amazzonia

Record incendi Amazzonia: 3mila in un giorno, numero più alto in 15 anni

Lunedì 22 agosto l’Amazzonia brasiliana ha vissuto il più alto numero di incendi degli ultimi 15 anni, un ennesimo segnale della distruzione in atto della più grande foresta tropicale del mondo.

Le immagini satellitari hanno rilevato 3.358 incendi, record giornaliero dal settembre 2007. La cifra è tre volte superiore a quella del 10 agosto 2019, il cosiddetto “giorno di fuoco“, quando i contadini brasiliani lanciarono una massiccia operazione di inneschi nel nord-est del Paese che si estese a San Paolo, a circa 2.500 chilometri di distanza, scatenando la condanna internazionale.

Alberto Setzer, responsabile del programma di monitoraggio degli incendi dell’INPE, dichiara che non ci sono prove che gli incendi di lunedì siano stati coordinati. Piuttosto, sostiene, fanno parte di un modello generale di aumento della deforestazione. Gli esperti attribuiscono gli incendi in Amazzonia all’azione di agricoltori, allevatori e speculatori, che bonificano illegalmente i terreni bruciando gli alberi. “Le aree in cui si verificano più incendi si stanno spostando sempre più a nord“, seguendo un “arco crescente di deforestazione“, ha dichiarato Setzer all’AFP.

La stagione degli incendi in Amazzonia inizia solitamente ad agosto, con l’arrivo della siccità. Quest’anno, a luglio, l’INPE ha rilevato 5.373 incendi, l’8% in più rispetto allo stesso mese del 2021. Dall’inizio del mese in corso sono stati registrati 24.124 incendi, il peggior mese di agosto dall’inizio della presidenza di Jair Bolsonaro, anche se è ancora lontano dall’agosto 2005 (63.764 incendi rilevati, un record dal 1998).

Jair Bolsonaro è stato criticato per il suo sostegno alla distruzione dell’Amazzonia, a vantaggio dell’agricoltura. Da quando è salito al potere nel gennaio 2019, la deforestazione media annua dell’Amazzonia brasiliana è aumentata del 75% rispetto al decennio precedente. “Se volevano che una bella foresta appartenesse a loro, avrebbero dovuto preservare quelle nel loro paese“, ha twittato ieri il presidente di estrema destra, rivolgendosi a chi critica le sue politiche: “L’Amazzonia appartiene e apparterrà sempre ai brasiliani“.

(Photo credits: NELSON ALMEIDA / AFP)

Fridays for Future

Fridays for future Italia lancia sfida ai partiti: “Ecco la nostra Agenda”

Il piano che abbiamo scritto è la risposta a chi ci chiede cosa vogliamo dalla politica, e a chi si chiede se i partiti facciano sul serio“, perchè “gli impegni climatici presenti nei programmi elettorali sono molto spesso generici, insufficienti rispetto agli obiettivi delineati dalla comunità scientifica, se non addirittura dannosi e retrogradi“. Il movimento Fridays for future lancia con queste parole la propria ‘Agenda climatica’ e al contempo una sfida a tutti i partiti in corsa alle prossime elezioni. “Non esiste un pianeta B” è il claim che dal 2018 accompagna le proteste del movimento in tutto il mondo. Spulciando i programmi elettorali, la sezione italiana ha deciso di alzare la voce per chiedere ai futuri governanti ciò che Greta Thunberg esprime dalle prime grandi manifestazioni di ‘sciopero scolastico per il clima’.

Fridays for future Italia non smentisce nemmeno l’ormai proverbiale scetticismo della giovane ambientalista svedese. “Tutte le principali forze politiche hanno reso pubblico il proprio programma, e la maggior parte ha scelto di inserire al suo interno anche misure riguardanti il cambiamento climatico, talvolta addirittura citando l’ambiente tra le proprie priorità – spiega il movimento – ma la mancanza di un piano complessivo in cui gli interventi si inseriscano è pressoché evidente. Più che puntare ad affrontare una minaccia planetaria, l’impressione è che i partiti stiano solo cercando di accaparrarsi il favore di quegli elettori preoccupati che, come noi, chiedono azioni per contrastare il collasso climatico ed ecosistemico“.

