La Cop30 in Amazzonia si chiude al ribasso, ma i Paesi trovano l’accordo

La Cop30 di Belém si chiude ai supplementari, il giorno dopo e per di più con un accordo molto al ribasso. Non c’è un piano di uscita dalle energie fossili, risultato che delude molti (Europa in testa) ma che non sorprende, dato il momento storico.

Il multilateralismo ha vinto”, festeggia Lula, a Johannesburg per il G20. Il presidente brasiliano cerca di rivendicare un successo che la Conferenza effettivamente non ha avuto, considerando anche il rischio che si chiudesse senza nessun accordo.

Nella dichiarazione finale si celebra l’accordo di Parigi e la cooperazione climatica. Ma l’invito ad accelerare l’azione è soltanto “volontario” e fa sull’uscita dai fossili il riferimento è solo indiretto, con un richiamo alla Cop28 di Dubai.

Dobbiamo sostenerlo perché, almeno, ci porta nella giusta direzione”, si giustifica il commissario europeo per il clima Wopke Hoesktra, inizialmente molto contrario al testo, dopo una notte di negoziati e una riunione di coordinamento con i Ventisette. “Non nascondiamo che avremmo preferito di più, e più ambizione su tutto”.

Abbiamo raggiunto un punto di equilibrio tra i 195 paesi presenti”, spiega Gilberto Pichetto Fratin, parlando di una “mediazione tra le tante posizioni“. Per il ministro italiano dell’Ambiente, “è importante che si sia raggiunto questo obiettivo che che mantiene il percorso definito Cop28 di Dubai per quanto riguarda l’obiettivo climatico, mantiene l’obiettivo di Cop29 a Baku per quanto riguarda l’impegno all’adattamento nei vari territori al cambiamento climatico”.

La francese Monique Barbut sottolinea che gli europei hanno preferito accettare questo testo a causa del “processo che è stato fatto agli europei, secondo cui ci si opponeva a questo testo era perché non si voleva pagare per i paesi più poveri”.

Il capo della delegazione cinese, Li Gao, saluta un “successo in una situazione molto difficile”.

Nel 2023, i paesi si erano impegnati a ‘operare una transizione giusta, ordinata ed equa verso l’abbandono dei combustibili fossili nei sistemi energetici’, per la prima volta nella storia delle conferenze sul clima delle Nazioni Unite. Da allora però, i paesi che producono o dipendono dalle energie fossili respingono tutti i tentativi di ripetere questo segnale in un contesto multilaterale. Paesi come la Russia, l’Arabia Saudita o l’India vengono indicati dalla Francia come capofila del fronte del rifiuto, ma non sono gli unici. Una parte del mondo in via di sviluppo non aveva come priorità la lotta contro i combustibili fossili. Per loro, i finanziamenti sono più urgenti e la Cop30 offre loro un vantaggio: si prevede un triplicamento degli aiuti per l’adattamento dei paesi in via di sviluppo entro il 2035, rispetto all’attuale obiettivo di 40 miliardi all’anno.

Molte economie, povere o emergenti, non hanno infatti i mezzi per passare alle energie rinnovabili  in breve tempo e chiedono ai paesi più ricchi nuovi impegni finanziari per aiutare le nazioni meno ricche.

Nel testo, c’è anche l’istituzione di un “dialogo” sul commercio mondiale, un risultato che si può considerare un successo della Cina, che guida la rivolta dei paesi emergenti contro le tasse sul carbonio alle frontiere.

