Clima, l’aumento di CO2 e di metano minaccia il Mediterraneo

L’area del Mediterraneo è sempre più a rischio a causa del continuo aumento delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di metano (CH4). È quanto emerge dal Report dell’Osservatorio Climatico ENEA ‘Madonie – Piano Battaglia’ che dal 2005 effettua misure settimanali della concentrazione dei due gas e di altri parametri climatici. I dati, che dimostrano la minaccia per il Mediterraneo, sono sovrapponibili a quelli rilevati dall’Osservatorio ENEA di Lampedusa e, su scala globale, da differenti istituzioni internazionali e sono stati presentati alla vigilia della Giornata Meteorologica Mondiale che ricorre domani, 23 marzo 2024, quest’anno dedicata al tema ‘In prima linea nell’azione per il clima’.

“La concentrazione atmosferica di CO2 a Madonie-Piano Battaglia è aumentata dal 2005 con un tasso di crescita di 2.16 ppm/anno a causa delle emissioni antropiche”, evidenzia Francesco Monteleone del Laboratorio ENEA di Osservazioni e misure per l’ambiente e il clima. “Inoltre – aggiunge – si osserva una forte crescita anche per la concentrazione atmosferica di metano, e lo stesso trend si sta registrando, con una crescita accelerata negli ultimi 15 anni, anche su scala globale”.

L’alta quota, la posizione geografica, l’assenza di contaminazioni locali e l’accuratezza delle misure fanno dell’Osservatorio Climatico ENEA un sito di eccellenza per il monitoraggio e lo studio dei meccanismi legati al cambiamento climatico su scala regionale e globale. Per queste caratteristiche l’Osservatorio ha ottenuto il riconoscimento di stazione regionale, rappresentativo per tutta l’area del Mediterraneo centrale, nell’ambito del Global Atmosphere Watch (GAW), che è la rete mondiale per lo studio del clima globale dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO).

L’Osservatorio Climatico di Piano Battaglia dispone di vari strumenti di misura tra cui una stazione meteorologica e un sistema di campionamento dell’aria per determinare la concentrazione di CO2, metano e monossido di carbonio, i cui campioni vengono spediti e analizzati all’Osservatorio Climatico ENEA di Lampedusa. I dati messi a disposizione della rete mondiale del WMO sono utili alle amministrazioni locali per pianificare le azioni volte a una gestione sostenibile del territorio e a sensibilizzare la popolazione.

Scoperto colorante ecologico per tingere di blu il jeans

Ridurre l’impatto ambientale della tintura dei jeans e tutelare la sicurezza dei lavoratori. Arriva da uno studio pubblicato su Nature Communications un nuovo metodo per rendere più sostenibile il settore della tintura tessile, che potrebbe ridurre del 92% il danno ambientale, a fronte di un modesto aumento dei costi. La produzione di denim blu, un’industria da miliardi di dollari, attualmente utilizza un colorante chiamato indaco, l’unica molecola conosciuta in grado di fornire questo colore unico. Il processo genera notevoli emissioni di CO2 e comporta l’utilizzo di grandi quantità di sostanze chimiche tossiche, che possono causare inquinamento ambientale e avere un impatto sulla salute dei lavoratori del settore tessile e delle comunità locali.

L’Indican, un precursore incolore dell’indaco, offre un’alternativa ecologicamente interessante alla tintura del denim, poiché non richiede l’uso di sostanze chimiche aggressive e può essere convertito in indaco direttamente sul filato. Tuttavia, per adottare questo approccio, sono necessari metodi per produrre grandi quantità di questa sostanza.

