Coldiretti denuncia: “L’immagine dell’Italia danneggiata all’estero dal Mafia Marketing”

Dai ristoranti ai prodotti agroalimentari, nel mondo impazza il fenomeno del ‘Mafia Marketing’. La denuncia arriva da Coldiretti e Filiera Italia che, in occasione dell’iniziativa ‘Villaggio del contadino della Coldiretti’, che si svolgerà a Palermo fino a domenica e dove è esposta, per la prima volta, “un’inquietante collezione dei prodotti agroalimentari venduti nel mondo con nomi che richiamano gli episodi, i personaggi e le forme di malavita organizzata più odiose, sfruttati per fare un business senza scrupoli sul dolore delle vittime e a danno dell’immagine del Paese”, spiega l’associazione.  Che ha raggiunto questo risultato analizzando le recensioni pubblicate da Tripadvisor.

In Spagna si trovano locali dedicati a ‘El padrino’ e anche a ‘La dolce vita del padrino’, in Ucraina è presente la catena di ristoranti ‘Mafia’ mentre in Russia spunta un ristorante ‘Camorra’, negli Stati Uniti ci sono i ‘Sushi mafia’, in Germania i ‘Burger Mafia’ e in Egitto i ‘Mafia pizza’. In Brasile, invece, c’è l’esplicito omaggio ad Al Capone, con l’insegna ‘Al Capone Pizza di Mafia’. In tutto, sono circa trecento i locali che si richiamano alla criminalità organizzata.

La denuncia di Coldiretti non si limita ai locali, ma affronta anche il tema dei prodotti agroalimentari che riportano sull’etichetta riferimenti al mondo della criminalità organizzata. “Al gravissimo danno di immagine del Mafia Marketing si aggiunge la beffa dello sfruttamento economico del Made in Italy, in una situazione in cui la contraffazione e la falsificazione dei prodotti alimentari italiani, per quanto riguarda il settore agroalimentare, ha ormai superato i 120 miliardi di euro. Un importo – specificano da Coldiretti – che è quasi il doppio delle esportazioni, costando all’Italia trecentomila posti di lavoro. Si tratta di danni economici e di immagine soprattutto nei mercati emergenti, dove spesso il falso è più diffuso del vero e condiziona quindi negativamente le aspettative dei consumatori”.

Sugli scaffali incriminati è possibile dunque reperire il whisky scozzese ‘Cosa nostra’ contenuto in una bottiglia a forma di mitra, in Portogallo il vino ‘Pistol’ con tanto di macchia di sangue stilizzata sulla confezione box da 3 litri e in Germania il ‘Fernet mafiosi’. In Bulgaria, invece, la pausa caffè è contraddistinta dalla bevanda ‘Mafiozzo’, mentre in gran Bretagna si possono sgranocchiare gli snack ‘Chilli Mafia’. Infine, ci si può dilettare in cucina seguendo il ricettario ‘The mafia cookbook’.

“L’Unione Europea – ha concluso Ettore Prandini, presidente della Coldiretti – deve fermare l’utilizzo commerciale di marchi infami che sfruttano gli stereotipi legati alle organizzazioni mafiose e rischiano di penalizzare l’immagine dell’intero agroalimentare tricolore, in un momento in cui le esportazioni hanno raggiunto il record storico contribuendo alla ripresa del Sistema Paese”.
In questo senso si era mossa la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea che, nel 2018, in accoglimento della richiesta dell’Italia, ha annullato la concessione del marchio spagnolo ‘La Mafia se sienta a la mesa’ (La mafia si siede a tavola).

Clima, Vigliotti (Bei): Diventare banca ‘green’ dell’Ue, scelta strategica

La nuova missione è quella della sostenibilità, quella vera. Tanto da ripensare il mandato di un organismo sempre strategico, e oggi ancora di più. “Quella di diventare la banca per il clima dell’Ue è una scelta strategica”. Così Gelsomina Vigliotti, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti (Bei), porta alla nona edizione di ‘How Can We Govern Europe’, l’evento organizzato da Eunews e GEA, la questione della green economy e del suo finanziamento, perché non più rinviabile. Oggi più che mai sono “sempre più urgenti azioni per tutela dell’ambiente, il cui degrado può essere fonte di nuove malattie”. La pandemia di Covid ha acceso i riflettori sull’aspetto della salute legato ai modelli di vita e di produzione. Mentre il conflitto russo-ucraino ricorda che “sono sempre più urgenti azioni per una maggiore efficienza energetica e per le rinnvoabili”.

