Serghei Lavrov. Fra poche settimane dunque non dovrebbe essere prorogata l’intesa sui cereali provenienti dal mar Nero, che era stata firmata lo scorso anno per garantire gli approvvigionamenti nei Paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia ed evitare carestie che potessero spingere i flussi migratori.

Il prezzo del grano, in seguito alla dichiarazione di Mosca, è schizzato di quasi il 10% per poi passare in negativo, anche perché i timori sull’offerta da parte dei principali produttori mondiali si sono attenuati: le piogge nel Midwest degli Stati Uniti hanno cancellato le preoccupazioni che le condizioni di siccità avrebbero danneggiato il raccolto imminente, recuperando le aspettative di forti livelli di produzione nel prossimo anno di commercializzazione. Tutta merce che sostituirà eventualmente quella ucraina in Italia.

Secondo Coldiretti le importazioni di frumento da Kiev sono aumentate del 326% per un quantitativo pari a oltre 115 milioni di chili nel primo trimestre 2023. Una sorta di invasione che ha fatto crollare del 30% le quotazioni del grano tenero nell’ultimo anno, su valori che sono scesi ad appena 26 centesimi al chilo. Prezzi che – secondo Coldiretti – non coprono i costi di produzione.

Solo il 55% dei prodotti agricoli che hanno lasciato l’Ucraina dopo l’accordo hanno raggiunto i Paesi in via di sviluppo, come quelli del Nord Africa e dell’Asia, come emerge dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati del Centro Studi Divulga sui prodotti agricoli partiti da agosto 2022 a febbraio 2023 dai porti di Chornomorsk (36,4% del totale), Yuzhny (35,8%) e Odessa (27,8%). La Cina con ben 5,2 milioni di tonnellate di prodotti agricoli tra grano, mais e olio di girasole, pari al 21,5% sul totale, è il Paese che ha beneficiato di più dell’accordo. La Spagna con 4,1 milioni di tonnellate di prodotti e la Turchia con 2,7 milioni di tonnellate di prodotti salgono comunque sul podio, ma l’Italia con 1,76 milioni di tonnellate si colloca al quarto posto. Nonostante questo i prezzi di pasta e pane sono lievitati, mentre quelli del grano sono precipitati. Una contraddizione che ha smosso il ministero del made in Italy e mister Prezzi, i quali hanno avviato indagini conoscitive per provare a scovare eventuali speculazioni.

I pastai si difendono, ad esempio, sostenendo che i listini erano saliti perché la merce comprata mesi fa aveva quotazioni più elevate di quelle attuali, per tanto i prezzi al consumo dovrebbero calare man mano che i prodotti ‘cari’ saranno esauriti e il fabbisogno sarà rimpiazzato con materia prima più economica. Lo stop al grano ucraino tuttavia rischia di frenare questa tendenza positiva per l’acquirente finale. Il grano nuovo, fa sapere Coldiretti Puglia, è pagato 330 euro a tonnellata, un prezzo che non copre neppure i costi di produzione. Stesso discorso in Sardegna, dove sempre l’associazione territoriale spiega che a queste quotazioni un agricoltore ci perde 200-300 euro a ettaro, mettendo a rischio la continuità aziendale e, in ultima istanza, lo stesso prodotto made in Italy. Servirebbe dunque una remunerazione maggiore per gli agricoltori, in questo caso però non si avrebbe nessun ribasso sul costo finale di pasta o pane. Comunque sia difficilmente i produttori potranno aspirare a incassare di più, dato che la quantità di frumento proveniente dal Nord America abbatterebbe le quotazioni all’ingrosso.

Un cane che si morde la coda, dunque, dove agricoltori e consumatori italiani sembrano essere quelli che pagheranno di più questi ribaltamenti del mercato, nati dall’abolizione dei dazi sul frumento ucraino.

