Enel punta su nucleare di quarta generazione: siglata partnership con la start-up Newcleo

Enel scommette sul nucleare di quarta generazione e firma un accordo di cooperazione con la società di tecnologie nucleari pulite ‘newcleo’. Insieme, perseguiranno l’opportunità di lavorare insieme sui progetti di tecnologia nucleare di quarta generazione di ‘newcleo’, che mirano a fornire una fonte di energia sicura e stabile, nonché ridurre significativamente gli esistenti volumi di scorie radioattive, attraverso il loro utilizzo come combustibile per reattori. In linea con l’accordo, Enel collaborerà con ‘newcleo’ su progetti legati a questa avanzata tecnologia nucleare, fornendo competenze specialistiche attraverso la condivisione di personale qualificato dell’azienda. In considerazione del supporto fornito, ‘newcleo’ si è impegnata ad assicurare ad Enel un’opzione come primo investitore nel primo impianto nucleare che ‘newcleo’ costruirà fuori dall’Italia.

L’innovazione è fondamentale per lo sviluppo di tecnologie in grado di garantire energia pulita, affidabile, accessibile e il più possibile indipendente da fattori geopolitici. Per questo motivo, continuiamo a esplorare qualsiasi area del mix energetico“, ha dichiarato Francesco Starace, amministratore delegato di Enel.Questa collaborazione con ‘newcleo’ è l’ultimo esempio dell’instancabile ricerca delle migliori aziende con cui intraprendere il nostro viaggio verso un futuro pulito e siamo impazienti di accompagnare ‘newcleo’ nel suo sfidante e promettente percorso per fornire elettricità a emissioni zero in modo sicuro, economico e sostenibile”. Sono lieto che Enel abbia scelto di collaborare con ‘newcleo’. Enel sta dimostrando grande lungimiranza nell’essere una delle prime aziende energetiche ad apprezzare e supportare la nostra strategia sostenibile e il suo impatto sul nostro futuro collettivo“, ha dichiarato Stefano Buono, CEO di ‘newcleo’.La tecnologia Fast Reactor di ‘newcleo’ è il passo necessario nell’industria nucleare per consentire il riciclaggio multiplo dell’uranio già estratto e una massiccia riduzione delle scorie nucleari. Inoltre, l’uso del piombo apre la possibilità a un funzionamento più sicuro ed economico del reattore“.

Enel ha una lunga esperienza nella tecnologia nucleare e attualmente dispone di una capacità nucleare di oltre 3,3 GW in Spagna, oltre a detenere una partecipazione di circa il 33% nella società slovacca Slovenské elektrárne che ha recentemente collegato alla rete il primo dei due generatori a turbina dell’unità 3 della centrale nucleare di Mochovce, la seconda centrale nucleare di nuova costruzione ad essere collegata alla rete europea in 15 anni. ‘Newcleo’ lavora per realizzare reattori innovativi, che riducono significativamente i volumi esistenti di scorie radioattive e di plutonio, oltre ad eliminare la necessità di estrarre uranio dal sottosuolo, con benefici di lungo termine per le comunità e l’ambiente.
Il primo passo della delivery roadmap di ‘newcleo’ sarà la progettazione e la costruzione di un Mini LFR (Lead Fast Reactor) da 30 MWe, primo nel suo genere, da realizzare in Francia entro il 2030, seguito rapidamente da un’unità commerciale da 200 MWe nel Regno Unito. Allo stesso tempo, ‘newcleo’ investirà direttamente in un impianto di manifattura di MOX (Mixed uranium/plutonium Oxide, prodotto da scorie nucleari esistenti) per alimentare i suoi reattori.

 

Caro-bollette, Antitrust contesta 7 società: “Aumenti ingiustificati per 2,6 milioni di famiglie”

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato sette procedimenti istruttori e deciso di adottare altrettanti provvedimenti cautelari nei confronti delle principali società fornitrici di energia elettrica e di gas sul mercato libero, che rappresentano circa l’80% del mercato. Secondo l’Authority, infatti, solo “metà degli operatori interessati ha rispettato la legge evitando di modificare le condizioni economiche – dopo il 10 agosto 2022 – ovvero revocando gli aumenti illecitamente applicati”. In altri termini, non tutti gli operatori si sono attenuti all’articolo 3 del Decreto Aiuti Bis – approvato il 9 agosto e convertito in legge il 21 settembre, che recita testualmente: “Fino al 30 aprile 2023 è sospesa l’efficacia di ogni eventuale clausola contrattuale che consente all’impresa fornitrice di energia elettrica e gas naturale di modificare unilateralmente le condizioni generali di contratto relative alla definizione del prezzo ancorché sia contrattualmente riconosciuto il diritto di recesso alla controparte. Fino alla medesima data (…) sono inefficaci i preavvisi comunicati per le suddette finalità prima della data di entrata in vigore del presente decreto, salvo che le modifiche contrattuali si siano già perfezionate”.

