emissioni industriali

Clima, Report Ue: “Nel 2023 emissioni -8,3% ma serve continuare il lavoro”

L’azione per il clima dell’Unione europea dà risultati incoraggianti sulle riduzioni di emissioni, ma è necessaria un’azione continua per raggiungere gli obiettivi del 2030, 2040 e 2050 perché il cambiamento climatico, l’anno scorso, ha provocato più eventi catastrofici e perdite di vite umane e mezzi di sussistenza. È quanto emerge dal Report 2024 sui progressi dell’azione climatica pubblicato oggi dalla Commissione europea. Il documento mostra che le emissioni nette di gas serra (Ghg) dell’Unione europea sono diminuite dell’8,3% nel 2023 rispetto all’anno precedente. “Si tratta del calo annuale più grande degli ultimi decenni, ad eccezione del 2020, quando il Covid-19 ha portato a tagli delle emissioni del 9,8%. Le emissioni nette di Ghg sono ora inferiori del 37% rispetto ai livelli del 1990, mentre il Pil è cresciuto del 68% nello stesso periodo, a dimostrazione del continuo disaccoppiamento tra emissioni e crescita economica. L’Ue rimane sulla buona strada per raggiungere il suo impegno di ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030“, scrive l’esecutivo Ue.

Più nel dettaglio, le emissioni degli impianti elettrici e industriali coperti dal sistema di scambio di quote di emissione (Ets) dell’Ue hanno registrato un calo record del 16,5% nel 2023. “Le emissioni del settore Ets sono ora inferiori di circa il 47,6% rispetto ai livelli del 2005 e sono sulla buona strada per raggiungere l’obiettivo del 2030 del -62%. Con l’Ue Ets, le emissioni derivanti dalla produzione di elettricità e dal riscaldamento sono diminuite del 24% rispetto al 2022, trainate dalla crescita delle fonti energetiche rinnovabili, in particolare l’energia eolica e solare, e dalla transizione dal carbone. Le emissioni dell’aviazione sono aumentate del 9,5%, continuando la tendenza post-Covid. L’Ue Ets ha generato entrate pari a 43,6 miliardi di euro nel 2023 per investimenti in azioni per il clima“, puntualizza. Il report precisa che le emissioni di edifici, agricoltura, trasporti nazionali, piccola industria e rifiuti sono diminuite di circa il 2% nel 2023 e il pozzo di carbonio naturale dell’Ue è aumentato dell’8,5% nel 2023. “L’Ue è all’avanguardia nella transizione pulita, con un altro anno di forti riduzioni delle emissioni di gas serra nel 2023. L’Ue rappresenta ora il 6% delle emissioni globali“, ha commentato il commissario Ue per l’Azione climatica, Wopke Hoekstra.

Tuttavia, Bruxelles evidenzia che “sono necessari ulteriori sforzi per raggiungere gli obiettivi del 2030” perché , sebbene il rapporto fornisca notizie incoraggianti sulle riduzioni delle emissioni dell’Ue, “l’anno scorso ha visto anche più eventi catastrofici e perdite di vite umane e mezzi di sussistenza, causati dal nostro clima già in cambiamento, e le emissioni globali non hanno ancora raggiunto il picco. È necessaria un’azione continua per garantire che l’Ue raggiunga i suoi obiettivi per il 2030 e si metta sulla strada giusta per raggiungere il suo futuro obiettivo per il 2040 e l’obiettivo del 2050 di emissioni nette zero“.

Per la Commissione, infine, l’Ue deve anche continuare il suo impegno internazionale, a partire dalla Cop29. “Con l’imminente partenza per la Cop29, dimostriamo ancora una volta ai nostri partner internazionali che è possibile intraprendere azioni per il clima e allo stesso tempo investire nella crescita della nostra economia. Purtroppo, il rapporto dimostra anche che il nostro lavoro deve continuare, sia in patria che all’estero, perché stiamo vedendo i danni che il cambiamento climatico sta causando ai nostri cittadini“, ha evidenziato ancora Hoekstra.