Al via il Vertice Ue tra sostegno a Ucraina e Fondo di sovranità per l’industria

Dal sostegno finanziario all’Ucraina all’assenza della richiesta di un vero Fondo europeo di sovranità per finanziare la transizione dell’industria verde. Prende il via oggi e durerà fino a venerdì a Bruxelles il Vertice europeo, l’ultimo – al netto di convocazioni straordinarie – prima della pausa estiva. Un Vertice di dibattito e confronto delicato, un Vertice di indirizzo politico e di orientamento, da cui però, fanno sapere fonti diplomatiche, come spesso accade non si attendono decisioni significative.

Il Vertice dei leader inizierà all’ora di pranzo dopo una colazione di lavoro con il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, e il consueto scambio con la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. Il primo dibattito sarà quello sull’Ucraina, che sarà aperto dall’ormai tradizionale video-intervento del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Il confronto arriva a meno di un mese dalla distruzione della diga della centrale idroelettrica di Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud del Paese. I leader, stando alle prime versioni della bozza di conclusioni, condanneranno “con la massima fermezza” la distruzione della diga da parte russa e sottolineando i rischi che ciò comporta per la sicurezza della centrale nucleare ucraina di Zaporizhzhia. “La distruzione di infrastrutture civili si qualifica come crimine di guerra”, ricorderanno.

I capi di stato e governo dell’Ue ribadiranno il loro sostegno forte all’Ucraina oltre che la preoccupazione per il continuo rallentamento dell’attuazione dell’Iniziativa sul grano del Mar Nero. Le corsie di solidarietà dell’Ue continuano ad avere un ruolo fondamentale nel sostenere la sicurezza alimentare globale. I leader passeranno poi a discutere del capitolo economia, facendo un punto su tutte le misure adottate fino a questo momento per contrastare gli effetti della crisi economica ed energetica trainata dalla guerra di Russia in Ucraina. Nel testo delle conclusioni, a quanto apprende GEA, ci sarà un esplicito riferimento alla necessità di raggiungere un accordo politico tra co-legislatori entro la fine della legislatura sui pilastri normativi del Piano industriale per il Green Deal, presentato dalla Commissione Ue come una risposta ‘Made in Europe’ all’Inflation Reduction Act (Ira) il piano di sussidi verdi da 370 miliardi di dollari.

I leader dovrebbero chiedere all’Esecutivo comunitario di realizzare una valutazione d’impatto sull’Ira, ma sembra che non ci sia per il momento l’intenzione di fare pressione sulla Commissione per presentare un Fondo di sovranità per finanziare la transizione dell’industria. La proposta doveva arrivare nel quadro della revisione intermedia del bilancio a lungo termine, la proposta di revisione del bilancio pluriennale è arrivata lo scorso 20 giugno ma di un Fondo di sovranità non c’è traccia.

La Commissione Ue ha messo la ‘competitività’ industriale tra le tre priorità di questa revisione di medio termine (insieme all’Ucraina e alle migrazioni, per un valore totale di 66 miliardi di euro) ma ha proposto la creazione di una nuova piattaforma per le tecnologie strategiche per l’Europa (chiamata con l’acronimo ‘Step’), attraverso cui Bruxelles chiede agli Stati membri di mobilitare altri 10 miliardi di euro per aumentare il budget di alcuni programmi già esistenti, tra cui InvestEu (3 miliardi), Horizon Europe (0,5), Fondo per l’innovazione (5 miliardi) e Fondo europeo per la difesa (1,5). A quanto si apprende non c’è intenzione di risollevare il punto o di inserire un riferimento esplicito alla richiesta di un Fondo di sovranità. Discussioni, spiegano fonti, andranno fatte a livello tecnico per capire se la portata della proposta della Commissione europea è sufficiente a coprire le necessità di finanziamento.

Crollo diga di Kakhovka è catastrofe ecologica: 150 tonnellate di petrolio viaggiano verso il Mar Nero

Distruzione degli ecosistemi, inondazioni, inquinamento, minacce energetiche: la distruzione della diga di Kakhovka, nell’Ucraina meridionale, potrebbe avere conseguenze ambientali e umane “senza precedenti, secondo quanto dichiarato mercoledì da diversi esperti e associazioni ambientaliste. Intanto, mentre continuano le accuse reciproche di aver portato a termine l’attacco fra Mosca e Kiev, si infila nella diatriba il presidente turco Recep Tayyp Erdogan. Che, dopo aver sentito i suoi omologhi Zelensky e Putin, propone di istituire una commissione d’inchiesta internazionale, con la partecipazione di esperti delle parti in conflitto, delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, per condurre “un’indagine approfondita” ed eliminare “ogni sospetto“.

