Il cambiamento climatico affama il mondo: 750 milioni di persone senza cibo

(Photocredit: Roger Lo Guarro)

Nel mondo 750 milioni di persone soffrono la fame e il cambiamento climatico contribuisce sempre di più ad acuire il dramma: i progressi per contrastarla sono in stallo dal 2015 e nel 2023 la situazione è cupa, con la fame a livelli grave o allarmante in 43 Paesi e il numero di persone malnutrite salito a 735 milioni. Mentre si sommano l’impatto di disastri climatici, guerre, crisi economiche e pandemie, le conseguenze ricadono soprattutto sulle persone più giovani, le cui prospettive future sono minacciate: l’instabilità alimentare attuale significa rischiare una vita adulta di povertà estrema, di soffrire la fame, di vivere in contesti incapaci di far fronte ai disastri climatici e all’intrecciarsi di altre crisi.

Ad aver di fronte lo scenario più buio sono, in particolare, le ragazze: donne e bambine rappresentano circa il 60% delle vittime della fame acuta, mentre il lavoro di assistenza non pagato le sovraccarica, tanto da triplicare la loro probabilità di non accedere a lavori retribuiti rispetto ai loro omologhi. Il quadro emerge dall’Indice Globale della Fame (Global Hunger Index – GHI), tra i principali rapporti internazionali sulla misurazione della fame nel mondo, curato da Cesvi per l’edizione italiana e redatto annualmente da Welthungerhilfe e Concern Wordlwide, organizzazioni umanitarie che fanno parte del network europeo Alliance2015. Il rapporto è stato presentato a Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, che ha ospitato l’iniziativa. L’analisi, che calcola il punteggio GHI di ogni Paese sulla base dello studio di quattro indicatori (denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità dei bambini sotto i cinque anni) è stata presentata alla vigilia dell’apertura della Cop28 a Dubai.

Il cambiamento climatico ha un impatto diretto e significativo sull’insicurezza alimentare: all’aumentare di temperature e disastri climatici, crescono la difficoltà e l’incertezza nel produrre alimenti. Gli effetti sono particolarmente evidenti nei Paesi poveri e sulla salute dei loro abitanti: il 75% di chi vive in povertà nelle zone rurali si affida alle risorse naturali, come foreste e oceani per la sopravvivenza, essendo quindi particolarmente vulnerabile ai disastri; inoltre, stima il World Food Program, l’80% delle persone che soffrono la fame sul Pianeta vive in zone particolarmente colpite da catastrofi naturali. Secondo la Banca mondiale, dal 2019 al 2022 il numero di persone che vivono in insicurezza Alimentare è aumentato da 135 milioni a 345 milioni, sotto l’effetto combinato delle varie crisi ed emergenze. “La sovrapposizione delle crisi sta intensificando le diseguaglianze sociali ed economiche, vanificando i progressi sulla fame, mentre il peso più grave è sui gruppi più vulnerabili, come donne e giovani”, ha dichiarato Gloria Zavatta, presidente di Fondazione CESVI. “I giovani devono avere un ruolo centrale nei processi decisionali, mentre il diritto al cibo va posto al centro delle politiche e dei progressi di governance dei sistemi alimentari”, ha aggiunto. Inoltre, ha sottolineato, “nei prossimi anni è previsto che il mondo affronti un numero crescente di shock, provocati soprattutto dai cambiamenti climatici. L’efficacia della preparazione e della capacità di risposta alle catastrofi è destinata a diventare sempre più centrale dal punto di vista della sicurezza alimentare”.

Dopo che i passi avanti nella lotta alla fame si sono interrotti nel 2015, il punteggio di GHI 2023 per il mondo è 18,3, considerato moderato, meno di un punto in meno dal 2015 (19,1), e dal 2017 il numero di persone denutrite è aumentato da 572 milioni a circa 735 milioni. Le regioni con i dati peggiori sono Asia meridionale e Africa Subsahariana (27,0 per entrambe, ossia fame grave): negli ultimi vent’anni hanno costantemente registrato i più alti livelli di fame e, dopo i progressi dal 2000, nel 2015 la situazione è entrata in stallo.

Nel 2023 in nove Paesi la fame è allarmante: Burundi, Lesotho, Madagascar, Niger, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Sud Sudan e Yemen. In altri 34 Paesi è grave. In 18 nazioni dal 2015 la fame è aumentata (situazioni moderate, gravi o allarmanti) e in altri 14 il calo è stato trascurabile (inferiore al 5%). Al ritmo attuale, 58 Paesi non raggiungeranno un livello di fame basso entro il 2030.