Le emissioni di CO2 causate dagli incendi boschivi sono aumentate del 60% dal 2001 a oggi

Un nuovo importante studio rivela che le emissioni di anidride carbonica (CO2) prodotte dagli incendi boschivi sono aumentate del 60% a livello globale dal 2001 e sono quasi triplicate in alcune delle foreste boreali più sensibili al clima.
Lo studio, condotto dall’Università dell’East Anglia (UEA) e pubblicato su Science, ha raggruppato le aree del mondo in “piromi” – regioni in cui i modelli di incendio forestale sono influenzati da controlli ambientali, umani e climatici simili – rivelando i fattori chiave che guidano i recenti aumenti dell’attività degli incendi boschivi.

Si tratta di uno dei primi studi che esamina a livello globale le differenze tra incendi boschivi e non boschivi e mostra che in uno dei piromi più grandi, che comprende le foreste boreali in Eurasia e Nord America, le emissioni dovute agli incendi sono quasi triplicate tra il 2001 e il 2023.

Gli aumenti significativi sono stati osservati più in generale nelle foreste extratropicali e ammontano a mezzo miliardo di tonnellate di CO2 in più all’anno, con l’epicentro delle emissioni che si è spostato dalle foreste tropicali proprio verso quelle extratropicali.
La crescita delle emissioni è stata collegata all’aumento delle condizioni climatiche favorevoli agli incendi, come quelle di caldo-secco che si verificano durante le ondate di calore e le siccità, nonché all’aumento dei tassi di crescita delle foreste che creano più combustibili vegetali. Entrambe le tendenze sono favorite dal rapido riscaldamento delle alte latitudini settentrionali, che avviene a una velocità doppia rispetto alla media globale.

Lo studio rivela un preoccupante aumento non solo dell’estensione degli incendi boschivi negli ultimi due decenni, ma anche della loro gravità. Il tasso di combustione del carbonio – una misura della gravità degli incendi basata sulla quantità di carbonio emessa per unità di superficie bruciata – è aumentato di quasi il 50% nelle foreste di tutto il mondo tra il 2001 e il 2023.

Il lavoro ha coinvolto un team internazionale di scienziati – provenienti da Regno Unito, Paesi Bassi, Stati Uniti, Brasile e Spagna – che avvertono che un’ulteriore espansione degli incendi boschivi può essere evitata solo se si affrontano le cause primarie del cambiamento climatico, come le emissioni di combustibili fossili.

Le foreste sono importanti a livello mondiale per lo stoccaggio del carbonio: la loro crescita contribuisce a rimuovere la CO2 dall’atmosfera e a ridurre i tassi di riscaldamento globale. Svolgono inoltre un ruolo cruciale nel raggiungimento degli obiettivi climatici internazionali, con l’attuazione di programmi di riforestazione e imboschimento per rimuovere il carbonio dall’atmosfera e compensare le emissioni umane di CO2 provenienti da settori difficili da abbattere, come l’aviazione e alcune industrie. Il successo di questi programmi dipende dal fatto che il carbonio venga immagazzinato in modo permanente nelle foreste, e gli incendi selvaggi minacciano questo aspetto.

Clima, Aie: -10 mld di tonnellate di CO2 entro il 2030 rispettando gli obiettivi della Cop28

Se gli obiettivi energetici stabiliti alla conferenza sul clima Cop28 tenutasi a Dubai lo scorso anno venissero pienamente attuati, si ridurrebbero le emissioni di gas serra e si accelererebbe in modo significativo la trasformazione del settore energetico globale. Lo conferma un nuovo rapporto dell’Aie (Agenzia internazionale dell’energia), che può servire da guida per trasformare gli impegni collettivi dei Paesi in azioni concrete.

Alla Cop28, quasi 200 Paesi hanno concordato di lavorare per raggiungere un’ambiziosa serie di obiettivi energetici globali nell’ambito del cosiddetto UAE Consensus, tra cui emissioni net zero entro il 2050, abbandonare i combustibili fossili, triplicare la capacità di energia rinnovabile, raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030, accelerare la diffusione di altre tecnologie a basse emissioni. Il nuovo rapporto dell’Aie, ‘From Taking Stock to Taking Action: How to implement the COP28 energy goals’ ,è la prima analisi globale completa di ciò che si potrebbe ottenere mettendo in pratica gli obiettivi – e di come si può fare.