Per gli analisti di Ecco, il think tank italiano del clima, non si tratta di una debacle. Il risultato, osservano, pur non risolvendo tutte le divergenze, “dimostra che la cooperazione multilaterale sul clima prosegue nonostante le tensioni geopolitiche”. Ampie e nuove coalizioni di Paesi, “segno di una riorganizzazione degli schemi globali”, hanno chiesto il massimo livello possibile di ambizione, inclusa una chiara tabella di marcia per l’uscita dalle fonti fossili, e un passaggio dalla stagione delle promesse a quella dell’implementazione. Sebbene la Mutirão Decision, il testo finale della COP30, non citi esplicitamente i combustibili fossili e non accolga l’appello del Presidente Lula e di oltre 80 Paesi per una roadmap su fossili e deforestazione, proseguono gli esperti, “mantiene viva la traiettoria tracciata a Dubai su questo tema”.

Panico alla Cop30: scoppia un incendio, migliaia di evacuati ma non ci sono feriti

(Copyright immagini fotografiche e video: Andrea Grieco di Ecco)

Mentre i negoziati vanno avanti, a metà del penultimo giorno, intorno alle 14 ora locale (le 18 in Italia), un incendio interrompe bruscamente i lavori della Cop30 di Belém, in Brasile. Le fiamme divampano all’improvviso nella zona B, proprio di fronte al Padiglione Italia, scatenando il panico tra le delegazioni. “Eravamo lì, abbiamo sentito un grosso botto e poi le fiamme si sono sviluppate molto velocemente, partendo da uno dei padiglioni africani”, racconta a GEA Andrea Grieco di Asvis.

I capannoni dell’Onu vengono evacuati subito dopo dalle forze di sicurezza, mentre i corridoi si riempiono di fumo acre. Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, aveva lasciato la delegazione da poco, per visitare l’installazione Aquapraca, nella baia. Il perimetro dell’area viene circondato, i vigili del fuoco domano le fiamme senza imprevisti e senza riscontrare feriti.

L’incendio “è già sotto controllo, i vigili del fuoco dello Stato di Parà sono sul posto”, spiega poco dopo il ministro del Turismo brasiliano, Celso Sabino, alla tv nazionale. Un’ora dopo, il controllo dell’edificio passa nelle mani del Brasile e non viene più considerato come zona blu, per consentire le indagini.

I lavori della Cop dovrebbero concludersi venerdì. Nella notte di ieri, l’Ue ha inviato alla presidenza brasiliana una bozza di roadmap per un’uscita “giusta, ordinata ed equa” dalle fonti fossili, come chiedeva l’Italia. “C’è un riferimento al paragrafo 28 dell’Accordo di Dubai, che fa riferimento a tutto il complesso dei fossili. Il gas è l’ultimo, è quello che determina le minore emissioni”, spiega Pichetto ai cronisti presenti alla Cop. “Bisogna partire dall’uscita dal carbone, passare poi al petrolio puro e in ultimo si deve arrivare al gas”, precisa.

L’Europa appare quindi più compatta. Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, che ieri ha avuto un bilaterale con Pichetto, si dice convinto che sia possibile raggiungere un “compromesso” per rispondere alle esigenze di adattamento ai cambiamenti climatici dei paesi in via di sviluppo e al declino delle energie fossili. “Impegnatevi in buona fede per raggiungere un compromesso ambizioso”, esorta il capo dell’Onu, mentre i negoziatori vanno avanti, nonostante tutto.

 

 

 

Cop30, Lula a Belém per spingere sui negoziati. Ue cerca punto di caduta sulle fossili

Ignacio Lula da Silva è arrivato in Amazzonia per spingere l’acceleratore sui negoziati della Cop30. La città di Belém, sede della Conferenza, è blindata dall’alba: uomini dell’esercito e della polizia in tenuta antisommossa vengono schierati in massa, fucili alla mano, intorno ai capannoni dell’Onu e in tutta la città, per l’arrivo del presidente.

Lula vuole chiudere già nelle prossime ore per, ha spiegato, “infliggere una nuova sconfitta ai negazionisti del clima” e dimostrare in Amazzonia che il mondo non ha abbandonato la cooperazione climatica, nonostante il contesto geopolitico. “Tornerò a Belém il 19 novembre per incontrare il Segretario Generale delle Nazioni Unite in uno sforzo congiunto per rafforzare la governance del clima e il multilateralismo. Parteciperò anche a riunioni con vari paesi, rappresentanti della società civile, popolazioni indigene e tradizionali, governatori e sindaci”, ha detto nel messaggio letto dalla ministra dell’Ambiente Marina Silva nel fine settimana.