La Bei tutto questo l’ha compreso molto bene e non è rimasta a guardare. Vigliotti tiene a sottolineare come la scelta di promuovere finanziamenti verdi “è condivisa dai nostri azionisti”, vale a dire i 27 Stati membri. L’obiettivo che si è posto l’istituto di credito di Lussemburgo è quello di raggiungere “investimenti per mille miliardi per il clima entro il 2030”, e già oggi la Bei “è la principale fonte di finanziamento di progetti verdi in tutto il mondo”. Un impegno che, a detta della vicepresidente, non è che l’inizio di un percorso. “Eventi come desertificazione, alluvioni, siccità, sottolineano la necessità immediata di strutture di difesa” al fenomeno dei cambiamenti climatici e ai fenomeni meteorologici estremi che ne derivano. Una sfida non semplice né scontata, poiché serviranno “ingenti risorse finanziare per evitare che i costi del cambiamento climatico si traducano in rischi per la stessa sopravvivenza”. Diventare la banca europea per il clima è dunque una scelta per certi aspetti obbligata, che la Banca europea per gli investimenti ha preso prima di molti. Vigliotti ricorda che la Bei ha già iniziato a emettere Green Bond, che in Italia sono serviti, tra le altre cose, a potenziare l’alta velocità ferroviaria.

L’impegno della Bei per la sostenibilità non finisce qui. “Neutralità climatica vuol dire indipendenza energetica”, sottolinea, e non a caso. Il riferimento è ai fatti che dal 24 febbraio di quest’anno restano di continua attualità. “Dobbiamo uscire dalla dipendenza che abbiamo avuto dalla Russia”. Qui, voler essere la banca per il clima dell’Ue vuol dire “contribuire agli obiettivi di RepowerEu”, il piano per l’indipendenza energetica lanciato dalla Commissione von der Leyen. In tal senso “i nostri finanziamenti saranno destinati a rinnovabili, efficienza energetica, strutture di ricarica elettrica e nuove tecnologie come l’idrogeno”.

Gas, risparmiato il 10% stoccaggi: due settimane in più assicurate

Secondo gli ultimi dati forniti da Gie (Gas Infrastructure Europe) Agsi (Aggregated Gas Storage Inventory) il tasso di riempimento degli stoccaggi al 19 novembre nell’Unione Europea è al 95,17%. Lo stesso giorno di un anno fa la percentuale era al 75,57%. Il tasso di riempimento dell‘Italia è leggermente sotto la media Ue al 94,42%. Un anno fa la percentuale era però all’82,92%.

In pratica, fermandoci al caso italiano, abbiamo risparmiato finora circa il 10% delle scorte di gas stipate nei siti dove un tempo si estraeva metano, gran parte dei quali si trovano in Lombardia o comunque nella pianura padana. In parte merito del clima, più mite di altri anni, in parte per una riduzione forzata dei consumi, soprattutto da parte del mondo industriale, che inevitabilmente genereranno un calo dell’attività produttiva.

A ottobre, primo mese del nuovo anno termico, i consumi di gas naturale in Italia si attestano a 4.339 milioni di mc (-23,2%)”, sintetizzava pochi giorni fa il Gme. La frenata della domanda è proseguita anche a novembre, basta considerare che l’accessione dei riscaldamenti in alcune città è scattata solo pochi giorni fa, un mese dopo il tradizionale avvio degli scorsi anni.

Ora, visto che gennaio generalmente mangia 10 miliardi di metri cubi, febbraio 7,7, marzo 7,3 e aprile 5,3, il risparmio di gas non appare granché. Più o meno parliamo di un mancato utilizzo di oltre 2 miliardi di metri cubi di gas. Tuttavia, visti anche i prezzi – il Ttf con consegna a dicembre è scambiato a 113,7 euro/Mwh in calo dell’1,5% – si può ipotizzare che proprio grazie a questo tesoretto di metano, che allunga le scorte di un paio di settimane, non andremo incontro all’incubo razionamento. Anche in Italia, nonostante il balzo a quota 108,4 euro, il valore medio del gas di novembre (78,4 euro) resta ancora sotto la media di 80,7 di ottobre. Siamo in linea con le quotazioni di un anno fa e il boom di luglio/agosto sembra un lontano brutto ricordo.