Ditte Welner, Katrine Qvortrup e colleghi della Technical University of Denmark, hanno ingegnerizzato una variante migliorata di un enzima chiamato indoxil glicosiltransferasi, presente nella pianta Polygonum tinctorium, in grado di produrre indican in modo economico su scala industriale. Hanno inoltre dimostrato processi di tintura economicamente fattibili e a basso impatto per convertire l’indican in indaco e tingere il denim, tra cui un approccio che utilizza gli enzimi e un altro guidato dalla luce. In quest’ultimo caso, è stato dimostrato che varie fonti di luce aiutano a tingere il denim in soluzione con il tessuto, tra cui Led ad alta efficienza energetica, luce naturale e persino una lampadina domestica. La tintura guidata dalla luce può potenzialmente ridurre l’impatto ambientale della tintura del jeans del 73%, rispetto a una riduzione del 92% con quella enzimatica. Gli autori suggeriscono che questi metodi potrebbero ridurre la produzione di rifiuti tossici e diminuire le emissioni globali annue di CO2 di 3.500.000 tonnellate, dal momento che, secondo le analisi di mercato, ogni anno vengono commercializzati 4 miliardi di paia di jeans.

Gli autori suggeriscono che un impatto ambientale ridotto potrebbe fornire un incentivo per una produzione più localizzata nel mercato occidentale del denim, che potrebbe migliorare la trasparenza della catena di approvvigionamento e la sostenibilità dell’industria tessile.

Clima, emissioni e sostenibilità: la Commissione europea rivendica i 10 “risultati chiave”

La prima legge europea sul clima, il fondo europeo per una transizione giusta, il dispiegamento di colonnine elettriche su strade e autostrade d’Europa. E, ancora, la revisione dell’Ets, il sistema di certificati di emissioni, affiancato dal nuovo sistema di carbon tax transfrontaliero. Con la legislatura europea agli sgoccioli la Commissione prova a fare un bilancio dell’attività svolta e i successi ottenuti nel corso del mandato. Per quanto riguarda la parte ‘green’ dell’azione dell’esecutivo comunitario, il rapporto stilato a Bruxelles, si concentra su 10 risultati considerati chiave.

Al primo posto viene menzionata la prima legge europea sul clima, approvata nel 2021, che fissa obiettivi chiari per fare dell’Ue una regione climaticamente neutrale entro il 2050, oltre a fissare l’obiettivo di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, rispetto al 1990. Obiettivi rivisti a febbraio 2024, con la raccomandazione della Commissione per un ulteriore obiettivo intermedio di ridurre del 90% le emissioni entro il 2040.

Secondo obiettivo chiave raggiunto: il Just Transition Fund. “Con il sostegno di 19,7 miliardi di euro di finanziamenti – rivendica la Commissione – l’Ue ha aiutato le regioni vulnerabili a diversificare le attività economiche e ad affrontare l’impatto socioeconomico della transizione pulita”.

Terzo risultato della lista: sostegno a gli agricoltori di 22 Stati membri con 330 milioni di euro per far fronte agli impatti degli eventi climatici e ai maggiori costi dei fattori di produzione. A questo si aggiunge la concessione di flessibilità ai governi nazionali per integrare il sostegno dell’U e fino al 200% con fondi nazionali e di fornire anticipi più elevati sui fondi della politica agricola comune per migliorare il flusso di cassa degli agricoltori.

Risultato numero quattro: “Dal 2019 abbiamo approvato sette importanti progetti di comune interesse europeo (IPCEI) che coinvolgono 22 Stati membri”. Questi progetti ambiziosi riguardano, ad esempio, le batterie, la microelettronica, l’idrogeno e il cloud computing. Con aiuti di Stato pari a 32,9 miliardi di euro, si sbloccheranno almeno 50,3 miliardi di euro di investimenti privati aggiuntivi.

Il punto numero 5 della lista dei principali obiettivi ‘green’ raggiunti nella legislatura riguarda lazione per utilizzare meglio le risorse scarse e ridurre i rifiuti. Qui, sottolinea la Commissione, “abbiamo adottato misure per rendere i prodotti più sostenibili, riducendo i 2,2 miliardi di tonnellate di rifiuti che l’Ue produce ogni anno”.