L’obiettivo del ritorno alla Cop è contribuire alle negoziazioni su temi sui quali le posizioni dei Paesi sono ancora divergenti, come il finanziamento climatico, il divario tra gli obiettivi climatici presentati, il Cbam e le relazioni sulla trasparenza. Ma, soprattutto, Lula vorrebbe che nella dichiarazione finale fosse inclusa una “roadmap” sull’allontanamento dai combustibili fossili.

Le parti iniziano ad appoggiarlo: dei 197 Paesi più l’Ue, sono 82 i favorevoli alla tabella di marcia sponsorizzata dal Brasile. A chiedere una decisione che incoraggi i paesi ad attuare effettivamente l’uscita graduale dai fossili è un fronte composto da decine di paesi europei, latinoamericani e insulari. Si oppone ai paesi produttori di petrolio, che a Belém sono rimasti silenti, ma attivi nelle sale negoziali. Il percorso sembra necessario per mantenere vivo l’obiettivo di 1,5°C perché, come ricordano i Paesi in via di sviluppo, la transizione non può essere giusta se non è programmata, equa e sostenuta finanziariamente. In Europa, l’Italia e la Polonia, primariamente, frenano. Roma è cauta, non ha ancora aderito formalmente ma è aperta ad aderire, alla luce di quello che conterrà la proposta. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin vorrebbe rassicurazioni sul paragrafo 29 della dichiarazione finale della Cop28 di Dubai, che riconosce che i combustibili fossili possono svolgere un ruolo nel facilitare la transizione energetica, garantendo al tempo stesso la sicurezza energetica. Al contrario della Francia, che non ha problemi in termini di sicurezza energetica, grazie al nucleare.

Secondo Parigi, a due giorni dalla chiusura dei lavori, le parti sono ancora “lontane dall’accordo”. Il ministro della Transizione ecologica, Monique Barbut, si dice comunque “più ottimista” rispetto a ieri. Il commissario europeo per il Clima Wopke Hoekstra sostiene di appoggiare l’idea della roadmap, anche se probabilmente sarà definita diversamente: “Per essere chiari, ci piace molto. In Europa potremmo non usare la parola tabella di marcia, ma abbiamo davanti un percorso molto, molto chiaro – spiega -. Si tratta di eliminare gradualmente i combustibili fossili, di assicurarci di passare a un sistema energetico completamente diverso da quello che abbiamo oggi”.

I negoziatori lavorano giorno e notte e, per aiutarli, Lula torna a Belém per incontrare i rappresentanti dei paesi emergenti, poi quelli europei, gli Stati insulari, i rappresentanti delle popolazioni indigene e della società civile. Sul fronte della finanza, gli europei non intendono rivedere il finanziamento dei paesi ricchi a quelli vulnerabili: “ Non prevediamo alcun aumento dei finanziamenti per l’adattamento“, mette in chiaro Darragh O’Brien, ministro irlandese dell’Ambiente. “La discussione sulla finanza sovente acceca la concretezza rispetto alle azioni da svolgere“, media Pichetto, che invita a non perdere di vista i fatti: “Come agiamo a livello mondiale su mitigazione e adattamento? Quali sono i progetti che concorrono a creare l’adattamento?” domanda, rilevando che “la crescita economica e sociale crea le condizioni per raggiungere anche indirettamente gli obiettivi climatici”. Il ministro italiano porta l’Adaptation Accelerator Hub del G7 come modello per l’azione globale di adattamento al cambiamento climatico: “In questo primo anno di attività – riferisce – i progressi sono già significativi“. In Etiopia, grazie anche al Memorandum firmato con l’Italia, si lavora per definire la prima strategia nazionale di investimento per l’adattamento, ma si formalizzano collaborazioni in Senegal, Mauritius, Cambogia e Maldive, in partenariato con i membri del G7 e istituzioni finanziarie.

