La Commissione europea rinnova l’autorizzazione al glifosato per altri dieci anni

Nessuna maggioranza per sostenere o bocciare il rinnovo per altri dieci anni all’uso del glifosato in Unione europea. Il voto si è tenuto oggi in un Comitato d’appello, a cui era stata rimessa la decisione dopo che in una precedente votazione del 13 ottobre nel comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (SCOPAFF) gli Stati membri non avevano raggiunto la maggioranza necessaria per rinnovare (o respingere) la proposta. In assenza di una maggioranza qualificata pro o contro, come prevedono le norme Ue sulla comitologia, la Commissione europea può decidere di rinnovare l’uso del glifosato anche senza un reale via libera da parte dei governi.

Una decisione formale arriverà entro il 15 dicembre, quando scadrà l’attuale periodo di autorizzazione. L’Italia, apprende GEA da fonti diplomatiche, se nella votazione di metà ottobre ha votato a favore della proposta, nel voto di oggi ha invece deciso di astenersi perché la Commissione non ha accolto la sua richiesta di impedirne l’uso nell’ambito della pre-raccolta.

La maggioranza qualificata si ottiene quando a votare a favore di una proposta è il 55% degli Stati membri (ovvero, 15 Stati su 27), che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Ue. Ai fini del raggiungimento della maggioranza qualificata, astensione o voto contrario si equivalgono. La proposta di rinnovo è arrivata lo scorso 20 settembre nelle mani dei ventisette governi, che hanno iniziato già il mese scorso a discuterne a livello di rappresentanti permanenti presso l’Ue.

L’uso del contestato erbicida era stato rinnovato per l’ultima volta nel 2017 per soli cinque anni e, in scadenza a dicembre di un anno fa, la licenza è stata rinnovata per ulteriori dodici mesi fino al 15 dicembre di quest’anno. L’erbicida, il più diffuso al mondo, è al centro di una disputa scientifica a livello internazionale a causa della sua presunta cancerogenicità, classificata come ‘probabile’ nel 2015 dall‘Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità.

La proposta di rinnovo arriva, ha motivato Bruxelles, dopo che a inizio luglio una relazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha concluso di non aver individuato alcuna “area critica di preoccupazione” per l’uomo, gli animali o l’ambiente che possa impedirne l’uso come erbicida. Il rinnovo questa volta sarà lungo il doppio rispetto all’ultima volta ma impone alcune condizioni per il suo utilizzo. Ad esempio, ne è stato vietato l’uso per il disseccamento (ovvero quando viene utilizzato per asciugare una coltura prima del raccolto), l’impiego dovrà essere accompagnato da “misure di mitigazione del rischio” per l’area circostante, attraverso “zone tampone” di cinque e fino a dieci metri.

Questa volta però la proposta di rinnovo lascia molto spazio di manovra agli Stati membri per il rilascio delle autorizzazioni nazionali e della definizione delle condizioni d’uso, oltre al compito di “prestare particolare attenzione” agli effetti sull’ambiente. Contro la decisione della Commissione si scaglia preventivamente l’eurodeputato liberale Pascal Canfin, secondo cui la presidente della Commissione europea “Ursula von der Leyen ha deciso oggi di riautorizzare l’uso del glifosato per 10 anni senza reali restrizioni. Questa proposta non ha il sostegno dei tre maggiori paesi agricoli del nostro continente, Francia, Germania e Italia. Non è l’Europa che mi piace”.

Dall’Italia invece esulta il consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, che a GEA sottolinea che “l’astensione dell’Italia è un elemento positivo rispetto a precedenti votazioni, in cui era stato espresso parere favorevole”. “L’Italia aveva chiesto che la Commissione europea modificasse la proposta e vietasse l’utilizzo dei glifosati per qualsiasi uso in fase di pre-raccolta, quella in cui si concentra il maggior quantitativo residuo, che poi dietro anche in altre fasi della lavorazione”. “La Commissione non ha recepito l’indicazione italiana e il nostro Paese non ha votato a favore ma si è astenuto, come hanno fatto anche Francia e Germania”. 

Piano Mattei, in Cdm arriva il decreto sulla governance con cabina di regia e struttura di missione

di Dario Borriello

La partita entra nella fase caldissima. Domani, 3 novembre, alle ore 11, in Consiglio dei ministri arriverà il decreto legge che definisce la governance del Piano Mattei, il progetto su cui il governo, e la premier Giorgia Meloni, puntano per ampliare la cooperazione con l’Africa e fare dell’Italia l’hub energetico d’Europa, favorendo lo sviluppo delle popolazioni locali per frenare i flussi migratori dal sud del Mediterraneo. Gli obiettivi del Piano, infatti, sono quelli di costruire un “nuovo partenariato tra Italia e Stati del continente africano, volto a promuovere uno sviluppo comune, sostenibile e duraturo, nella dimensione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza“.

Sono diversi anche gli ambiti di intervento. Dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti, l’istruzione e formazione professionale, la ricerca e innovazione, la salute, l’agricoltura e sicurezza alimentare, l’approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche, ma anche la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici, l’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, anche digitali, nonché la valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili, il sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile. Il governo, però, allo stesso tempo intende promuovere l’occupazione sul territorio africano, anche per prevenire e contrastare l’immigrazione irregolare.

