emissioni gas serra

Il Wmo avverte: “Concentrazioni record di gas serra nell’atmosfera nel 2023”

Le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera hanno raggiunto nuovi record nel 2023, il che porterà inevitabilmente a un aumento della temperatura nei prossimi anni, ha avvertito lunedì l’Onu.
I livelli dei tre principali gas serra – anidride carbonica (CO2), metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), che contribuiscono al riscaldamento globale – sono tutti aumentati nuovamente lo scorso anno, secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) In particolare, l’agenzia meteorologica e climatica delle Nazioni Unite ha rilevato che la CO2 si sta accumulando più velocemente che mai nell’atmosfera, aumentando di oltre il 10% in due decenni. “Un altro anno. Un altro record. Questo dovrebbe far suonare un campanello d’allarme tra i responsabili delle decisioni. Siamo in netto ritardo rispetto all’obiettivo fissato nell’Accordo sul clima di Parigi del 2015”, ha dichiarato Celeste Saulo, segretaria generale del Wmo. In quell’occasione, i Paesi hanno concordato di limitare il riscaldamento globale a meno di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, e addirittura a 1,5°C se possibile.

Il rapporto annuale del Wmo sui gas serra viene pubblicato in vista del COP29, il prossimo vertice delle Nazioni Unite sul clima che si terrà dall’11 al 22 novembre a Baku, in Azerbaigian.
Finché le emissioni continueranno, i gas serra continueranno ad accumularsi nell’atmosfera, aumentando le temperature, deplora il Wmo. Già nel 2023 le temperature globali sulla terraferma e in mare sono state “le più alte registrate dal 1850”, sottolinea il Wmo. E data la durata di vita della CO2 nell’atmosfera, gli attuali livelli di temperatura persisteranno per decenni, anche se le emissioni scenderanno rapidamente a zero. Nel 2023, le concentrazioni di CO2 raggiungeranno 420 parti per milione (ppm), il metano 1.934 parti per miliardo (ppb) e il protossido di azoto 336 ppb. Ciò rappresenta rispettivamente il 151%, il 265% e il 125% dei livelli del 1750 (+1 punto in un anno per i tre gas).

Queste non sono solo statistiche. Ogni parte per milione e ogni frazione di grado di aumento della temperatura ha un impatto reale sulle nostre vite e sul nostro pianeta”, ha dichiarato Saulo, citata in un comunicato stampa. Per quanto riguarda la CO2, responsabile di circa il 64% del riscaldamento globale, l’aumento di 2,3 ppm osservato nel 2023 è il 12° aumento annuale consecutivo superiore a 2 ppm, dovuto alle “emissioni di CO2 da combustibili fossili storicamente elevate negli anni 2010 e 2020”, secondo il rapporto. “La CO2 si sta accumulando nell’atmosfera più velocemente che in qualsiasi altro momento della storia umana”, avverte il Wmo. La Terra ha sperimentato una concentrazione così elevata di CO2 da 3 a 5 milioni di anni fa, quando le temperature erano da 2 a 3°C più alte e il livello del mare da 10 a 20 metri più alto di oggi, sottolinea il rapporto. Poco meno della metà delle emissioni di CO2 rimane nell’atmosfera, mentre il resto viene assorbito dagli ecosistemi oceanici e terrestri. Ma oggi “ci troviamo di fronte a un potenziale circolo vizioso”, avverte Ko Barret, vice segretario generale del Wmo. Il cambiamento climatico stesso potrebbe presto “far sì che gli ecosistemi diventino emettitori più significativi di gas serra”, afferma. Gli incendi boschivi potrebbero rilasciare più emissioni di carbonio nell’atmosfera, mentre gli oceani più caldi potrebbero assorbire meno CO2. Di conseguenza, una maggiore quantità di CO2 potrebbe rimanere nell’atmosfera e accelerare il riscaldamento globale, avverte l’autrice.