PARTECIPAZIONE E RAPPRESENTANZA

Ecco allora che, come spiega Mathias Mancin, uno dei portavoce di Fridays for Future Italia, “il piano che abbiamo scritto è la risposta a chi ci chiede cosa vogliamo dalla politica“. Cinque temi di cui la politica “non può non parlare, 10 richieste che non possono mancare – a prescindere dal colore politico – in un programma che pretenda di affrontare la crisi climatica e di aiutare le categorie più svantaggiate”, afferma Mancin, sottolineando che le proposte hanno come filo conduttore “la partecipazione” e “la rappresentanza“, “valori sacrificati in questa campagna elettorale lampo, con le esigenze delle fasce più in difficoltà a causa della crisi energetica sostanzialmente ignorate da ogni parte politica, e gli elettori spesso indecisi o determinati ad astenersi, perché chiamati solo a porre una crocetta, senza aver avuto alcuna voce in capitolo sulle proposte dei partiti tra cui devono scegliere“.

LE PROPOSTE

Partendo dall’energia, c’è la proposta di istituire una comunità energetica rinnovabile per ogni comune italiano (“Una misura che da sola coprirebbe la metà dei consumi elettrici, abbatterebbe il prezzo delle bollette e coinvolgerebbe direttamente i cittadini nella produzione della propria energia“, spiega Mancini). Si parla poi di trasporti pubblici gratuiti e investimenti sulla rete ferroviaria italiana, per rendere gli spostamenti accessibili a tutti, nonostante l’aumento del prezzo dei carburanti.

L’Agenda Fridays for future considera anche l’efficientamento energetico di scuole e case popolari, sempre con l’obiettivo di ridurre consumi, emissioni e bollette, alla riduzione dell’orario di lavoro – (“Mantenendo invariati gli stipendi e per liberare tempo nella vita delle persone, abbattere la disoccupazione e prepararci ad una società in cui produrre meno non vuol dire lasciare qualcuno per strada“). E ancora: si propone la rimunicipalizzazione dell’acqua e all’uso degli utili per riparare “le drammatiche perdite della nostra rete idrica“, mitigando così i danni che la siccità può infliggere agli agricoltori e ai cittadini. Il portavoce italiano del movimento ambientalista ribadisce anche che “ogni singola misura presenta le necessarie coperture finanziarie, a dimostrazione che la volontà politica, non la mancanza di denaro, è la principale causa dell’inazione climatica“.

“ASCOLTATECI”

Gli fa eco la collega portavoce di FFF Italia, Agnese Casadei, che rincara la dose: “I partiti pretendono il nostro voto, ma non ascoltano la nostra voce. Non siamo disposti a scegliere tra pacchetti di proposte già pronti che qualcuno ha messo insieme per noi. Vogliamo partecipare a costruire quelle proposte, perché così funziona una democrazia. Come noi, milioni di italiane e di italiani rimangono inascoltati, di volta in volta ignorati o rabboniti con proposte di facciata“. Casadei sottolinea che “le misure che lanciamo oggi vanno incontro alle esigenze di quelle persone e, assieme, pongono le basi per una vera partecipazione democratica. Sono proposte minime, ma irrinunciabili per chi si proponga di costruire l’Italia del futuro”.

ghiacciai

Scienziati in allerta: “Il mondo non si sta preparando al peggio”

La possibilità di una catena di disastri dovuti al riscaldamento globale è “pericolosamente sottovalutata” dalla comunità internazionale. È l’avvertimento lanciato in uno studio pubblicato martedì 2 luglio da alcuni scienziati che invitano il mondo a pensare al peggio per prepararsi al meglio. In un articolo pubblicato sulla rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences), i ricercatori affermano che è stato fatto troppo poco lavoro sui meccanismi che potrebbero portare a rischi “catastrofici” e “irreversibili” per l’umanità: ad esempio, se gli aumenti di temperatura saranno peggiori del previsto o se innescheranno eventi a cascata non ancora previsti, o entrambe le cose. “Conosciamo meno gli scenari che contano di più“, scrive Luke Kemp del Centre for the Study of Existential Risk di Cambridge.

Con l’intensificarsi delle ricerche sui punti critici del clima terrestre, come lo scioglimento irreversibile delle calotte glaciali o la perdita della foresta amazzonica, aumenta la necessità di considerare scenari ad alto rischio nella modellazione climatica, afferma Johan Rockström, direttore del Potsdam Institute for Climate Impacts e coautore della ricerca. “Le vie dei disastri non si limitano agli impatti diretti delle alte temperature, come gli eventi meteorologici estremi. Effetti di ricaduta come crisi finanziarie, conflitti e nuove epidemie potrebbero innescare ulteriori calamità e ostacolare la ripresa da potenziali disastri come la guerra nucleare“, aggiunge Luke Kemp.