In termini di efficienza e sostenibilità, il grande successo numero sei per la Commissione è “la nostra forte attenzione all’uso più intelligente dei materiali” dimostrata con il Nuovo Bauhaus europeo. “Con oltre 600 organizzazioni partner ufficiali che vanno dalle reti a livello europeo alle iniziative locali, il Bauhaus raggiunge ora milioni di cittadini”.

Ancora, durante questo mandato la Commissione ha aggiornato il sistema di scambio di quote di emissioni dell’Ue (ETS) per coprire più attività, motivando più settori economici ad attuare riforme verso la transizione pulita. Ciò genera maggiori entrate che verranno reinvestite in innovazione, azione per il clima e sostegno sociale, ad esempio attraverso il Fondo per l’innovazione, il Fondo per la modernizzazione e il Fondo sociale per il clima.

Risultato ‘green’ numero otto: la trasformazione sostenibile del settore trasporti. “Abbiamo sostenuto la produzione di batterie nell’Ue e lo sviluppo dell’idrogeno pulito”, sottolinea la Commissione. “Abbiamo inoltre stabilito requisiti per garantire che le stazioni di ricarica per veicoli elettrici siano disponibili ogni 60 km nella rete transeuropea dei trasporti”.

Nove: il meccanismo di adeguamento delle frontiere del carbonio (Cbam). Con questo meccanismo “abbiamo affrontato la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio, assicurandoci che le emissioni siano ridotte ovunque vengano prodotte, e non semplicemente all’estero”.

Infine, il Piano d’azione ‘Inquinamento zero’ (Zero Pollution) della Commissione, che ha portato a proposte per standard modernizzati sulla qualità dell’acqua, della qualità dell’aria, delle emissioni industriali e delle sostanze chimiche.

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Nuovo record nel 2023 per le emissioni globali di CO2 legate all’energia

Le emissioni globali di CO2 legate all’energia sono aumentate dell’1,1% nel 2023, raggiungendo un livello record, soprattutto a causa della scarsa produzione idroelettrica causata dalla siccità e dalla crescita in Cina. Lo riferisce l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Aie). Queste emissioni energetiche, che rappresentano circa il 90% dell’anidride carbonica emessa dall’uomo, sono aumentate di 410 milioni di tonnellate, raggiungendo i 37,4 miliardi di tonnellate lo scorso anno, secondo il rapporto di riferimento dell’Aie. Tuttavia, la tendenza non sembra essere così negativa come l’anno precedente, quando le emissioni sono aumentate di 490 milioni di tonnellate.

Il bilancio del 2023 è stato appesantito da un calo record della produzione idroelettrica globale, a causa delle gravi e prolungate siccità che hanno colpito diverse regioni del mondo. Questo effetto, da solo, ha comportato un aumento delle emissioni di circa 170 milioni di tonnellate: i Paesi interessati (Cina, Canada, Messico, ecc.) sono ricorsi ad altri mezzi inquinanti per produrre elettricità, come l’olio combustibile o il carbone.

La Cina, che ha aggiunto 565 milioni di tonnellate di CO2 al totale globale, ha proseguito la crescita economica ad alta intensità di emissioni, iniziata dopo la crisi di Covid-19. Questa tendenza è in contrasto con quella delle economie avanzate, che hanno visto le loro emissioni diminuire di una quantità record nonostante la crescita del Pil, con l’uso del carbone al livello più basso dall’inizio del 1900. Secondo l’Ipcc, le cifre del 2023 non vanno nella giusta direzione, dato che le emissioni di gas serra di tutti i settori devono diminuire del 43% entro il 2030 rispetto al 2019, se vogliamo rimanere entro il limite di 1,5°C stabilito dall’Accordo di Parigi. Le emissioni globali devono inoltre raggiungere il picco entro il 2025.

