Ex Ilva, ok Ue al prestito ponte da 320mln. Urso: “Siamo su strada giusta”

La Commissione europea dà il via libera al prestito ponte da 320 milioni di euro per Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha ricevuto questa mattina la ‘comfort letter’ in cui si esprime una valutazione positiva sui termini del prestito, che prevede un tasso di interesse annuo dell‘11,6%.

Una conferma che, sottolinea il Mimit, “attesta la validità del piano industriale elaborato dalla gestione commissariale e la capacità dell’azienda di restituire la somma in tempi congrui e senza configurarsi come aiuto di Stato“.

Si dice fiero Adolfo Urso, che da Napoli ribadisce la conferma che il piano industriale di rilancio elaborato dalla struttura commissariale è “tale da consentire la restituzione nei tempi e con un tasso di interesse piuttosto significativo“. Considerando che parliamo dell’impianto siderurgico “più sfidante in Europa“, rivendica, “siamo sulla strada giusta e non credo fosse facile anche solo immaginarlo“.

Soddisfatti i sindacati, che però domandano un nuovo incontro urgente a Palazzo Chigi, richiesto già unitariamente da Fim, Fiom e Uilm diverse settimane fa, per riprendere la discussione con il governo sulle prospettive dell’ex Ilva, sul piano industriale e di ripartenza, sulle ulteriori risorse da mettere a disposizione dei commissari, sull’occupazione e sull’annunciato bando di gara. “I 320 milioni di euro, come abbiamo più volte ribadito, rappresentano una buona notizia ma non sono sufficienti per il rilancio della produzione, il riavvio degli impianti e il ritorno a lavoro di tutti i lavoratori“, chiosa Rocco Palombella, Segretario generale Uilm. E che l’estate sia iniziata, non conta: “Non possiamo attendere un mese per l’incontro con il Governo – avverte il sindacalista –, la situazione è drammatica con stabilimenti quasi fermi e migliaia di lavoratori senza certezze“. La ripresa del confronto sulla cassa integrazione, sostiene, non può partire prima di un “incontro chiarificatore” a Palazzo Chigi.

Pienamente d’accordo Loris Scarpa, coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil. Le risorse non bastano per un pieno rilancio, conferma, “considerazione delle condizioni in cui si trovano gli stabilimenti ex Ilva“. Il tempo scorre e già quello intercorso tra la richiesta del prestito e la comfort letter è stato “troppo“, insiste: ” Ora occorre capire quando le risorse saranno nelle reali disponibilità dei commissari straordinari”. Di certo, gli impianti di tutti gli stabilimenti non possono continuare a restare fermi e sono necessari gli interventi per le manutenzioni ordinarie e straordinarie. “I lavoratori vivono nella incertezza sul loro futuro – lamenta Scarpa -. Il piano per la ripartenza lo dobbiamo ancora discutere e il Governo deve confrontarsi con le organizzazioni sindacali sui contenuti del bando di gara per l’ipotesi di vendita dell’azienda“.

Positivo l’ok al prestito anche per il segretario nazionale di Fim Cisl, Valerio D’Alò: “Lo aspettavamo, perché tutto ciò che è previsto nel piano di ripartenza è strettamente legato alla presenza di risorse con cui fare investimenti, manutenzioni, acquisto di materie prime“, osserva, ricordando che .anche la cassa integrazione è legata alla ripartenza degli impianti, condizione possibile solo con le risorse, “almeno fino all’arrivo del bando di gara, il vero snodo che dovremo affrontare in futuro“.

Ex Ilva, arrivano altri 150 milioni. I sindacati aspettano un Piano industriale “chiaro”

Il governo aveva garantito che a stretto giro di posta sarebbero arrivate nuove risorse per l’ex Ilva e così è stato. Nel decreto Agricoltura ci sono i 150 milioni di euro promessi dal ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, durante l’ultimo incontro con i sindacati e la struttura commissariale, della scorsa settimana a Palazzo Chigi. Per “assicurare la continuità operativa degli impianti“, si legge nel testo approvato dal Consiglio dei ministri: si tratta di risorse non impegnate per progetti di decarbonizzazione, “fino a concorrenza dell’ammontare delle spese e dei costi sostenuti per l’attuazione e la realizzazione di interventi volti ad assicurare la continuità operativa degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale e la tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza dei lavoratori addetti ai predetti stabilimenti“.