A destare le maggiori preoccupazioni nel 2023 sono Afghanistan, Haiti, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen, oltre a Burkina Faso e Mali nel Sahel: tra i fattori chiave ci sono conflitti e cambiamento climatico, nonché la recessione economica. In sette Paesi il miglioramento è superiore al 5% dal 2015: Bangladesh, Ciad, Gibuti, Mozambico, Nepal, Laos e Timor Est. “I conflitti, insieme alla crisi climatica e agli shock economici, rappresentano le cause principali di queste emergenze che coinvolgono persone, comunità e territori ad ogni latitudine. Purtroppo, i dati indicano che nei prossimi 6 mesi l’insicurezza Alimentare acuta rischia di peggiorare in almeno 18 aree ad alto rischio. Insieme alla Palestina, sono il Burkina Faso, il Mali, il Sud Sudan le frontiere di massima preoccupazione dove il rischio di morire di fame o di un deterioramento rapido verso condizioni catastrofiche è altissimo. Afghanistan, Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Haiti, Pakistan, Somalia, Siria, Yemen sono anch’esse realtà preoccupanti. La prospettiva non è incoraggiante, ma è necessaria per poter comprendere che occorre agire con urgenza”, dichiara Maurizio Martina, vice direttore generale FAO. 

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Sfuma il sogno del Papa: viaggio alla Cop28 annullato su richiesta dei medici

Il viaggio di Papà Francesco a Dubai per la Cop28 è annullato. L’annuncio arriva improvviso in serata, su richiesta dei medici. “Pur essendo migliorato il quadro clinico generale relativamente allo stato influenzale e all’infiammazione delle vie respiratorie, i medici hanno chiesto al Papa di non effettuare il viaggio previsto per i prossimi giorni a Dubai, in occasione della 28a Conferenza delle Parti per la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici”, spiega il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, che solo poche ore prima aveva tenuto un briefing sul viaggio. “Papa Francesco ha accolto con grande rammarico la richiesta dei medici e il viaggio è dunque annullato – precisa -. Permanendo la volontà del Papa e della Santa Sede di essere parte delle discussioni in atto nei prossimi giorni, saranno definite appena possibile le modalità con cui questa si potrà concretizzare”.

In programma, il Pontefice aveva due discorsi pronunciati in spagnolo, nella sua lingua madre, e trenta bilaterali. Non avrebbe voluto rinunciare a Dubai, Jorge Mario Bergoglio, una occasione troppo importante per una delle battaglie simbolo del suo Pontificato, la cura del Creato. La conferenza delle parti alla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici degli Emirati Arabi (30 novembre-12 dicembre) sarebbe stata la prima della storia a ospitare un Pontefice.

Se crediamo nella capacità degli esseri umani di trascendere i nostri meschini interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la Cop28 porterà ad un’accelerazione della transizione energetica. Questa Conferenza può essere un punto di svolta”, aveva twittato il Papa il giorno prima di essere costretto a annullare il viaggio e il suo intervento alla conferenza, che era in agenda per il 2 dicembre.

Dei trenta incontri a porte chiuse, venti sarebbero dovuti essere con capi di Stato e di governo, dieci con realtà impegnate nella lotta al cambiamento climatico. “E’ un viaggio particolare“, aveva spiegato Bruni, ricordando che Bergoglio tenne bilaterali anche in Kazakistan, che ha visitato dal 13 al 15 settembre 2022 in occasione del Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali. In quei giorni, il Pontefice tenne colloqui privati con leader religiosi, tra cui il grande imam di Al Azhar, Al Tayyeb.

Lo stesso Al Tayyeb, figura di spicco dell’Islam sunnita, ha accompagnato il Papa nella firma del documento sulla fratellanza umana nel 2019, sempre negli Emirati Arabi, ad Abu Dhabi, e avrebbe ritrovato Francesco anche a Dubai il 3 dicembre, per l’inaugurazione del Faith Pavillon sempre nell’area dell’Expo. Il padiglione, istituito dall’Interfaith Center for Sustainable Development insieme al Muslim Council of Elders, è il primo del suo genere nella storia delle Cop e promuove l’impegno religioso e il dialogo interreligioso nell’attuazione di misure efficaci per affrontare la crisi climatica. Con al-Tayyeb, Francesco avrebbe dovuto firmare la Dichiarazione ‘Confluence of Conscience’.

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COP28, da Lula proposta fondo internazionale per foreste tropicali

Durante la COP28, che si terrà la prossima settimana a Dubai (30 novembre-12 dicembre), il Presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva proporrà la creazione di un fondo per preservare le foreste tropicali di circa 80 Paesi.

L’iniziativa consiste in “un meccanismo di pagamento per foresta, per ettaro, per aiutare a proteggere le foreste tropicali degli 80 Paesi” che le hanno sul loro territorio, ha spiegato la ministra dell’Ambiente, Marina Silva, durante un seminario sulla valutazione e il miglioramento della spesa pubblica a Brasilia.

Questa settimana, il governo brasiliano ha presentato l’idea agli altri membri dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica (ACTO), un blocco socio-ambientale che condivide con altri sette Paesi dove si estende la più grande foresta tropicale del mondo. Il fondo ha “un’architettura semplice, che è innovativa ed efficace“, ha commentato Silva, riservando i dettagli dell’annuncio a Lula in occasione della 28a Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

Il leader della sinistra ha ribadito che i Paesi industrializzati devono assumersi la responsabilità dell’inquinamento e della deforestazione contribuendo finanziariamente alla conservazione di foreste e giungle. Il meccanismo si differenzia dal Fondo per l’Amazzonia già esistente, che è amministrato dalla Banca pubblica di sviluppo (BNDES). Il nuovo fondo internazionale sarà gestito da “un’istituzione finanziaria multilaterale“, ha dichiarato Silva ai media locali.