Il rapporto evidenzia la fattibilità del raggiungimento degli obiettivi di triplicazione e raddoppio, in particolare, anche se sottolinea che ciò dipenderà da ulteriori sforzi internazionali per creare le giuste condizioni di base, nonché dal fatto che i Paesi utilizzino l’UAE Consensus come bussola per la prossima serie di Contributi Nazionali Determinati (NDC) nell’ambito dell’Accordo di Parigi.

Gli obiettivi fissati da quasi 200 Paesi alla Cop28 “possono essere trasformativi per il settore energetico globale, mettendolo su una corsia preferenziale verso un futuro più sicuro, accessibile e sostenibile. Per garantire che il mondo non perda questa enorme opportunità, l’attenzione deve spostarsi rapidamente sull’attuazione”, ha dichiarato il direttore esecutivo dell’Aie, Fatih Birol. Come dimostra questo nuovo rapporto gli obiettivi energetici della Cop28 “dovrebbero gettare le basi per i nuovi obiettivi climatici dei Paesi nell’ambito dell’Accordo di Parigi: sono la stella polare di ciò che il settore energetico deve fare”. Inoltre, un’ulteriore cooperazione internazionale è “fondamentale per realizzare reti adeguate, un sufficiente stoccaggio dell’energia e un’elettrificazione più rapida, che sono parte integrante di una transizione energetica pulita rapida e sicura”.

Secondo il rapporto, l’obiettivo di triplicare la capacità globale di energia rinnovabile entro il 2030 è raggiungibile grazie a un’economia favorevole, a un ampio potenziale produttivo e a politiche forti. Ma una maggiore capacità non significa automaticamente che una maggiore quantità di elettricità rinnovabile ripulirà i sistemi energetici mondiali, abbasserà i costi per i consumatori e ridurrà l’uso dei combustibili fossili.

Secondo il documento, per sbloccare tutti i benefici dell’obiettivo di triplicazione, i Paesi devono impegnarsi a costruire e modernizzare 25 milioni di chilometri di reti elettriche entro il 2030. Il mondo avrebbe inoltre bisogno di 1 500 gigawatt (GW) di capacità di stoccaggio dell’energia entro il 2030, di cui 1 200 GW dovrebbero provenire da batterie di stoccaggio, un aumento di 15 volte rispetto al livello attuale.

Il rapporto, poi, sottolinea la necessità di un approccio più granulare e specifico per ogni Paese per raggiungere l’obiettivo critico di raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. In questo modo si potrebbero tagliare i costi energetici globali di quasi il 10%, ridurre le emissioni di 6,5 miliardi di tonnellate e rafforzare la sicurezza energetica dei Paesi.

Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo è necessario che i governi di tutto il mondo facciano dell’efficienza energetica una priorità politica molto più importante e si concentrino senza sosta su azioni chiave. Per le economie avanzate, ciò significa puntare sull’elettrificazione, dato che per raddoppiare l’efficienza è necessario portare la quota dell’elettricità nel consumo energetico globale al 30% entro il 2030. Il rapporto rileva che i veicoli elettrici e le pompe di calore sono molto più efficienti delle loro alternative tradizionali. Nel frattempo, per le economie emergenti, standard di efficienza più severi – in particolare per le apparecchiature di raffreddamento come i condizionatori d’aria – sono fondamentali per un progresso più rapido. E per i Paesi che non hanno pieno accesso alle moderne forme di energia, il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’accesso universale a fonti di cottura pulite riduce significativamente la domanda di energia, trasforma le vite e i mezzi di sussistenza e previene milioni di morti precoci.

Il rapporto rileva che il pieno raggiungimento degli obiettivi della Cop28 per le energie rinnovabili e l’efficienza ridurrebbe le emissioni globali di 10 miliardi di tonnellate entro il 2030, contribuendo a dare al mondo una possibilità di raggiungere gli obiettivi di temperatura dell’Accordo di Parigi.

Il documento è stato pubblicato durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, in concomitanza con la Settimana del clima. Nel corso della settimana, i leader del governo, dell’industria e della società civile si riuniscono per discutere le opportunità di una maggiore azione sui temi dell’energia, del clima e dello sviluppo sostenibile. Oltre a questi eventi, l’Aie ospiterà il terzo della serie di dialoghi di alto livello sulla transizione energetica in collaborazione con la presidenza della Cop29. Il dialogo con i decisori globali a New York si concentrerà sui risultati di questo rapporto e sulle prossime tappe.