Il mercato dunque è convinto che questo inverno è al sicuro e che le scorte non arriveranno a zero a inizio primavera. “Con gli stoccaggi che abbiamo, con tutti i meccanismi messi a punto, con distinzioni tra gasivori e altri, con una graduatoria di interrompibilità temporanea a fronte di indennizzo, vedo questo inverno con fiducia. Si può superare. La preoccupazione maggiore è per il 2023. Dovremmo ricostituire tutte le riserve e gli stoccaggi e non avremo più il gas russo“, avvertiva stamattina il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, intervenendo all’evento ‘Direzione Nord’ al Palazzo delle Stelline di Milano. Questi oltre due miliardi di metri cubi di gas risparmiati comunque sono fondamentali. Proprio grazie a questa base di stoccaggio più elevata del previsto, “la domanda di gas europea nordoccidentale può essere mediamente di circa 22 milioni di metri cubi al giorno superiore alle nostre precedenti aspettative per l’estate senza compromettere l’obiettivo di riempire al 90% gli stoccaggi a fine ottobre 2023“, scriveva pochi giorni fa Goldman Sachs. Una analisi in base alla quale, “ipotizzando una sensibilità alla domanda che vale 2,4 euro per milione di metro cubo“, la banca d’affari americana ha rivisto al ribasso la previsione del prezzo Ttf per l’estate 2023 a 180 euro/MWh, 55 euro in meno rispetto alle precedenti stime. E questo significa che il gas, sulla carta, costerà sempre caro ma non mancherà.

UE

Iniziavano 70 anni fa i lavori della Comunità europea carbone e acciaio

Era il 13 luglio del 1952 e per la prima volta i rappresentanti delle autorità nazionali di sei Stati europei si sedevano attorno allo stesso tavolo per discutere di una questione comune: la produzione di carbone e acciaio. Iniziavano così ufficialmente 70 anni fa in Lussemburgo i lavori della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), il primo passo del progetto europeo che avrebbe portato alla nascita dell’Unione europea per come la conosciamo oggi.

Dietro la nascita della CECA – il cui obiettivo era quello di mettere in comune le produzioni di carbone e acciaio di Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Germania Ovest e Paesi Bassi – ci fu la spinta di due politici francesi, Jean Monnet (futuro primo presidente della Comunità europea del carbone e dell’acciaio) e Robert Schuman (allora ministro degli Esteri), del cancelliere tedesco, Konrad Adenauer, e del primo ministro italiano, Alcide De Gasperi. Dopo la Dichiarazione di Schuman del 9 maggio del 1950, seguirono i negoziati sul Trattato di Parigi, firmato il 18 aprile del 1951 e ratificato dai sei Paesi in meno di un anno, entrando infine in vigore il 23 luglio del 1952. Fu così instaurato un mercato comune del carbone e dell’acciaio, con l’abolizione delle barriere doganali e delle restrizioni quantitative e la soppressione di aiuti di Stato, misure discriminatorie, dazi doganali e sovvenzioni adottate unilateralmente dai singoli Paesi membri.

Il mercato comune fu aperto il 18 febbraio del 1953 per il carbone e il 1º maggio per l’acciaio, posto sotto la supervisione di un’Alta autorità con poteri di gestione della tassazione, delle previsioni di produzione per le linee-guida negli investimenti e delle carenze sul lato della domanda e dell’offerta. In relazione a questo specifico settore, la CECA si impostava come primo organismo sovranazionale europeo, dotato di uno specifico potere consultivo e di controllo politico al di sopra delle autorità nazionali dei Paesi membri. Significativo il fatto che per la prima volta si riunivano e si limitavano i poteri degli Stati nazionali sulle materie prime utilizzate dall’industria bellica, a pochi anni dalla fine della Secondo Guerra Mondiale.