In risposta al tragico scenario, il team propone un’agenda di ricerca per aiutare i governi a combattere i “quattro cavalieri” di quella che chiamano una “apocalisse climatica“: carestie e malnutrizione, eventi meteorologici estremi, conflitti e malattie trasmesse da vettori. Gli autori sottolineano che i rapporti scientifici degli esperti climatici delle Nazioni Unite (IPCC) si sono concentrati principalmente sugli effetti previsti di 1,5-2°C di riscaldamento. Ma le attuali azioni governative stanno invece portando la Terra su una traiettoria di riscaldamento di 2,7°C entro la fine del secolo, ben lontana dagli 1,5°C previsti dall’accordo di Parigi del 2015. Lo studio suggerisce che una certa tendenza scientifica aprivilegiare lo scenario meno peggiore” ha portato a non prestare sufficiente attenzione agli impatti potenziali di un riscaldamento di 3°C o più. I ricercatori hanno calcolato che le zone di calore estremo – con una temperatura media annua superiore a 29°C – potrebbero colpire due miliardi di persone entro il 2070.

(Photo credits: Kerem Yücel / AFP)

pesce

I (pericolosi) pesci alieni del Mediterraneo

‘Attenti a quei 4!’ è il titolo di una campagna, lanciata dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) e Istituto per le risorse biologiche e le biotecnologie marine del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Irbim), per imparare a riconoscere e monitorare la presenza di pesce palla maculato, pesce scorpione, pesce coniglio scuro e pesce coniglio striato in Mediterraneo. Si tratta di quattro pesci arrivati in Mediterraneo attraverso il canale di Suez, cosiddette ‘specie aliene’, potenzialmente molto pericolose se trattate senza cautele.

La presenza di specie aliene nel Mediterraneo (pesci, molluschi, alghe ecc…) sono da anni oggetto di studio dei ricercatori. L’oceano globale, quello che noi più familiarmente chiamiamo mare, è un unico grande insieme interamente collegato, che ricopre oltre il 70 per cento della superficie terrestre. Ogni specie può quindi potenzialmente viaggiare da un capo all’altro del globo. La navigazione (con il prelievo e rilascio di acqua che serve come zavorra per bilanciare le navi) e il cambiamento climatico, come in questo caso, favoriscono queste diffusioni in ambienti diversi da quello storicamente caratteristico.

Questi spostamenti rapidi possono avere conseguenze importanti rispetto alle specie autoctone, creando vari problemi al bacino interessato dall’arrivo di specie aliene: particolarmente grave la minaccia ecologica, con importante perdita di biodiversità, perché ad esempio specie tropicali possono adattarsi rapidamente alla temperatura dell’acqua in crescita in questi anni e quindi soppiantare specie locali già in difficoltà.

pesci

In questo caso, la campagna mira ad evitare un altro tipo di conseguenza: i 4 pesci oggetto della campagna sono potenzialmente pericolosi per l’uomo e richiedono alcune importanti cautele. Vediamo quali. Del pesce palla qualcuno avrà sentito parlare nei film, nei documentari o in qualche libro. Sappiamo che nella cucina giapponese solo alcuni cuochi, con una speciale abilitazione, sono autorizzati a trattarlo e cucinarlo per il pericolo che comporta. Nella fattispecie, il pesce palla maculato è una delle specie più invasive dell’intero Mediterraneo ed è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 2013: ha la pelle molto liscia, senza squame, quattro grandi denti, macchie scure sul dorso e sui lati. Possiede una potentissima neurotossina che lo rende altamente tossico al consumo, anche dopo cottura, e potenzialmente mortale. Non va mangiato assolutamente. Inoltre, può infliggere morsi potenti.

Il bellissimo pesce scorpione, tra le specie più invasive al mondo, tanto da avere occupato gran parte delle acque costiere dell’Atlantico occidentale con impatti ecologici devastanti, è stato segnalato nel nostro Paese per la prima volta nel 2016. Questo pesce è commestibile, ma richiede una enorme cautela: il suo corpo è circondato da 18 grandi spine che costituiscono una protezione esterna naturale straordinaria e possono procurare punture estremamente dolorose anche due giorni dopo la morte dell’animale.