trasporti

INFOGRAFICA INTERATTIVA Trasporti, le emissioni di gas serra in Ue dal 1990

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, l’andamento delle emissioni causate dai trasporti in Ue e la tassazione ambientale nei vari Paesi europei. Secondo Eurostat, tra il 1990 e il 2019, le emissioni totali di gas serra nell’Ue dovute alla combustione di carburanti nei trasporti – senza contare l’aviazione e la navigazione internazionali – sono aumentate del 23,8%, ovvero di 160 milioni di tonnellate di CO₂-equivalente. Nel 2020, a causa dell’impatto della crisi Covid-19 sui trasporti, erano diminuite del 13,5% rispetto al 2019. Nel 2021 si è verificata una parziale ripresa, poiché le emissioni di gas serra nell’Ue dovute alla combustione di combustibili nei trasporti sono aumentate dell’8,6%. Eurostat spiega anche che nel 2021 sono stati raccolti 326 miliardi di euro di entrate fiscali ambientali, pari al 2,24% del Pil. Le imposte ambientali sui trasporti sono state valutate in 59 miliardi di euro, il 18,1% di tutte le imposte ambientali, pari allo 0,41% del Pil. Tra gli Stati membri dell’Ue, le tasse ambientali sui trasporti variavano dallo 0,04% del Pil in Estonia allo 0,81% in Grecia, allo 0,83% in Austria, allo 0,87% nei Paesi Bassi e all’1,17% in Danimarca.

L’Italia fra ritardi e difficoltà sulla Green Economy: in positivo solo il riciclo

Lo stato di salute della green economy in Italia registra difficoltà, ritardi, e pochi dati positivi. La decarbonizzazione non è in linea rispetto ai nuovi target europei. Le emissioni di gas serra sono aumentate dal 2019 al 2022. Nel 2022 l’energia rinnovabile è diminuita e il trend non è al passo con gli obiettivi europei. Buono il livello per il tasso di riciclo dei rifiuti. Il tasso di utilizzo di materia proveniente dai rifiuti, pur restando positivo, è diminuito. L’Italia è al diciannovesimo posto nella Ue per le aree protette di terra. Una fotografia non troppo ottimista dello stato in cui versa il Paese, contenuta Relazione sullo Stato della Green Economy presentata in apertura degli Stati Generali della Green Economy 2023 a Rimini.

Un maggiore impegno nelle misure per la transizione ecologica all’economia di domani – ha detto Edo Ronchi, presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile – potrebbe contribuire in modo decisivo al rilancio dell’economia italiana, a promuovere innovazioni e investimenti. Dalle semplificazioni ad un quadro normativo più certo per la decarbonizzazione, da una riduzione dei costi energetici con un più forte sviluppo delle fonti rinnovabili, più economiche e più sicure alla penetrazione elettrica, da un rafforzamento della circolarità della nostra economia, ad un rafforzamento delle filiere industriali nazionali della transizione, potremmo promuovere il rilancio dell’economia italiana che invece, senza nuove prospettive, sta entrando in una fase di preoccupante stagnazione”. Un pensiero condiviso anche dal Commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, che in un messaggio video ha sottolineato come “l’Italia avrebbe tutte le carte il regola per affermarsi come modello di sostenibilità. Oggi, oltre alla visione, ci sono anche le risorse. Con il NextGenerationEu e il RePowerEu l’Europa ha messo a disposizione una quantità di contributi senza precedenti. L’attuazione dei piani è una grande sfida comune, occorre che tutti sentano l’urgenza di questa sfida e la facciano propria. La Commissione europea è e rimarrà al fianco dei governi in questo sforzo collettivo”. Perché “l’Europa non deve abbandonare la sua ambizione di assumere la leadership globale nella transizione. Dal passaggio alla green economy dipendono molte delle nostre prospettive di crescita, occupazione e autonomia strategica”.

Secondo il report, l’attuazione in Italia del pacchetto europeo Fit for 55 per la decarbonizzazione al 2030 comporterebbe, in 10 anni, maggiori costi cumulati di 136,7 miliardi, generando un aumento del valore aggiunto di ben 689,1 miliardi e un risparmio di costi, per il solo settore energia, di ben 66 miliardi con maggiori entrate per lo Stato di ben 529,5 miliardi. L’attuazione delle misure europee per l‘economia circolare consentirebbe all’Italia, al 2030, di risparmiare 82,5 miliardi di materiali importati, di aumentare di 4 miliardi il valore delle attività di riciclo dei rifiuti e di ridurre i costi dello smaltimento di rifiuti in discarica di 7,3 miliardi. Inoltre, l’iniziativa della Nature Restoration Law può essere migliorata evitando l’errore di sottovalutare i benefici economici del ripristino degli ecosistemi. L’Italia, rispetto alla media europea, dovrebbe sostenere minori costi per il rispristino degli ecosistemi sia rispetto al Pil, sia per abitante, avendo una quota relativamente più bassa della media europea di ecosistemi in condizioni non buone. L’Italia avrebbe benefici di circa 2,4 miliardi dal ripristino degli ecosistemi con costi di 261 milioni, con benefici circa 9 volte i costi sostenuti.