Roberto Perosa, Segretario per il Commercio e le Relazioni Internazionali del Ministero dell’Agricoltura, ha annunciato poi, in un’altra conferenza stampa, che il Brasile presenterà un piano alla COP28 per aumentare la superficie agricola del Paese senza deforestazione, convertendo i terreni da pascolo.

Abbiamo condotto uno studio e contato quasi 160 milioni di ettari di pascoli. Di questi, circa 40 milioni di ettari sono pascoli degradati, ma molto adatti alle colture. Quindi, con un certo investimento nel suolo, questi terreni possono essere convertiti in terreni coltivabili“, ha precisato Perosa con i media internazionali.

In dieci anni, il governo prevede di investire 120 miliardi di dollari e di espandere le aree coltivate del Brasile da 65 a 105 milioni di ettari, senza deforestazione. “Ci espanderemo senza abbattere alcun albero”, ha detto il funzionario, facendo riferimento a una “grande rivoluzione“. L’iniziativa privata sta attualmente consentendo di convertire quasi un milione e mezzo di ettari ogni anno.

Il presidente di sinistra Lula, tornato al potere a gennaio, ha fatto della difesa dell’ambiente, e dell’Amazzonia in particolare, uno dei cavalli di battaglia della sua politica, soprattutto sulla scena internazionale. Ma vuole anche consentire lo sviluppo del potente settore agroalimentare, in un momento in cui il Brasile è diventato un gigante agricolo. La deforestazione in Amazzonia è aumentata notevolmente sotto il suo predecessore di estrema destra Jair Bolsonaro, che aveva incoraggiato l’espansione delle attività minerarie e agricole nella regione. Lula aveva promesso di sradicare la deforestazione illegale entro il 2030.

Il lato oscuro del Black Friday: boom di acquisti ma schizzano le emissioni di CO2

E’ arrivato il tanto atteso Black Friday, che per un giorno – ma a dire il vero anche per una settimana – spinge sugli acquisti, complici grandi sconti e offerte speciali. Prezzi ribassati che, se da un lato fanno bene al portafoglio, dall’altro rischiano di far diventare questo venerdì ancora più nero per l’ambiente. E le ragioni sono tante, a cominciare dalla questione trasporti, soprattutto a causa degli acquisti online. Un prodotto comprato sul web, infatti, deve essere imballato, spedito e consegnato al domicilio del cliente, passando da hub e magazzini vari, spesso percorrendo migliaia di chilometri a bordo di aerei e camion prima di arrivare a casa dell’acquirente.

“Quando sono milioni i consumatori che fanno acquisti contemporanei in un arco di tempo ristretto – spiega Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (Sima)i costi ambientali si impennano raggiungendo livelli altissimi”. In base alle stime di Sima, gli italiani che acquisteranno online e nei negozi fisici durante l’intera settimana del Black Friday, contribuiranno all’immissione in atmosfera di circa 500mila di tonnellate di CO2 a livello globale.

Non solo. Secondo un white paper di Up2You Insight dedicato alle emissioni nel settore retail, in Europa, durante il Black Friday dello scorso anno i camion impiegati per trasportare i pacchi nei magazzini e nei negozi hanno rilasciato nell’aria 1,2 milioni di tonnellate di CO2. Questo dato rappresenta un aumento del 94% rispetto a una settimana media, equivalente alle emissioni di circa 7.000 voli da Parigi a New York. Complessivamente, il 25% delle emissioni globali è attribuibile alle attività commerciali e se si pensa che il giro d’affari in Italia sfonderà la soglia dei 4 miliardi di euro (dati Codacons), in aumento del 15% rispetto al 2022, è evidente che la questione ambientale esiste.

Eppure, secondo la recente ricerca Unguess-Scalapay, un consumatore su due considera decisivo nel comportamento d’acquisto l’impatto ambientale nella scelta di cosa e dove comprare durante questo Black Friday. Ogni italiano spenderà quest’anno tra i 216 e i 238 euro, ma la Gen Z (cioè i giovani fino a 26 anni) sarà quella più propensa agli acquisti green. E in questa direzione spinge anche il Wwf. “Il Pianeta non fa sconti”, dice l’organizzazione ambientalista, che punta il dito contro “il sovra consumo camuffato da affare” che raggiunge l’apice in questo periodo, soprattutto nel settore della moda. “Ci contendiamo vestiti e prodotti di moda, che acquistiamo magari a un prezzo basso – spiega il Wwf – per poi indossarli pochissime volte e buttarli velocemente”.

Dietro il costo molto basso che paghiamo per portare a casa quel capo si nascondono infatti “l’utilizzo di materie prime di bassa qualità e additivi chimici – ricorda l’associazione – elevate emissioni di gas serra, l’utilizzo e lo spreco di risorse come suolo e acqua e l’inquinamento delle falde acquifere e degli ecosistemi acquatici, ma anche lo sfruttamento di lavoratori che spesso vivono dall‘altro capo del mondo”.