La CECA era formata da quattro istituzioni – l’Alta autorità, il Consiglio speciale dei ministri, l’Assemblea comune e la Corte di giustizia – che dal 1º luglio 1967 furono unite con quelle della Comunità Economica Europea e della Comunità Europea dell’Energia Atomica (istituite nel 1957 con il Trattato di Roma) attraverso l’entrata in vigore del Trattato di fusione. Con l’espansione della Comunità Economica Europea, il Trattato di Parigi è stato emendato più volte, fino a quando negli anni Novanta iniziò il dibattito su quale futuro dare alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, in vista della scadenza nel 2002. Il 23 luglio correrà il ventesimo anniversario dal giorno in cui la bandiera della CECA fu ammainata definitivamente davanti alla sede delle Commissione Europea a Bruxelles.

Gas, Ue rinvia il price cap a ottobre. Prorogato taglio accise

Di price cap se ne parlerà a ottobre, ma Mario Draghi non è deluso. Il bilancio di questa due giorni europea si riassume con le parole del premier al termine di Consiglio Ue ed Eurosummit: “Immaginavo che alla fine saremmo finiti nel solito rinvio, con un linguaggio un po’ vago”, invece “le cose si stanno muovendo” e a settembre la Commissione europea dovrà produrre un report con le soluzioni per il tetto massimo al prezzo del gas, ma anche – e questa potenzialmente potrebbe essere la vera svolta – una roadmap per riformare il mercato dell’energia elettrica. Che, per inciso, ha senso solo disaccoppiando il costo di quella prodotta dal gas da quella estratta da fonti rinnovabili, come ripetono da mesi sia il capo del governo sia il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Ma questa è un’altra storia.

La cronaca dell’attualità rivela che in questa battaglia continentale Draghi non è stato ascoltato quando ha chiesto di programmare un vertice straordinario a luglio – però “se la situazione dovesse aggravarsi è chiaro che ci sarà, questo sottolinea è stato detto esplicitamente: non è che stiamo lì a far passare due mesi e mezzo senza far nulla” – ma almeno ha recuperato l’appoggio della Germania, passata “progressivamente da un’obiezione di principio” a una “apertura“. Così come l’Olanda, altro grande ostacolo sul cammino italiano, e altri Stati membri “molto rigidi all’inizio di questa di questa discussione” ma che adesso stanno cambiando idea. La resistenza, comunque, resta “di quei Paesi cosiddetti frugali“. Contrari anche a un Recovery fund sulla scia di quello varato per contrastare gli effetti del Covid, anche se lo stesso Draghi non sembra convintissimo: “Non è una situazione in cui è necessario avere dei grants, degli aiuti, ma avere una capacità fiscale comune, che faccia capire ai mercati che siamo tutti insieme“.

La frase che ripete più spesso alla fine dei lavori è che “le cose non vengono da sole, ci vuole tempo“: per preparare le contromosse ai tagli delle forniture decisi unilateralmente da Vladimir Putin, ma soprattutto per mitigare il rincaro dei prezzi di gas e materie prime, che stanno mettendo in seria difficoltà le economie europee, colpite dall’inflazione; sebbene i rialzi dei costi non sono più colpa esclusiva dei prodotti energetici, avverte il presidente del Consiglio. Che riunirà nel giro di 15 giorni il tavolo con le parti sociali per affrontare il tema della protezione e sostegno al potere d’acquisto degli italianiimportante ed essenziale per tanti aspetti, uno dei quali è la pace sociale, la pace nelle relazioni industriali“.

Un altro punto che Draghi può iscrivere nella casella dei ‘pro’, tornando dalla trasferta di Bruxelles, è la “consapevolezza” diffusa in Europa “rispetto alla serietà della situazione“, e dunque il conseguente “impegno chiaro a coordinarci di più nella ricerca di nuovi fornitori, negli stoccaggi, nelle piattaforme comuni“. A proposito, l’opera per riempire le scorte di gas del nostro Paese sta andando “molto bene, così dice il responsabile di Palazzo Chigi quando gli viene chiesto lo stato dell’arte in vista dell’inverno. E anche l’opera di diversificazione delle fonti procede a pieno ritmo: “La dipendenza dalla Russia l’anno scorso era del 40%, oggi è del 25%, le misure che il governo ha messo in campo già proprio dall’inizio della guerra cominciano a dare risultati“.