Il Piano Mattei prevede, poi, “strategie territoriali riferite a specifiche aree del continente africano, anche differenziate a seconda dei settori di azione“, e avrà una durata quadriennale, con possibilità di rinnovo e aggiornamento “anche prima della scadenza“.

Per portare avanti il progetto sarà istituita una cabina di regia, guidata dal presidente del Consiglio e composta dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con funzioni di vicepresidente, e dagli altri ministri, oltre al presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dal direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dai presidenti dell’Ice-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, di Cassa depositi e prestiti e Sace. Inoltre, ne faranno parte i rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati, esperti nelle materie trattate, individuati con un Dpcm che sarà varato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

Per assicurare “supporto al presidente del Consiglio dei ministri per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento dell’azione strategica del governo” sul Piano Mattei verrà istituita, sempre presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche una struttura di missione, alla quale è preposto un coordinatore, articolata in due uffici di livello dirigenziale generale, compreso quello del coordinatore, e in due uffici di livello dirigenziale non generale, il cui coordinatore sarà individuato tra gli appartenenti alla carriera diplomatica. Alla sdm è assegnato pure un contingente di esperti e avrà a disposizione risorse annue per 500mila euro.

Altro punto importante del decreto è la relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano Mattei, che il governo dovrà trasmettere alle Camere (con l’ok della cabina di regia) entro il 30 giugno di ogni anno.

Imprese, Colonna (Cassa Ragionieri): “Flat tax incrementale anche per agricoltori”

In materia di Flat Tax un importante principio è stato espresso dall’Agenzia delle Entrate durante l’incontro di Telefisco 2023. Secondo l’Agenzia possono rientrare nel regime della flat tax incrementale anche gli imprenditori agricoli individuali che svolgono attività produttive di reddito di impresa determinato forfettariamente (agriturismo, oleoturismo, enoturismo). “I tecnici delle Entrate hanno ricordato che la Legge di bilancio 2023 – evidenzia Felice Colonna, consigliere d’amministrazione della Cassa dei Ragionieri e degli esperti contabili – ha introdotto un regime agevolativo opzionale, la ‘tassa piatta incrementale’ o ‘flat tax incrementale’, limitatamente all’anno d’imposta 2023, sostitutivo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e delle relative addizionali regionale e comunale”. “La norma prevede l’applicazione di un’imposta ad aliquota fissa del 15%, sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali regionale e comunale. Il calcolo – prosegue Colonna – viene effettuato sull’incremento di reddito dell’anno oggetto di dichiarazione rispetto a quello più elevato nell’ambito del triennio precedente”.

L’agricoltura coltiva il sale: coordinamento Confagricoltura-Saline di mare

Il governo si impegna a valorizzare il settore della salicoltura. Lo garantisce Patrizio La Pietra, sottosegretario al Masaf, dal palco di Confagricoltura. Il comparto, infatti, ha molto a che fare con l’agricoltura. I cento chilometri di saline, in tutta Italia, sono campi coltivati a tutti gli effetti: il sale sciolto nel mare ha bisogno di circa cinque anni per formarsi nelle vasche, una volta essiccato.
Per dimostrare che anche la coltivazione del sale marino è attività agricola, nasce il coordinamento tra gli imprenditori agricoli e della produzione del sale marino italiani. Confagricoltura e le società di gestione delle Saline di mare dell’Italia formalizzano a Palazzo della Valle, a Roma, la loro collaborazione.

L’intesa prevede anche la realizzazione di iniziative nei territori delle saline e attività di valorizzazione di tutti gli aspetti legati alla salicoltura e alla multifunzionalità delle saline, che sono attrattiva anche turistica nelle rispettive regioni. Il progetto culminerà con gli Stati generali della salicoltura italiana, il prossimo anno.

Insieme a Confagricoltura, cinque partner: Atisale Spa che, con le saline di Margherita di Savoia (Puglia), tra le più grandi di Europa con 4.500 ettari in produzione, e di Sant’Antioco (Sardegna), si configura come il maggior produttore di sale marino italiano; Saline Luigi Conti Vecchi, nella Laguna di Santa Gilla a due passi da Cagliari, con quasi 2.800 ettari in produzione; Sosalt Spa con le saline nella fascia costiera tra Trapani e Marsala, circa 1.000 ettari in produzione e maggior produttore di sale marino in Sicilia; il Parco della Salina di Cervia, oltre 800 ettari di estensione, fulcro dell’economia del Ravennate e della Romagna per oltre 150 anni, che tanto ha fatto per la valorizzazione del sale marino italiano; Isola Longa, la maggiore salina di mare del Trapanese, situata nell’omonima isola dell’arcipelago dello Stagnone, che produce oltre 23.000 tonnellate di sale ogni anno. Ai soggetti firmatari si aggiungono inoltre, come sostenitori, le saline di Trapani Oro di Sicilia, Ettore e Infersa ed Isola di Calcara.