In arrivo la prima sciabolata artica di Attila: temperature sotto la media

Il 2023 potrebbe essere l’anno più caldo della storia a livello globale, gli ultimi 5 mesi sono stati da record assoluto per la calura italiana, le temperature di metà novembre hanno segnato dati estremi: ad esempio, con i 30 gradi al Sud per il nostro Paese e l’anomalia di +2,07°C a livello globale il 17 novembre, giorno più caldo dall’era pre-industriale in poi per il nostro Pianeta. Lorenzo Tedici, meteorologo del sito www.iLMeteo.it, conferma questo andamento di caldo estremo con un Global Warming imperante, ma intravede anche l’eccezione che conferma la regola: spunta una previsione straordinaria per i prossimi giorni.

Dopo mesi e stagioni di caldo anomalo, arriverà dal weekend la prima sciabolata artica di Attila dell’inverno, il primo lungo periodo di freddo e di temperature sottomedia: in altre parole farà freddo con il termometro che rimarrà sotto la media stagionale per almeno 10 giorni, evento mai accaduto quest’anno su gran parte dell’Italia. La prima irruzione artica della stagione colpirà tutto lo Stivale da sabato 25 novembre e porterà un tracollo delle temperature: ci vestiremo con berretti e sciarpe almeno fino alla festività dell’Immacolata.

Nel dettaglio, nelle prossime ore dovremo prestare la massima attenzione anche al Ciclone in spostamento verso il meridione: sono previste piogge a tratti intense su Medio Adriatico e Sud, e tra Abruzzo e Molise vedremo anche la neve in alta collina, fino ai 1.000 metri; infine, le piogge si intensificheranno sulle regioni ioniche gradualmente e nella prossima notte sono previsti nubifragi tra Calabria e Sicilia.

Ma la previsione straordinaria, oltre alle piogge importanti e forti attese nelle prossime 24 ore, riguarda sabato 25 e i giorni successivi: inizieremo a battere i denti ed il cambio dell’armadio sarà definitivo. Almeno fino alla prima settimana di dicembre i termometri saranno sottomedia e il meteo parlerà chiaro: a Milano sono previste minime intorno a -1°C e massime di 5/6°C per almeno 10 giorni con valori ovviamente sottomedia, a Bologna e Firenze idem sottomedia con -1/7°C e pure a Roma con 0°/9°. Inoltre, non si escludono fiocchi svolazzanti tra Bologna e Firenze ed è molto probabile che la neve cadrà fin quasi in pianura o addirittura lungo le coste adriatiche nel corso della prossima settimana: in sintesi, prepariamoci al meteo straordinario, dopo mesi di gran caldo torniamo a vivere il freddo e non siamo più abituati.

L’ultima frontiera climatica: ‘manipolare’ le nuvole per fare piovere a comando

Manipolare le nuvole per far piovere o ridurre la grandine: in un contesto di riscaldamento globale, molti Paesi stanno raddoppiando l’interesse per queste tecniche, con il rischio di creare tensioni geopolitiche. In Australia, la società elettrica Snowy Hydro sta completando la sua tradizionale campagna di semina nelle Snowy Mountains, la catena montuosa più alta dell’isola-continente. L’obiettivo è quello di aumentare le precipitazioni nevose utilizzando generatori di particelle di ioduro d’argento. Snowy Hydro alimenterà poi le riserve d’acqua per produrre più energia idroelettrica, spiega l’azienda.

Che sia per l’agricoltura, il consumo umano o l’elettricità, l’immenso bisogno di acqua è aggravato dal riscaldamento globale. Secondo le Nazioni Unite, 2,3 miliardi di persone vivono già in Paesi in cui la scarsità d’acqua è un problema. In queste condizioni, diversi Paesi stanno cercando di cambiare il clima: India, Thailandia, Stati Uniti, ma anche Cina. Nel 2020, Pechino ha pubblicato una circolare che illustra la sua strategia: secondo questo documento, la Cina avrà un sistema di modifica del tempo sviluppato entro il 2025. Anche gli Emirati Arabi Uniti si stanno dando da fare. Qualche anno fa, il Centro meteorologico nazionale ha lanciato un programma di ricerca per migliorare le precipitazioni, con sovvenzioni di 1,5 milioni di dollari per ogni progetto di ricerca riuscito.

Fin dagli incantesimi alle ninfe della pioggia dell’antichità, le speranze di far piovere su richiesta non si sono mai esaurite. Dalla fine degli anni ’40 gli Stati Uniti ci hanno provato, anche per scopi militari: durante la guerra del Vietnam, l'”Operazione Popeye” dell’esercito americano consisteva nel seminare nuvole nel tentativo di rallentare le truppe di Ho Chi Minh. L’efficacia della manovra è tuttora oggetto di dibattito. Da allora le tecniche sono cambiate relativamente poco, anche se la ricerca è in corso. In genere si tratta di disperdere particelle – ioduro d’argento, sale igroscopico, ecc. – nelle nuvole, sia con aerei che con generatori o razzi da terra. Le mini-particelle introdotte nella nuvola ne modificano la struttura e potenzialmente ne provocano la precipitazione.