CLIMA E ENERGIA. Dal 2015 al 2022 le emissioni nette di gas serra sono state ridotte solo del 4% e dal 2019 al 2022 sono aumentate del 2%. La riduzione delle emissioni in atto nella prima parte del 2023 – per ragioni climatiche e di rallentamento dell’economia – non basta ad allinearci con l’accelerazione richiesta dai target europei. Nel 2022 l’energia rinnovabile è diminuita dal 21 del 2021 al 19% del fabbisogno: il trend è molto lontano dal target del 40% al 2030. Nel 2022 le rinnovabili elettriche sono calate dal 41% del 2021 al 35,6% della richiesta. Nel 2022 sono stati installati 3 GW di nuovi impianti per rinnovabili elettriche: in aumento rispetto alla media molto bassa degli ultimi anni, ma con l’aumento in corso, l’Italia è ancora ben lontana dai 10/12 di GW annui di nuove rinnovabili che servirebbero per mettersi al passo con i target europei al 2030 e in ritardo rispetto agli altri grandi Paesi europei: nel 2022, infatti, la Francia ha installato 5 GW, la Polonia 6 GW, la Spagna 9 GW e la Germania 11 GW di nuovi impianti fotovoltaici ed eolici. Nei trasporti, settore cruciale e particolarmente ostico per la decarbonizzazione in Italia, nel 2022 sono aumentati di circa il 5% i consumi energetici e le emissioni di gas serra.

ECONOMIA CIRCOLARE. La produttività delle risorse nel 2022 è ancora fra le migliori nell’Ue, al 3,3 euro di PIL per Kg di risorsa consumata, ma è in calo rispetto ai 3,5 del 2019. La percentuale del riciclo di tutti i rifiuti nel 2020 è stata ad un buon livello: del 72 %, a fronte di una media europea del 58%. Nel 2021 il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo è stato pari al 18,4%, un buon livello rispetto alla media europea, ma di diminuzione rispetto al 2020. Si segnalano, infine, nel 2023 rilevanti difficoltà nel mercato di alcune materie prime seconde, in particolare di quelle plastiche

CAPITALE NATURALE. Benché l’Italia sia ricca di biodiversità, tutela nel complesso solo il 21,4% del proprio territorio e il 6,9% del proprio mare, valori inferiori alla media della Ue del 26,4% e del 12,1%. Per le aree protette a terra siamo al 19°posto nella Ue. Il monitoraggio ha evidenziato uno stato di conservazione sfavorevole del 54 % della flora, del 53 % della fauna e l’89 % degli habitat terrestri tutelati dalla Direttiva Habitat.

MOBILITA’. Anche se le nuove auto immatricolate sono calate del 10% rispetto al 2021, il tasso di motorizzazione è cresciuto a 683 auto ogni 1.000 abitanti: quelle a benzina e diesel rappresentano ancora l’86% del totale. Le auto full-electric immatricolate al 30 giugno 2023 sono state solo 32.000 in tutto, 7.900 in più rispetto allo stesso periodo del 2022: valori ancora molto bassi rispetto agli altri Paesi europei.

Clima, triste record europeo: estate del 2022 la più calda di sempre

Il 2022 è stato l’anno dei record – in negativo – per il clima: il quinto anno più caldo di sempre e il secondo più caldo in Europa (in quest’ultimo caso, dopo il 2020). È quanto emerge dal rapporto ‘Global Climate Highlights 2022’ di Copernicus, il sistema di monitoraggio climatico europeo, in base al quale si evidenzia che negli scorsi 12 mesi si sono registrati “estremi climatici, con molti record di temperature elevate e concentrazioni di gas serra in aumento nell’atmosfera”. Ma all’Europa spettano anche altri privati: l’estate del Vecchio Continente è stata, infatti, la più calda di sempre. 