Due specie erbivore, da cui il nome pesce coniglio, richiedono altrettanta attenzione per le spine: pesce coniglio scuro, segnalato in Italia fin dal 2003, e pesce coniglio striato, la cui presenza nelle acque italiane è stata documentata per la prima volta nel 2015, sono commestibili ma richiedono grande attenzione per evitare dolorosissime conseguenze.

overshoot day

È l’Overshoot Day: cos’è e come si calcola fine delle risorse della Terra

Oggi è l’Overshoot Day, ovvero la giornata dell’anno in cui come comunità umana globale finiamo di consumare tutte le risorse che la natura sul nostro Pianeta è in grado di generare nel ciclo delle stagioni sui 365 giorni. Da domani inizieremo a erodere le riserve, in pratica a consumare ciò che ci servirebbe domani. Angosciante? Non necessariamente. Sicuramente è un dato che ci deve far riflettere e preoccupare. Ma come quando andiamo dal medico, è meglio sapere: questi dati aiutano a comprendere la situazione e a trovare i correttivi, le cure e le medicine giuste.

Nel 1970, appena 52 anni fa, la richiesta di risorse e servizi ecosistemici portava a consumare le risorse generate dalla natura il 29 dicembre: abbiamo, quindi, accelerato in maniera enorme il consumo di risorse. Ma abbiamo anche imparato a comprendere il problema e le sue origini. È necessario quindi utilizzare la nostra intelligenza e creatività, le crescenti conoscenze (non solo tecnologiche) per migliorare la condizione di vita delle persone senza compromettere il futuro prossimo, quasi immediato. Questo non è angosciante, ma positivo e potenzialmente entusiasmante.

Come viene calcolata la data? Ogni anno il Global Footprint Network calcola il numero di giorni di quell’anno in cui la biocapacità della Terra è sufficiente a soddisfare l’impronta ecologica dell’umanità. Si divide, quindi, la quantità di risorse ecologiche che la Terra è in grado di generare per la domanda dell’umanità per quell’anno (energia, materie prima, agricoltura, ecc…) e moltiplicando per 365, il numero di giorni in un anno. Questo dato è ovviamente, la media globale. Ovviamente, il dato non è uguale per ogni Paese.

italia

La situazione divisa per singole nazioni rivela dati interessanti. Questi dati, in particolare, svelano quale sarebbe la data di esaurimento delle risorse rigenerate annualmente se tutto il mondo consumasse energie come avviene in quel Paese. Per l’Italia la data limite è stata raggiunta il 15 maggio, sta quindi nella parte di mondo che consuma in maniera ancora più pesante della media globale attuale. Ma c’è chi fa molto peggio di noi. Il Qatar è il Paese che consuma da record: se tutta l’umanità consumasse come il Paese della Penisola arabica, quest’anno avremmo già esaurito le risorse il 2 febbraio; per il Lussemburgo la data è il 14 febbraio. Subito dopo, in questa classifica, Stati Uniti, Canada ed Emirati Arabi: 13 marzo. Australia il 23, Belgio 26, Finlandia 28 e Danimarca 31 marzo. Per la Cina il 2 giugno.

Dalla parte opposta della classifica, i Paesi più virtuosi – tra quelli che hanno un consumo superiore alla capacità di rigenerazione, sono quindi esclusi quelli che consumano meno – sono: Giamaica (20 dicembre), Ecuador (6 dicembre), Indonesia (3 dicembre), Cuba (25 novembre), Iraq (24 novembre), Guatemala (14 novem,bre), Egitto (11 novembre) e Colombia (8 novembre). Il dato sui singoli Paesi si basa sulle elaborazioni del National Footprint and Biocapacity Accounts, che presenta dati sull’impronta ecologica e sulla biocapacità dal 1961 al 2018. Lo scarto di 4 anni è dovuto alla necessità di elaborare i dati e al processo di rendicontazione delle Nazioni Unite.

Non tutti i Paesi hanno un giorno di superamento della soglia. Consumano meno di quanto la Terra produca i Paesi più poveri: dall’Afghanistan al Bangladesh, dal Camerun alla Costa d’Avorio. È evidente, quindi, che si pone una necessità strategica: coniugare la crescita delle condizioni di vita con la gestione oculata delle risorse. Sostenibilità a 360 gradi.

Spiega il Global Footprint Network: “Il nostro pianeta è finito, ma non le possibilità umane. La trasformazione verso un mondo sostenibile e a zero emissioni di carbonio avrà successo se applicheremo i più grandi punti di forza dell’umanità: la lungimiranza, l’innovazione e l’attenzione reciproca. La buona notizia è che questa trasformazione non solo è tecnologicamente possibile, ma è anche economicamente vantaggiosa e rappresenta la nostra migliore opportunità per un futuro prospero”. Ancora: “Abbiamo identificato cinque aree chiave: Pianeta in salute, Città, Energia, Cibo e Popolazione. Queste stanno definendo con forza le nostre tendenze a lungo termine, tutte plasmate dalle nostre scelte individuali e collettive”.