Auto elettrica

Vendite auto ko in Europa. Acea chiede misure urgenti e cambia posizione su target CO2

L’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea) cambia posizione e non insiste più per un rinvio di due anni degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dell’Ue entro il 2025. Ora chiede che Bruxelles adotti misure urgenti per affrontare le crescenti sfide nel raggiungimento di questi obiettivi, poiché la quota di mercato dei veicoli elettrici a batteria continua a diminuire in tutta l’Unione. In una nota mette in luce una serie di preoccupazioni significative riguardo alla transizione verso una mobilità a zero emissioni e la sostenibilità del settore automobilistico europeo nel suo complesso.

Un aspetto fondamentale sottolineato da Acea è che la tecnologia dei veicoli e la disponibilità di modelli a zero emissioni non rappresentano più un collo di bottiglia per l’industria. Ci sono però criticità lungo la transizione: spicca l’insufficienza delle infrastrutture di ricarica elettrica e di rifornimento di idrogeno, che rappresentano un freno alla diffusione di massa dei veicoli elettrici. La scarsità di queste infrastrutture crea una notevole incertezza tra i consumatori, che esitano ad abbandonare i veicoli tradizionali per passare a soluzioni più ecologiche, spiega Acea, come emerge dalle immatricolazioni di agosto. Le vendite di nuove auto nell’Ue hanno registrato un forte calo (-18,3%) con risultati negativi nei quattro principali mercati della regione: perdite a due cifre sono state registrate in Germania (-27,8%), Francia (-24,3%) e Italia (-13,4%), con il mercato spagnolo in calo del 6,5%. In particolare le immatricolazioni di auto elettriche a batteria sono diminuite del 43,9% a 92.627 unità (rispetto alle 165.204 dello stesso periodo dell’anno scorso), con la loro quota di mercato totale scesa al 14,4% dal 21% dell’anno precedente.

Oltre a questo, l’associazione dei produttori di autoveicoli europei richiama l’attenzione sul problema della competitività dell’industria automobilistica del Vecchio Continente, che ha subito una forte erosione negli ultimi anni, un fenomeno confermato anche dal rapporto redatto dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi. Le preoccupazioni non riguardano solo le infrastrutture fisiche, ma anche la fornitura di energia verde, che non è sufficientemente accessibile e a costi competitivi, e la necessità di incentivi fiscali e agevolazioni per l’acquisto di veicoli elettrici, strumenti cruciali per stimolare il mercato e incentivare i consumatori a scegliere soluzioni a basse emissioni. Un altro punto fondamentale evidenziato da Acea riguarda la fornitura di materie prime come le batterie e l’idrogeno, che non è ancora garantita in modo adeguato per sostenere l’aumento della produzione di veicoli elettrici.

Di fronte a questi ostacoli, Acea esprime preoccupazione per la fattibilità del raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per auto e furgoni previsti entro il 2025. Le normative attuali, secondo l’associazione, non tengono conto dei cambiamenti significativi intervenuti nel contesto geopolitico ed economico globale negli ultimi anni. La rigidità di queste regole, che non riescono ad adattarsi agli sviluppi del mondo reale, rischia di aggravare ulteriormente le difficoltà di un settore già sotto pressione. Questo scenario solleva la prospettiva di multe multimiliardarie, evidenzia Acea, che potrebbero essere invece reinvestite per accelerare la transizione verso zero emissioni. Se le sanzioni non saranno evitate, il settore potrebbe essere costretto a ridurre inutilmente la produzione, con conseguenti perdite di posti di lavoro e un indebolimento della catena di fornitura europea.