Ma nel frattempo, indipendentemente dalle responsabilità, la situazione nei pressi della diga rimane drammatica. E le conseguenze potrebbero essere ancora più catastrofiche. Secondo i funzionari ucraini, martedì si sono riversate nel fiume Dnieper 150 tonnellate di petrolio, “con il rischio di fuoriuscita di altre 300 tonnellate“, che rappresentano “una minaccia per la flora e la fauna“. Zelensky ha annunciato che la chiazza è stata portata dalla corrente verso il Mar Nero. Ma “non possiamo ancora prevedere quanta parte delle sostanze chimiche, dei fertilizzanti e dei prodotti petroliferi stoccati nelle aree alluvionate finirà nei fiumi e nel mare“, ha aggiunto.

La prima conseguenza legata al rilascio dei 18 miliardi di tonnellate d’acqua trattenuti dalla diga, però, è che il Dnieper, il quarto fiume più lungo d’Europa, subirà un grave sconvolgimento dei suoi ecosistemi, fino alle zone costiere del Mar Nero, che potrebbero essere temporaneamente desalinizzate in alcune aree, secondo l’ONG ucraina Ecoaction. Si prevede anche una “potenziale mortalità di massa degli organismi acquatici (pesci, molluschi, crostacei, microrganismi, vegetazione acquatica)” e dei roditori, alcuni dei quali sono già minacciati, “con conseguente deterioramento della qualità dell’acqua a causa della decomposizione degli organismi morti“. Il Gruppo ucraino per la conservazione della natura (UNCG) stima che le conseguenze per la fauna selvatica “si faranno sentire su un’area di almeno 5.000 km² (zona di inondazione e zona di drenaggio)” e “alcune specie potrebbero aver subito un colpo maggiore in un solo giorno il 6 giugno che negli ultimi 100 anni“. Solo per i pesci ci vorranno “almeno 7-10 anni per ripristinare” le perdite e gli uccelli che nidificano intorno alla diga (gabbiani, sterne, ecc.) scompariranno da quest’area. “Tutti gli organismi viventi che abitano il bacino di Kakhovka sono già morti o moriranno nei prossimi giorni“, stima l’associazione. Anche gli animali domestici e in cattività sono in pericolo, secondo il Fondo internazionale per il benessere degli animali (IFAW), che segnala già una “situazione disastrosa“. “I rifugi sono sommersi dalle richieste di soccorso. A Nova Kakhovka (…) un piccolo zoo è stato completamente allagato: tutti gli animali, tranne i cigni, sono morti“, spiega Natalia Gozak, funzionario dell’IFAW in Ucraina.

E non sarà di certo risparmiata la vegetazione, soprattutto quella a monte della diga, che “morirà a causa del drenaggio, mentre le aree a valle saranno inondate, compresi i complessi steppici e forestali che non sono adattati alla sommersione, con conseguente ristagno e distruzione“, prevede Ecoaction. Diversi parchi naturali nazionali ucraini, tra cui la Riserva della biosfera del Mar Nero, inserita dall’Unesco, sono direttamente minacciati.

Mentre 40mila persone vivono in zone a rischio e sono in corso evacuazioni di massa, gravi problemi per la popolazione deriveranno anche dalla scarsità d’acqua. La diga di Kakhovka, infatti, era utilizzata per fornire acqua potabile e irrigazione alla parte meridionale dell’Ucraina, che è già una delle più aride del Paese. La sua distruzione rappresenta quindi un grave rischio per l’approvvigionamento idrico di milioni di persone. Senza contare la minaccia nucleare: al momento non si rilevano rischi, ma essendo l’acqua della diga utilizzata per raffreddare la centrale di Zaporizhzhia i timori rimangono sullo sfondo. Soprattutto quelli di natura economica: “La mancanza di raffreddamento per i sei reattori significa che l’impianto non sarà operativo nel prossimo futuro, con una conseguente perdita di circa il 13% della capacità di produzione di energia elettrica dell’Ucraina“, sottolinea Malte Janssen, della University of Sussex Business School.