Ma l’Aie tiene a sottolineare l’importante contributo delle energie “pulite“, comprese le rinnovabili. “La transizione verso l’energia pulita sta procedendo alacremente e sta riducendo le emissioni, anche se la domanda globale di energia crescerà più rapidamente nel 2023 rispetto al 2022“, sottolinea il direttore esecutivo dell’Aie Fatih Birol. Tra il 2019 e il 2023, le emissioni legate all’energia aumenteranno di circa 900 milioni di tonnellate. Tuttavia, l’Aie sottolinea che questa cifra sarebbe stata tre volte superiore senza la diffusione di cinque tecnologie chiave: solare, eolica, nucleare, pompe di calore e auto elettriche.

L’agenzia pubblicherà venerdì anche un rapporto separato dedicato specificamente al mercato dell’energia pulita, che mostra un forte aumento dell’energia solare ed eolica. Ma questa diffusione è rimasta “troppo concentrata nelle economie avanzate e in Cina“, mentre il resto del mondo è in ritardo. “Abbiamo bisogno di sforzi molto maggiori per consentire alle economie emergenti e in via di sviluppo di aumentare i loro investimenti nell’energia pulita“, ha sottolineato ancora una volta Fatih Birol.

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Mangrovie a difesa dell’ambiente: con deforestazione +50.000% emissioni CO2

Il tasso annuale di emissioni di CO2, dovuto al degrado delle riserve di carbonio nelle foreste di mangrovie, aumenterà di quasi il 50.000% entro la fine del secolo. Particolarmente colpite sono le mangrovie in regioni come l’India meridionale, la Cina sudorientale, Singapore e l’Australia orientale. E’ l’allarme che emerge da un nuovo studio pubblicato sulla rivista Environmental Research Letters della IOP Publishing.

Di fatto, le foreste di mangrovie immagazzinano una grande quantità di carbonio, in particolare nei loro suoli, ma lo sviluppo umano e urbano in queste aree ha portato al degrado di queste riserve. Negli ultimi 20 anni, un numero considerevole di foreste è stato sostituito dall’agricoltura, dall’acquacoltura e dalla gestione del territorio urbano, portando le riserve globali di carbonio a diminuire di 158,4 milioni di tonnellate, rilasciando lo stesso livello di emissioni di carbonio prodotte dal volo dell’intera popolazione degli Stati Uniti da New York a Londra.

Lo studio, condotto da Jennifer Krumins, professoressa di biologia alla Montclair State University, insieme a due dottorandi, Shih-Chieh Chien e Charles Knoble, si è concentrato sulla relazione tra la densità della popolazione umana e le riserve di carbonio nel suolo nelle foreste di mangrovie urbane per quantificare il loro ruolo nel bilancio globale di CO2.

I risultati mostrano che quando la densità di popolazione raggiunge le 300 persone/km2 (simile alla densità di popolazione media del Regno Unito o del Giappone), si stima che il carbonio immagazzinato nei terreni di mangrovie vicino alle aree popolate sia inferiore del 37% rispetto a quelle in aree isolate. Allo stesso tempo, il tasso annuo di emissioni di carbonio derivanti dalla perdita di mangrovie è attualmente stimato a 7,0 teragrammi, in linea con l’aumento della densità di popolazione fino a 3.392 teragrammi secondo le attuali previsioni alla fine del secolo.

Le foreste di mangrovie coprono circa lo 0,1% della superficie terrestre, ma svolgono un ruolo fondamentale nel fornire habitat alla fauna selvatica e nel regolare la stabilità climatica globale. Queste mangrovie immagazzinano una grande quantità di carbonio, in particolare nei loro terreni, e sono essenziali per regolare il ciclo del carbonio su scala globale. I terreni di mangrovie contengono da tre a quattro volte la massa di carbonio tipicamente presente nelle foreste boreali, temperate o tropicali. “Questo lavoro sottolinea l’importanza di proteggere le mangrovie esistenti, soprattutto nelle aree ad alta densità di popolazione – commenta Krumins – Le foreste di mangrovie sono fondamentali per la regolamentazione del sequestro del carbonio ed è importante proteggerle. Il primo passo è comprendere l’impatto delle popolazioni e delle attività umane sugli stock di carbonio delle foreste di mangrovie”.