Ma la semina ha le sue insidie. Anche perché è difficile valutare la reale efficacia delle tecniche. In Francia, l’Association nationale d’étude et de lutte contre les fléaux atmosphériques (Anelfa), istituita a cavallo degli anni ’50, utilizza questa tecnica per cercare di ridurre la grandine che danneggia le colture agricole. “È difficile valutare l’efficacia di questa tecnica a causa dell’ampia variabilità di questo fenomeno naturale“, ammette Claude Berthet, il suo direttore. “Ma le nostre indagini mostrano una correlazione tra le aree che hanno ricevuto lo ioduro d’argento e quelle che hanno ricevuto meno grandine”. Snowy Hydro riporta un aumento del 14% della neve nelle Snowy Mountains durante le campagne di semina.

Questo è solo un aspetto del problema. “L’idea principale alla base del cambiamento climatico è che stiamo andando verso una scarsità di risorse idriche, che porterà a un numero sempre maggiore di conflitti per averle”, avverte Marine de Guglielmo Weber, ricercatrice presso l’Istituto di Relazioni Internazionali e Strategiche, che ha scritto la sua tesi sull’argomento. In questo contesto, “le tecniche presentate come in grado di forzare una nube a precipitare quando normalmente ci sarebbero volute diverse ore per farlo diventeranno sempre più foriere di conflitti”. Nel 2018, ad esempio, un alto funzionario iraniano ha accusato Israele di ‘rubare’ le nubi iraniane.

Eppure, lamenta lo scrittore ed ex avvocato Mathieu Simonet, che ha appena pubblicato un articolo sull’argomento, non esiste una legge internazionale sulle nuvole. “Le nuvole sono un bene comune, quindi abbiamo bisogno di regole comuni per condividerle”, sostiene. “Soprattutto, queste regole comuni non devono essere determinate dalla posizione geografica: le nuvole circolano ovunque. Allo stesso modo, non devono essere determinate dalle capacità tecniche e dalla ricchezza di un particolare Paese”. Nel frattempo, l’autore sta girando la Francia per fare una campagna per il riconoscimento di una Giornata internazionale delle nuvole.

Il verde in città? Abbassa la temperatura ma non sempre l’inquinamento

La vegetazione in città contribuisce ad abbassare temperatura e velocità del vento, ma non porta sempre a una riduzione degli inquinanti nell’aria. È quanto emerge da due studi ENEA pubblicati sulla rivista scientifica Forests e realizzati nell’ambito del progetto Life VEG-GAP.

“Abbiamo usato sistemi modellistici per la qualità dell’aria, ma configurati in modo da includere con maggior dettaglio la vegetazione presente e la morfologia urbana, stimando la quantità di inquinanti rimossi e mostrando che, localmente, questa rimozione non garantisce sempre un miglioramento della qualità dell’aria”, spiega Mihaela Mircea, ricercatrice del Laboratorio Inquinamento atmosferico e responsabile del progetto per l’ENEA.

Nello scorso mese di luglio, nelle tre città prese in esame (Milano, Bologna e Madrid), i ricercatori Enea hanno rilevato che la vegetazione ha ridotto localmente la temperatura fino a 0,8° a Milano, 0,6° a Madrid e 0,4° a Bologna. Le concentrazioni di inquinanti, invece, sono variate con la stagione e a seconda della città presa in esame, perché sono il risultato di interazioni molto complesse tra centinaia di gas e composti chimici controllati dalle condizioni meteorologiche ed emissioni. D’estate, l’ozono, particolarmente dipendente dalle emissioni delle piante, ha mostrato una riduzione a Madrid (fino a -7,40 mg/m3) ma un aumento a Milano (fino a +2,67 mg/m3.).

Le variazioni dell’ozono hanno una relazione inversa con un altro inquinante come il biossido di azoto: infatti, quest’ultimo aumenta a Madrid (fino a +7,17 mg/m3) mentre diminuisce a Milano ( fino a -3,01 mg/m3). Nel caso del particolato atmosferico (PM10), la vegetazione ha un impatto più forte a gennaio, in corrispondenza dell’aumento delle emissioni antropiche, e mostra riduzioni a Milano (fino a -3,14 mg/m3) e aumenti a Madrid (fino a +2,01 mg/m3).

La presenza della vegetazione produce effetti in tutta la città, non solo nelle aree verdi, e non solo d’estate: gli alberi decidui infatti modificano le proprietà dell’aria anche in inverno, agendo come ostacoli che riducono la velocità del vento e la dispersione degli inquinanti, e come sorgente di acqua attraverso il suolo permeabile intorno a loro, aumentando così l’umidità relativa dell’aria. “I nostri studi hanno considerato l’interazione continua tra la vegetazione e l’aria urbana e sono applicabili in qualsiasi città che abbia a disposizione un inventario della vegetazione presente”, conclude Mircea.