(Photo credits: Olivier MORIN / AFP)

rinoceronte

Un santuario in Sudafrica per i baby rinoceronti orfani

Il trasloco è sempre un po’ una seccatura. Anche per i rinoceronti. Un team di veterinari specializzati ha impiegato sei settimane per trasferire più di 30 giovani rinoceronti orfani in un nuovo santuario. Sperano che lì, in una località sconosciuta sperduta nella lussureggiante vegetazione della provincia settentrionale del Limpopo, in Sudafrica, gli animali siano al sicuro dai bracconieri che hanno ucciso le loro madri. “Non possiamo trasferirli tutti in una volta e dire ‘forza, questa è la vostra casa’. Bisogna essere molto delicati, sono molto sensibili“, spiega Yolande van der Merwe, direttrice dell’Orfanotrofio dei Rinoceronti.

La sua missione con questi bambini dal pelo folto e dalla bocca rettangolare è triplice: “Salvare, riqualificare e liberare“. Alla nascita, questi rinoceronti bianchi pesano circa 40 chili. “Sono molto piccoli, non più alti del mio ginocchio“, dice Yolande. In seguito, mangiano molto e ingrassano più di un chilo al giorno. A un anno di età, questi bellissimi bambini si avvicinano alla mezza tonnellata.

A luglio l’organizzazione si è trasferita in uno spazio più grande che le è stato generosamente donato dopo la scadenza del precedente contratto di locazione. Il piccolo Benji, un rinoceronte di pochi mesi, è stato l’ultimo a muoversi. Orfano da poco, il team temeva che potesse “dare di matto” durante il trasferimento, per il quale è stato anestetizzato e caricato sul retro di un 4×4. “La maggior parte delle volte le loro madri sono state cacciate di frodo“, dice Pierre Bester, un veterinario di 55 anni che lavora con l’orfanotrofio da quando è stato fondato, una decina di anni fa.

Il Sudafrica ospita quasi l’80% dei rinoceronti del mondo. Ma è anche un focolaio di bracconaggio. Negli ultimi dieci anni, migliaia di rinoceronti sono stati uccisi per i loro corni, che sono molto ricercati in Asia, in particolare in Vietnam, per ogni sorta di beneficio non dimostrato. Il corno è composto principalmente da cheratina, come le unghie umane. Il corno di rinoceronte è così ricercato che può essere venduto a più di 90.000 euro al chilo, attraverso le reti mafiose che controllano questo commercio illegale.

Per i primi cinque mesi, i volontari dormono con i piccoli rinoceronti ogni notte, “diventiamo le loro mamme“, spiega Yolande Van Der Merwe. “Si attaccano a noi durante la notte, per avere contatto e calore” in una sorta di stalla aperta. “Se vogliamo mangiare un boccone o andare in bagno, dobbiamo essere sostituiti. Altrimenti il bambino si stressa, urla e piange. Un suono acuto che evoca il delfino“.

(Photo credits: GUILLEM SARTORIO / AFP)

caldo

Arriva ‘Apocalisse4800’: nuovo anticiclone che soffoca l’Europa

Cinque ondate di calore dal 10 maggio a oggi, 65 giorni di canicola (cioè il periodo di massimo caldo) e manca ancora un mese a Ferragosto. E la sesta ondata si sta già accanendo su Spagna e Portogallo, con punte di 45/46° all’ombra e si sta espandendo verso l’Italia. Si tratta di Apocalisse4800, il nuovo anticiclone che prende il nome dall’eccezionale caldo presente anche in quota, sulle nostre montagne.

Il clima ‘impazzito’, in prevalenza a causa dell’uomo, porterà fino a 4800 metri lo zero termico, cioè il dato meteorologico che indica l’altitudine sopra la quale la temperatura è sempre inferiore allo zero. In altre parole le temperature non andranno sottozero nemmeno sul tetto d’Europa, nemmeno sul Monte Bianco: il ghiaccio e la neve fonderanno a ritmi impressionanti. Il Monte Bianco, 4809 metri, il 18 giugno scorso ha già fatto registrare 10°C sulla vetta, ma in queste ore le condizioni sono addirittura peggiori.