Il lavoro non è ancora finito, però. Perché ci sono ancora le difficoltà per i cittadini e le imprese, non solo sulle bollette ma anche sui carburanti. Per questo motivo i ministri dell’Economia, Daniele Franco, e della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, hanno firmato il decreto interministeriale che proroga al 2 agosto prossimo il taglio delle accise di 30 centesimi al litro per benzina, diesel, gpl e metano per autotrazione. Che con il terzo decreto Energia varato dal Cdm in settimana dovrebbero riportare la situazione sotto la soglia di allarme. Gli scudi restano tutti attivati, aspettando che l’Europa faccia passare in fretta questo extra time di riflessione sul price cap.

suolo

La revisione dei regolamenti Ue sulla condivisione di sforzi e uso suoli

Oltre al sistema di scambio delle quote di emissione dell’Unione Europea (ETS), il pacchetto Fit for 55 si spinge oltre, con una proposta di revisione del regolamento sulla condivisione degli sforzi (ESR) tra Stati membri nei settori rimasti scoperti – edifici, agricoltura, rifiuti, piccola industria e trasporti – e del regolamento sulle emissioni e gli assorbimenti di gas a effetto serra derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso e dalla silvicoltura (LULUCF).

La condivisione degli sforzi – Il regolamento sulla condivisione degli sforzi adottato nel 2018 stabilisce obiettivi annuali vincolanti per le emissioni di gas serra dal 2020 al 2030 per ciascun Paese membro UE, per l’insieme di settori che rappresenta circa il 60% delle emissioni dell’Unione. Nella proposta di revisione della Commissione è prevista la riduzione di almeno il 40% rispetto ai livelli del 2005, con un aumento di 11 punti percentuali rispetto all’attuale obiettivo del 29%. Saranno fissate per ognuno dei Ventisette le assegnazioni annuali di emissioni (AEA), ridotte progressivamente fino al 2030, e creata una riserva volontaria aggiuntiva. A livello di bilancio, viene stimato sul milione e 750 mila euro il costo totale delle misure di sostegno per l’adattamento al quadro più esigente.

La relazione che dovrà essere votata in sessione plenaria del Parlamento Ue, a firma Jessica Polfjärd (Partito Popolare Europeo), invita la Commissione a garantire l’adeguatezza degli obiettivi nazionali, con la possibilità di fissare limiti settoriali alle emissioni. Introduce maggiore trasparenza sulle azioni degli Stati membri e collega l’azione correttiva alla revisione dei piani nazionali per l’energia e il clima, in caso di mancato rispetto degli obiettivi per due anni consecutivi. Elimina la riserva aggiuntiva e stabilisce le assegnazioni annuali di emissioni per il periodo 2023-2030, eliminando il loro adeguamento nel 2025 e chiedendo una proposta sugli obiettivi Ue per le emissioni non-CO2 coperte dall’ESR entro il 2023.

L’uso del suolo

La proposta di revisione del regolamento sulle emissioni e gli assorbimenti di gas a effetto serra derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso del suolo e dalla silvicoltura (LULUCF) include l’abbandono a partire dal 2026 della regola del no-debit, vale a dire che le emissioni di gas serra non possono superare gli assorbimenti all’interno dello stesso settore. Viene introdotto un rafforzamento dell’obbligo per gli Stati membri di presentare piani di mitigazione integrati per il settore terrestre e dei requisiti di monitoraggio grazie alle tecnologie digitali. A partire dal 2031 il regolamento dovrà coprire l’intero settore agricolo, incluse le emissioni non-CO2, e sarà necessario definire un valore per le azioni di mitigazione, introducendo un sistema di certificazione della rimozione del carbonio.

Secondo la proposta della Commissione, l’obiettivo è di invertire l’attuale tendenza alla diminuzione degli assorbimenti nel settore terrestre, arrivando a 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente rimosse entro il 2030 e alla neutralità climatica del settore agricolo e forestale entro il 2035. La relazione che sarà votata in sessione plenaria del Parlamento UE, a firma Ville Niinistö (Verdi), è allineata all’obiettivo delle 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente entro il 2030, ma aggiunge un nuovo sforzo aggiuntivo di 50 milioni di tonnellate di CO2 da rimuovere attraverso l’agricoltura del carbonio. Al contrario, è stata respinta l’idea di unire le emissioni di gas a effetto serra derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso e dalla silvicoltura con quelle agricole non-CO2 a partire dal 2031.