Scoperto il legame tra gli eventi climatici estremi e l’acqua alta a Venezia

Esiste un legame tra i cambiamenti climatici in atto e l’aumento del numero e della gravità dei fenomeni di acqua alta a Venezia. E il Mose? E’ efficace, sia in termini di costi sia di benefici. A rivelarlo è uno studio pubblicato sulla rivista ‘Nature Climate Atmospheric Science’, realizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) in collaborazione con il Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi (CNRS) e l’International Centre for Theoretical Physics di Trieste (ICTP). La ricerca ha analizzato quattro eventi eccezionali di acqua alta che hanno interessato la città lagunare nel 1966, 2008, 2018 e 2019, danneggiando gravemente il patrimonio culturale ed economico di Venezia e minacciando luoghi iconici come la Basilica di San Marco.

“I risultati che abbiamo ottenuto hanno evidenziato chiaramente il legame esistente tra le modifiche nella circolazione atmosferica e l’aumento della gravità degli eventi di acqua alta, sottolineando la crescente vulnerabilità di Venezia ai cambiamenti climatici”, spiega Tommaso Alberti, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio. “In particolare, – spiega – abbiamo rivolto la nostra attenzione al Mose, l’infrastruttura progettata per proteggere la città dalle inondazioni, che si è dimostrato efficace in termini di costi e benefici per contenere gli effetti dell’acqua alta e il progressivo aumento del livello marino causato dal riscaldamento globale, che a Venezia viene accelerato anche dal fenomeno della subsidenza”.

Capire con discreta certezza la relazione tra eventi climatici ed eventi calamitosi è fondamentale per la tutela del patrimonio sociale, economico e culturale delle aree abitate. Tutte le politiche di protezione del territorio devono poter contare su dati scientifici con congrue previsioni, altrimenti si andrebbero a determinare allarmi non giustificati o (ancor peggio) mancati allarmi.

“Il nostro obiettivo a lungo termine resta quello di comprendere sempre meglio gli impatti di aumento del livello marino a Venezia, anche in condizioni di fenomeni estremi, per valutare i possibili scenari attesi nei prossimi anni e contribuire in modo proficuo al dibattito sullo sviluppo di strategie sempre più efficaci di mitigazione, adattamento e resilienza che i cambiamenti climatici e la subsidenza impongono in questa città patrimonio dell’UNESCO”, conclude Marco Anzidei, ricercatore dell’INGV e co-autore dello studio.

La ricerca costituisce un tassello importante per migliorare la comprensione delle cause e degli effetti legati agli eventi climatici estremi nelle città costiere, fornendo una solida base per attuare ulteriori azioni di monitoraggio e ricerca.

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Eventi estremi, aumento prezzi e ritardo politiche: 2023 anno nero per l’agricoltura

Strada in salita per l’agricoltura italiana, segnata sempre più dagli impatti della crisi climatica, dall’aumento dei prezzi e dai ritardi sul fronte delle politiche agricole. Nei primi dieci mesi del 2023 sono stati ben 41 gli eventi meteorologici estremi, una media di 4 al mese, che hanno causato danni all’agricoltura con pesanti ripercussioni economiche. Emilia-Romagna con 10 casi, Veneto (6), Toscana (4) e Piemonte (4) le regioni più colpite. Inoltre, ad aggravare il quadro si inserisce il ritardo italiano rispetto agli obiettivi europei fissati al 2030 dalle direttive From farm to fork e Biodiversity – che prevedono la riduzione del 50% dei pesticidi, del 20% dei fertilizzanti, del 50% degli antibiotici utilizzati negli allevamenti, il raggiungimento del 10% di aree dedicate a biodiversità e corridoi ecologici nei terreni agricoli e del 25 % di biologico a livello europeo. E’ la fotografia che emerge dal V Forum nazionale Agroecologia Circolare di Legambiente. Secondo i dati sugli eventi meteorologici estremi elaborati dal suo Osservatorio Città Clima, il 2023 può essere considerato un anno nero per l’agricoltura: se si guarda indietro negli anni, su un totale di 114 eventi estremi che hanno avuto impatti sull’agricoltura dal 2010 ad oggi, ben 80 (il 70%) sono avvenuti negli ultimi 4 anni (2020/2023). Nord e Sud Italia le zone più colpite in questi quattro anni con Emilia-Romagna 15 casi, Piemonte 14, Puglia 11, Veneto 10, Lombardia e Sicilia 7, in sofferenza.

Di fronte a questo quadro, a preoccupare è anche l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e il fatto che l’Italia sia in ritardo anche sull’attuazione del Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, il PAN, la cui ultima stesura risale al 2014 e la cui scadenza era fissata per il 2019. Oltre all’emanazione dei decreti attuativi della legge sull’agricoltura biologica approvata nel marzo 2022. “Preoccupante anche sul fronte europeo il ritardo e le incertezze sull’approvazione del SUR, il regolamento europeo sull’uso dei pesticidi, e la posizione favorevole dell’Italia sulla proroga all’utilizzo per altri dieci anni del glifosato in Europa, su cui è necessario un deciso cambio di rotta”, segnala Legambiente rilanciando la necessità di seguire la via maestra tracciata dall’agroecologia, dall’innalzamento dell’asticella dell’agricoltura integrata, dall’agricoltura bio e dalle tante esperienze virtuose, i cosiddetti ‘Ambasciatori dell’Agroecologia’. Sono questi per l’associazione ambientalista i tre pilastri su cui l’Italia deve accelerare il passo, recuperando anche i tanti ritardi accumulati fino ad ora e dicendo no all’utilizzo del glifosato in Europa.