Con questa nuova spinta africana, tra l’altro, nella lista ‘rovente’ delle nazioni a rischio caldo estremo potrebbero essere inserite anche Germania, Danimarca e persino Inghilterra, Irlanda e Scozia. Un’ondata europea di calore su gran parte del continente con 40°C attesi a Parigi, 37°C a Londra e 30°C a Dublino. In Inghilterra è prevista allerta ‘ambra’ da domenica a martedì per rischi legati al caldo, in Francia è già in vigore l’allerta ‘arancione’ per 7 dipartimenti del sud del Paese e l’allerta incendi anche nella Valle del Rodano dove è atteso il Mistral (Maestrale) tra oggi e domani.

In Italia, la nuova risalita nordafricana porterà un primo assaggio di una lunga fase calda che nella migliore delle ipotesi potrebbe durare fino a metà di questa settimana, nella peggiore fino alla fine di luglio. Antonio Sanò, direttore del sito www.iLMeteo.it, conferma dunque un rapido e netto aumento delle temperature: Lombardia ed Emilia saranno le zone raggiunte già oggi da 37/38 gradi all’ombra, tra Sabato e Domenica il caldo si espanderà anche verso il Centro-Sud.

La notizia è che valori ben oltre la media, tra 36 e 38°C ci accompagneranno per almeno una settimana su gran parte dell’Italia, con picchi localmente anche ben superiori. Una situazione estrema con una tendenza altrettanto preoccupante: il centro europeo ECMWF indica per il trimestre settembre-ottobre-novembre temperature decisamente sopra la media sul nostro continente, che porterebbero l’estate 2022 ad essere ricordata come la più lunga di sempre, una stagione composta da 5 mesi roventi.

rifiuti

L’ambiente preoccupa gli italiani: clima, rifiuti e smog in cima alla lista

Climate change, qualità dell’aria e rifiuti. Così è composto il podio delle preoccupazioni degli italiani in tema ambientale. In particolare, le prime due categorie sono state segnalate in oltre il 50% dei casi come ‘principali’, quota che si abbassa al 45% considerando la terza. Nella sua indagine ‘Preoccupazioni ambientali e comportamenti ecocompatibili’, l’Istat tenta ancora una volta di fotografare il mutamento delle consapevolezze e costumi degli italiani su argomenti specifici. Già a partire dal 1998 e con continuità tra il 2012 e il 2021, l’indagine rileva la percezione dei cittadini rispetto alle tematiche ambientali. Sta di fatto che nel 2021, i cambiamenti climatici si confermano al primo posto tra le preoccupazioni per l’ambiente (52,5% della popolazione di 14 anni e più), seguito a stretto giro dai problemi legati all’inquinamento dell’aria (51,5%) e dallo smaltimento e la produzione di rifiuti (44,1%). Ulteriori fattori di rischio ambientale a livello globale vengono percepiti nell’inquinamento delle acque (40,1%) e nell’effetto serra e buco nell’ozono (34,9%). Gli altri problemi ambientali preoccupano meno di 3 persone su 10. In fondo alla graduatoria speciale compaiono temi come l’inquinamento elettromagnetico (che preoccupa ‘solo’ l’11,1% del campione di cittadini), e, risalendo, l’inquinamento acustico (12,3%), la rovina del paesaggio (12,4%), l’esaurimento delle risorse (19%) e ancora la distruzione delle foreste (22,3%), il dissesto idrogeologico (22,4%), l’inquinamento del suolo (22,9%), le catastrofi provocate dall’uomo (23,3%) e l’estinzione di alcune specie (25,7%).

La percezione dei principali problemi legati all’ambiente varia tuttavia in relazione alla posizione geografica. Ad esempio secondo l’Istat i cambiamenti climatici preoccupano il 54,3% degli abitanti del Nord-est rispetto al 46,5% di quelli del Sud. L’inquinamento delle acque è particolarmente sentito dagli abitanti di entrambe le ripartizioni settentrionali, molto meno nel Mezzogiorno, soprattutto nelle isole. Viceversa, i residenti del Centro e del Mezzogiorno sono più sensibili alle tematiche legate alla produzione e allo smaltimento dei rifiuti (47,7% al Centro, 46,6% al Sud e 40,0% del Nord-est) e all’inquinamento del suolo (25,5% al Sud e 20,1% al Nord-ovest). In particolare, l’argomento rifiuti è più sentito dai cittadini del Lazio (52,2%) e della Campania (51,9%) rispetto alle altre aree del Paese (media nazionale del 44,1%). E se vivere in centri metropolitani densamente popolati rafforza la preoccupazione su inquinamento dell’aria, inquinamento acustico e sui rifiuti, i residenti dei piccoli comuni risultano maggiormente sensibili rispetto all’inquinamento del suolo e al dissesto idrogeologico. Anche l’età fa mutare priorità e consapevolezze. Nell’indagine Istat si chiarisce infatti che i giovani fino a 34 anni sono più sensibili sulla perdita della biodiversità (32,1% tra i 14 e i 34 anni contro 20,9% degli over55), sulla distruzione delle foreste (26,2% contro 20,1%) e sull’esaurimento delle risorse naturali (24,7% contro 15,9%). Gli over55 si dichiarano invece più preoccupati per il dissesto idrogeologico (26,3% contro 17% degli under35) e l’inquinamento del suolo (23,7% contro 20,8%).