Pannelli solari

Ue alza i target per le rinnovabili, verso obbligo pannelli solari su tetti

Pannelli solari obbligatori sui tetti dei nuovi edifici commerciali dal 2026 e per le nuove case a partire dal 2029. Nel suo piano per l’indipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia, ‘RepowerEU’, presentato mercoledì, la Commissione Europea fa leva su un massiccio aumento e accelerazione delle energie rinnovabili nella produzione di energia, ma anche nell’industria, negli edifici e nei trasporti per liberarsi dai combustibili fossili russi, da cui dipende per oltre il 50% delle sue importazioni di energia.

Bruxelles ha proposto nel piano di portare l’attuale target per l’energia prodotta da fonti rinnovabili dal 40% al 45%. Neanche un anno fa, a luglio 2021, la Commissione Ue aveva proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della direttiva sulle energie rinnovabili risalente al 2018 per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32% delle energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%. Mercoledì Bruxelles ha rivisto al rialzo l’obiettivo per accelerare la transizione e punta principalmente sull’energia solare.

Come parte centrale del ‘Repower Eu’, ha lanciato una ‘strategia solare dell’Ue’ per raddoppiare la capacità solare fotovoltaica entro il 2025 e installare 600 Gigawatt di nuova potenza entro il 2030. Per aumentare la capacità propone un’iniziativa specifica sui tetti solari con un obbligo a tappe per gli Stati membri per installare pannelli solari su nuovi edifici pubblici e commerciali e nuovi edifici residenziali. Per liberare un potenziale che l’Ue stima potrebbe fornire il 25% del consumo di elettricità dell’intera Unione, i governi dovrebbero limitare la durata con cui vengono rilasciati i permessi per gli impianti solari su tetto, compresi quelli di grandi dimensioni, a un massimo di 3 mesi. Dovranno rendere gradualmente obbligatoria l’installazione di energia solare sul tetto per tutti i nuovi edifici pubblici e commerciali con una superficie superiore a 250 metri quadri entro il 2026 e per tutti gli edifici pubblici e commerciali esistenti entro il 2027. L’obbligo entrerà in vigore nel 2029, invece, per tutti i nuovi edifici residenziali, quindi le case.

Per contrastare la lentezza con cui si approvano le autorizzazioni per i grandi progetti rinnovabili, la Commissione ha presentato una raccomandazione agli Stati per accelerare le approvazioni e un emendamento mirato alla direttiva sulle energie rinnovabili per riconoscere l’energia rinnovabile come “un interesse pubblico prioritario”. In questo modo, i governi dovrebbero istituire aree di riferimento dedicate per le energie rinnovabili con procedure di autorizzazione abbreviate e semplificate in aree con rischi ambientali limitati. Attualmente ci vogliono almeno “9 anni” per autorizzare progetti che riguardano l’eolico e “più di 4 anni per i progetti che riguardano il solare”, ha spiegato nella conferenza stampa la stampa per l’Energia, Kadri Simson.

Eu

Il Green Deal europeo non considera la globalizzazione

Il Green Deal guarda al futuro, ma è ancora troppo ancorato al passato e troppo sbilanciato ad un’offerta che non considera però consumi interni. In sostanza un’iniziativa che rischia di restare fine a sé stessa, se non si corre ai ripari e non si procede a un immediato cambio di rotta. Systemiq mette in luce le criticità dell’agenda sostenibile a dodici stelle, attraverso uno studio di insieme. Perché in un mondo globale e globalizzato c’è qualcosa di più della sensazione che l’Europa dimenticato il contesto interazionale. Non a caso l’analisi viene intitolata ‘Le implicazioni globali dell’attuazione del Green Deal europeo’, da un organismo non proprio qualunque. Systemiq nasce nel 2016 per guidare il raggiungimento dell’Accordo di Parigi e gli obiettivi di sviluppo sostenibile e dell’Onu. Nello staff anche Janez Potocnik, che della materia se ne intende. Conosce l’Italia e l’Italia si ricorda di lui, poiché fui lui, in veste di commissario per l’Ambiente nella seconda Commissione Barroso, a dover gestire, tra le altre cose, la delicata questione della gestione dei rifiuti.