+1,2 °C RISPETTO AL PERIODO PREINDUSTRIALE. Dal rapporto, inoltre, si evince che gli anni 2015-2022 sono stati gli otto più caldi di sempre: sono infatti stati superati diversi record di temperatura elevata sia in Europa sia nel resto del mondo, mentre altri eventi estremi come siccità e inondazioni hanno colpito vaste regioni. La temperatura media annuale dello scorso anno è stata di 0,3°C superiore al periodo di riferimento 1991-2020, che equivale a circa 1,2°C in più rispetto al periodo 1850-1900. Questo fa del 2022 l’ottavo anno consecutivo di temperature superiori di oltre 1°C al livello preindustriale. Inoltre, ogni mese estivo boreale del 2022 è stato almeno il terzo più caldo a livello globale. Per il 2022, le temperature hanno superato di oltre 2°C la media del periodo di riferimento 1991-2020 in alcune parti della Siberia centro-settentrionale e lungo la Penisola Antartica. Le regioni che hanno registrato l’anno più caldo in assoluto includono gran parte dell’Europa occidentale, il Medio Oriente, l’Asia centrale e la Cina, la Corea del Sud, la Nuova Zelanda, l’Africa nord-occidentale e il Corno d’Africa.

I RECORD EUROPEI. L’estate del 2022 è stata la più calda mai registrata in Europa, con un netto margine rispetto a quella del 2021. L’autunno dello scorso anno, invece, è stato il terzo più caldo mai registrato, battuto solo da quelli del 2020 e del 2006. Le temperature invernali del 2022, inoltre, sono state di circa 1°C superiori alla media, collocando quello dello scorso anno tra i dieci inverni più caldi.  Al contrario, le temperature primaverili dell’Europa nel suo complesso sono state appena inferiori alla media del periodo di riferimento 1991-2020. In termini di medie mensili, nove mesi sono stati superiori alla media, mentre tre – marzo, aprile e settembre – sono stati inferiori. Il continente ha registrato il secondo giugno più caldo mai registrato, con circa 1,6°C sopra la media, e il suo ottobre più caldo, con temperature di quasi 2°C sopra la media. in tutti i Paesi – a eccezione dell’Islanda – le temperature annuali sono state superiori alla media 1991-2020 e diversi Paesi dell’Europa occidentale e meridionale hanno registrato le temperature annuali più alte almeno dal 1950. “Il 2022 – spiega Samantha Burgess, vicedirettrice del Copernicus Climate Change Service – è stato un altro anno di estremi climatici in Europa e nel mondo. Questi eventi evidenziano che stiamo già sperimentando le conseguenze devastanti del riscaldamento climatico”. Per questo, dice, “per evitare le conseguenze peggiori, la società dovrà ridurre urgentemente le emissioni di anidride carbonica e adattarsi rapidamente ai cambiamenti climatici”.

AUMENTANO I GAS SERRA. Il rapporto, inoltre, evidenzia che i gas serra atmosferici, nel corso del 2022, hanno continuato ad aumentare. L’analisi preliminare dei dati satellitari mostra che le concentrazioni di anidride carbonica sono aumentate di circa 2,1 ppm, mentre il metano è aumentato di circa 12 ppb.  Il risultato è una media annuale per il 2022 di circa 417 ppm per l’anidride carbonica e 1894 ppb per il metano. Per entrambi i gas si tratta delle concentrazioni più elevate registrate dai satelliti e, includendo altri record, dei livelli più alti da oltre 2 milioni di anni per l’anidride carbonica e da oltre 800.000 anni per il metano. “I gas a effetto serra, tra cui l’anidride carbonica e il metano – spiega Vincent-Henri Peuch, direttore del Servizio di monitoraggio dell’atmosfera Copernicus – sono i principali responsabili del cambiamento climatico e dalle nostre attività di monitoraggio possiamo constatare che le concentrazioni atmosferiche continuano ad aumentare senza segni di rallentamento”.

 

emissioni industriali

Record di emissioni Co2 nel 2022: rischio di sforare gli 1,5°C in 9 anni

Le emissioni di anidride carbonica provenienti dai combustibili fossili aumenteranno dell’1% nel 2022 raggiungendo così il loro massimo storico.   Lo rivela uno studio che sarà presentato a Sharm el-Sheikh in occasione della Cop27. Le emissioni totali di questo gas serra – la principale causa del riscaldamento globale, comprese quelle prodotte dalla deforestazione – torneranno quasi ai livelli del 2019, lasciando a questo ritmo solo una possibilità su due di evitare di arrivare a un riscaldamento di 1,5° C in nove anni, secondo gli scienziati del progetto Global carbon. Secondo i calcoli, le emissioni di CO2 di origine fossile “aumenteranno dell’1% rispetto al 2021, per raggiungere 36,6 miliardi di tonnellate, leggermente al di sopra dei livelli del 2019 prima del Covid-19”. Tale incremento è trainato principalmente dall’utilizzo del petrolio (+2,2%), con la ripresa del traffico aereo, e del carbone (+1%).