Non solo: l’Istat spiega che “l’analisi dei comportamenti ambientali e, degli stili di vita e di consumo sono di grande interesse per costruire un quadro complessivo dell’approccio dei cittadini rispetto all’ambiente”. E allora ecco che nel 2021 il 67,6% degli intervistati dichiara di fare abitualmente attenzione a non sprecare energia, il 65,9% a non sprecare l’acqua e il 49,6% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di diminuire l’inquinamento acustico. Inoltre, il 37,1% della popolazione legge le etichette degli ingredienti e il 24,4% acquista prodotti a chilometro zero.

Dall’indagine emerge anche uno spunto sui cambiamenti delle preoccupazioni nel corso del tempo. “L’analisi dei dati in serie storica– spiega l’Istituto di statistica – fa presupporre che le preoccupazioni più legate al clima abbiano un andamento fortemente legato alle policy e all’influenza mediatica”. Emblematico il fatto che nel 1998 la preoccupazione per l’effetto serra coinvolgeva quasi 6 persone su 10 mentre nel 2021 interessa soltanto il 34,9% degli intervistati. È aumentato però il timore per i cambiamenti climatici, dal 36% nel ’98 al 52,5% del 2021 (ovvero +16%). Tale variazione si spiega anche per l’aumento delle manifestazioni globali a favore della tutela ambientale (dal movimento legato alla decarbonizzazione a quello promosso dall’attivista Greta Thunberg e i Fridays for future). L’Istat rileva infatti “che l’attenzione aumenta in misura decisa a partire dal 2019 in concomitanza ai movimenti di protesta che hanno preso avvio a livello globale”.

Papa

Il Papa invoca una ‘conversione ecologica’: “Urgente ridurre emissioni”

Papa Francesco invoca una “conversione ecologica” e lancia un nuovo appello per ridurre le emissioni di Co2. Lo fa in un messaggio inviato alla Conferenza ‘Resilience of People and Ecosystems under Climate Stress’, organizzata in Vaticano dalla Pontificia Accademia delle Scienze.

Il fenomeno del cambiamento climatico, sottolinea, è diventato un’emergenza che “non resta più ai margini della società“. Ha, al contrario, assunto un ruolo “centrale“, rimodellando non solo i sistemi industriali e agricoli ma anche “influenzando negativamente la famiglia umana globale, specialmente i poveri e coloro che vivono nelle periferie economiche del nostro mondo“.

Le sfide sono due: “Ridurre i rischi climatici riducendo le emissioni e aiutare e consentire alle persone di adattarsi ai cambiamenti del clima che si stanno progressivamente aggravando. Poi fa riferimento a due ulteriori preoccupazioni: “la perdita di biodiversità e le numerose guerre in corso in varie regioni del mondo che, insieme, comportano conseguenze dannose per la sopravvivenza e il benessere dell’uomo, tra cui i problemi di sicurezza alimentare e l’inquinamento crescente“. Sono crisi che, ricorda, dimostrano che “tutto è collegato” e che la promozione del bene comune a lungo termine del nostro pianeta è “essenziale per un’autentica conversione ecologica.

Nella prima settimana di luglio, Jorge Mario Bergoglio, in nome e per conto dello Stato della Città del Vaticano, ha approvato una legge che prevede l’obbligo di aderire alla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici e all’Accordo di Parigi, con, spiega, “la speranza che all’alba del ventunesimo secolo l’umanità sarà ricordata per essersi generosamente assunta le sue gravi responsabilità“.