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Clima, gli alberi faticano a ‘respirare’ per colpa del surriscaldamento globale

Gli alberi faticano a sequestrare l’anidride carbonica (CO2) nei climi più caldi e secchi, il che significa che potrebbero non essere più una soluzione per compensare l’impronta di carbonio dell’umanità con il continuo riscaldamento del pianeta. E’ quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori della Penn State. “Abbiamo scoperto che gli alberi nei climi più caldi e secchi stanno essenzialmente ‘tossendo’ invece di respirare”, spiega Max Lloyd, professore assistente di ricerca in geoscienze presso la Penn State e autore principale dello studio recentemente pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences. “Rimandano la CO2 nell’atmosfera molto più di quanto non facciano gli alberi in condizioni più fresche e umide”.

Attraverso il processo di fotosintesi, gli alberi rimuovono la CO2, tuttavia, in condizioni di stress, rilasciano anidride carbonica nell’atmosfera, con un processo chiamato fotorespirazione. Il team di ricerca ha dimostrato che il tasso di fotorespirazione è fino a due volte superiore nei climi più caldi, soprattutto quando l’acqua è limitata. In sostanza, le piante potrebbero essere meno in grado di estrarre CO2 dall’atmosfera e assimilare il carbonio necessario per aiutare il pianeta a raffreddarsi.

Secondo il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, attualmente le piante assorbono circa il 25% della CO2 emessa ogni anno dalle attività umane, ma è probabile che questa percentuale diminuisca in futuro con il riscaldamento del clima. La quantità di anidride carbonica nell’atmosfera sta aumentando rapidamente; è già superiore a quella registrata negli ultimi 3,6 milioni di anni, secondo la National Oceanic and Atmospheric Administration.

Il team lavorerà ora per scoprire i tassi di fotorespirazione nel passato antico, fino a decine di milioni di anni fa, utilizzando legno fossile. I metodi consentiranno ai ricercatori di testare esplicitamente le ipotesi esistenti in merito al cambiamento dell’influenza della fotorespirazione delle piante sul clima nel corso del tempo geologico.
Il lavoro è stato finanziato in parte dall’Agouron Institute, dalla Heising-Simons Foundation e dalla National Science Foundation degli Stati Uniti.

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INFOGRAFICA INTERATTIVA Trasporti, le emissioni di gas serra in Ue dal 1990

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento delle emissioni causate dai trasporti in Ue e la tassazione ambientale nei vari Paesi europei. Secondo Eurostat, tra il 1990 e il 2019, le emissioni totali di gas serra nell’Ue dovute alla combustione di carburanti nei trasporti – senza contare l’aviazione e la navigazione internazionali – sono aumentate del 23,8%, ovvero di 160 milioni di tonnellate di CO₂-equivalente. Nel 2020, a causa dell’impatto della crisi Covid-19 sui trasporti, erano diminuite del 13,5% rispetto al 2019. Nel 2021 si è verificata una parziale ripresa, poiché le emissioni di gas serra nell’Ue dovute alla combustione di combustibili nei trasporti sono aumentate dell’8,6%. Eurostat spiega anche che nel 2021 sono stati raccolti 326 miliardi di euro di entrate fiscali ambientali, pari al 2,24% del Pil. Le imposte ambientali sui trasporti sono state valutate in 59 miliardi di euro, il 18,1% di tutte le imposte ambientali, pari allo 0,41% del Pil. Tra gli Stati membri dell’Ue, le tasse ambientali sui trasporti variavano dallo 0,04% del Pil in Estonia allo 0,81% in Grecia, allo 0,83% in Austria, allo 0,87% nei Paesi Bassi e all’1,17% in Danimarca.