Ieri mattina è stato pubblicato un tentativo avanzato di compromesso da parte della presidenza brasiliana della Cop30, per trovare un punto di caduta tra ambizione climatica, commercio e finanza. Un secondo testo più conciso è atteso nelle prossime ore. Il Brasile spera di poterlo far approvare in plenaria il prima possibile, obiettivo eccessivamente ambizioso agli occhi di molti.

La Cop30 corre: c’è la prima bozza di compromesso, domani Lula a Belém. Ue fa muro sul Cbam

A Belém si corre più forte che mai. A quattro giorni dalla fine dei lavori della Cop30, la presidenza brasiliana pubblica una prima bozza di compromesso, nonostante le distanze ancora molto evidenti tra i Paesi. E, per imprimere un’accelerazione, Luiz Inácio Lula da Silva arriverà già domani, con i negoziati in corso.

Il piatto dell’intesa non è ricco, per evitare il fallimento della conferenza basterà accordarsi su una roadmap climatica prima di venerdì. Basterà, in un momento di tensioni geopolitiche fortissime, dimostrare che il multilateralismo è vivo.

Papa Leone XIV, in un videomessaggio, chiede però anche “azioni concrete” per affrontare i cambiamenti climatici, deplorando la mancanza di “volontà politica da parte di alcuni” e descrive l’Accordo di Parigi come “lo strumento più potente per proteggere le persone e il pianeta”. Il Papa missionario parla della regione amazzonica come “un simbolo vivente del Creato che ha urgente bisogno di protezione”. “Il creato grida attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo incessante”, denuncia il Pontefice, ricordando che “una persona su tre vive in una situazione di grande vulnerabilità ai cambiamenti climatici”. Per loro, osserva, “i cambiamenti climatici non sono una minaccia lontana, e ignorarli significa negare la nostra comune umanità”.

Nella seconda settimana di lavori, tutti i ministri dell’Ambiente dei 197 Paesi arrivano in Amazzonia. Oggi gli europei fanno un punto sui negoziati con Wopke Hoekstra. “Il bilancio è contrastante”, confida il commissario per il Clima dopo la riunione di coordinamento, avvertendo che non si tratta di “riaprire i compromessi raggiunti con difficoltà” lo scorso anno in termini di finanziamenti dei paesi ricchi a favore dei paesi in via di sviluppo. Tra i punti controversi, c’è l’inclusione nella bozza di opzioni che alludono a misure “commerciali unilaterali”. Implicitamente, il riferimento è al Cbam, la tassa sul carbonio alle frontiere che l’Ue introdurrà a gennaio e che è stata criticata come protezionistica dalla Cina e da altri paesi esportatori.

Per Gilberto Pichetto Fratin il punto non è negoziabile: “Il Cbam difende i prodotti che entrano nel nostro mercato, per l’Europa è fondamentale”, spiega parlando con i cronisti tra i padiglioni dell’Onu. L’Europa, assicura, “procede compatta”, con “sfumature che dividono”. L’Italia appoggia la proposta brasiliana di una roadmap, spiega, ma “dipende cosa c’è dentro – precisa il ministro -: se la roadmap prevede la chiusura del carbone per tutti al 2035, la sottoscrivo”.

Il testo di compromesso si intitola ‘Mutirão mondiale’, parola indigena che indica una comunità che si riunisce per lavorare insieme su un compito comune. Come a voler dimostrare che la cooperazione internazionale sul clima non si ferma.

Le opzioni sono ancora tante in bozza, il testo dovrà essere perfezionato prima di poter raggiungere un accordo. Per tagliare sui tempi, la presidenza brasiliana ha annunciato che i negoziatori lavoreranno giorno e notte per portare l’accordo in plenaria entro la metà della settimana.