Una scelta che, però, fa saltare la mosca al naso delle opposizioni. “Sembra impossibile, ma nel 2024 ci ritroviamo davanti a un governo che continua a buttare fumo negli occhi di cittadini e lavoratori sulla vicenda ex Ilva“, attacca il vicepresidente dei Cinquestelle, Mario Turco. “Forse Giorgia Meloni e Adolfo Urso non si sono resi conto di una grande verità: Taranto non abbocca più. Quando il ministro annuncia su Il Sole 24 Ore che, per garantire la continuità del siderurgico, giungeranno 150 milioni di euro, non sa che la comunità è ben consapevole dell’origine di tale somma. L’operazione ordita in tal senso è di una disonestà clamorosa: si vogliono utilizzare le risorse sequestrate ai Riva e destinate alle bonifiche, per continuare a inquinare senza la minima idea di dove sia diretto quel rudere di fabbrica, sempre più pericoloso per chi ci lavora e per chi ne subisce i danni ambientali e sanitari“, rincara la dose. “Non c’è limite al peggio – sostiene Ubaldo Pagano (Pd) -. Il governo Meloni, completamente a corto di risorse, sta per togliere 150 milioni di euro dal cosiddetto ‘patrimonio destinato’ per tappare i buchi della nuova gestione commissariale. Che detto in soldoni vuol dire togliere le risorse sequestrate ai Riva e destinate alle bonifiche da farsi per recuperare un territorio sacrificato sull’altare di una produzione altamente dannosa per l’ambiente e la salute dei cittadini tarantini“.

Nel decreto c’è anche il rafforzamento della prevenzione del rischio incendi, che contemperando le esigenze di sicurezza con quelle di continuità degli impianti – sottolinea il Mimit -, dispone un rinvio di 48 mesi per la definitiva trasmissione del rapporto di sicurezza. Vengono introdotte norme che supportano l’operatività dei Vigili del fuoco, anche tramite una più rapida immissione in servizio delle figure professionali essenziali alle attività di coordinamento delle squadre di intervento.

Intanto i sindacati tornano a far sentire la propria voce alla vigilia dell’incontro che si terrà oggi, 7 maggio, in Confindustria, con i commissari straordinari dell’ex Ilva. “Le lavoratrici e i lavoratori da troppo tempo pagano gli effetti della malagestione dell’ex Ilva con la cassa integrazione e i mancati investimenti che interessano tutti gli stabilimenti, da Taranto a Genova, passando per Novi Ligure, Racconigi e gli altri siti della Lombardia, del Veneto e della Campania“, dice il coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil, Loris Scarpa. “Ci aspettiamo che finalmente vengano forniti dati certi sugli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e sui tempi delle iniziative di rilancio della produzione e della decarbonizzazione, che non possono più essere rinviati“. Per il segretario nazionale della Uilm, Guglielmo Gambardella, “senza un chiaro piano di rilancio della produzione di tutti gli stabilimenti e la garanzia dell’intera occupazione, compresa quella dell’indotto e dei lavoratori in Ilva Aa, è difficile proseguire un vero confronto“. Perché “nell’ultimo incontro a Palazzo Chigi abbiamo già dichiarato la nostra insoddisfazione sulle linee guida del piano industriale e domani ci attendiamo un incontro concreto per conoscere tempi, modalità e risorse per la ripartenza degli impianti e il ritorno al lavoro dei tremila attualmente in cassa integrazione“.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche la Fim Cisl: “Non ci aspettiamo promesse mirabolanti per il prossimo decennio, saremmo ipocriti, ci attendiamo concretezza su quelli che sono i temi urgenti che riguardano i lavoratori e la fabbrica e che sono stati lasciati in sospeso per troppo tempo“, dichiara il segretario nazionale, Valerio D’Alò. Che aggiunge: “Chiediamo di far chiarezza su cose semplici ma fondamentali nell’immediato, a partire da un piano chiaro e dettagliato di quali manutenzioni dovranno essere svolte nelle prossime settimane, su quali impianti e quali ricadute avranno sulla produzione e il riavvio degli stessi una volta messi in condizione di lavorare“.