Sostenibilità, il futuro industriale Ue tra acciaio pulito e idrogeno verde

Per raggiungere la neutralità bisogna investire e consentire la transizione, l’industria dell’acciaio può beneficiare di 700 milioni di euro per l’innovazione“. Il direttore generale di Dg Rtd (Research and Innovation) della Commissione Europea, Marc Lemaitre, mette in luce così il modo in cui l’industria siderurgica europea spingerà il futuro di lungo termine della sostenibilità ambientale di un settore da cui dipendono le ambizioni dell’Unione di arrivare a emissioni nette zero entro il 2050. All’evento ‘European Clean Steel: Stand up together for a future low emission industry’, organizzato a Venezia da Regione Veneto ed European Research Executive Agency (Rea), sono state tracciate le direttrici dello sviluppo sul campo dell’acciaio pulito, con l’alleato fondamentale dell’idrogeno verde, anche grazie alle priorità politiche e ai finanziamenti Ue.

Abbiamo una produzione di 150 milioni di tonnellate all’anno, più di 300 mila lavoratori specializzati impiegati e più di 2,5 milioni di lavoratori ne dipendono indirettamente”, ha esordito Lemaitre a proposito dei dati sull’industria siderurgica europea, ricordando che “questo settore deve essere decarbonizzato in un lasso di tempo ridotto, è arrivato il momento di agire e cambiarlo”. Proprio da Bruxelles può arrivare una spinta decisiva, considerato il fatto che “nel 2024 sono a disposizione 100 milioni di euro da Rfcs e 100 milioni da Horizon Europe”, contributi “fondamentali” per l’innovazione, che richiedono però “maggiore partecipazione attiva” nell’ambito del Fondo di ricerca carbone e acciaio (Rfcs).

Il 2024 “è un anno importante, con un bando che si chiude il 7 febbraio”, ha ricordato la direttrice dell’Agenzia esecutiva europea per la salute e il digitale (Hadea), Marina Zanchi, parlando dell’implementazione dei progetti di partnership sull’acciaio pulito, “uno strumento cruciale di collaborazione con le industrie”. L’Agenzia Ue sta finanziando 15 progetti per l’acciaio pulito in 3 aree principali: “Circolarità attraverso il miglioramento e la valorizzazione dei rottami, sviluppo e diffusione di tecnologie a bassa emissione di carbonio, e ottimizzazione del processo produttivo”, ha ricordato Zanchi. “I vecchi metodi di produzione non sono più in linea con le prospettive di un’Europa più verde” in termini di “efficienza, riduzione delle emissioni e creazione di un’economia competitiva”, le ha fatto eco il direttore dell’European Research Executive Agency (Rea), Marc Tachelet.

Al centro dell’interesse c’è in particolare l’idrogeno che, come assicurato dal direttore di Rea, “grazie al piano RePowerEu svolgerà ruolo fondamentale per la produzione pulita dell’acciaio”. Parole simili sono state scelte dal direttore generale Lemaitre: “L’idrogeno è un alleato cruciale per la produzione di acciaio pulito, il 30 per cento della produzione dovrà essere decarbonizzato entro il 2030 utilizzando proprio l’idrogeno”. In questo senso la ricerca e l’innovazione “serviranno per trovare anche altre soluzioni e per sostenere la diffusione delle nuove tecnologie per la neutralità energetica”, con la promessa al settore siderurgico che la Commissione creerà “un’agenda per una migliore e più veloce diffusione di queste tecnologie”.