Dal 2019 anche la Francia ha inserito la “saliculture” nelle attività agricole nazionali attraverso la modifica del Codice rurale e della pesca marittima.

Il sale può essere sale marino, ottenuto nelle saline tramite l’evaporazione dell’acqua e coltivato e prodotto in modo totalmente naturale, oppure salgemma, estratto nelle miniere sotterranee. Questo si presenta in forma solida, e viene tritato, pulito e preparato per le varie applicazioni.

In Italia la produzione di sale marino corrisponde a poco meno del 30% della produzione totale: mediamente quasi 1,2 milioni di tonnellate/anno su un totale di oltre 4 milioni di tonnellate.
Anche in Europa la produzione di sale marino è circa il 10% della produzione di sale totale. I principali Paesi produttori di sale marino nella UE sono la Francia e l’Italia, seguiti da Spagna e Grecia.
Il sale, oltreché per uso alimentare, viene impiegato nell’industria metallifera, vetraria, chimica, cartaria, farmaceutica, nell’edilizia, nel settore tessile, nella cosmetica e nei detersivi, come antighiaccio nel disgelo stradale. Nell’ambito alimentare vale la pena ricordare che il sale è elemento intrinseco e necessario nei prodotti di alta qualità, quali prosciutti e formaggi.
Oggi abbiamo presentato al governo ed al Parlamento una realtà economica importante, rilevante anche per la tutela dell’ambiente, ma poco conosciuta”, spiega il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, nel corso del convegno ‘L’agricoltura coltiva il sale’, organizzato a Roma. La salicoltura, ha ricordato il presidente, è “un‘attività anche di coltivazione e questo ne fa un’attività agricola: su questo lavoreremo”, aggiunge ricordando come si tratti di “un percorso dovuto e per questo presentiamo una richiesta al governo” affinché venga riconosciuta come attività agricola.

Impatto sull’ambiente dell’ammoniaca green sotto la lente di un team di ricerca

Quale impatto può avere l’ammoniaca ‘green’ sull’ambiente e sui cambiamenti climatici? Se lo sono chiesto la U.S. National Science Foundation, la UK Research and Innovation e il Natural Sciences and Engineering Research Council of Canada che hanno finanziato congiuntamente un nuovo centro globale per affrontare l’opportunità e la sfida emergente di questa sostanza per fornire energia pulita e sostenere la produzione alimentare, mitigando al contempo il cambiamento climatico. Il Centro globale per l’innovazione sull’azoto per l’energia pulita e l’ambiente (NICCEE), fornirà approfondimenti tempestivi e cruciali perché, spiega il direttore Xin Zhang “speriamo di poter sfruttare l’innovazione tecnologica della produzione di ammoniaca verde per sostenere le iniziative di energia pulita, combattere il cambiamento climatico e garantire le forniture alimentari per il futuro, riducendo al minimo i rischi di conseguenze indesiderate”.

L’attuale produzione industriale di ammoniaca è ad alta intensità energetica e dipende principalmente dai combustibili fossili, contribuendo all’1-2% delle emissioni globali di gas serra. Nel settore agricolo, la tecnologia dell’ammoniaca verde potrebbe portare al decentramento della produzione di fertilizzanti, migliorandone l’uso e rafforzando la produzione alimentare nei Paesi in cui l’accessibilità a quelli azotati (N) è stata limitata, migliorando così la produzione di colture, la prosperità economica, la nutrizione e la sicurezza alimentare. Tuttavia, una maggiore disponibilità di questi prodotti potrebbe anche esacerbare gli attuali gravi problemi ambientali legati alle perdite di azoto nell’aria e nell’acqua dovute a un uso eccessivo e inefficiente dei fertilizzanti.

Nel settore dei trasporti, in particolare in quello navale, l’ammoniaca verde è un’opzione valida e promettente per sostituire i tradizionali combustibili fossili, ma in questo modo è probabile che si triplichi la quantità di azoto reattivo che l’uomo introduce nella biosfera, si aggravi l’inquinamento costiero e si aumentino le emissioni di N2O, che è il terzo più importante gas a effetto serra.

Insomma, ora la scienza si interroga sul rapporto tra i benefici e i danni che potrebbe causare questo sviluppo. “Il cambiamento climatico e l’inquinamento da azoto sono due delle minacce più significative per l’umanità e sono inestricabilmente collegate”, spiega David Kanter, professore della New York University e presidente dell’Iniziativa internazionale sull’azoto.

Il NICCEE fungerà da centro di informazione con una cyberinfrastruttura all’avanguardia per monitorare il ciclo di vita e gli effetti dell’azoto nei sistemi agricolo-alimentare-energetico. “L’avvento dell’ammoniaca verde, a seconda di come si svilupperà, potrebbe contribuire alla soluzione o aggravare il problema dell’uso inefficiente dei fertilizzanti N e della perdita di azoto nell’ambiente. Dobbiamo anticipare questa imminente trasformazione tecnologica in modo che gli impatti dell’ammoniaca verde siano guidati da un’eccellente ricerca agronomica e socio-economica”, dice il professore dell’UMCES Eric Davidson.