“L’accelerazione del Brasile per una decisione politica è positiva, soprattutto ora che i ministri sono atterrati a Belém”, commenta Luca Bergamaschi, direttore e co-fondatore di Ecco, il think tank italiano per il clima. La voce dell’Europa e dei suoi Stati membri, Italia inclusa, deve però “farsi attiva sulle questioni centrali del negoziato ovvero la pianificazione dell’uscita dai fossili e programmare l’aumento della finanza per l’adattamento”, sottolinea l’esperto. Non c’è nulla di impossibile, confida, e ribadisce: “sarebbe coerente con gli impegni presi finora dall’Italia, incluso il Governo Meloni. Ma c’è bisogno di far sentire il proprio peso e la propria voce se no si rischia lo stallo”.

La bozza di compromesso della presidenza fa riferimento all’accordo di Parigi del 2015 e, per quanto riguarda l’ambizione climatica, propone anche che il rapporto sugli impegni climatici dei paesi possa essere pubblicato ogni anno, anziché ogni cinque. Diverse opzioni fanno anche riferimento alla transizione dalle energie fossili, un punto che spacca i paesi produttori e quelli che vorrebbero una roadmap per uscirne. Il testo, su richiesta dei Paesi del Sud globale, suggerisce di triplicare i finanziamenti dei paesi ricchi a quelli più poveri per il loro adattamento ai cambiamenti climatici, entro il 2030 o il 2035.

Cop30, ong Ciel denuncia: “Oltre 500 lobbisti della cattura della CO2 a Belem”

Sono circa 500 le aziende o le istituzioni che promuovono le tecnologie di cattura del CO2 – accusate di ritardare l’abbandono del petrolio e del gas – presenti alla Cop30 che entra nella seconda settimana di lavoro a Belem, in Brasile. Il Centro per il diritto ambientale internazionale (Ciel), con sede a Washington e Ginevra, ha analizzato l’elenco dei circa 42.000 partecipanti accreditati alla conferenza sul clima di Belém pubblicato dalle Nazioni Unite e, secondo un elenco fornito in esclusiva all’AFP, sottolinea che 531possono essere definiti “lobbisti della cattura e dello stoccaggio del carbonio” (CCS, in inglese), nome dato a queste tecniche volte a catturare la CO2 nell’aria o direttamente dai camini industriali e a stoccarla in modo permanente nel suolo. Questo dato supera quello della Cop28 di Dubai e della Cop29 di Baku (475 e 480 persone), nonostante l’affluenza fosse maggiore.

Queste tecnologie sono ritenute necessarie, in piccola parte, dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), in particolare per decarbonizzare l’industria del cemento o dell’acciaio. “Il CCS ha una storia pluridecennale di promesse eccessive e non mantenute”, denuncia il Ciel, citando tra l’altro uno studio del 2024 pubblicato sulla rivista Nature secondo cui quasi nove progetti su dieci non raggiungono i loro obiettivi di cattura.

Il timore è che le aziende continuino a emettere la stessa quantità di gas serra di oggi, contando su ipotetiche catture future per compensare tali emissioni, senza alcuna garanzia che queste tecnologie diventino disponibili ed efficaci nella misura necessaria.
Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia (Aie), le tecnologie a emissioni negative, attraverso la cattura di CO2 dall’atmosfera, dovrebbero essere moltiplicate per 100.000 entro il 2050 per raggiungere l’obiettivo di un mondo a emissioni zero, una sfida colossale.

“Abbiamo bisogno della cattura del carbonio, perché supereremo il limite di riscaldamento”, ha dichiarato all’AFP il senatore democratico americano Sheldon Whitehouse, figura di spicco nella lotta al cambiamento climatico al Congresso, presente sabato a Belem e sostenitore della CCS. “Ma questo non può essere un pretesto per inquinare di più”, avverte.