Le emissioni del carbone, in calo dal 2014, dovrebbero aumentare dell’1% e tornare, o addirittura superare, il livello record di quell’anno. In totale, le emissioni globali di CO2 da tutte le fonti – compresa la deforestazione e l’uso del suolo – raggiungeranno il livello massimo di 40,6 miliardi di tonnellate, appena al di sotto del livello record registrato nel 2019, secondo le prime proiezioni per il 2022. “Le emissioni sono ora del cinque per cento superiori a quelle che erano al momento della firma dell’Accordo di Parigi nel 2015″, ha detto Glen Peters, direttore di ricerca presso l’istituto di ricerca sul clima CICERO in Norvegia e co-autore dello studio pubblicato sulla rivista Earth Systems Science Data in occasione della conferenza sul clima in corso a Sharm el-Shiekh. Secondo gli studiosi, su questi dati “c’è la congiunzione di due fattori, il proseguimento della ripresa post-Covid e la crisi energetica” dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C di riscaldamento globale, le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 45% entro il 2030. Da qui a 30 anni c’è una possibilità su due di raggiungere l’obiettivo meno ambizioso di +2°C, e a 18 anni di +1,7°C. Tuttavia, con quasi +1,2°C di riscaldamento già registrato, i disastri climatici sono in aumento in tutto il mondo, come accaduto nel 2022, anno in cu isi sono verificate ondate di calore, siccità, inondazioni.
“Abbiamo fatto dei progressi”, osserva la climatologa Corinne Le Quéré, un’altra autrice dello studio, sottolineando come la tendenza all’aumento delle emissioni dei combustibili fossili è passata da circa il 3% all’anno negli anni 2000 allo 0,5% all’anno nel corso del ultimo decennio. “Abbiamo dimostrato che la politica climatica funziona. Ma solo un’azione concertata al livello di quella intrapresa contro il Covid può piegare la curva“, ha insistito.
Tra i maggiori inquinatori mondiali, è in India che il rimbalzo delle emissioni fossili sarà più forte nel 2022, con un aumento del 6% principalmente a causa del consumo di carbone nel mezzo di una forte ripresa economica. Gli Stati Uniti registrano un +1,5%. La Cina, che dovrebbe chiudere a -0,9%, ha visto un forte calo all’inizio dell’anno con il lockdown ‘zero-Covid’ e la crisi delle costruzioni, anche se l’ondata di caldo estivo ha poi causato un calo dell’energia idroelettrica e un aumento del carbone .
L’Unione Europea, sprofondata nella crisi energetica dall’invasione dell’Ucraina, dovrebbe registrare un -0,8%, con le emissioni legate al gas che crollano del 10% e le emissioni legate al carbone che salgono del 6,7%, contro il +0,9% del petrolio.
Nel resto del mondo è previsto un aumento dell’1,7%, alimentato principalmente dalla ripresa del trasporto aereo.

gas

Ecco come vengono calcolate le emissioni di Co2

Gli inventari nazionali dei gas serra sono utilizzati nell’ambito dell’Accordo di Parigi per garantire il rispetto degli impegni assunti dai firmatari. Ma come si misurano queste emissioni?

I gas serra sono gas che assorbono la radiazione infrarossa (parte dei raggi solari) emessa dalla superficie terrestre. Contribuiscono quindi all’effetto serra, che mantiene ragionevole la temperatura della superficie terrestre. Per gli inventari nazionali vengono prese in considerazione le cosiddette emissioni antropogeniche, derivanti dalle attività umane. Le sostanze in questione stanno aumentando nell’atmosfera e sono responsabili del riscaldamento globale.

Gli inventari nazionali delle emissioni di gas serra si basano su stime, utilizzando una semplice formula matematica. Le emissioni sono calcolate moltiplicando la quantità di attività per un “fattore di emissione” per la sostanza in esame. Per i Paesi che non sono in grado di determinare i valori nazionali per i loro fattori di emissione, gli esperti climatici delle Nazioni Unite propongono dati predefiniti.