La preoccupazione maggiore di Acea è, dunque, che l’industria automobilistica europea non possa permettersi di attendere la prevista revisione delle normative sulle emissioni, che è in programma per il 2026 o 2027. La nota dei produttori europei sottolinea che è necessaria “un’azione urgente” e concreta già nell’immediato per invertire la tendenza negativa attuale e per ripristinare la competitività dell’industria dell’Ue. Particolarmente importante, secondo Acea, sarà anche una “revisione anticipata delle normative per i veicoli pesanti”, in modo da garantire che le infrastrutture necessarie per camion e autobus siano ampliate tempestivamente, affinché anch’essi possano contribuire agli obiettivi di riduzione delle emissioni. Acea, quindi, chiede una discussione per un “pacchetto di misure di sostegno a breve termine” che possa contribuire al raggiungimento degli obiettivi di CO2 per auto e furgoni entro il 2025. Inoltre, l’associazione ribadisce l’importanza di una “revisione rapida, completa e solida delle normative sulla CO2” sia per auto che per veicoli pesanti, oltre a una legislazione secondaria mirata, al fine di avviare in modo deciso la transizione verso una mobilità a emissioni zero e assicurare un futuro industriale sostenibile per l’Europa.

Mucche

La Danimarca introduce carbon tax su allevamenti bestiame: è la prima al mondo

La Danimarca diventerà il primo Paese al mondo a tassare le flatulenze del bestiame, una misura unica nel suo genere pensata per avvicinare il Paese scandinavo, che sostiene di essere uno dei più rispettosi del clima, all’obiettivo della neutralità del carbonio entro il 2045. A partire dal 2030, le emissioni di metano – il secondo gas serra più potente nell’atmosfera – causate dalle flatulenze di bovini e suini danesi saranno tassate per 300 corone (40,2 euro) per tonnellata di CO2 equivalente. Questo importo salirà a 750 corone (circa 100 euro) cinque anni dopo, nel 2035, secondo i termini di un accordo raggiunto alla fine di giugno tra il governo, parte dell’opposizione e i rappresentanti degli allevatori, dell’industria e dei sindacati.

Il testo deve ancora essere approvato dal Parlamento, che lo esaminerà dopo l’estate. Per Christian Fromberg, specialista di agricoltura di Greenpeace, il testo “è motivo di speranza in un momento in cui molti Paesi stanno facendo marcia indietro sulla loro azione per il clima“. “Anche se la carbon tax avrebbe dovuto essere più alta e introdotta prima, rimane un passo importante“, ha dichiarato all’AFP.

Allo stesso tempo, il capo di Greenpeace ha deplorato il fatto che “sia stata sprecata un’enorme opportunità” per consentire “all’agricoltura danese di muoversi in una nuova direzione“, nonostante le sue pratiche rimangano altamente intensive e scarichino molto azoto, responsabile della deossigenazione delle acque. Senza ossigeno, la flora e la fauna marina scompaiono.
Per l’Associazione danese per l’agricoltura sostenibile, invece, l’accordo è “inutile“. È “un giorno triste per l’agricoltura“, si legge in un comunicato stampa. “Come agricoltore, mi sento a disagio perché stiamo partecipando a un esperimento incerto” che potrebbe minacciare “la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare“, afferma il suo presidente Peter Kiaer, ricordando l’abbandono da parte della Nuova Zelanda di una proposta simile di fronte a una rivolta degli allevatori.

Per ammorbidire il conto per gli agricoltori danesi, il piano propone una detrazione fiscale del 60%. Il costo reale per gli agricoltori dovrebbe essere di 120 corone (16 euro) per tonnellata a partire dal 2030, per salire a 300 corone cinque anni dopo. Tuttavia, le proiezioni del ministero dell’Economia stimano che l’accordo potrebbe comportare la perdita di 2.000 posti di lavoro nel settore entro il 2035.

Le entrate generate dalla tassa saranno reinvestite nella transizione ecologica dell’industria agricola. Oltre il 60% della superficie del Paese è dedicata all’agricoltura. Inoltre, il maggese di 140.000 ettari dovrebbe contribuire ad aumentare lo stoccaggio di carbonio nel suolo, riducendo così la concentrazione di gas serra nell’atmosfera.