Ucraina, Zelensky: Chiazza petrolio da 150 tonnellate verso il Mar Nero

Il più grande ecocidio mai commesso sul territorio ucraino. Così Volodomyr Zelensky definisce la distruzione della diga di Kakhovka avvenuta, ne è certo, “per mano dei russi”.

Il bacino idrico distrutto è uno dei più grandi del Paese. Contiene 18 miliardi di metri cubi d’acqua e tutte le strutture della centrale idroelettrica e della sua diga si trovavano, sottolinea il presidente ucraino, “nel territorio occupato”. La diga forniva acqua potabile a un’ampia parte dell’Ucraina – città e villaggi con centinaia di migliaia di persone. Forniva acqua agli agricoltori per la produzione agricola nel sud e nel centro dell’Ucraina.

La sua distruzione è, ribadisce Zelensky, “un colpo inferto dall’uomo all’ambiente, dopo il quale la natura dovrà riprendersi per decenni”. L’evacuazione delle persone dall’area allagata è in corso: quasi ottanta insediamenti sono a rischio. “Si è formata una chiazza di petrolio di almeno 150 tonnellate che è stata portata dalla corrente verso il Mar Nero. Non possiamo ancora prevedere quanta parte delle sostanze chimiche, dei fertilizzanti e dei prodotti petroliferi stoccati nelle aree alluvionate finirà nei fiumi e nel mare”, è l’allarme del presidente.

Per il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, questo è un momento che “cambia il conflitto”: “Non c’era mai stata un’aggressione così grave nei confronti di una infrastruttura, c’è una involuzione in negativo, vedremo quali saranno le conseguenze, peggiorano anche le condizioni di vita per i civili, questo è davvero inaccettabile”, tuona. “Rischiamo un peggioramento della situazione, per gli abitanti ucraini e per una escalation del conflitto. Avevamo previsto una zona franca intorno a Zaporizhzhia per evitare disastri del genere, ma – sottolinea il vicepremier -mi pare che non ci sia una volontà in questa direzione da parte dei russi”.

Distrutta la diga Kakhova in Ucraina. Kiev: “Rischi ambientali enormi, è un ecocidio”

Decine di villaggi allagati, migliaia di persone evacuate, una centrale idroelettrica completamente distrutta, un danno ambientale impressionante e il rischio che la centrale di Zaporizhzhia non riceva più l’acqua necessaria per il suo raffreddamento. Sono le devastanti conseguenze del crollo parziale della diga di idroelettrica di Kakhovka, situata nelle aree occupate dai russi della regione di Kherson, nel sud dell’Ucraina. Un crollo dovuto ad attacchi multipli, di cui Ucraina e Russia si accusano a vicenda. L’esercito di Kiev punta il dito contro Mosca, mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky denuncia un “crimine di guerra”.

Anzi, qualcosa di più: “Un ecocidio”, “una bomba di distruzione ambientale di massa”. Che, dice Zelensky all’inviato speciale di Papa Francesco, il cardinale Matteo Zuppi, in visita a Kiev, avrà “conseguenze terribili per la vita delle persone e per l’ambiente“. L’Ucraina ha già annunciato l’evacuazione di “oltre 17.000” civili dalle aree allagate intorno alla diga, ma più di 40.000 persone sono a rischio di inondazione. E, oltre agli allagamenti, la situazione ambientale è peggiorata dalle 150 tonnellate di olio motore che si sono riversate nel fiume Dnepr, mentre secondo la presidenza ucraina c’è il la possibilitàdi fuoriuscita di altre 300 tonnellate.