L’Antitrust contesta a Enel, Eni, Hera, A2A, Edison, Acea ed Engie la mancata sospensione delle comunicazioni di proposta di modifica unilaterale delle condizioni economiche, inviate appunto prima del 10 agosto e, in seguito, “le proposte di aggiornamento o di rinnovo dei prezzi di fornitura, di carattere peggiorativo, giustificate sulla base della asserita scadenza delle offerte a prezzo fisso”. Ad Acea viene anche contestata “l’asserita efficacia delle comunicazioni di modifica unilaterale del prezzo di fornitura perché inviate prima dell’entrata in vigore del Decreto Aiuti bis (10 agosto 2022) e non ‘perfezionate’ prima della stessa data”.
Questi ultimi interventi vanno ad aggiungersi ai quattro procedimenti istruttori e agli altrettanti provvedimenti cautelari adottati nei confronti delle società Iren, Dolomiti, E.On e Iberdrola e fanno seguito a un’ampia attività preistruttoria svolta nei confronti di 25 imprese. In base a questa mole di dati, all’Auhority “risulta che i consumatori, i condomini e le microimprese interessati dalle comunicazioni di variazione delle condizioni economiche sono 7.546.963, di cui circa 2.667.127 avrebbero già subito un ingiustificato aumento di prezzo”.

“Ogni giorno – commenta il presidente di Consumerismo No Profit, Luigi Gabriele – ancora oggi, decine di consumatori scaricano la modulistica sul nostro sito per diffidare i gestori dall’applicare qualsiasi aumento delle tariffe di fornitura per luce e gas, a indicare come il fenomeno sia ancora molto esteso”. Incalza il Codacons, che invoca l’intervento della magistratura: “Dopo i provvedimenti adottati oggi dall’Antitrust, abbiamo deciso di presentare un nuovo esposto a 104 Procure della Repubblica di tutta Italia, affinché si indaghi a tutto campo sul comportamento delle società del mercato libero, accertando se le pratiche adottate possano configurare eventuali fattispecie penalmente rilevanti, dalla truffa all’appropriazione indebita, fino all’interruzione di pubblico servizio”.
Dal comunicato dell’Antitrust si legge infine che Enel, Eni, Hera, A2A, Edison, Acea ed Engie adesso “dovranno sospendere l’applicazione delle nuove condizioni economiche, mantenendo o ripristinando i prezzi praticati prima del 10 agosto 2022 e, inoltre, dovranno comunicare all’Autorità le misure che adotteranno al riguardo”.
Le imprese hanno sette giorni per difendersi e l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato potrà confermare o meno i provvedimenti cautelari. Hera, Edison ed Enel hanno già comunicato le proprie posizioni in merito e che si riservano di tutelare le proprie ragioni nelle sedi competenti. Il Gruppo Hera “ritiene di avere sempre operato in modo conforme alle norme vigenti e nel pieno rispetto degli impegni contrattuali con i propri clienti”, Edison ribadisce di essersi limitata “ai rinnovi delle condizioni economiche alla naturale scadenza contrattuale” ed Enel precisa “di non avere modificato alla propria clientela le condizioni economiche durante il periodo di validità dei contratti”.

 

 

Enel

Enel accelera su rinnovabili: bollette meno care del 20%

Meno debito, meno gas, bollette meno care, più rinnovabili, più elettrificazione, più utile netto. Enel presenta un piano 2023-2025 prudente, visto che “ci aspettano altri due anni di turbolenze” nei mercati energetici come ha sottolineato l’ad Francesco Starace parlando con analisti e giornalisti, ma sostenibile. In tutti i sensi.