In Danimarca abbiamo il mito di essere pionieri quando si tratta di ecologia“, lamenta Fromberg. “È molto difficile dire che questo accordo sia storico. Fa seguito all’intensificazione dell’agricoltura danese negli ultimi 70 anni. E l’accordo incoraggia l’agricoltura danese a rimanere il Paese produttore di carne più intensivo al mondo“. La Danimarca è uno dei principali esportatori mondiali di carne suina, che rappresenta quasi la metà delle esportazioni agricole del Paese, secondo il Danish Agriculture and Food Council.

emissioni

Clima, calano emissioni di CO2 in Cina: è la prima volta dopo la pandemia

Per la prima volta dalla fine della pandemia di Covid-19 e dalla conseguente ripresa economica, le emissioni di CO2 sono diminuite in Cina. Il calo di marzo è dovuto all’aumento della capacità di energia rinnovabile, che ha coperto la quasi totalità della crescita della domanda di elettricità in questo periodo, e anche al crollo dell’edilizia.
Se la capacità di energia rinnovabile continuerà a crescere a livelli record, le emissioni della Cina potrebbero raggiungere il picco nel 2023, secondo un’analisi di Lauri Myllyvirta del Centre for Energy and Clean Air Research (CREA).

In uno studio pubblicato sul sito specializzato Carbon Brief, il ricercatore indica che le emissioni di anidride carbonica della Cina sono diminuite del 3% nel marzo 2024 rispetto all’anno precedente. Nel primo trimestre, le emissioni sono ancora superiori a quelle dell’anno precedente, ma questo si spiega con una base di confronto ancora molto bassa nei mesi di gennaio e febbraio 2023, a seguito dell’abolizione delle restrizioni Covid-19 nel dicembre 2022. Marzo è “il primo mese a dare una chiara indicazione dell’andamento delle emissioni dopo il rimbalzo post-Covid”, secondo lo studio pubblicato martedì. È anche in linea con le proiezioni dello scorso anno e suggerisce alcune tendenze chiave.

Le emissioni del settore elettrico si sono stabilizzate grazie all’aumento della produzione di energia solare ed eolica, mentre la produzione di acciaio è diminuita dell’8% e quella di cemento del 22% rispetto all’anno precedente, riflettendo un rallentamento del settore edilizio che si prevede continuerà.

La crescente adozione di veicoli elettrici in Cina – il 10% delle auto in circolazione secondo i dati dei fornitori – continua a pesare sulla domanda di petrolio.

Sebbene la domanda di elettricità sia aumentata, in particolare a causa dell’acquisto di condizionatori d’aria, quasi il 90% di quella aggiuntiva a marzo è stata soddisfatta da fonti di energia rinnovabili, sottolinea Lauri Myllyvirta.

Nonostante la crescita della capacità, l’energia eolica e solare rappresentano ancora solo il 15% della produzione di elettricità in Cina e le autorità stanno lavorando per integrare maggiormente queste fonti nella rete.

La traiettoria delle emissioni in Cina rimane tuttavia incerta, con gli esperti che non riescono a stabilire se l’installazione di capacità di energia rinnovabile aumenterà o rallenterà in futuro. Secondo lo studio, inoltre, gli obiettivi governativi di crescita economica suggeriscono che Pechino potrebbe ancora registrare un aumento delle emissioni.

La Cina continua a investire nel carbone e, sebbene la crescita della capacità di carbone sia leggermente rallentata nel primo trimestre di quest’anno, un numero significativo di centrali elettriche è ancora in costruzione.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Smog, Eurostat: A fine 2023 emissioni gas serra Ue -4% annuale

Secondo Eurostat nel IV trimestre del 2023, le emissioni di gas serra dell’economia dell’Ue sono state stimate a 897 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti (CO2 -eq), una diminuzione del 4% rispetto allo stesso trimestre del 2022 (935 milioni di tonnellate di CO2 -eq). Il prodotto interno lordo (PIL) dell’UE è rimasto stabile, registrando solo un lieve aumento (0,2% nel IV trimestre del 2023, rispetto allo stesso trimestre del 2022). Nell’infografica INTERATTIVA di GEA è possibile confrontare la crescita economica e la variazione delle emissioni emesse a fine 2023 Paese per Paese.

La lotta al cambiamento climatico passa anche dalla…radiologia

Nella lotta al cambiamento climatico ciascuno può fare la propria parte, radiologi compresi. Un gruppo di autori diversi, guidati dall’Università di Toronto, ha sviluppato un approccio per i reparti e gli studi di radiologia per ridurre le emissioni di gas serra e diventare più resistenti agli effetti del cambiamento climatico. Il loro piano d’azione è stato pubblicato su Radiology, rivista della Radiological Society of North America(RSNA).