L’impegno internazionale coinvolge collaboratori di otto Paesi, provenienti da università, Ong, organizzazioni internazionali, governo e aziende private, e riunisce competenze in biogeochimica e scienze agronomiche, ingegneria chimica, modellazione di sistemi complessi, sociologia ambientale, economia, statistica e scienza dei dati, ecologia costiera ed equità nelle geoscienze, impegno e valutazione scientifica, telerilevamento, diritto e politica ambientale, modellazione atmosferica, scienza della sostenibilità, valutazione del ciclo di vita e scienza traslazionale.

“Il processo di ammoniaca verde consiste nello sfruttare l’energia solare o altre fonti di energia rinnovabili per produrre ammoniaca senza emissioni di anidride carbonica. Ad esempio, la luce solare può guidare la conversione dell’azoto e dell’acqua in ammoniaca”, precisa Nianqiang (Nick) Wu, Co-PI e Armstrong-Siadat Endowed Chair Professor presso l’Università del Massachusetts Amherst.

Frutta e verdura sempre più care: la risposta potrebbe arrivare dagli agromercati

Il cibo costa troppo e nel carrello finisce sempre meno. Causa caro-prezzi, gli italiani devono rivedere le proprie scelte nutrizionali quotidiane, e la risposta, in Italia come in Europa, sembra essere nei mercati agricoli all’ingrosso. Perché è qui che si determina il prezzo di ciò che poi finisce sugli scaffali, ed è qui che si può ad avere un prezzo ‘giusto’, a riprova di inflazione. Il ragionamento è stato lanciato in Parlamento europeo, con un evento apposito – ‘Mercati all’ingrosso, centro dell’agroalimentare europeo’ – organizzato dal capo delegazione di Forza Italia, Salvatore De Meo. “I mercati all’ingrosso sono il luogo fisico dove i prodotti acquisiscono un valore aggiunto nel confezionamento, nel controllo della qualità, nella tracciabilità e nella formazione trasparente del prezzo nell’interesse dei produttori e del consumatore finale”.
A dare una prima idea del problema è Herbert Dorfmann (Svp/Ppe), membro della commissione Agricoltura. “Soprattutto nel settore dell’ortofrutta la situazione sta diventando allarmante”, denuncia. “Se vado al supermercato, sulla mela che pago 2,99 euro, se va bene l’agricoltore prende 30 centesimi. Questo margine non è soddisfacente”. In pratica c’è una situazione per cui “da una parte c’è un consumatore che mangia meno, perché il prodotto costa troppo, e dall’altra parte c’è un produttore in difficoltà perché guadagna poco”.

In Italia il caro-prezzi intanto incide. “Il 22% degli italiani non compra prodotti di ortofrutta perché non ce la fa. Vuol dire che 2,6 milioni di italiani non mangiano”, denuncia Luigi Scordamaglia, presidente di Filiera Italia – Coldiretti. Anche lui, come De Meo, chiede maggiore attenzione e coinvolgimento per i mercati agroalimentari all’ingrosso. “Senza di essi non si riesce a capire il prezzo di produzione. Vogliamo quindi un prezzo più equo e più trasparente”. Scordamaglia chiede però l’intervento della politica per cambiare un modello che penalizza il ‘made in’. “Sull’ortofrutta pesa il costo della logistica”, sottolinea. “Abbiamo il costo più elevato in Europa: 1,12 euro a chilometro”. Il suggerimento del presidente di Filiera Italia – Coldiretti è dunque quello di fare uso de i fondi del Piano per la ripresa (Pnrr) per interventi sulla logistica, oltre che per favorire “contratti di filiera che includano i mercati all’ingrosso”.

Anche perché, dati alla mano, questi mercati tornano utili come ‘ammortizzatori’ dell’inflazione all’interno della filiera. Secondo un’analisi Ambrosetti diffusa per l’occasione , “a fronte di una crescente pressione sui costi operativi, i mercati hanno ammortizzato l’inflazione il 53,1% delle volte nell’ultimo anno”, tra febbraio 2022 e febbraio 2023. Più nello specifico i mercati agroalimentari all’ingrosso hanno contrastato il rialzo dell’inflazione “per almeno un mese in tutti i prodotti”. Indicazioni chiare, dunque.

Un impegno alla politica, italiana ed europea, arriva anche da Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura. Nel settore primario, quello agricolo, “ci attendono sfide epocali, non impossibili ma difficili”. Nello specifico “per i produttori si tratta di produrre di più senza compromettere la biodiversità e la natura, senza influire sui costi”. Un compito che spetterà a chi deve prendere le decisioni per il funzionamento di sistema produttivo ed economico. Che passa anche per il rispetto del Green Deal. “La produzione di energia da fonti rinnovabili nella aziende agricole diventa fondamentale. Il mio modello di distribuzione dovrà avvenire con il minor impatto ambientale” possibile. Vuol dire permessi semplici e veloci, poca burocrazia, normativa a misura di azienda.

In tema di agenda verde e sostenibile europea, Matteo Bartolini, vicepresidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, un’idea ce l’ha. “Il tema della logistica dovrebbe aiutarci a comunicare la volontà di raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo, invogliando e incentivare i consumatori a consumare a livello locale”. In questo modo “si tiene vivo e aperto il negozietto di prossimità”. E si tiene basso il prezzo di prodotti alimentari, soprattutto frutta e verdura, sempre meno a portata di famiglie.