Intanto si comincia da una progressiva riduzione della dipendenza dal gas e per questo l’obiettivo è proporre circa il 90% delle vendite a prezzo fisso con elettricità carbon-free nel 2025, portando la generazione da fonti rinnovabili a circa il 75% del totale – un aumento di circa 15 TWh (+7%) rispetto alle stime per il 2022 -, nonché digitalizzando circa l’80% dei clienti di rete. La prospettiva è offrire una bolletta ridotta del 20%, perché se l’energia viene dalle rinnovabili e l’incasso è fisso, garantendo dunque investimenti certi al gruppo, l’utente finale può beneficiare di prezzi più bassi e stabili.

Per arrivare al target sono dunque fondamentali proprio gli investimenti, che saranno complessivamente circa 37 miliardi di euro in tre anni, di cui il 60% a sostegno della strategia commerciale e il 40% a favore delle reti. Reti che necessitano di maggiori fondi per implementare la digitalizzazione, con lo scopo di migliorare l’efficienza e ridurre le interruzioni, raggiungendo un System Average Interruption Duration Index di circa 150 minuti nel 2025 (-35% rispetto alle stime per il 2022), inoltre si punta a raggiungere ad arrivare all’80% (+20%) dei clienti di rete digitalizzati. Il faro resta comunque sempre la produzione di energia, capacità che distingue Enel da altri operatori di mercato: il gruppo prevede di aggiungere circa 21 GW di capacità rinnovabile installata. E per essere ancora più performante il management ha deciso di dare un taglio con i mercati che, secondo le stime degli stessi amministratori, non possono crescere più di tanto. Quindi via da Romania, Perù e Argentina, così da dirottare tutti gli investimenti su soli 6 Paesi ‘core’: Italia, Spagna, Brasile, Cile e Colombia. Discorso a parte per gli Stati Uniti, dove l’ad Starace per ora non ha in mente di fare acquisizioni, tuttavia non sarebbe esclusa una quotazione proprio della divisione americana magari fra un anno. Gli Usa inoltre potrebbero ospitare una replica di 3Sun Gigafactory, il maxi impianto di pannelli che sorgerà in Sicilia, “magari insieme con qualche partner finanziario”, ha precisato il Ceo di Enel.

Via dal gas ma anche via da un eccesso di indebitamento che potrebbe frenare le attività del gruppo nei prossimi anni. Anche per questo la società si concentra su 6 Paesi più potenzialmente redditizi. Dalle cessioni, e i colloqui sono in corso, si genereranno 21 miliardi, dei quali 10 andranno proprio a ridurre il rosso di Enel. La riduzione si dovrebbe attestare in un range di 51-52 miliardi di euro già entro la fine del 2023, dai 58-62 miliardi di euro stimati per quest’anno. Maggiori risorse che andranno anche nelle tasche degli azionisti. Si prevede che l’EBITDA (il margine lordo) cresca infatti a 22,2-22,8 miliardi di euro nel 2025 dai 19-19,6 miliardi stimati nel 2022. E l’utile netto ordinario dovrebbe salire a 7-7,2 miliardi di euro nel 2025, dai 5-5,3 miliardi attuali. Una signora cifra che garantirebbe così un dividendo di 0,43 euro per il prossimo triennio, superiore ai 40 cent di quest’anno.

C’è un approccio un po’ conservativo in questo piano. Siamo stati molto trasparenti. Dovevamo affrontare territori mai visti. Ci sarà ancora la guerra? Finiranno i flussi di gas dalla Russia? Magari abbiamo peccato per eccesso di precauzione, forse nel 2023 le cose andranno meglio e potremmo avere risultati migliori a livello aggregato dato l’outlook prudente da dove siamo partiti”, ha spiegato Starace. D’altronde “abbiamo potenzialità di investimenti di 30mila Mw di rinnovabili. E se il governo, come abbiamo sentito, è pronto a sbloccare gli investimenti potremmo anche raddoppiare i 4 GW che abbiamo in programma di realizzare”.

Il piano è dunque “denso” ma sostenibile “e il management è in grado di eseguirlo indipendentemente da me. Quello che dovrò fare lo farò, però dipendo dalle decisioni degli azionisti. Non è un mistero che mi piaccia questo lavoro, tuttavia non sta a me la scelta di essere riconfermato il prossimo anno”, ha concluso Starace.