“L’aumento delle emissioni di gas serra provoca cambiamenti climatici, eventi meteorologici estremi e un peggioramento dell’inquinamento atmosferico con effetti negativi sulla salute”, spiega l’autrice principale Kate Hanneman, secondo la quale “l’obiettivo di questo articolo è aumentare la consapevolezza del rapporto interconnesso tra salute del pianeta e radiologia, sottolineare perché i radiologi dovrebbero preoccuparsi della sostenibilità, mostrare le azioni che possono essere attuate per mitigare il nostro impatto e preparare i reparti ad adattarsi agli effetti del cambiamento climatico”.

Si stima, infatti, che la radiologia, attraverso la produzione e l’uso di apparecchiature di imaging medico e delle relative forniture, generi fino all’1% delle emissioni complessive. Da qui l’esigenza di “un approccio coordinato e di azioni concrete” da mettere in atto. Gli autori suggeriscono che i dipartimenti di radiologia dovrebbero istituire di un team di sostenibilità per monitorare e misurare le metriche chiave e gli indicatori di performance.
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Gli interventi ad alto impatto raccomandati per migliorare la sostenibilità in radiologia includono anche il passaggio da forniture mediche monouso a quelle riutilizzabili, lo spegnimento dei sistemi di climatizzazione nelle aree non occupate e quelle delle apparecchiature quando non sono in uso. Come spiega Hanneman, spegnendo gli scanner o portandoli a livelli di potenza inferiori quando non sono in uso, le emissioni complessive di gas serra possono essere ridotte fino al 33% per la risonanza magnetica e tra il 40% e l’80% per la TAC.

Un’altra azione potenziale consiste nell’implementare strumenti di supporto alle decisioni per scegliere esami di imaging a basso consumo energetico, quando è opportuno. Le emissioni di anidride carbonica equivalente variano a seconda della modalità di imaging e sono più elevate per la risonanza magnetica e la tomografia computerizzata rispetto agli ultrasuoni e alle radiografie.

Gli autori suggeriscono anche di abbreviare i protocolli di imaging e di espandere l’uso delle applicazioni cliniche della RM a basso campo e di collaborare con i produttori per aggiornare o rinnovare le apparecchiature piuttosto che acquistarne di nuove, quando possibile. Per ridurre i rifiuti di imballaggio, si suggerisce, poi, di passare da sistemi di iniezione di contrasto monodose a sistemi multipaziente e di stabilire programmi di gestione dei rifiuti sostenibili.

“Non tutte le azioni suggerite saranno applicabili o attuabili in ogni reparto di radiologia”, dice l’autrice, che invita i team che si occupano di sostenibilità a “pensare in modo creativo per determinare quali azioni avranno il maggiore impatto nel loro reparto”.

Che ne è stato degli obiettivi della Cop15? L’Italia li ha raggiunti tutti

Diciannove Paesi su 34 non sono riusciti a rispettare pienamente gli impegni climatici assunti 15 anni anni fa a Copenaghen con obiettivi al 2020. E’ quanto emerge da un nuovo studio condotto da ricercatori della University College London (Ucl), pubblicato su Nature Climate Change. Il team ha confrontato le emissioni nette di carbonio effettive di oltre 30 nazioni con gli obiettivi di riduzione delle emissioni promessi nel 2009 durante il vertice sul clima di Copenhagen. E da questa analisi l’Italia esce vincente.

Il lavoro guidato dai ricercatori dell’Ucl e dell’Università Tsinghua è il primo sforzo per valutare in modo esaustivo in che misura i Paesi sono stati in grado di rispettare gli impegni di riduzione del Contributo Nazionale Determinato assunti durante la COP15.

Delle 34 nazioni analizzate nello studio, 15 hanno raggiunto con successo i loro obiettivi (Bulgaria, Croazia, Danimarca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti.), mentre 12 hanno fallito completamente (Australia, Austria, Canada, Cipro, Irlanda, Giappone, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svizzera). I restanti sette Paesi (Belgio, Repubblica Ceca, Francia, Ungheria, Lussemburgo, Malta e Polonia) rientrano in una categoria che gli autori dello studio hanno definito “gruppo a metà strada”: nazioni che hanno ridotto le emissioni di carbonio all’interno dei propri confini, ma lo hanno fatto in parte utilizzando il commercio per spostare le emissioni che avrebbero prodotto in altri Paesi. Conosciuta come “rilocalizzazione delle emissioni di carbonio” o “trasferimento di carbonio”, questa esternalizzazione è una preoccupazione crescente tra i responsabili delle politiche ambientali.