Sei le proposte, di cui tre tecniche, che Legambiente indirizza oggi al Governo Meloni e in primis al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e che mettono al centro l’agroecologia, “capace di unire innovazione e sostenibilità rispondendo in maniera resiliente alla crisi climatica in atto, e l’agricoltura biologica che può fare da apripista all’intero settore agroalimentare. Per raggiungere questo obiettivo occorre prima di tutto superare il gap tra domanda e offerta, riducendo i costi per i produttori e per i consumatori”. Per questo Legambiente propone l’IVA al 2%per tutti i prodotti biologici certificati, bonus fiscali (dedicati alle donne in gravidanza, ai bambini e alle categorie più fragili) e credito d’imposta per le aziende agricole che decidono di convertirsi al biologico per ridurre i costi della certificazione oggi totalmente a carico degli agricoltori. Non va dimenticato che l’Italia è leader sul biologico con 90.000 operatori, più di 2 milioni di ettari coltivati a biologico e ha raggiunto il 18,7% della SAU (Nomisma 2023).

“Il nostro Paese – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambienteè pronto alla transizione ecologica delle filiere agroalimentari, chiede un cibo sempre più sano e giusto e vuole poter contare su un prodotto sostenibile dal campo alla tavola. Per andare in questa direzione serve rimettere al centro i tre pilastri della sostenibilità – ambientale, sociale ed economica – garantendo reddito e maggiore sicurezza agli operatori del settore. Favorire il made in Italy, sostenere le nostre filiere, fornendo supporto tecnico di fronte alle incertezze legate alla crisi climatica e all’aumento dei prezzi, è l’unica via dicendo allo stesso tempo no alla proroga per l’utilizzo del glifosato in Europa. L’agricoltura è in transizione, lavoriamo insieme affinché lo sia anche il Paese”.

“Il modello agroalimentare che vogliamo promuovere – spiega Angelo Gentili, responsabile nazionale agricoltura Legambientedeve essere capace di ridurre gli input negativi della chimica di sintesi, ma anche quelli idrici ed energetici, e diminuire fortemente le emissioni climalteranti, innalzando l’asticella dell’agricoltura integrata, promuovendo senza indugi il biologico, cambiando l’intero sistema a 360° e favorendo l’innovazione tecnologica. Deve poi scommettere sull’economia circolare, come già stanno facendo numerose aziende virtuose, sull’efficienza energetica; sul rinnovo del parco macchine; sul biogas e biometano fatto bene; sul fotovoltaico sui tetti dei capannoni, andando oltre l’autoconsumo e favorendo le comunità energetiche; sull’agrivoltaico, che unisce all’innovazione tecnologica dei pannelli fotovoltaici, le pratiche agricole realizzate in modo complementare, evitando consumo di suolo con una sinergia positiva fra produzione agricola ed energetica. È questa la ricetta vincente”.

Caldo record

Allarme clima, le vittime del caldo rischiano di quadruplicare entro il 2050

Il riscaldamento globale potrebbe quadruplicare i decessi causati dal caldo se non verranno adottati provvedimenti immediati per limitare l’aumento della temperatura sotto 1,5 gradi. E’ quanto riporta il rapporto 2023 del Lancet Countdown on Health and Climate Change, lanciando l’allarme sulla necessità “di una risposta incentrata sulla salute in un mondo che si trova ad affrontare danni irreversibili”. Con il mondo attualmente sulla buona strada per raggiungere un riscaldamento di 2,7°C entro il 2100 e con le emissioni legate all’energia che raggiungono un nuovo record nel 2022, la vita delle generazioni attuali e future è in bilico, segnala il rapporto secondo cui senza nuovi provvedimenti, entro metà secolo il numero delle morti dovute al caldo potrebbe aumentare di 4,7 volte, cioè del 370%.

Le nuove proiezioni globali contenute nell’ottavo rapporto annuale del Lancet Countdown on Health and Climate Change rivelano la grave e crescente minaccia per la salute derivante da ulteriori azioni ritardate sul cambiamento climatico, con il mondo che probabilmente registrerà un aumento di 4,7 volte dei decessi legati al caldo entro il 2050: nel 2022 gli individui sono stati, in media, esposti a 86 giorni di alte temperature pericolose per la salute, di cui il 60% aveva almeno il doppio delle probabilità che si verificassero a causa dei cambiamenti climatici causati dall’uomo. Si rileva inoltre che ondate di calore più frequenti potrebbero causare insicurezza alimentare per altri 525 milioni di persone in più entro il periodo compreso fra 2041 e il 2060, aggravando il rischio globale di malnutrizione. Il rapporto considera inoltre 47 indicatori sui benefici della mitigazione climatica per la salute.