Sul territorio l’interesse è “altissimo” su iniziative “come quelle sull’acciaio pulito legato all’idrogeno verde, che hanno l’obiettivo della decarbonizzazione”, ha confermato l’assessore all’Ambiente della Regione Veneto, Gianpaolo Bottacin, nel suo intervento di apertura dell’evento a Venezia. Proprio l’idrogeno può diventare “la sfida per il futuro” della regione e dell’intero continente: “L’acciaio è un’attività molto energivora, se riusciamo a sostituire la fonte energetica basata sui fossili con l’idrogeno, possiamo ottenere grandi risultati”, ha concluso Bottacin.

Trasporti, accordo Ue su taglio emissioni dei veicoli pesanti: -90% entro 2040

Nuovi autobus a emissioni zero dal 2035 (con una tappa intermedia del 90% nel 2030) e riduzione del 90% al 2040 per i camion. I negoziatori del Parlamento e del Consiglio Ue hanno raggiunto oggi (18 gennaio) un accordo politico sul regolamento emissioni di CO2 dei veicoli pesanti, camion e autocarri. Uno degli ultimi file legislativi del Green Deal rimasti da completare prima della fine della legislatura.

I colegislatori hanno mantenuto gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dalla Commissione europea nella sua proposta, pari al 45% per il periodo 2030-2034, del 65% per il 2035-2039 e del 90% a partire dal 2040, applicandoli ai camion di grandi dimensioni con un peso superiore alle 7,5 tonnellate (compresi i veicoli professionali, come camion della spazzatura, ribaltabili o betoniere a partire da 2035) e autobus.

L’Europarlamento ha insistito per porre fine al motore a combustione entro il 2040, ma si è rivelata un’ambizione troppo lontana. Nonostante questo, “sono soddisfatto di questi obiettivi, perché rappresentano un’enorme accelerazione e la portata della legge è stata ampliata nei negoziati, il che è importante per le nostre ambizioni climatiche”, dichiara l’eurodeputato dei Verdi, Bas Eickhout, capo negoziatore per conto del Parlamento.

Quanto ai nuovi autobus urbani, le norme prevedono una riduzione delle emissioni del 90% entro il 2030 e zero emissioni entro il 2035. I colegislatori hanno concordato di esentare gli autobus interurbani da questo obiettivo e di inserire questo tipo di HDV negli obiettivi generali per gli autobus.

Dopo il tentativo fallito di riaprire la partita dei biocarburanti nel regolamento sulle emissioni delle auto (che ha prescritto un contestato stop all’immatricolazione di nuove auto a combustibili tradizionali, auto e benzina dal 2035), l’Italia ha provato a fare la stessa cosa sul regolamento per i mezzi pesanti chiedendo di inserire nelle nuove norme il fattore di correzione del carbonio, ovvero un modo per contabilizzare il contributo dei carburanti a zero-basse emissioni (come i biocarburanti) all’interno dei regolamenti che riguardano la mobilità.

La richiesta è stata accolta solo in parte. Secondo l’accordo la Commissione effettuerà una revisione dettagliata sull’efficacia e sull’impatto del regolamento entro il 2027. Questa revisione valuterà, tra l’altro, l’estensione del campo di applicazione ai piccoli camion, il ruolo di una metodologia per la dei veicoli pesanti veicoli pesanti (HDV) alimentati esclusivamente con registrazione carburanti a zero emissioni di CO2, in conformità con la normativa Ue e l’obiettivo di neutralità climatica e il ruolo di un fattore di correzione del carbonio nella transizione verso veicoli pesanti a emissioni zero, come richiesto anche dall’Italia.

emissioni gas serra

Rapporto Censis 2023: Italia solo -27% emissioni in 20 anni. Territorio fragile

Sulla transizione ecologica ed energetica il cammino è ancora lungo. A confermarlo sono anche i dati del 57esimo rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, presentato oggi al parlamentino del Cnel. Il dato più allarmante riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra, perché “tra il 1990 e il 2021” considerando le tonnellate pro capite all’interno dell’Unione europea “sono diminuite del 34,5%, sebbene nel 2021 si sia registrato un aumento rispetto all’anno precedente dovuto alla ripresa dell’attività economica dopo la pandemia“. Nei cinque maggiori Paesi membri emerge sì una riduzione generalizzata, ma nel dettaglio è la Germania a posizionarsi sul gradino più alto del podio con un incoraggiante -40%, arrotondato per difetto. Il nostro Paese, invece, “non riesce a mantenere il passo, raggiungendo un calo del 27,2%, inferiore al dato medio europeo, a quello francese e tedesco”, sottolinea l’analisi del Centro studi investimenti sociali.