Paolo Scaroni

Scaroni: “Avremo bisogno di gas per altri 10 anni. Trivellare? L’Italia è un Paese contro tutto”

Paolo Scaroni è Deputy Chairman di Rothschild & Co, oltre che presidente del Milan. Ma per anni è stato amministratore delegato sia di Enel che di Eni: insomma, è una autorità nel mondo dell’energia.

Presidente, avremo gas abbastanza questo inverno o batteremo i denti?
“Ne avremo abbastanza se le modeste forniture dalla Russia – riceviamo ancora circa 20-25 milioni di metri cubi di gas al giorno – dovessero continuare ancora per qualche mese. Se dovessero interrompersi domani mattina avremmo qualche preoccupazione”.

Gli italiani stanno ‘scoprendo’ che cos’è il gas. Si stanno facendo programmi a breve-medio termine per arrivare all’indipendenza dalle forniture russe, ci stiamo però legando ad altri fornitori di gas, molti in Africa. Qual è la soluzione per diventare veramente indipendenti? Quella delle rinnovabili, del nucleare, dell’idrogeno?
“Cominciamo col dire che l’Italia per ragioni storiche è stato il Paese che ha inventato l’utilizzo ampio del gas, perché quando Mattei cercava il petrolio in pianura padana, nelle perforazioni trovava gas ed ebbe l’idea di usarlo come combustibile nelle fabbriche e non solo per la giovane repubblica italiana. Quindi gli italiani ora scoprono il gas ma in realtà siamo stati i precursori. Oggi rinunciare al gas russo, vuol dire utilizzare gas per molti anni che arriva da altri Paesi. È difficile immaginare una transizione energetica in quattro e quattrotto. Certo, oggi riceviamo gas dall’Algeria, dalla Libia, dall’Azerbaigian via tubo, quindi solo per noi, e poi possiamo acquistare gas liquido nel mondo, che viaggia come il petrolio. Però quest’ultimo è sul mercato mondiale e va a chi lo paga di più. A lungo termine, certo, rinnovabili e nucleare potranno giocare un ruolo importantissimo, però almeno per i prossimi dieci anni noi abbiamo bisogno di gas”.

Noi il gas ce l’abbiamo, non estratto, soprattutto nell’Adriatico. C’è lo stop di ambientalisti e di alcuni partiti probabilmente per salvaguardare la laguna di Venezia. Intanto i croati trivellano e lo fanno anche gli albanesi di fronte alla Puglia. È un po’ un controsenso all’italiana?
“Noi nel passato abbiamo estratto 15-20 miliardi di metri cubi all’anno e le ricordo che il consumo italiano è di circa 70 miliardi, quindi coprivamo circa il 20-25% del fabbisogno. Progressivamente siamo calati come risultato perché non abbiamo fatto nuove esplorazioni, non è stato possibile realizzare nuove piattaforme e così via. Certo, gli italiani sono contro lo sfruttamento degli idrocarburi in mare, ma in realtà siamo un Paese che è sempre contro tutto. Siamo un Paese dove è difficilissimo realizzare qualunque infrastruttura. E così avviene che, siccome il gas non ha passaporto, se un giacimento è tra le acque di interesse economico di due Paesi, il Paese che lo estrae se lo porta a casa. Se si volesse ripartire con un aumento della produzione in Italia di gas, dovremmo ripartire con le esplorazioni, e far tante cose che suscitano opposizione ma non dalla politica, dai nostri concittadini. Sono loro che si organizzano per bloccare qualunque cosa. Pensiamo solo che oggi riceviamo 11 miliardi di metri cubi di gas all’anno dall’Azerbaigian, e meno male che li riceviamo altrimenti saremmo veramente in difficoltà , e quel tubo che ci collega alla Grecia – il famoso Tap – ha avuto opposizioni incredibili. Oggi però si va lì e non lo si vede nemmeno. Quindi da questo punto di vista siamo veramente un Paese curioso”.

Rigassificatori, l’Italia ne ha realizzato uno grande al largo delle coste venete nel 2008, poi stop. Abbiamo scoperto con questa crisi energetica che la Germania non ha rigassificatori. Com’è possibile che grandi Paesi europei come Italia e Germania non abbiano investito in rigassificatori?
“È possibile perché per decenni, Germania, Italia ma anche Austria, Repubblica Ceca e altri Paesi del centro Europa hanno considerato la Russia il loro Texas, ritenendolo un Paese affidabile, che rispettava i contratti e che aveva tutto il gas di cui avevamo bisogno. Tra l’altro, il gas russo era più competitivo di quello liquido. Spagna e Portogallo si sono dotati di impianti di rigassificazione perché non potevano accedere al gas russo.”