Il Ciel definisce lobbisti del CCS tutti i partecipanti alla Cop30 che promuovono apertamente queste tecnologie, come i membri della Taiwan Carbon Capture Storage and Utilization Association o dell’istituto australiano Global CCS. Il conteggio include anche le persone la cui organizzazione ha partecipato o sostenuto progetti di cattura del carbonio, come censiti dall’Agenzia internazionale per l’energia. “Non possiamo sapere esattamente di cosa parleranno queste aziende” alla COP, spiega l’autore dell’analisi di Ciel, Barnaby Pace. “Ma mostriamo chi c’è e quali sono gli interessi di queste aziende”.

L’elenco di Ciel, che coincide per l’80% con quello dei “1.602 lobbisti” dell’industria fossile censiti da altre Ong la scorsa settimana, comprende anche tutto il personale presente delle compagnie petrolifere e del gas, private e pubbliche. Tra queste, dominano le compagnie nazionali cinesi e brasiliane, con una ventina di rappresentanti individuati, seguite dai quindici dipendenti della compagnia petrolifera texana Occidental Petroleum (Oxy). Quest’ultima è specializzata da decenni nello sfruttamento di pozzi in fase di esaurimento grazie all’iniezione di CO2, e per questo motivo è tra i pionieri della cattura del carbonio.

Ciò dimostra “gli sforzi considerevoli compiuti dall’industria dei combustibili fossili per garantire il proprio futuro vendendo l’idea che i governi e le aziende possano ‘depurare’ il loro utilizzo di carbone, petrolio e gas”, denuncia l’Ong Ciel. Una quarantina di lobbisti segnalati da Ciel fanno parte delle delegazioni ufficiali, in primo luogo Brasile, Russia, monarchie petrolifere del Golfo e Giappone.

Cop30, si profila ‘battaglia’ tra Paesi: fossili, finanze e CO2 animano la conferenza

Niente di nuovo sotto il cielo del Brasile, o quasi. La 30esima conferenza delle Nazioni Unite sul clima che si è aperta a Belém, nell’Amazzonia brasiliana, ha messo sul tavolo una battaglia già in vista tra i paesi sull’urgenza e i mezzi per contenere il riscaldamento globale. “È ora di infliggere una nuova sconfitta ai negazionisti”, ha dichiarato Luiz Inacio Lula da Silva all’inizio delle due settimane di conferenza – a cui non partecipano gli Usa – sottolineando l’importanza dell’azione multilaterale.

Il presidente brasiliano ha ribadito che investire per il clima – punto di eterna disputa in questa sede – costa “molto meno” delle guerre. Con la volontà di evitare il fatalismo: “Stiamo andando nella direzione giusta, ma alla velocità sbagliata”.

Gli Stati Uniti, primo produttore mondiale di petrolio e secondo emettitore di gas serra, sono assenti per la prima volta nella storia di questi incontri. “È meglio che mandare gente a bloccare tutto, no?”, ha detto all’AFP la responsabile di Greenpeace in Brasile, Carolina Pasquali.

Questa Cop, la prima in Amazzonia, riunisce meno partecipanti rispetto alle edizioni precedenti, con 42.000 accreditati. Il primo giorno, i delegati presenti hanno potuto sentire la pioggia tropicale battere violentemente sul tetto del centro congressi e persino sentire le gocce infiltrarsi all’interno della struttura.

“Lamentarsi non è una strategia, abbiamo bisogno di soluzioni”, ha affermato Simon Stiell, capo dell’Onu Clima, che organizza la Cop30 insieme al paese ospitante. Ha accolto con favore un piccolo passo avanti: includendo le ultime roadmap climatiche presentate da alcuni paesi, la riduzione delle emissioni entro il 2035 sarà del 12%. Ancora lontano dall’obiettivo, ma leggermente migliore del 10% annunciato di recente su una base più limitata. “Ogni frazione di grado di riscaldamento evitato salverà milioni di vite e eviterà miliardi di dollari di danni climatici”, ha sottolineato Stiell.