Il fattore di emissione viene utilizzato per convertire i livelli di consumo delle diverse energie in quantità di gas serra. I Paesi seguono le linee guida dell’IPCC nella preparazione dei loro rapporti. Questi includono raccomandazioni sui metodi di raccolta dei dati, sui settori da monitorare e sul potere di riscaldamento globale di ciascun gas. Si tratta di un indice che permette di confrontare l’impatto relativo dei gas serra sul cambiamento climatico, convertendo le emissioni dirette in “CO2 equivalente” (eqCO2). Si tratta del “potere di riscaldamento globale (GWP) che rappresenta l’impatto di un gas serra sul clima“.

Non tutti i Paesi hanno le stesse responsabilità nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). I cosiddetti Paesi dell’Allegato 1, che comprendono tutti i membri dell’OCSE e la Russia, si sono impegnati a ridurre le proprie emissioni e a fornire un rapporto di inventario disponibile due anni dopo l’anno osservato. Per il resto del mondo, che “oggi emette il 70% delle emissioni di gas serra del pianeta, non c’è altro obbligo che cercare di fare comunicazioni nazionali a intervalli regolari, che sono meno precise e per nulla in un formato armonizzato“, spiega Philippe Ciais, direttore di ricerca presso il Laboratorio di Scienze Climatiche e Ambientali (LSCE) e autore dell’IPCC.

La Cina, il maggior emettitore di gas serra, e gli Stati del Golfo rientrano in questa categoria. I principali settori che vengono esaminati sono:

  • Energia, con tutte le attività di combustione di combustibili nell’industria, nei trasporti e nell’edilizia;
  • Processi industriali, ad esempio la produzione di cemento o vetro, l’industria chimica, elettronica e metallurgica, ma anche l’uso di prodotti in sostituzione delle sostanze che riducono lo strato di ozono;
  • Agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo;
  • Trattamento dei rifiuti.

 

I principali gas serra identificati dall’IPCC sono l’anidride carbonica (CO2), il metano (CH4), il protossido di azoto (N2O), gli idrofluorocarburi (HFC) utilizzati in particolare nei propellenti spray, i perfluorocarburi (PFC) presenti nei condizionatori d’aria, l’esafluoruro di zolfo (SF6) utilizzato come isolante termico e il trifluoruro di azoto (NF3) utilizzato nella microelettronica. Gli inventari nazionali comunicati all’UNFCCC includono anche le emissioni di quattro gas serra indiretti: monossido di carbonio (CO), composti organici volatili non metanici (COVNM), ossidi di azoto (NOx) e ossidi di zolfo (SOx).

edilizia

Gli standard Ue per edifici sostenibili entro il 2050

Nuovi edifici a emissioni zero dal 2030 e standard minimi di rendimento energetico per la ristrutturazione di quelli esistenti. Sono i pilastri della proposta di revisione della direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia (EPDB – ‘Energy Performance of Building Directive’) avanzata dalla Commissione europea a metà dicembre con l’obiettivo di arrivare al 2050 con un parco immobiliare europeo a zero emissioni nette, sia sugli edifici vecchi e che su quelli ancora da costruire.

L’edilizia è responsabile del 40% dei consumi energetici d’Europa e del 36% dei gas a effetto serra provenienti dal settore energetico. Per i nuovi edifici da costruire viene introdotta la regola standard di emissioni zero dal 2030, mentre per la ristrutturazione degli edifici esistenti – di cui solo l’1% è sottoposto a processi di efficientamento annuale – Bruxelles ha scelto un approccio graduale a partire dal 2027. La direttiva rivista vincola gli Stati a individuare almeno il 15% del proprio patrimonio edilizio con le peggiori prestazioni energetiche e a ristrutturarlo passando dalla classe energetica più bassa “G” a fasce superiori. Nello specifico, i requisiti minimi di efficienza saranno dunque introdotti partendo prima dagli edifici non residenziali (come gli uffici o gli hotel) e a seguire quelli residenziali. Quanto ai primi, gli edifici che hanno il livello di prestazione energetica più scarso – indicato con la lettera “G” – dovranno rientrare almeno nella classe superiore “F” entro il primo gennaio 2027 e di classe “E” entro il primo gennaio 2030.