Stellantis, confermato l’impegno per 5 modelli full electric a Melfi

Si riunisce il tavolo per l’analisi degli stabilimenti di Stellantis in Italia, si parte dall’impianto di Melfi, in Basilicata. Una prima risposta, che è una conferma, c’è: saranno cinque i modelli full electric che l’azienda promette di produrre nel sito, impegno che lo stesso Carlos Tavares ha preso al Mimit qualche settimana fa. “Ora attendiamo che questo impegno si tramuti in progetti concreti”, è l’auspicio del ministro, Adolfo Urso.

L’ad non è al tavolo, per policy aziendale legata al periodo di campagna elettorale, che vede il presidente Vito Bardi ricandidato alle prossime regionali. “Saremo al fianco dei sindacati che giustamente chiedono rassicurazioni per tutti i lavoratori dell’indotto“, assicura Bardi, che riconosce la complessità della trattativa perché “Stellantis agisce in regime di monopolio“. A meno di ripensamenti dell’Europa, al momento il piano industriale è indirizzato all’elettrico e “nell’incertezza sugli scenari futuri ad oggi la Regione è fortemente impegnata nel mettere in atto più iniziative possibili per far sì che i lavoratori che perdono il lavoro ne possano trovarne un altro“, garantisce.

Nessuna risposta arriva per indotto ed esuberi. Uilm Basilicata chiede tutele per la componentistica, i servizi e la logistica, che “a ben vedere sono i più esposti ai rischi occupazionali”, osservano Gianluca Ficco, Vincenzo Tortorelli e Marco Lomio, al termine dell’incontro. Il sindacato insiste molto sull’ibrido. Secondo Stellantis, la capacità iniziale dello stabilimento sarà di a 40 vetture per ora, ossia a 260mila vetture all’anno, ma, “un numero del genere sarebbe difficile raggiungerlo con vetture esclusivamente elettriche, che stanno facendo molta fatica ad imporsi fra i consumatori, tanto da indurre a un approccio più equilibrato e gradualista perfino la politica europea”, affermano i sindacalisti che, per questo, chiedono “di prorogare al massimo la produzione degli attuali modelli con motorizzazioni più tradizionali”.

Il governo ha fatto la sua parte, ora spetta all’azienda, avverte Urso: “Capisco che Tavares tuteli gli azionisti ma il governo deve tutelare gli italiani. L’azienda deve adattare il suo piano a quello che il sistema Italia si aspetta”, scandisce. Domani alle 10 il focus sarà su Mirafiori e giovedì alle 13.30 su Atessa, per i veicoli commerciali. Dopodiché si aprirà una seconda fase per comprendere quali siano le strategie che Stellantis vorrà mettere in campo. “Alla fine di questo ‘secondo tempo’ vorremo giungere a un documento conclusivo vincolante sia per l’azienda sia per il governo e per le regioni, e che sia condiviso dalle parti sociali e dall’Anfia”, fa sapere il ministro delle Imprese e del Made in Italy.

Ferdinando Uliano, segretario di Fim Cisl, chiede di non perdere di vista l’obiettivo numerico: “Abbiamo la necessità di arrivare almeno a un milione di vetture, comprensive anche dei veicoli commerciali. Oggi dobbiamo iniziare con lo stabilimento di Melfi ma proseguiremo con gli altri per verificare le piattaforme dedicate allo stabilimento, i modelli che sono destinati, la scansione temporale. Perché solo così, definendo impegni precisi da parte di Stellantis riusciremo a comprendere se ci sono le condizioni per la crescita dei volumi e una tenuta del sistema industriale”.

Più dura la linea della Fiom, che chiede interventi più incisivi e considera il comportamento dell’azienda “irresponsabile socialmente“: “Oggi eravamo qui per parlare dello stabilimento di Melfi e non abbiamo ricevuto garanzie neanche sull’indotto”, lamenta il segretario, Michele De Palma. “Credo sia chiaro anche agli orbi – tuona -: senza l’ad questa discussione non va da nessuna parte. L’ad deve venire in Italia per rispetto di questo Paese”. Attualmente a Melfi si assemblano le Jeep Renegade, la Jeep Compass e la Fiat 500X. Stellantis ha annunciato con l’arrivo della piattaforma STLA Medium 5 nuovi modelli elettrici, i cui tempi non sono secondo il sindacato “allineati rispetto a quelli degli incentivi“.