Coltivare con radici all’aria risparmiando acqua: arriva l’aeroponica di Agricooltur

Coltivare con le radici fuori dal terreno, nebulizzate con acqua e sostanze nutritive in un ambiente completamente controllato, riducendo al minimo l’impiego di pesticidi e con un risparmio idrico del 98% rispetto alle colture tradizionali? È possibile, grazie alla tecnologia aeroponica usata e sviluppata da Agricooltur, una giovane start up torinese, nata nel 2018 dall’idea di Bartolomeo Marco Divià, Stefano Ferrero e Alessandro Boniforte, che hanno unito le loro diverse competenze. “I vantaggi offerti da questo sistema rappresentano la soluzione ideale a ‘gamma zero’, a zero chilometri e a zero residuo: i nostri prodotti arrivano in vendita al consumatore senza esser stati recisi mantenendo così un incredibile standard di freschezza” spiega a GEA il Ceo Divià. Perché nella produzione aeroponica “le nostre piante crescono in appositi vassoi di coltivazione dove il veicolo nutrivo anziché essere la terra è l’acqua vaporizzata, pochissima e arricchita dei nutrienti necessari all’accrescimento.

A differenza dell’idroponica, dove le radici delle piante vengono immerse completamente nell’acqua, l’aeroponica “permette invece di sfruttare dei volumi di acqua inferiori poiché è nebulizzata e la pianta riesce in maniera più efficiente ad assorbire le sostanze nutritive necessarie allo sviluppo. Ad esempio, una pianta di basilico coltivata in aeroponica permette di risparmiare 285,5 litri d’acqua al chilo di prodotto, un’insalata 312,5 chili d’acqua. Una serra produttiva arriviamo anche a risparmiare diversi milioni di litri d’acqua all’anno.” Il vantaggio della tecnologia, inoltre, non sembra essere solo il risparmio idrico, ma anche quello dei fertilizzanti perché quello non necessario alla pianta non viene disperso nei terreni come succede per le agricolture tradizionali. Un altro punto di efficienza importante è il controllo dell’ambiente, ovvero “come temperatura, umidità, immissione e saturazione dell’aria creano il miglior habitat possibile per le piante in coltivazione e minimizzano la proliferazione di malattie e dei fitofagi di vario genere.”

Sembrerebbe la soluzione perfetta per affrontare la grande siccità che sta colpendo molti Paesi europei a causa degli effetti del cambiamento climatico. “Una delle nostre sfide è rendere il progetto esportabile ovunque”, ammette Divià. Per questo Agricooltur ha creato delle piccole cialde essiccate, con una shelf life di cinque mesi, spendibili ovunque. “Cosa succede se si apre un sito ad esempio a Dubai? Noi saremmo in grado di progettare e realizzare una delle nostre serre altamente tecnologiche, con controllo da remoto e provvedere al refill delle materie prime per la coltivazione autonoma tramite le cialde e fertilizzanti. La coltivazione aeroponica potenzialmente potrebbe essere utilizzata per qualsiasi prodotto agricolo”. Sicuramente, però, come viene detto da Divià “per una produzione massiva, penso al mais, vi sarebbe un dispendio economico troppo elevato.

Agricooltur si concentra sul B2B attraverso partnership imprenditoriali che vedono l’azienda impegnata in diversi settori: dal Real Estate, con il progetto Forrest in Town a Milano, alle scuole con percorsi specifici di sensibilizzazione dei ragazzi ai temi di sostenibilità e ambiente. L’offerta per le aziende si completa portando una produzione agricola all’interno della sede che non solo permette di avere ortaggi freschi alla mensa aziendale ma di avere un impatto di estrema rilevanza sui criteri ESG, “influendo positivamente sui rating di sostenibilità aziendale nei parametri Environmental e Social”, continua Divià. E poi, la capillarità sul territorio arriva sviluppando un sistema di Franchising Agri Tech, una proposta innovativa rispetto alle tradizionali Vertical Farm. Urbancooltur, azienda agricola di Agricooltur, nasce come pilot di un Franchisee per la commercializzazione dei prodotti finiti rivolgendosi al canale Ho.Re.Ca e Gdo. I siti di coltivazione Agricooltur sono presenti a Carignano (TO), a Milano CityLife e a Genova nella Radura della memoria. E poi “stiamo per installare un sito di coltivazione al Mind a Milano, polo dell’Innovation Center e un sito a Roma Ostiense”, conclude Divià. La sfida del futuro per Agricooltur sarà quella di portare le coltivazioni ancora più vicine al consumatore per affermare in maniera definitiva il concetto del cm 0.

Via libera Ue al decreto Parco Agrisolare: 1 miliardo di finanziamenti

La Commissione europea dà il via libera al nuovo decreto del bando Agrisolare. La misura del Pnrr, che libera un miliardo di euro, prevede finanziamenti a fondo perduto fino all’80% per la realizzazione di impianti fotovoltaici.