Le risposte alla crisi energetica dell’Unione Europea lasciano un po’ il tempo che trovano, manca la volontà di creare una politica energetica vera continentale?
“Quando penso all’Europa penso alla governance che ci siamo dati. Ce la siamo data noi quindi è inutile criticarla, ma abbiamo una governance così complicata, farraginosa, bloccata da veti, per cui qualunque decisione o azione rilevante a livello europeo richiede tempi non compatibili con le emergenze. Questo è un vero problema. Vorrei anche aprire il capitolo Nato, perché quando a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina l’Alleanza Atlantica ha deciso azioni fortissime – armi, sanzioni – a quel tavolo c’erano dei Paesi petroliferi, primo fra tutti la Norvegia, che è un grandissimo esportatore di gas. In quel momento era largamente prevedibile che la reazione della Russia sarebbe stata quella di tagliarci il gas e che i prezzi sarebbero quindi schizzati a livelli inimmaginabili. A quel tavolo c’era chi ci guadagnava – Norvegia, Stati Uniti, Canada – e chi perdeva enormemente. Ecco, quella poteva essere la sede e potrebbe essere ancora la sede per chiedere una distribuzione più equa, perché è strano che un’azione presa collettivamente veda qualcuno che ci guadagna enormemente e qualcuno che ci perde enormemente”.

È vero che la guerra in Ucraina ha determinato un aumento fortissimo del prezzo del gas, ma qualche sommovimento c’era già prima. Qualcosa si percepiva?
“No, direi che non è così. Quello che avveniva nel 2021 è stato un aumento dei prezzi e dei consumi di gas, una crescita fisiologica frutto di economie che uscivano dalla pandemia, di transizione dal carbone al gas, quindi da una domanda più forte che spingeva i prezzi al rialzo. Per darle un dato: in Cina, dove molte case sono riscaldate a carbone, si è deciso proprio per ragioni ambientali di trasformare il riscaldamento di 15 milioni di case da carbone a gas. Il mercato vedeva prezzi in salita, ma niente a che vedere con quello che è accaduto dopo l’invasione dell’Ucraina. Una osservazione: quando l’Europa ha deciso di rinunciare al gas russo, ha rinunciato a 150 miliardi di metri cubi all’anno. Non è che sul mercato c’erano 150 miliardi di metri cubi pronti a soppiantare il gas russo.”

Il Ttf, il prezzo alla Borsa di Amsterdam, è al centro delle polemiche. C’è chi dice che è una fiera di paese, che bisogna riformarla, che si deve addirittura agganciarsi all’Henry Hub americano per determinare le bollette…
“Magari ci legassimo all’Henry Hub, il problema è che l’Henry Hub è il mercato del gas domestico americano, non del gas di importazione…”

Il prezzo sarebbe ovviamente più alto di quello russo, però inferiore a quello che vediamo attualmente sul Ttf…
“Noi non possiamo condizionare i prezzi di una merce che non abbiamo. Quello che potremmo teoricamente fare è fissare un tetto ai prezzi per il gas che ci arriva via tubo quindi Norvegia, innanzitutto, Azerbaigian, Libia e Algeria, perché questo gas norvegesi e algerini non possono che venderlo a noi dato che il gasdotto è collegato con noi, non hanno alternative. A questi Paesi, in particolare alla Norvegia nostra partner nella Nato, potremmo chiedere un prezzo calmierato. Per quanto riguarda il gas liquido parlare di price cap mi sembra francamente una stupidaggine: se noi fissiamo un tetto che non è del mercato mondiale, il gas non verrà da noi ma andrà da un’altra parte”.