(Photo credits: Vincenzo PINTO / AFP)

Giornata mondiale dello squalo, nel Mediterraneo il 50% delle specie è a rischio

Dalla salute degli squali – in molti casi predatori all’apice della catena alimentare – dipende il benessere degli ecosistemi marini, ma più del 50% delle loro specie nel Mediterraneo è minacciato di estinzione. L’allarme lo lancia il Wwf nella giornata mondiale dedicata agli squali, diffondendo i dati dei progetti SafeSharks e Medbycatch.

Il report è pubblicato nell’ambito della campagna #GenerAzioneMare, che raccoglie anche raccomandazioni per istituzioni e consumatori sull’importanza di salvaguardare squali e razze per la tutela del Mediterraneo.

Nel mondo, la percentuale di squali e razze a rischio è del 37,5%, dato che schizza oltre al 50% se riferito alle specie del Mediterraneo, con gravi conseguenze su tutto l’ecosistema marino. Questa situazione è provocata dalla pesca eccessiva, sia diretta (tra cui anche molta pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, per finalità sia alimentari che cosmetiche), sia indiretta a causa delle catture accidentali (bycatch) per cui queste specie finiscono vittime involontarie delle attività di pesca.

squalo

SafeSharks e Medbycatch sono due progetti internazionali, portati avanti in Italia insieme a Coispa Tecnologia & Ricerca, nati per migliorare le conoscenze sui tassi di cattura accidentale di specie vulnerabili in Mediterraneo e ingaggiare pescatori e autorità per garantire buone pratiche di gestione e mitigazione delle catture accidentali. I due progetti hanno coinvolto i pescatori di Monopoli, che praticano la pesca con palangaro (lunga lenza di grosso diametro con inseriti a intervalli regolari spezzoni di lenza più sottile portanti ognuno un amo) al pesce spada nell’Adriatico meridionale, rendendoli attori fondamentali nelle fasi di ricerca e raccolta dei dati. La raccolta dati ha rivelato che le verdesche (Prionace glauca) rappresentano, in media, il 15% del pesce sbarcato: ogni sette pesci spada – in media- viene sbarcata una verdesca.

Ma ridurre un tale impatto è possibile. All’interno del progetto infatti, il monitoraggio mediante tag satellitari, applicati sulle verdesche accidentalmente pescate e poi successivamente liberate con il supporto dei pescatori, ha permesso di verificare che il 90% delle verdesche rilasciate sopravvive. Il rilascio in mare può quindi essere una valida misura gestionale per migliore lo stato delle popolazioni di verdesca. L’utilizzo degli ami circolari, testati al posto dei tradizionali ami a forma di J, sembra inoltre influire sulle condizioni degli animali alla cattura e potrebbe contribuire a migliorare la probabilità di sopravvivenza nel caso siano liberati. Grazie ai dati raccolti dai tag è anche emerso che le verdesche durante il giorno preferiscono nuotare in acque anche molto profonde fino oltre i 600 metri, mentre durante la notte cacciano in superficie, anche a pelo d’acqua.

Queste informazioni sono state la chiave per ideare una strategia di mitigazione basata sull’inversione notte-giorno delle operazioni di pesca. Importantissimo risultato del progetto, è stato infatti verificare che per le giornate di pesca in cui l’inversione delle attività di pesca è stata messa in atto, il bycatch di verdesche è stato ridotto a 0. Sebbene siano necessari ulteriori test per valutare i risultati di questa strategia in altre stagioni e gli effetti sulla cattura di pesce spada (i primi dati indicano una riduzione di cattura di circa il 30%), questo è un primo passo importante verso l’identificazione di misure gestionali adeguate.

I progetti SafeSharks e Medbycatch ci hanno permesso di dimostrare che il tasso di cattura accidentale di verdesche in alcune attività di pesca è considerevole e non può essere ignorato, e che misure gestionali efficaci possono essere identificate insieme a ricercatori e pescatori. L’Italia deve implementare quanto prima un monitoraggio adeguato su scala nazionale insieme a concrete misure di mitigazione delle catture accidentali di elasmobranchi, come richiesto dalla Raccomandazione della Commissione Generale per la Pesca in Mediterraneo e Mar Nero del 2021 (GFCM 44/2021/16). Deve anche dotarsi quanto prima di un Piano d’Azione Nazionale sugli Elasmobranchi secondo le linee guida FAO e UE” afferma Giulia Prato, Responsabile Mare del WWF Italia. Per proteggere queste specie nel Mediterraneo e nel mondo, secondo il WWF, è anche necessario poi cambiare le proprie abitudini di consumo, evitandone l’acquisto.

(Photo credits: Joost Van Uffelen | Wwf)