Per ‘seguire’ questa ‘fuga’ di CO2, i ricercatori hanno utilizzato un metodo di tracciamento delle emissioni “basato sul consumo” che fornisce uno schema più completo per calcolare le emissioni totali di carbonio di un Paese. Non tiene conto solo delle emissioni derivanti dalle attività economiche all’interno dei confini territoriali della nazione, ma anche dell’impronta di carbonio dei beni importati e prodotti all’estero.

L’autore principale, il professor Jing Meng (UCL Bartlett School of Sustainable Construction), spiega che “la nostra preoccupazione è che i Paesi che hanno faticato a raggiungere gli impegni presi nel 2009 incontreranno probabilmente difficoltà ancora più consistenti nel ridurre ulteriormente le emissioni.”

Questi obiettivi di emissione sono stati fissati nel 2009 al vertice internazionale sul clima COP15 di Copenaghen. In quell’occasione, nonostante l’impossibilità di raggiungere un accordo globale, i singoli Paesi del mondo hanno stabilito i propri obiettivi individuali di riduzione delle emissioni. Ciò significa che gli obiettivi stabiliti variano notevolmente, dal modesto ma riuscito impegno della Croazia di ridurre le emissioni di carbonio del 5%, allo sforzo relativamente ambizioso ma infruttuoso della Svizzera di abbassarle 20-30% entro il 2020, rispetto ai livelli del 1990.

La ricerca evidenzia anche le disparità tra i diversi punti di partenza dei Paesi. Sebbene quattro Paesi dell’Europa orientale – Estonia, Lituania, Lettonia e Romania – siano riusciti a raggiungere i loro obiettivi, i ricercatori sottolineano che ciò è dovuto soprattutto al fatto che gran parte dell’industria della regione utilizzava tecnologie obsolete e altamente inefficienti, risalenti ai primi anni ’90, che sono state abbandonate di recente.

Inoltre, i ricercatori avvertono che i Paesi che hanno faticato di più a raggiungere gli obiettivi della COP15 probabilmente incontreranno sfide ancora più grandi in futuro, dato che dovranno far fronte a una domanda di energia ancora maggiore con l’ulteriore espansione e sviluppo delle loro economie.

I principali modi in cui i Paesi sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi di emissione sono stati l’aumento della quantità di energia pulita prodotta, in particolare la transizione dal carbone, e un uso più efficiente dell’energia prodotta. I Paesi che non sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi sono stati in gran parte incapaci di farlo perché l’aumento del consumo associato all’aumento del Pil pro capite e alla crescita della popolazione ha superato i loro sforzi per aumentare l’efficienza.

Il più recente Accordo di Parigi, firmato nel 2015 alla COP21, ha stabilito un quadro globale più ambizioso e completo per ridurre le emissioni di carbonio che ha sostituito questi contributi determinati a livello nazionale.

Baldino (Cnpr): La scure dell’Ue sugli allevamenti di polli e maiali

L’Europarlamento ha approvato la revisione della ‘IED’, la direttiva sulle emissioni industriali che ha l’obiettivo di monitorare l’inquinamento prodotto dagli allevamenti intensivi e impianti industriali. “La direttiva si rivolge ai grandi allevamenti di suini e pollame – sottolinea Salvatore Baldino, consigliere d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – ma esclude quelli bovini, per i quali la Commissione Ue si è data tempo fino al 31 dicembre 2026 per intervenire con l’introduzione di una ‘clausola di reciprocità’ che garantisca anche ai produttori dei Paesi terzi che esportano verso il mercato comunitario l’obbligo di soddisfare requisiti simili alle norme UE”. “I settori interessati sono obbligati a fissare livelli di emissioni nocive molto più stringenti. Inoltre – prosegue Baldino – saranno fissati obiettivi obbligatori sul consumo di acqua, obiettivi vincolanti per rifiuti, efficienza delle risorse, efficienza energetica e uso delle materie prime”. Le aziende che non si adegueranno alla direttiva, rischiano penali pari al 3% del fatturato annuo interno Ue.