Lei è stato amministratore delegato di Enel e di Eni, il futuro come vede?
“Due osservazioni. Ci stiamo incamminando verso un’Europa che avrà costi energetici superiori agli Stati Uniti e alla Cina, i due grandi competitor a livello mondiale. Quindi le nostre imprese che utilizzano molta energia soffriranno e magari delocalizzeranno la loro produzione andando alla ricerca di energia meno cara. Il consumatore europeo avrà meno soldi in tasca perché dovrà pagare di più per scaldarsi, quindi da questo punto di vista vedo un futuro un po’ grigio. Penso però che dalle crisi vengano fuori nuove idee e può darsi che sul terreno delle rinnovabili, che dobbiamo spingere al massimo, l’Europa possa prendere quella leadership che vuole avere senza fermarsi solo a pannelli solari e pale eoliche ma con nuovi prodotti e soluzioni, attraverso i quali possiamo ritornare alla testa della tecnologia mondiale. Ultima cosa, il mondo non fa che cambiare: oggi ci diciamo delle cose, magari fra 5 anni ci diremo il contrario. Se ci fossimo incontrati nel 2012, dieci anni fa, prima dell’operazione russa in Crimea, e mi aveste chiesto una valutazione sul fornitore Russia per il gas, avrei detto che è un buon fornitore come puntualità delle consegne, prezzi, tranquillità…”.

Ultimissima domanda. C’è l’ipotesi che lei potrebbe essere il nuovo amministratore delegato di Milano-Cortina 2026. Se la chiamasse Draghi ci andrebbe?
“No, perché un compito full time come lo immaginano Draghi, il Coni, il Cio, mi obbligherebbe a lasciare tante cose che faccio, prima di tutte il Milan, che è una avventura che non ho nessuna intenzione di lasciare. Proprio ieri sono stato rinnovato per tre anni come Presidente. Immaginate se posso lasciare il Milan che negli ultimi anni sta dando discrete soddisfazioni…”.

Enel

Enel abbraccia la transizione: più rinnovabili, meno termoelettrico

Enel c’è. I numeri diffusi dal gruppo non lasciano dubbi, specie in un periodo nel quale la tempesta sul gas fa tremare famiglie e imprese. Gli investimenti sono in accelerazione: nel primo semestre di quest’anno sono stati pari a 5,889 miliardi (+22,4% in riferimento allo stesso periodo del 2021), concentrati principalmente in Enel Green Power, infrastrutture e reti. E l’obiettivo di dipendere sempre meno dalle fonti fossili non è solo uno slogan. La produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili è stata ampiamente superiore rispetto a quella termoelettrica, raggiungendo i 60,3 TWh (59,8 TWh nell’analogo periodo del 2021, +0,9%), a fronte di una produzione da fonte termoelettrica pari a 47,3 TWh (38,3 TWh nello stesso arco di tempo dello scorso anno, +23,7%).

La produzione a zero emissioni ha raggiunto ormai il 59% della generazione totale del gruppo considerando unicamente la produzione da capacità consolidata, mentre è pari al 61% includendo anche la generazione da capacità gestita. La transizione ecologica e sostenibile, eccola qua. Per questo Francesco Starace, Ceo di Enel, è tranquillo nonostante un indebitamento finanziario salito del 19,8% a 62,2 miliardi. “La posizione finanziaria rimane solida e, anche in previsione del perdurare di un quadro generale complesso, grazie alla visibilità di cui godiamo sull’evoluzione del business per la seconda metà dell’anno. Confermiamo dunque la guidance per il 2022 e la nostra politica dei dividendi”.

La sicurezza di Starace dipende anche da un altro fattore. Nella prima metà dell’anno in Europa in alcuni casi ci sono state difficoltà nell’approvvigionamento delle materie prime, che si prevede possano continuare per i prossimi mesi, con conseguente ulteriore incremento del prezzo dell’energia elettrica e una significativa spinta inflazionistica. Un mix pericoloso che ha spinto i governo e le varie authorities a proseguire nell’adozione di politiche di contenimento dei prezzi dell’elettricità per i consumatori finali, con misure in alcuni casi penalizzanti per le società operanti nel settore della generazione e vendita di elettricità.

Ebbene, come ha fatto Enel a non fare la fine di Edf, maggiore azienda produttrice e distributrice di energia in Francia, che ha chiuso il semestre con una perdita di oltre 5 miliardi per colpa delle centrali nucleari vittime di corrosione e dunque ferme? Semplicemente Enel ha beneficiato della sua diversificazione geografica, combinata con un modello di business integrato lungo la catena del valore. Non solo Italia: il gruppo opera negli Stati Uniti, in Canada, Spagna, Colombia, Cile, Perù, Australia, Brasile, Argentina, Romania… L’elenco è lungo ma si è rivelato provvidenziale in una fase storica che ha visto prezzi crescenti all’acquisto e prezzi obbligatoriamente calanti alla vendita. Ma soprattutto, puntare in tempi non sospetti, con investimenti in mezzo mondo, sulle rinnovabili, garantisce solidità e meno timori sul futuro.