La richiesta dell’Onu, però, è che i negoziati producano risultati più concreti: maggiori impegni per abbandonare le energie fossili, sviluppo delle energie rinnovabili e invio dei fondi promessi ai paesi poveri per aiutarli ad affrontare un clima più violento.

Il tempo stringe, ricordano gli scienziati. Jim Skea, presidente dell’Ipcc, il gruppo di ricercatori che lavora sul clima sotto l’egida dell’Onu, ha giudicato “quasi inevitabile” superare a breve termine la soglia di 1,5 °C di riscaldamento, l’obiettivo più ambizioso fissato dall’accordo di Parigi nel 2015.

Un gruppo di piccole isole sta lottando per inserire nell’ordine del giorno la necessità di formulare una risposta a questo fallimento, ma il gruppo dei paesi arabi e altri si oppongono, temendo un nuovo attacco al petrolio. La posizione dell’Arabia Saudita è “tossica”, deplora un diplomatico occidentale. Il fallimento nel mantenere il limite di 1,5 °C “sigilla la nostra perdita”, ha detto all’AFP Maina Vakafua Talia, ministro di Tuvalu, un piccolo arcipelago del Pacifico minacciato dall’innalzamento del livello del mare. “Mantengo la speranza. Dobbiamo avere un certo ottimismo”, ha tuttavia affermato.

“1,5 °C non è solo un numero o un obiettivo, è una questione di sopravvivenza”, ha concordato con l’AFP Manjeet Dhakal, consigliere del gruppo dei paesi meno sviluppati alla Cop. “Non potremo avallare alcuna decisione che non includa una discussione sul nostro fallimento nell’evitare 1,5 °C”.

Ma non ci sarà un braccio di ferro fin dall’inizio sull’ordine del giorno ufficiale della conferenza: le discussioni più accese su questo tema, così come sulla tassa europea sul carbonio e sulle misure commerciali unilaterali, sono state rinviate a mercoledì. Nel frattempo, la presidenza brasiliana sta organizzando consultazioni tra i paesi, dopo i primi scambi “piuttosto tesi”, secondo un partecipante. “Nessuno vuole cambiare posizione”, si rammarica un rappresentante di un paese latinoamericano.

Uno dei misteri di queste due settimane di negoziati riguarda la “tabella di marcia” sulle energie fossili presentata da Lula durante il vertice dei capi di Stato, la scorsa settimana a Belem. L’abbandono del petrolio, del gas e del carbone sarà oggetto di una nuova decisione negoziata e vincolante – dopo una prima tappa due anni fa a Dubai – o, più probabilmente, di impegni volontari da parte di alcuni paesi? “Sappiamo che si tratta di un argomento delicato per alcuni dei nostri partner e che per alcuni è più semplice discuterne non in un contesto negoziale, ma in un contesto di coalizione”, ammette la delegazione francese.

Cop30, oggi pre vertice a Belem ma senza Usa e Cina grandi assenti

I leader di parte del mondo si riuniscono oggi a Belém, in Brasile, per tentare di salvare la lotta per il clima, minacciata da divisioni, tensioni internazionali e dal ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi. Una cinquantina di capi di Stato e di governo hanno risposto all’invito del presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva a recarsi in questa città fluviale dell’Amazzonia in vista della 30a conferenza delle Nazioni Unite sul clima, la Cop30 (10-21 novembre).