I temi ambientali occupano molto dello spazio del report, che ovviamente tocca tutti i settori cruciali della vita del Paese. “La transizione energetica ha superato la prima stazione di arrivo e appare evidente che ora serve un bilanciamento tra sicurezza degli approvvigionamenti, innovazione tecnologica, riduzione dell’impatto delle attività industriali, schiodando la coscienza collettiva ferma al caro-energia“, mette in luce il Censis.

Per quel che riguarda i fenomeni climatici che stanno sconvolgendo l’ecosistema italiano, il rapporto 2023 mette in evidenza che “il 28,6% degli italiani ritiene azione prioritaria per superare le fragilità nei territori sia lavorare immediatamente per ridurre il rischio idrogeologico“. Perché “alluvioni e frane sono ogni anno più numerose e gli eventi sono sempre più estremi con costi economici e umani molto elevati“. L’altra via per la tutela del territorio consiste “nell’evitare di consumare ulteriormente suolo attraverso la rifunzionalizzazione delle aree abbandonate (lo pensa il 20,2%) o mediante regole restrittive (11,8%)“. E ancora, “il 17,8% ritiene che l’azione più importante da intraprendere consista invece nel diminuire le emissioni di gas clima-alteranti, causa del riscaldamento del pianeta. Ma il 72,9% si dichiara contrario alle azioni di sensibilizzazione sui temi ambientali dei gruppi organizzati come l’imbrattamento di monumenti e palazzi storici. Per l’83,7% degli ultrasessantacinquenni queste azioni dimostrative sono sbagliate, ma la quota si riduce tra ha tra 35 e 64 anni (72,2%)“.

Andando ancora più nel dettaglio, “Bologna e Firenze presentano una quota di popolazione esposta al rischio di alluvioni pari rispettivamente al 56,1% e al 36,9% del totale. Superiore alla media nazionale anche la quota a Genova (15,9%) e Reggio Calabria (14,3%). Un cittadino di Venezia su cinque convive con il rischio di alluvione“. Mentre sulla dispersione idrica, il Censis rileva che “in media viene sprecato il 42,2% di tutta l’acqua immessa nelle reti idriche locali con effetti sempre più negativi soprattutto in momenti di forte siccità prolungata“. Viene definita “molto critica” la situazione nel Sud, “dove si arriva al 55,4% di spreco nel caso di Catania“. Più in generale, considerando l’importanza delle città metropolitane nella partita per la sostenibilità dell’intero Paese, “nei 1.268 comuni che costituiscono le 14 città metropolitane italiane vivono poco meno di 21,3 milioni di italiani, il 36,2% del totale, occupando il 15,4% della superficie nazionale“. La densità del verde, però, “è uno dei punti deboli“. Infatti, “nelle città metropolitane di Torino (7,4 mq ogni 100 mq di superficie), Venezia (6,5 mq), Firenze (3,7 mq) e Palermo (2 mq)” è “superiore a quanto si registra in media nelle province italiane (1,7 mq di verde ogni 100 mq di superficie)“.

Infine, per quanto riguarda i dati Censis sulla mobilità, quello che emerge dal Rapporto 2023 è che “la diffusione delle auto elettriche ha avuto un forte incremento in Francia e Germania, dove la percentuale di autovetture a zero emissioni immatricolate nel 2020 è stata superiore al 6%“. In Italia “è stata solo del 2,3%“.