Per gli edifici residenziali, ovvero le case vere e proprie, i tempi sono più lunghi e dovrebbero raggiungere la classe “F” entro il primo gennaio 2030 e la classe “E” entro il primo gennaio 2033. Agli Stati membri come parte dei loro piani nazionali di ristrutturazione degli edifici, Bruxelles ha chiesto di inserire una roadmap con specifiche scadenze su come intendono arrivare a raggiungere classi di rendimento energetico più alte. Le tabelle di marcia dovranno indicare il percorso per eliminare gradualmente i combustibili fossili usati per il riscaldamento e il raffreddamento entro il 2040 al più tardi, insieme a un percorso per trasformare il parco edilizio nazionale in edifici a zero emissioni entro il 2050. Questi piani saranno integrati in quelli nazionali di energia e clima (PNEC).

La Commissione propone inoltre di armonizzare ed estendere gli attestati di prestazione energetica – che già sono presenti – per includere, ad esempio, le emissioni di gas serra come un nuovo indicatore obbligatorio. Entro il 2025 tutti gli attestati di prestazione a livello europeo dovrebbero essere basati su una scala armonizzata di classi di rendimento energetico uguali per tutti gli Stati: da “A” a “G” con “A” che significa ‘edifici a zero emissioni’ e “G” che corrisponde alla prestazione energetica peggiore. Dovranno avere degli attestati di prestazione anche tutti gli immobili messi in vendita o in affitto con l’indicazione della classe energetica di riferimento. Di nuovo, invece, la Commissione ha pensato all’introduzione di un “passaporto di ristrutturazione o di rinnovo”, per registrare quali potrebbero essere le diverse fasi nel processo di ristrutturazione di un edificio.

La proposta di revisione è parte centrale dei piani della Commissione europea per raddoppiare il tasso di rinnovamento energetico annuale delle abitazioni e degli edifici non residenziali entro il 2030 e favorirne una profonda ristrutturazione energetica, inseriti nella strategia “Ondata di rinnovamento” (Renovation Wave) presentata a ottobre 2020.

Caldo record

Caldo record minaccia l’ecosistema. Mari e ghiacciai al punto di ‘non ritorno’

Il 2021 è stato un anno record. Un traguardo, però, tutt’altro che da festeggiare dal momento che a raggiungere vette mai toccate finora è stata la temperatura, arrivata a registrare picchi così elevati da mettere in pericolo l’intero ecosistema. Dalle concentrazioni di gas serra al riscaldamento di mari e oceani, le previsioni non lasciano presagire nulla di buono. Inoltre, il buco dell’ozono sopra l’Antartico nel 2021 è stato insolitamente grande e profondo, raggiungendo l’area massima di 24,8 milioni di km2, pari alle dimensioni dell’Africa. È quanto emerge dal Global Climate 2021, il rapporto sul clima dell’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), che contiene tutti gli indicatori legati al clima e al loro impatto sul pianeta.

Gli ultimi sette anni (2015-2021) sono stati i più caldi mai registrati, conferma il WMO. Dal Nord America al Mediterraneo si sono verificate eccezionali ondate di caldo. La Death Valley, in California, ha raggiunto i 54,4°C il 9 luglio 2021 e a Siracusa, in Sicilia, sono stati raggiunti i 48,8°C. E per l’anno 2020, il primato va anche alle concentrazioni di gas serra. La quantità di anidride carbonica nell’aria, infatti, è arrivata a 413,2 parti per milione (ppm), ovvero il 149% del livello preindustriale.

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Cattive notizie anche per mari e oceani. Il rapporto Global Climate 2021 indica che negli ultimi due decenni i tassi di riscaldamento degli oceani hanno avuto un aumento significativo e che nel 2021 i primi 2000 metri di profondità hanno continuato a riscaldarsi. Come rapporto causa-effetto, per i mari si manifesta un secondo record: il livello medio è aumentato di circa 4,5 mm all’anno nel periodo 2013-2021. Si tratta di una crescita più che doppia rispetto a quella avvenuta nel periodo 1993-2002, dovuta principalmente alla perdita accelerata di massa di ghiaccio dalle calotte glaciali.

Come se non bastasse, gli oceani stanno subendo anche un abbassamento del livello di ph. Ma quali conseguenze può avere l’acidificazione degli oceani sul nostro pianeta? Come specifica il WMO nel rapporto, l’oceano assorbe circa il 23% delle emissioni annuali di CO2 di origine antropica che, reagendo con l’acqua, porta alla sua acidificazione degli oceani. Il ph basso mette a rischio gli organismi acquatici e gli ecosistemi, quindi la sicurezza alimentare, il turismo e la protezione delle coste. Quando il ph dell’oceano diminuisce, diminuisce anche la sua capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera.