Systemiq riconosce le ambizioni dei Ventisette. Il Green Deal europeo definisce un approccio integrato a una transizione verde e giusta entro il 2050 e una visione per un futuro climaticamente neutro. Peccato che gli attuali impegni e le relative politiche dell’Ue “si concentrano principalmente sul lato dell’offerta, affrontando a malapena le misure dal lato della domanda o il contesto globale e gli effetti internazionali della transizione dell’Europa verso la sostenibilità ecologica e sociale”. Istituzioni comunitarie e governi nazionali, al netto delle migliore intenzioni, “non affrontano il principale fattore di emissioni e degrado ambientale, ovvero il consumo eccessivo nei paesi ad alto reddito, compresa l’Europa”.

Il problema è quello solito, di un’Europa povera di risorse energetiche e materie prime, che deve reperire all’estero. Per questo motivo anche assumendo progressi in termini di efficienza, questi “non risolveranno la crisi delle risorse, o la crisi della biodiversità”. L’Ue ha bisogno di una nuova politica estera e di una nuova dimensione esterna se vuole vincere la scommessa della green economy. “Il successo della transizione europea è legato alla transizione globale”, e se l’Ue continua a procedere da sola, e ad avere partner quali Cina, India, economia emergenti e potenze economiche non allineate agli standard a dodici stelle, il Green Deal rischia di tramutarsi in un boomerang in termini di competitività. Non solo. L’approccio seguito non risponde alla necessità di una transizione davvero globale. L’approccio storico consistente nell’esternalizzare gran parte della produzione (e delle emissioni) europee a paesi con risorse e manodopera a basso costo “è incompatibile con l’ambizione di garantire la neutralità climatica, la resilienza e lo sviluppo sostenibile e di mantenere l’attività umana nel suo insieme entro i confini del pianeta”.

È tutto l’impianto della strategia che viene rimesso in discussione. L’Ue guarda a fornitori stranieri, approvvigionamenti, ma nel fare questo sbaglia. “Per il bene della transizione globale, nonché del Green Deal europeo, l’UE deve ridurre le sue importazioni di materiali, facilitata da una transizione verso un’economia circolare”. Solo così si avrà “un’economia europea che consuma meno dalle lunghe catene di approvvigionamento globali, più resiliente, oltre che più sostenibile”. Ma l’Europa non sembra averlo capito, anzi. “ Un esempio lampante dell’incapacità di considerare gli effetti internazionali sono gli sforzi dell’Europa per sostituire il petrolio e il gas russo”, criticano gli analisti. “Acquistando le risorse disponibili sui mercati internazionali, i governi europei stanno facendo salire i prezzi dell’energia per le persone e i P aesi che possono permetterseli meno”.

petrolio russo

Bando petrolio russo: Ue fatica a trovare intesa ma resta ottimista

Difficoltà e ostacoli” rallentano l’adozione del sesto pacchetto di sanzioni contro la Russia, ma più di una fonte diplomatica dell’Ue vicina al dossier è convinta che un accordo tra i Ventisette ci sarà. E ci sarà sull’intero pacchetto, quindi anche sull’embargo graduale sul petrolio russo proposto dalla Commissione Europea: sei mesi per liberarsi del greggio importato e fino alla fine del 2022 per i prodotti raffinati, come la benzina.

Il più grande ostacolo al raggiungimento di un accordo sul pacchetto proposto ormai dieci giorni fa, è proprio la dipendenza dal petrolio russo di alcuni Paesi europei come l’Ungheria, la Repubblica Ceca e la Slovacchia che tengono in ostaggio l’intero pacchetto in cambio di garanzie finanziarie. Budapest e Bratislava hanno già ottenuto, rispetto a tutti gli altri Stati membri, un’esenzione per continuare a importare petrolio russo fino alla fine del 2024, mentre per Praga la deroga è prevista fino alla metà del 2024.