Sullo sfondo, anche l’allarme nucleare. Perché l’acqua della diga è necessaria affinché la centrale di Zaporizhzhia, a 150 km di distanza, riceva energia per i condensatori delle turbine e i sistemi di sicurezza. Secondo l’Aiea non esiste nessun rischio immediato, ma Kiev sottolinea che il pericolo  di un “disastro nucleare” alla centrale di Zaporizhzhia “aumenta rapidamente“. “Il mondo è di nuovo sull’orlo di un disastro nucleare, perché la centrale nucleare di Zaporizhzhia ha perso la sua fonte di raffreddamento. E questo pericolo sta aumentando rapidamente“, dice un consigliere della presidenza ucraina. Secondo il direttore generale dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica, Rafael Mariano Grossi, martedì mattina l’acqua nel serbatoio utilizzato per fornire acqua di raffreddamento alla centrale era a circa 16,4 metri, “ma se scendesse sotto i 12,7 metri” non potrebbe più essere pompata per raggiungere l’impianto. Una soluzione ‘tampone’ sarebbe il bacino di raffreddamento che si trova accanto al sito. Ma è fondamentale “che questo bacino di raffreddamento rimanga intatto. Nulla deve essere fatto per minare potenzialmente la sua integrità. Chiedo a tutte le parti di garantire che non venga fatto nulla per indebolirlo“, sottolinea Grossi.

Intanto tutto il mondo osserva la situazione a distanza. Il capo del Consiglio europeo, Charles Michel, chiama Mosca a rispondere di questo “crimine di guerra“, mentre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg lo denuncia come “un atto oltraggioso”. Germania, Francia e Regno Unito condannano l’azione. Arriva indignazione anche dall’Italia, dove il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani condanna il bombardamento che “sta mettendo a rischio migliaia di persone e sta provocando un disastro ecologico, aggravando ulteriormente l’emergenza umanitaria in atto. Seguo con la massima attenzione e preoccupazione gli sviluppi, anche in relazione alle possibili conseguenze sulla sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzia“. “Siamo al fianco degli amici ucraini e di tutti i civili che stanno subendo le conseguenze di questo ulteriore e brutale attacco“, conclude.

Meloni e Mattarella al fianco dell’Ucraina: “Sostegno in ogni ambito e finché sarà necessario”

Per ricostruire l’Ucraina, nei prossimi 10 anni, serviranno almeno 411 miliardi di dollari. E’ la stima della Banca Mondiale, che la vicepresidente Regionale Europa e Asia centrale ricorda durante la conferenza bilaterale sulla ricostruzione del Paese ospitata da Roma. Nel Palazzo dei Congressi 700 persone, fra rappresentati del mondo imprenditoriale, delle principali istituzioni finanziarie internazionali e delle associazioni di categoria raccolgono notizie sui fabbisogno del Paese direttamente dalle autorità ucraine. Un modo per Governo, enti e imprese italiane di avanzare proposte e rispondere alle necessità di Kiev, non solo in termini di breve, ma anche di medio e lungo periodo. Per questo, l’Italia si candida a ospitare nel 2025 la Ukraine Recovery Conference.

Vengono siglati una serie di memorandum: sulla protezione dell’ambiente (“colpito gravemente a causa dell’aggressione russa”, denuncia il primo ministro di Kiev, Denys Shmyhal), ma anche sull’industria (tra le ferrovie ucraine e l’azienda Mermec), sul settore agroalimentare e per la ricostruzione delle centrali idroelettriche.

Sostegno pieno dell’Italia all’Ucraina, “in ogni ambito e finché sarà necessario“, garantisce il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che prima della conferenza riceve al Quirinale il primo ministro dell’Ucraina, Denys Shmyhal, il ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba, e una delegazione diplomatica. “L’Italia esprime il forte convincimento favorevole all’ingresso dell’Ucraina nell’Unione europea nel più breve tempo possibile e apprezziamo l’impegno del suo governo per il cammino di riforme intraprese per rispettare i parametri comunitari“, afferma.