Con i nuovi esuberi annunciati in questi giorni, circa 500, e gli oltre 700 in trasferta, denuncia De Palma, “stiamo accompagnando un processo di dismissione industriale perché non si stanno prevedendo investimenti in produzione, in nuovi modelli e nella rigenerazione dell’occupazione“. Le parti sociali chiedono unitariamente alla premier Giorgia Meloni un tavolo nazionale a Palazzo Chigi, non tavoli regionali, per “arrivare a una trattativa vera e quindi a un accordo“. Intanto, si preparano a uno sciopero di tutto il settore automotive, il 12 aprile, con manifestazione a Torino.

Ex Ilva, sindacati sulle barricate: Governo assuma controllo o non staremo fermi

Il tempo delle riflessioni è scaduto. Fiom, Fim e Uilm organizzano una conferenza stampa davanti a Palazzo Chigi sulla vertenza ex Ilva, ma sono convocati dal governo il 20 dicembre. Oltre quella data, assicurano, non saranno disposti a tollerare risposte ambigue: il socio pubblico in Arcelor Mittal, quindi in Acciaierie d’Italia, deve crescere e il governo prendere il controllo, altrimenti “non staremo fermi” e “non andremo via”, tuonano. Tradotto: la protesta prosegue a oltranza.

Al momento, Adi è al 38% di Invitalia e al 62% di Arcelor Mittal. In ballo c’è il futuro di 20mila lavoratori, tutti ancora in Cig, e della produzione dell’acciaio in Italia. L’incontro del 20 tra Palazzo Chigi e le parti sociali sarà propedeutico all’Assemblea degli azionisti, prevista per il 22 ma già rinviata diverse volte. La crisi finanziaria in cui sostiene di versare l’azienda richiede una ricapitalizzazione di emergenza di oltre 300 milioni di euro.

“Voglio essere esplicito: il 20 o c’è una risposta che dà garanzie rispetto alla salita del socio pubblico dentro Arcelor Mittal, quindi dentro Acciaierie, quindi prende in mano il governo la gestione dell’azienda, con un elemento di garanzia per i lavoratori e le produzioni, o noi non andremo via“, spiega Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil. Lamenta un disinteresse dell’azienda non solo per il futuro, ma anche per le attuali situazioni di sicurezza e salute dei lavoratori: “Ogni giorno c’è un incidente dentro gli impianti”, ricorda. De Palma denuncia anche un comportamento dell’azienda “oggettivamente anti-sindacale”: “Non rispetta il dialogo con i delegati, con i lavoratori, con le organizzazioni sindacali. Sappiamo che nel governo c’è un dibattito: il punto è uno, alla luce di quello che sta succedendo, cosa stanno aspettando? Siamo venuti per liberare il governo dalla condizione di ostaggio in cui la multinazionale indiana tiene gli impianti, i lavoratori e la dignità del Paese“, chiosa.

Si assumano la responsabilità o la pagheranno, il giudizio dei lavoratori e delle comunità è negativo, verso una crisi gestita con i piedi“, avverte il segretario della Uilm, Rocco Palombella. “Noi il 20 dicembre verremo qui e il governo e i ministri devono sapere che ci devono dire qual è la proposta che hanno messo in piedi per salvaguardare 20mila posti di lavoro, l’ambiente e la produzione di acciaio. Ce lo devono dire, non possono continuare a prendere tempo, come hanno fatto in questi anni, aspettando di passare il cerino al governo successivo. Ma siccome i lavoratori non sono cerini, ma persone con una grande dignità, chi fa politica deve assumersi i problemi e deve fare le proposte”, aggiunge. Da 4 anni dura l’affidamento a Mittal e “il bilancio è sotto gli occhi di tutti: è stata fallimentare fin dal primo momento, non c’è stato un anno senza l’utilizzo della cig o con un livello produttivo minimo. Non hanno speso un euro e ora chiedono il conto”, denuncia. E conclude: “Noi solleciteremo chiarezza e decisione. Se questo non sarà possibile, si apre un altro scenario, se il 20 ci saranno notizie negative, noi non staremo fermi”.

Dal Piemonte arriva la proposta del governatore Alberto Cirio di un’azione coordinata con Puglia e Liguria per “far sentire la voce delle Regioni in difesa degli stabilimenti produttivi”. Questa mattina, il presidente della Regione ha incontrato amministratori e organizzazioni sindacali sul futuro degli stabilimenti a Novi Ligure, Racconigi e Gattinara. La Regione, ha annunciato, parteciperà all’incontro convocato del 20 dicembre a Roma.