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Enel lancia ‘Net Zero’: stop emissioni reti, parola chiave è ‘condivisione’

Enel lancia la ‘sfida’ della collaborazione tra player mondiali dell’energia, con l’obiettivo di arrivare a zero emissioni delle reti. E’ Net Zero, l’ambiziosa strategia del colosso italiano dell’energia elettrica, che vedrà anche la creazione di un’associazione, la ‘Open Power Grids’, che avrà come scopo quello di condividere con gli stakeholder, in un ambiente open source, gli standard Enel per i componenti delle reti di distribuzione così da accelerare l’adozione di nuove soluzioni tecniche sicure, sostenibili ed efficienti. “Net Zero è al cuore della strategia di Enel”, dice il ceo, Francesco Starace. “Abbiamo anticipato la data alla quale vorremmo arrivare a zero emissioni di carbonio dal 2050 al 2040, tenendo conto di emissione dirette e indirette, senza usare misure off setting, di compensazione“.

La competizione non è lo strumento adatto, secondo i manager dell’azienda, a raggiungere il target della sostenibilità ambientale. Ecco perché “siamo disponibili a condividere le nostre esperienze con tutti gli attori interessati”, sottolinea ancora Starace. Aggiungendo: “Riteniamo che condividere con altri operatori rappresenterà la chiave per trovare insieme la soluzione migliore” e arrivare a centrare l’obiettivo di zero emissioni delle reti di distribuzione. “Lavorare in collaborazione è essenziale, non potremo agendo da soli, raggiungere il nostro obiettivo. Dovremo tutti allearci, per procedere in modo più spedito su questo percorso”. Enel, infatti, ha condiviso azioni concrete per contrastare le emissioni dirette, adottando operazioni più sostenibili attraverso la digitalizzazione, le operazioni a distanza, l’elettrificazione delle flotte, le misure di tutela della biodiversità e riducendo le perdite tecniche delle reti.

L’azienda, inoltre, sta coinvolgendo fornitori, produttori di apparecchiature e imprese di costruzione della sua catena di approvvigionamento al fine di contrastare le emissioni indirette e implementare processi e componenti di rete più sostenibili come quadri elettrici privi di Sf6, oli vegetali per trasformatori e cavi ecologici o standard per cantieri sostenibili. “Le reti devono essere completamente digitalizzate e dare un vero contributo” all’obiettivo di emissioni zero, ma questo avverrà solo “se per i clienti ci sono vantaggi in termini di prezzi, do sicurezza e sostenibilità ambientale, perché vogliono energia pulita”, spiega ancora il manager di Enel. “In aggiunta a questo, le reti devono anche decarbonizzare se stesse, cosa su cui dobbiamo ancora lavorare. La sfida è eliminare quelle emissioni dirette e indirette che vengono dalle reti di distribuzioni”. Ma “l’obiettivo – sottolinea Starace – si può raggiungere se tutte le reti del mondo si focalizzano su questo obiettivo”.

L’azienda ha notato come alcune delle azioni messe in atto per abbracciare i principi dell’economia circolare in tutta la propria attività, quali l’utilizzo di materiali riciclati per nuove risorse come contatori circolari, pali o armadi stradali o la gestione del fine vita dei componenti, possono produrre importanti benefici ambientali ed economici. “Il nostro obiettivo per le reti mira ad accelerare l’adozione dei principi stabiliti dall’Accordo di Parigi in tutto il settore al fine di favorire la transizione energetica e una trasformazione significativa delle infrastrutture di distribuzione dell’energia elettrica. Questo rappresenta la prima mossa da parte di un operatore della rete elettrica di livello globale per gestire le emissioni a monte e a valle dell’infrastruttura in modo aperto, che è necessaria se vogliamo raggiungere l’obiettivo di zero emissioni nette in tutto il settore“, dice Antonio Cammisecra, Responsabile Global Infrastructure and Networks di Enel. “Abbiamo fatto molto per identificare le migliori soluzioni tecniche per le nostre reti, ma per avanzare rapidamente dobbiamo condividere questa sfida con altri operatori in un ambiente aperto e collaborativo verso reti Net Zero”. La sfida del futuro, dunque, parte dalla condivisione.