Italia in prima fila, dunque, con un ruolo di primo piano “non solo dal punto di vista politico, ma anche coinvolgendo i privati, le nostre imprese, il nostro know-how“, spiega la premier Giorgia Meloni. Agli imprenditori italiani chiede di “non avere paura“, perché investire sulla ricostruzione dell’Ucraina “non è azzardato, è uno degli investimenti più oculati e lungimiranti che si possono fare“. Investire, costruire, ricostruire e “saper guardare oltre i difficili mesi che stiamo attraversando“, ribadisce la premier, significa “scommettere sulla vittoria dell’Ucraina e sull’integrazione europea di questo paese”.

Di “incontro molto concreto” parla Shmyhal, che ringrazia Roma per il sostegno a 360 gradi, in particolare per l’invio di generatori che hanno consentito al Paese di “superare l’inverno“. “Quello che sta facendo la Russia, colpendo sistematicamente le infrastrutture strategiche, vuol dire cercare di piegare la popolazione con il freddo e la fame. Noi abbiamo difeso la popolazione e l’Italia deve esserne fiera“, rivendica Meloni.

La Russia ha iniziato una aggressione vera e propria sul settore energetico“, conferma il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, in video collegamento. Ricorda come anche l’Unione europea abbia subito la crisi energetica, ma abbia “tenuto, rispondendo in modo degno“. Per il futuro Zelensky guarda alle energie verdi, “un sistema più resiliente” e all’aiuto dell’Italia soprattutto per le smart grid, le reti intelligenti. Ma l’Ucraina, garantisce, è utile al mondo in molti modi: “La comunità internazionale ha capito il nostro potenziale dell’agroindustria ucraino. Siamo in grado di fornire cibo a milioni di famiglie nel mondo. Senza cibo c’è il caos, questo significa più migranti, in Europa in particolare“, osserva. Ma non solo, Kiev possiede il litio, il gas, materie prime: “Possiamo sostituire le aziende russe in moltissimi settori“, assicura il presidente ucraino.

La ricostruzione “è parte fondamentale dell’azione di solidarietà e vicinanza che noi europei e italiani vogliamo dimostrare“, commenta il Ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani. Un passo importante, perché, ne è convinto, il Paese “sarà presto parte dell’Ue, quindi è giusto si cominci fin da adesso a lavorare insieme”.

La Banca Europea di Investimenti è molto attiva in Ucraina già dal 2007, spiega la vicepresidente, Gelsomina Vigliotti. Gli interventi sono stati intensificati poi dal 2014, sono state investite risorse per più di 200 progetti di rinnovamento delle infrastrutture. Il lavoro è continuato durante la guerra, a seguito dell’invasione russa. “Ci siamo concentrati su investimenti con rendimenti sociali efficaci, ci siamo mossi velocemente e non rallenteremo. E’ più di un imperativo morale“, assicura Vigliotti. Ora i finanziamenti si concentrano sugli interventi in energia, crescita, ferrovie. Aree cruciali per lo sviluppo del Paese. “La stima è che siano necessari 14 miliardi di dollari per gli interventi più urgenti“, fa sapere.

La Bei è chiamata a giocare un ruolo fondamentale” nella ricostruzione, conferma il ministro dell’Economia italiano, Giancarlo Giorgetti, che annuncia che il nostro contributo al fondo di garanzia Bei “è una garanzia di 100 milioni di euro“. Il sostegno della Banca all’economia ucraina, riflette Giorgetti, è “coerente con la futura prospettiva di adesione all’Unione“.

La ricostruzione richiede uno sforzo corale di tutti, sostiene il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini: “L’Italia può e deve rappresentare un valore aggiunto“, scandisce.

La gratitudine di Kiev arriva anche dal ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba: “I contatti tra i nostri governi sono più dinamici che mai”, dice, considerando la guerra non un ostacolo per gli investimenti, perché “stiamo rendendo il nostro paese ancora vitale e attrattivo“.

Photo credit: profilo Twitter Denys Shmyhal @Denys_Shmyhal

grano

L’Ue prepara il secondo pacchetto di aiuti per l’import del grano da Kiev

La Commissione europea lavora a un secondo pacchetto di aiuti per i Paesi confinanti con l’Ucraina, dopo che Polonia, Ungheria e ora anche Slovacchia hanno deciso di chiudere le frontiere all’import di grano e altri cereali in arrivo da Kiev.