Aumenta il numero di persone che soffrono la fame. Gli effetti combinati di conflitti, eventi meteorologici estremi e shock economici, ulteriormente aggravati dalla pandemia da Covid-19, “hanno minato decenni di progressi verso il miglioramento della sicurezza alimentare a livello globale”, si legge nel documento. L’aggravarsi delle crisi umanitarie nel 2021 ha portato a un numero crescente di Paesi a rischio carestia. Del numero totale di persone sottonutrite nel 2020, più della metà vive in Asia (418 milioni) e un terzo in Africa (282 milioni).

Come ha ricordato Petteri Taalas, segretario generale di WMO, il clima sta cambiando davanti ai nostri occhi. “Il calore intrappolato dai gas serra indotti dall’uomo riscalderà il pianeta per molte generazioni a venire. L’innalzamento del livello del mare, il calore degli oceani e l’acidificazione continueranno per centinaia di anni a meno che non vengano inventati mezzi per rimuovere il carbonio dall’atmosfera. Alcuni ghiacciai hanno raggiunto il punto di non ritorno e questo avrà ripercussioni a lungo termine in un mondo in cui più di 2 miliardi di persone soffrono già di stress idrico”. Il Global Climate 2021 sarà utilizzato come documento ufficiale durante i negoziati delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, noti come COP27, che si svolgeranno in Egitto entro la fine dell’anno.

emissioni gas serra

I gas serra tornano a crescere, ma la svolta green è in corso

C’era da aspettarselo: le emissioni di gas serra nel 2021 tornano a crescere con la piena ripresa delle attività economiche e della mobilità. Ma c’è una buona notizia: l’incremento non altera il trend di riduzione dei gas serra e di miglioramento dell’efficienza energetica registrato negli ultimi anni. A confermarlo è l’Ispra, che oggi ha diffuso ‘l’Inventario nazionale delle emissioni di gas serra e di altri inquinanti’ e gli ‘Indicatori di efficienza e decarbonizzazione’. La stima per il 2021 prevede in effetti un aumento del 6,8% delle emissioni rispetto al 2020, considerando un aumento del 6,5% del Pil. Resta rilevante il contributo dell’industria (+9,1%) e dei trasporti (+15,7%), ma anche per la produzione di energia per cui si stima un +2.2% nonostante la riduzione nell’uso del carbone (-35.2%). Secondo l’Inventario Ispra, nel 2020 le emissioni di gas serra diminuiscono del 27% rispetto al 1990 (passando da 520 a 381 milioni di tonnellate di CO2) e dell’8,9% rispetto al 2019, grazie alla crescita negli ultimi anni della produzione di energia da fonti rinnovabili (principalmente idroelettrico ed eolico), all’incremento dell’efficienza energetica nei settori industriali e alla riduzione dell’uso del carbone, ma anche alla pandemia da Covid che aveva portato ad un temporaneo blocco delle attività economiche e della mobilità.

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Il 2020 – spiegano gli esperti dell’Ispra – è stato un anno importante di verifica, per l’Italia e l’Ue, perché chiude il secondo Periodo di Kyoto”. Ebbene, facile intuire che dal 1990 i maggiori responsabili delle emissioni nazionali di gas climalteranti sono i settori della produzione di energia e dei trasporti. I dati al 2020, tuttavia, sono confortanti: -16,4% rispetto al 1990 e -19,4% nel periodo 2019-2020. “Sempre rispetto al 1990 – sottolinea Ispra – diminuiscono le emissioni provenienti dal settore delle industrie energetiche del 41% nel 2020, a fronte di un aumento della produzione di energia termoelettrica (da 178,6 Terawattora – TWh – a 181,3 TWh) e dei consumi di energia elettrica (da 218,7 TWh a 283,8 Twh)”.

Quanto al parco delle rinnovabili, nel 2020 la quota di energia prodotta da fonti pulite è stata del 20,4% rispetto al consumo finale lordo, un valore superiore all’obiettivo del 17%, più che triplicata rispetto al 2004 quando rappresentava il 6.3% del consumo finale lordo di energia.