La scelta di Belém, capitale dello Stato del Pará, ha suscitato polemiche a causa delle sue infrastrutture limitate, che hanno reso più costoso l’arrivo delle piccole delegazioni e delle Ong. Al punto che il Brasile ha dovuto trovare i fondi per ospitare gratuitamente i delegati dei paesi più poveri su due navi da crociera noleggiate. La città, che conta circa 1,4 milioni di abitanti, metà dei quali vivono nelle favelas, non aveva mai ospitato un evento internazionale di questa portata, e le autorità federali e dello Stato del Pará hanno investito nella ristrutturazione e nella costruzione di infrastrutture. Mercoledì il sito del vertice, il Parque da Cidade, era ancora un grande cantiere, pieno di operai che segavano, avvitavano, montavano pareti divisorie… E gli ingorghi di Belém peggiorano con la chiusura di alcune arterie stradali. “Non ho nulla contro la Cop in sé, ma Belém non ha le infrastrutture necessarie per ospitare un evento del genere”, protesta Agildo Cardoso, autista di taxi privato.

Sono stati mobilitati circa 10.000 agenti delle forze dell’ordine, ai quali si aggiungono 7.500 militari dispiegati appositamente. Per la presidenza brasiliana, l’obiettivo è quello di salvare la cooperazione internazionale a dieci anni dall’accordo di Parigi, di cui l’Onu ammette ormai ufficialmente che l’obiettivo di un riscaldamento di 1,5 °C rispetto al periodo preindustriale sarà superato nei prossimi anni. Il Brasile non cercherà nuove decisioni emblematiche a Belem, ma vuole che la Cop30 fissi impegni concreti e organizzi un follow-up delle promesse del passato, ad esempio sullo sviluppo delle energie rinnovabili. “Basta parlare, ora è il momento di attuare ciò che abbiamo concordato”, ha dichiarato Lula in un’intervista alle agenzie di stampa.

Giovedì il Brasile lancerà un fondo dedicato alla protezione delle foreste (Tfff) e si impegnerà a quadruplicare la produzione di carburanti “sostenibili”. Diversi paesi vogliono anche ampliare gli impegni per ridurre le emissioni di metano, un gas molto riscaldante. Centosettanta paesi partecipano alla Cop30, ma gli Stati Uniti, secondo inquinatore mondiale, non invieranno una delegazione, con grande sollievo di coloro che temevano che l’amministrazione Trump potesse ostacolare i lavori, come ha fatto recentemente per affossare un piano globale di riduzione delle emissioni di gas serra prodotte dal trasporto marittimo. Non ci sarà nemmeno il cinese Xi Jinping, altro responsabile dell’inquinamento globale.

Da parte europea, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il primo ministro britannico Keir Starmer e il principe William interverranno giovedì e venerdì. Per l’Italia ci sarà il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Il presidente austriaco ha invece rinunciato a causa dei prezzi degli hotel. La maggior parte dei leader del G20, tra cui Cina e India, sarà assente. Una parte del mondo in via di sviluppo rimane insoddisfatta dopo l’accordo raggiunto con fatica lo scorso anno a Baku sul finanziamento del clima e vuole rimettere la questione sul tavolo. “Non si tratta di carità, ma di una necessità”, ha dichiarato all’AFP Evans Njewa, il diplomatico del Malawi che presiede il gruppo dei paesi meno sviluppati.

L’Unione Europea e i piccoli Stati insulari (Aosis) vogliono soprattutto andare oltre nella riduzione delle emissioni di gas serra, affrontando il problema delle energie fossili. “Molti dei nostri paesi non riusciranno ad adattarsi a un riscaldamento superiore ai 2 °C”, ha dichiarato Ilana Seid, diplomatica dell’arcipelago pacifico delle Palau e presidente dell’Aosis. “Alcuni dei nostri paesi atollici non esisterebbero più”. Il Brasile, che vuole essere un ponte tra Nord e Sud, non è esente da paradossi, dopo aver dato il via libera all’esplorazione petrolifera al largo dell’Amazzonia. “È molto contraddittorio”, afferma Angela Kaxuyana, della Coordinazione delle organizzazioni indigene dell’Amazzonia brasiliana. “Gli stessi governi che si impegnano per il clima negoziano l’esplorazione petrolifera” della più grande foresta tropicale del pianeta, ha deplorato a Belem