Gli autori del rapporto denunciano quindi la “negligenza” di governi, aziende e banche che continuano a investire in petrolio e gas mentre le sfide e i costi dell’adattamento aumentano vertiginosamente e il mondo si avvicina a un danno irreversibile.

INADEGUATI SFORZI DI MITIGAZIONE. Pubblicato in vista della Cop28, la conferenza delle Nazioni Unite dedicata al clima e all’ambiente che si apre il 30 novembre a Dubai, il rapporto è frutto del lavoro di 114 esperti di 52 istituti di ricerca e agenzie dell’Onu. “Il nostro bilancio sulla salute rivela che oggi i crescenti rischi del cambiamento climatico stanno costando vite umane e mezzi di sussistenza in tutto il mondo. Le proiezioni di un mondo più caldo di 2°C rivelano un futuro pericoloso e ricordano tristemente che il ritmo e la portata degli sforzi di mitigazione visti finora sono stati tristemente inadeguati a salvaguardare la salute e la sicurezza delle persone”, afferma Marina Romanello, Direttrice Esecutiva della Lancet Countdown presso l’University College di Londra. “Con 1.337 tonnellate di anidride carbonica ancora emesse ogni secondo – dice – non stiamo riducendo le emissioni abbastanza velocemente da mantenere i rischi climatici entro i livelli che i nostri sistemi sanitari possono far fronte. L’inazione comporta un costo umano enorme e non possiamo permetterci questo livello di disimpegno: lo stiamo pagando in termini di vite umane. Ogni momento che ritardiamo rende il percorso verso un futuro vivibile più difficile e l’adattamento sempre più costoso e impegnativo”.

CRESCONO I DECESSI PER IL CALDO. Nel 2023, ricorda il rapporto, il mondo ha sperimentato le temperature globali più calde degli ultimi 100.000 anni e i record di calore sono stati battuti in ogni continente, esponendo le persone di tutto il mondo a danni mortali. Anche con l’attuale media decennale di riscaldamento globale di 1,14°C, le persone hanno sperimentato in media 86 giorni di alte temperature pericolose per la salute nel periodo 2018-2022. I decessi legati al caldo tra le persone di età superiore ai 65 anni sono aumentati dell’85% nel periodo 2013-2022 rispetto al periodo 1991-2000. Inoltre, la crescente potenza distruttiva degli eventi meteorologici estremi mette a repentaglio la sicurezza idrica e la produzione alimentare, mettendo milioni di persone a rischio di malnutrizione: nel 2021, rispetto al periodo tra il 1981 e il 2010, sono aumentate di 127 milioni in 122 Paesi le persone che hanno sperimentato insicurezza alimentare.

AUMENTA LA DIFFUSIONE DI MALATTIE INFETTIVE. Allo stesso modo, i cambiamenti climatici stanno accelerando la diffusione di malattie infettive potenzialmente letali. Ad esempio, i mari più caldi hanno aumentato di 329 km ogni anno a partire dal 1982 l’area delle coste mondiali adatta alla diffusione dei batteri Vibrio, che possono causare malattie e morte negli esseri umani, mettendo a rischio di malattie diarroiche e gravi infezioni la cifra record di 1,4 miliardi di persone. La minaccia è particolarmente elevata in Europa, dove le acque costiere adatte al Vibrio sono aumentate di 142 km ogni anno.

PERDITE ECONOMICHE PER 264 MILIARDI DI DOLLARI. In generale, conclude Lancet, il valore totale delle perdite economiche derivanti da eventi meteorologici estremi è stato stimato a 264 miliardi di dollari nel 2022, il 23% in più rispetto al periodo 2010-2014. L’esposizione al calore ha portato anche a 490 miliardi di ore potenziali di lavoro perse a livello globale nel 2022 (un aumento di quasi il 42% rispetto al periodo 1991-2000), con perdite di reddito che rappresentano una percentuale molto più elevata del PIL nei paesi a basso (6,1%) e medio reddito ( 3,8%). Queste perdite danneggiano sempre più i mezzi di sussistenza, limitando la capacità di far fronte e riprendersi dagli impatti dei cambiamenti climatici.

Eppure, “c’è ancora spazio per la speranza”, sostiene Romanello. “L’attenzione alla salute alla Cop28 è l’opportunità della nostra vita per garantire impegni e azioni. Se i negoziati sul clima porteranno ad un’equa e rapida eliminazione dei combustibili fossili, accelereranno la mitigazione e sosterranno gli sforzi di adattamento per la salute, le ambizioni dell’accordo di Parigi di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C saranno ancora realizzabili e un futuro prospero e sano sarà a portata di mano. A meno che tali progressi non si concretizzino, la crescente enfasi sulla salute nell’ambito dei negoziati sul cambiamento climatico rischia di rimanere solo parole vuote, con ogni frazione di grado di riscaldamento che esacerba i danni subiti da miliardi di persone oggi e dalle generazioni a venire”.