Il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, firma il decreto che sarà pubblicato a breve in Gazzetta Ufficiale e istituisce il nuovo regime di aiuti per interventi su edifici a uso produttivo nei settori agricolo, zootecnico e agroindustriale. L’obiettivo, spiega il ministro, è “favorire lo sviluppo delle energie rinnovabili e la riduzione dei costi di produzione delle imprese“. Le spese per l’energia, in media, pesano per oltre il 20% dei costi variabili a carico delle aziende. La possibilità di autoprodurre energia da fonti rinnovabili utilizzando i propri fabbricati, e quindi senza consumo di suolo, è “non solo un grande passo verso la sostenibilità del comparto ma anche un’occasione per abbassare le spese di produzione e, allo stesso tempo, di crescita, in competitività, della nostra Nazione”, scandisce Lollobrigida.

Nel dettaglio, la misura prevede: l’80% di contributo a fondo perduto va alle imprese agricole di produzione primaria su tutto il territorio nazionale nei limiti dell’autoconsumo, con la nuova fattispecie dell’autoconsumo condiviso (con una dotazione finanziaria pari a circa 700 milioni di euro); fino all’80% di contributo a fondo perduto con la possibilità di vendita dell’energia prodotta sul mercato, senza vincolo di autoconsumo, per le imprese di trasformazione di prodotti agricoli. La dotazione finanziaria pari a circa 150 milioni di euro); il 30% di contributo a fondo perduto (con maggiorazioni per piccole e medie imprese e per aree svantaggiate) e possibilità di vendita dell’energia prodotta sul mercato, senza vincolo di autoconsumo, per le imprese agricole di produzione primaria (con una dotazione finanziaria pari a circa 75 milioni); il 30% di contributo a fondo perduto (con maggiorazioni per piccole e medie imprese e per aree svantaggiate) e possibilità di vendita dell’energia prodotta sul mercato, senza vincolo di autoconsumo, per le imprese della trasformazione da agricolo in non agricolo; raddoppio della potenza massima installabile che passa da 500 kw/p a 1.000 kw/p; il raddoppio della spesa ammissibile per accumulatori che passa da 50mila a 100mila euro; il raddoppio della spesa ammissibile per dispositivi di ricarica che passa da 15mila a 30mila; raddoppio della spesa massima ammissibile per beneficiario che passa da 1 milione di euro a 2,330 milioni incluse le spese accessorie (ad esempio rimozione amianto).

Consentirà l’installazione di pannelli fotovoltaici sui tetti di circa 20mila stalle e cascine ed è “importante per contribuire in modo sostenibile alla sovranità energetica del Paese“, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. “Un sostegno per le imprese agricole e zootecniche che possono avvantaggiarsi del contenimento dei costi energetici ma anche per il Paese che può beneficiare di una fonte energetica rinnovabile, in una situazione di forti tensioni internazionali“, ricorda. “Riconosciamo il valore del lavoro fatto in questi mesi dal ministero, ascoltando le nostre sollecitazioni perché venisse superato il limite dell’autoconsumo e dato spazio alle Comunità energetiche rurali“, fa eco il presidente nazionale di Cia-Agricoltori italiani, Cristiano Fini. “È chiaro che bisognerà continuare a spingere per vedere ampliate, in modo significativo e davvero efficace, le opportunità di ammodernamento ed efficientamento del sistema produttivo agricolo – sottolinea -. Il settore è ormai in pista per essere sempre più sostenibile anche da un punto di vista energetico, ma va supportato con garanzie di reddito e nel processo culturale all’interno delle comunità“.

Sensori, droni e satelliti: Israele coltiva nel deserto con l’hi-tech

La sfida al cambiamento climatico, in agricoltura, parte da Israele. Noto per il clima arido e le risorse idriche limitate, è riuscito comunque a “trasformare il suo panorama agricolo attraverso innovazioni rivoluzionarie”. Raphael Zinger, ministro per gli Affari Scientifici ed Economici dell’Ambasciata d’Israele in Italia, spiega come il Paese sia diventato “leader globale nella tecnologia agricola, apportando contributi significativi a pratiche sostenibili e alla sicurezza alimentare”.

Pioniere nelle tecniche di irrigazione efficiente, Israele ha sviluppato sistemi di irrigazione a goccia avanzati che forniscono acqua direttamente alle radici delle piante, riducendo gli sprechi e massimizzando il rendimento delle colture. Un approccio che, spiega il consigliere, “non solo ha ridotto il consumo di acqua, ma ha anche aumentato la produttività, consentendo agli agricoltori di coltivare una varietà di colture in ambienti aridi”.

L’agricoltura israeliana ha poi abbracciato tecnologie all’avanguardia come l’agricoltura di precisione, l’automazione e l’analisi dei dati. Con l’uso di sensori, droni e immagini satellitari, gli agricoltori possono raccogliere dati in tempo reale sulle condizioni del suolo, la salute delle piante e i modelli meteorologici. Questo approccio basato sui dati, osserva Zinger, “consente un’allocazione precisa delle risorse, ottimizzando l’uso di fertilizzanti, pesticidi e acqua, con conseguente aumento dell’efficienza e riduzione dell’impatto ambientale”.