Nei giorni scorsi più di una delegazione ha sollevato l’ipotesi di ‘spacchettare’ il pacchetto, ovvero lasciare fuori l’embargo sul petrolio (la questione più divisiva), sbloccare l’impasse e arrivare più in fretta a un accordo. Secondo più di un diplomatico, non ci sono le premesse per farlo perché si potrebbe restituire a Mosca l’immagine di una Unione Europea molto divisa e quindi molto debole. La decisione spetterebbe ai governi, ma il pacchetto ha una sua “coerenza interna e quindi credo che sarà adottato tutto insieme”, ha spiegato una fonte diplomatica. Ammette che “stiamo affrontando ancora difficoltà e ostacoli per raggiungere” un accordo a Ventisette, ma si è detto fiducioso che “riusciremo a trovare una soluzione che rispecchi unità e forza dell’Ue” contro la Russia per l’aggressione dell’Ucraina iniziata lo scorso 24 febbraio.

Secondo un’altra fonte, la discussione è ormai in stallo a livello tecnico di ambasciatori all’UE e non resta che avere una “spinta” a livello politico direttamente dalle Capitali. Un nuovo impulso politico che arriverà lunedì 16 maggio alla riunione dei ministri degli Affari esteri, che affronteranno il nodo sanzioni dopo che nel fine settimana proseguiranno i colloqui tecnici sulle misure restrittive. “Sono sicuro che avremo un accordo, ne abbiamo bisogno e lo avremo: dobbiamo liberarci della nostra dipendenza dal petrolio importato dalla Russia, pur tenendo conto delle situazioni (di dipendenza) di tutti gli Stati membri”, ha chiarito l’alto rappresentante Ue per la politica estera e di sicurezza, Josep Borrell, al suo arrivo alla riunione dei ministri esteri del G7 in Germania. Se non ci sarà modo di trovare un compromesso a livello di rappresentanti permanenti presso l’Ue, cosa che ormai appare irrealistica, “dal Consiglio Esteri dovrà arrivare un impulso politico, me ne assicurerò”.

QUIRINALE, INCONTRO CON ROBERTA METSOLA E UNA RAPPRESENTANZA DI STUDENTI DELLE SCUOLE AMBASCIATRICI DEL PARLAMENTO EUROPEO

Rinnovabili indispensabili per il futuro della Ue, Mattarella: “Dobbiamo fare di più”

Accelerare sulle rinnovabili per evitare di tornare al carbone e dare attuazione al Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il capo dello Stato, Sergio Mattarella, chiede al Paese di “fare di più“, concretizzando in modo “veloce e concreto” i contenuti del Pnrr. L’occasione è stato l’incontro al Quirinale con una rappresentanza degli studenti di scuole secondarie di secondo grado a cui ha partecipato anche la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola. “Bisogna intensificare molto lo sviluppo delle fonti alternative di energia“, ha detto Mattarella, ricordando che, ad esempio, “il Portogallo ormai ha oltre il 60% di energia rinnovabile. Dobbiamo fare molto di più. E il programma che si è fatto, anche nel Pnrr, è in questa direzione. L’importante è adesso attuarlo in maniera veloce e concreta“.

Di energia ha parlato anche Roberta Metsola nel corso della sua giornata in Italia, prima a Palazzo Giustiniani con la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, poi a Montecitorio con il presidente della Camera, Roberto Fico, infine con Mattarella. “L’Unione dell’energia non può essere più rimandata”, ha sottolineato Metsola. L’energia sarà il tema centrale del dibattito sul futuro dell’Europa presieduto dalla “presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e dal presidente francese, Emmanuel Macron”. L’Unione Europea, in questo senso, ha “un’opportunità d’oro”, quella di prendere le decisioni “che non abbiamo assunto sinora”.

Ora più che mai emerge la necessità di condensare quanto fino ad adesso è stato discusso sull’Unione dell’energia, per evitare che Stati terzi possano “ricattarci e dimostrarsi non affidabili” e avere così la possibilità di “raggiungere l’autonomia”. Una scelta che è stata rimandata in passato ma che adesso è improrogabile. Sulla fattibilità di un’Unione dell’energia, la presidente, non ha dubbi: “Se abbiamo imparato una cosa durante la pandemia è che quando c’è la volontà politica di prendere decisioni difficili, l’Ue c’è”.