Lo scorso 20 marzo la Commissione ha proposto un primo pacchetto di aiuti pari a 56,3 milioni di euro finanziati dalla riserva agricola per tre Paesi: 29,5 milioni di euro alla Polonia, 16,75 milioni di euro alla Bulgaria e 10,05 milioni di euro alla Romania, dandogli la possibilità di integrare questo sostegno fino al 100% con fondi nazionali che ammonterebbero a un aiuto finanziario totale di 112,6 milioni di euro per gli agricoltori interessati. “Ora stiamo valutando un secondo pacchetto, ma è ancora in discussione”, ha dichiarato la portavoce della Commissione Ue per l’agricoltura e il commercio, Miriam García Ferrer,, senza però fornire ulteriori dettagli sulle risorse che potrebbero essere mobilitate e per quali Paesi.

Questa volta potrebbe riguardare più Stati membri oltre a Polonia, Bulgaria e Romania. “Siamo consapevoli che ci sono anche altri Paesi che possono essere colpiti, è importante sottolineare che stiamo prendendo in considerazione l’impatto di questo aumento delle importazioni sui Paesi in prima linea”. Prima Polonia e Ungheria, ora anche Slovacchia. Salgono a quota tre i Paesi europei ad aver annunciato di aver chiuso le frontiere al grano e altri cereali in arrivo dall’Ucraina. E Bruxelles è “in contatto con le autorità competenti dei Paesi che hanno annunciato queste misure e con le autorità di Kiev per capirne lo scopo e la loro base legale, perché non abbiamo chiarezza di questo punto”, ha dichiarato la portavoce.

Da quando l’invasione della Russia ha bloccato alcuni porti del Mar Nero, grandi quantità di grano ucraino sono finite nei Paesi confinanti dell’Europa centrale, a volte rimanendo bloccate lì a causa di colli di bottiglia logistici. L’accumulo di grano e cereali nei silos ha avuto per mesi ripercussioni sulle vendite per gli agricoltori locali, con una svalutazione del prezzo dei beni agricoli. Non solo Polonia, ma anche altri Paesi dell’Europa centrale come Slovacchia, Ungheria, Romania e Bulgaria stanno lamentando la stessa pressione dell’aumento del grano in arrivo da Kiev per essere trasferito in altre parti del mondo.

Varsavia è stata la prima capitale ad annunciare sabato di aver varato un pacchetto – ribattezzato scudo agricolo contro la guerra – con una serie di azioni per sostenere gli agricoltori polacchi dagli effetti di questo eccesso di importazioni, che prevede tra le altre cose l’acquisto comune di grano immagazzinato in silos e di vietare l’importazione di alcuni prodotti agricoli in Polonia. Poco dopo è seguito lo stesso annuncio di Budapest, a cui si è aggiunta questa mattina anche la Slovacchia.

La nostra reazione a questa situazione potrebbe essere drastica, ma questa è una decisione per questi momenti, quando c’è una guerra, quando dobbiamo proteggere i polacchi, il mercato polacco, l’agricoltore polacco. Questo è il nostro dovere”, ha motivato il nuovo ministro polacco dell’Agricoltura, Robert Telus. Proprio le tensioni sociali e le proteste degli agricoltori hanno portato nelle scorse settimane alle dimissioni del precedente ministro Henryk Kowalczyk costrette dalla crescente pressione degli agricoltori che per settimane hanno protestato in tutto il Paese minacciando di bloccare anche i valichi di frontiera.

Contatti in corso tra Bruxelles e le Capitali che hanno agito in questi termini, dal momento che azioni unilaterali nel contesto della politica commerciale non sono ammesse. Durante il briefing con la stampa, la portavoce ha ricordato che l’area commerciale è competenza esclusiva dell’Unione europea e quindi viene gestita a livello comunitario. “Per questo azioni unilaterali da parte dei Paesi Ue nel quadro della politica commerciale non sono consentite”, ha spiegato, senza però entrare nel merito degli strumenti in capo alla Commissione europea per rispondere a queste azioni.