Oggi fare agricoltura senza sistemi di irrigazione che possano o risultare d’emergenza o mediare le precipitazioni, è impensabile“, fa eco Aaron Fait, docente della Ben Gurion University, esperto di miglioramento delle colture agricole e vitivinicole in ambienti a scarsa disponibilità idrica e desertici.
Creare un sistema molto più efficiente è il punto di partenza. Questo “vale anche per il riciclo dell’acqua. Israele riutilizza l’80% dell’acqua, che viene tutta riutilizzata in agricoltura. Dopo Israele c’è la Spagna con un 40%“, rivendica.

Anche rispetto all’aumento di temperatura, si può fare qualcosa per difendere le piante. Ad esempio, si possono “creare dei modelli per riuscire ad anticipare le ondate di caldo torrido durante la stagione della crescita della pianta, arrivare sul campo e creare strategie per mitigare l’innalzamento della temperatura“, afferma. “Si possono poi proteggere i frutti da radiazioni solari, si possono avere reti che proteggono il frutto in periodi specifici della stagione. A livello tecnico e agronomico abbiamo molte possibilità“.
La viticoltura nel deserto del Negev può essere un modello per l’Europa, anche per il futuro, in considerazione del cambiamento climatico e della necessità di adattamento: “Un aumento di temperatura di 2 gradi potrebbe portare a una perdita del 50% delle varietà delle viti, se non viene mantenuta la biodiversità”, spiega Fait. Allo studio, fa sapere, ci sono “varietà di viti che resistono meglio al surriscaldamento globale”.

Manzoni: “Con agricoltura rigenerativa abbatto CO2, creo energia e risparmio acqua”

Piero Manzoni è un guru del business green. È stato amministratore delegato di Falck Renewables, fa parte del cda di Snam, siede nel comitato esecutivo di Assolombarda, ma soprattutto, è l’ideatore di un modello unico che punta a mettere a sistema competenze, soluzioni tecnologiche e brevetti ispirati alla natura, per trasformare l’agricoltura, i processi industriali e la gestione dei territori in un’ottica di vera economia circolare. Con la sua Simbiosi, di cui è fondatore e amministratore delegato, si definisce “produttore d’ambiente”, contemplando la protezione della biodiversità, l’efficientamento delle risorse e la lotta al cambiamento climatico, ma tenendo sempre conto di tutte gli effetti delle azioni umane, in pratica mirando al vero concetto di sostenibilità. Una filosofia che dall’Innovation Center Giulio Natta, sede operativa dell’azienda, Manzoni è pronto a esportare insieme alle soluzioni e ai brevetti: si va da tecnologie sviluppate per recuperare gli elementi nutritivi degli scarti organici per produrre fertilizzanti per utilizzo agronomico ed energia pulita a impianti innovativi di produzione del freddo, dall’agrivoltaico fino a sistemi di blockchain ambientale e di Intelligenza Artificiale in grado di controllare ed efficientare i consumi di energia degli impianti. Una vera e propria simbiosi tra uomo, natura, tecnologia e business, le cui potenzialità hanno attratto anche Gianni Tamburi, paragonabile a una sorta di re mida di Piazza Affari, entrato nel capitale della società, rilevandone una quota di minoranza nella primavera 2022. Inizia tutto nel 1995, a Giussago, nelle campagne tra Milano e Pavia, quando Manzoni, insieme al suocero Giuseppe Natta, figlio del Premio Nobel Giulio, trovandosi di fronte al deserto agricolo delle pianure circostanti, “distrutte dall’agricoltura intensiva“, decide di provare a riportare il territorio alle condizioni di fertilità e biodiversità di 1000 anni prima. Attraverso studi e ricerche non semplici, che hanno coinvolto l’Università Statale di Milano, l’Università di Pavia, fino all’Università di Wageningen nel Paesi Bassi, si è riuscito a ricostruire sulla carta quale fosse il paesaggio di un tempo e ad avviare il progetto di rigenerazione. “Con l’aiuto di agricoltori locali, utilizzati nel periodo invernale di fermo-lavoro, abbiamo rivoluzionato oltre 500 ettari, rimodellando le pendenze del terreno, realizzando vasche di laminazione, creando canali e rinaturalizzando l’area con 2 milioni di piante autoctone. Poi abbiamo lasciato che la natura facesse il suo corso. Sono così arrivati insetti e uccelli, attratti dal verde e dagli specchi d’acqua. Si è costituita anche una garzaia, ovvero il luogo dove nidificano gli aironi. Un laboratorio naturale, che abbiamo poi dotato di milioni di sensori per controllare i livelli di umidità del terreno, emissioni di CO2, temperatura, livelli di assorbimento dell’acqua e altro”.

Qual è stata la scintilla?

“Grazie alla sensoristica siamo quindi entrati in possesso di miliardi di dati: un’immensa mole di informazioni che ci ha permesso di studiare come la natura utilizza le proprie risorse, le trasforma, le distribuisce e le ottimizza, e che ci è servita per sviluppare soluzioni, brevettare tecnologie, e aggregare innovazione, consentendoci di creare a Giussago la prima Nature Based Solutions Valley italiana, dove il territorio costituisce una risorsa e non una commodity”.

Innovazione ispirata alla natura… Ma cosa significa per lei innovare?

“La nostra logica di innovazione si ispira al principio dell’exattamento, ovvero a quel principio dell’evoluzione secondo cui una funzione presente in un organismo può essere re-indirizzata a svolgere un’ulteriore nuova funzione. Pensiamo ad esempio alle piume degli uccelli, in passato funzionali all’isolamento termico e poi rivelatesi fondamentali per consentire all’animale di volare. In altre parole, per noi, l’innovazione non deve per forza essere un elemento di rottura ma può derivare dalla combinazione di più tecnologie esistenti in una nuova dal grande potenziale”.

Avete numerosi brevetti, quali sono i principali e in che cosa consistono?

“Una delle tecnologie brevettate da Simbiosi (l’NRC) riguarda la chiusura del ciclo produttivo, nello specifico il recupero dei nutrienti dagli scarti organici, tramite la produzione di un digestato dalle proprietà uniche. Questa tecnologia, associata alla gassificazione, consente inoltre di produrre energia pulita (biometano, energia elettrica e idrogeno). Tutto questo, viene inoltre reso efficiente dall’innesto di un’altra tecnologia da noi brevettata, l’Adam&Eva, capace di controllare i consumi e arbitrare la produzione mediante l’utilizzo dell’intelligenza artificiale”.

In che modo questa tecnologia chiude il ciclo produttivo?

“La tecnologia ha la capacità di trasformare qualsiasi tipo di sostanza organica (scarti organici di qualsiasi natura, siano essi scarti delle lavorazioni agricole, reflui zootecnici, rifiuti umidi urbani o scarti di aziende) in un ammendante completamente igienizzato e deodorizzato attraverso uno specifico trattamento anaerobico. Iniettato nel suolo ad una profondità di 10-15 cm, questo permette di restituire al terreno gli elementi nutritivi e al tempo stesso di stimolarne la fertilità e di salvaguardarne la biodiversità. Se aro il terreno, infatti, elimino la biodiversità presente negli 80 cm sotto il livello del suolo e con questa operazione favorisco la produzione di anidride carbonica, in quanto qualsiasi cosa morta emette carbonio nell’aria. Iniettando il digestato prodotto dalla nostra tecnologia, invece, non uccido la biodiversità quindi non genero carbonio, che al contrario resta stoccato nel terreno; inoltre, combattendo la desertificazione del suolo favorirò la trattenuta dell’acqua in caso di irrigazione e pioggia, dimezzando di fatto l’utilizzo di acqua rispetto all’agricoltura tradizionale”.

Un toccasana in tempi di siccità…

“In effetti l’acqua che risparmio la metto in vasche e bacini, che fungono da polmoni d’emergenza in caso di necessità per la produzione agricola”.

Ma questa tecnologia è già utilizzabile da altre aziende? Quali sono le potenzialità?

“Certamente. Un solo impianto basato sulla tecnologia da noi brevettata serve oggi infatti un territorio di circa 5.000 ettari, per un totale di circa un centinaio di aziende. Tra i principali interlocutori a cui ci rivolgiamo, ci sono inoltre i consorzi agro-alimentari e le ATO. A questo mi lego per farle un altro esempio delle potenzialità del nostro brevetto: in Italia sono circa 4 mln di tonnellate di fanghi derivanti dalla depurazione delle acque reflue che – invece di finire in discarica o di essere trasportati all’estero a caro prezzo – potrebbero essere trattati tramite questo tipo di tecnologia e ‘restituiti’ all’ambiente, sempre nell’interesse della filiera, in una vera logica di economia circolare”.

Torniamo al tema siccità, lei parla di riutilizzo delle acque reflue… Può fare dei numeri?

“Le acque di depurazione potrebbero soddisfare fino al 70% delle necessità irrigue italiane, nonché le necessità idriche dei piccoli Comuni: grazie a questo metodo, oggi Paesi come Israele recuperano circa l’82% delle acque reflue per usi irrigui mentre in Italia siamo ancora fermi a circa il 5%. Per contrastare questo il fenomeno siccità, in primo luogo sarebbe quindi fondamentale raccogliere le acque di scarico post-trattamento di depurazione tramite la costituzione di bacini e invasi, utili a fare fronte alla sempre più urgente necessità di irrigazione. Inoltre, bisognerebbe favorire – dove possibile e nel rispetto delle normative – l’utilizzo in agricoltura dei digestati prodotti negli impianti di depurazione, tramite processi di igienizzazione in grado di conservare l’acqua nelle coltivazioni, così da aumentare la produttività per ettaro”.

Ha iniziato a lavorare nel mondo delle rinnovabili e della sostenibilità quando nessuno sapeva ancora cosa fosse. Arriveremo a centrare gli ambiziosi target climatici che soprattutto l’Europa impone?

“Le dico solo questo: se tutto il mondo coltivasse con un metodo rigenerativo come il nostro, la diminuzione di 1,5 gradi entro il 2030 potrebbe essere raggiunta addirittura lasciando tutto il fossile esistente”