Corridoio di idrogeno ‘verde’ da Barcellona a Marsiglia: energia pulita in tutta Europa

Un corridoio dell’idrogeno ‘verde’ per collegare la Penisola iberica alla Francia ed esportare energia pulita in tutta Europa. L’ambizioso progetto di interconnessione ‘H2Med’ che collegherà Barcellona e Marsiglia sarà operativo nel 2030, costerà circa 2,5 miliardi di euro e avrà la capacità di trasportare fino a due milioni di tonnellate di idrogeno pulito entro il 2030, pari a circa il 10% dei consumi a livello europeo. Ad annunciarlo i leader di Francia, Spagna e Portogallo in una conferenza stampa di presentazione del progetto al fianco della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, che si è tenuta ad Alicante a margine dei lavori del IX vertice Euromediterraneo (EuroMed9).
Ed è proprio alla Commissione Ue che i dettagli del progetto saranno presentati entro il 15 dicembre, per candidarsi a diventare un Progetto di interesse comune ed essere co-finanziato con i fondi europei della Connecting Europe Facility, il meccanismo per collegare l’Europa. Il governo spagnolo – come si legge in un documento di Madrid – punta a ricevere un finanziamento da parte di Bruxelles per circa il 50% del costo complessivo del progetto.
A detta di von der Leyen, le premesse per ricevere il finanziamento da parte dell’Ue ci sono. “Il progetto H2Med va assolutamente nella giusta direzione”, ha detto la leader tedesca in conferenza stampa al fianco del presidente francese Emmanuel Macron, del premier portoghese Antonio Costa e del premier spagnolo, Pedro Sanchez. Ha assicurato di accogliere con “favore la tua imminente candidatura per farne un progetto di interesse comune e ciò lo renderebbe idoneo a richiedere il sostegno finanziario dell’UE”.

Von der Leyen ha ricordato che la futura infrastruttura ha le caratteristiche per essere parte centrale del piano ‘REPowerEu’, presentato a maggio scorso per rispondere alla necessità di affrancare energeticamente l’Ue dalla Russia. Nel piano in questione, Bruxelles ha fissato l’obiettivo di produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile nell’Unione europea entro il 2030, e di importarne altri 10 milioni di tonnellate. Un nuovo progetto infrastrutturale transfrontaliero nella penisola iberica è citato dalla Commissione tra gli esempi di potenziali progetti da finanziare (contenuti nell’allegato 3 della comunicazione del REPower) per andare incontro alle esigenze infrastrutturali degli obiettivi energetici del piano e viene precisato chiaramente che un eventuale gasdotto dovrebbe essere “valutato in vista del suo potenziale a lungo termine per sfruttare l’importante potenziale di idrogeno rinnovabile della penisola iberica, così come del Nord Africa”.
Secondo Bruxelles, la nuova infrastruttura per il passaggio dell’idrogeno ha il potenziale per rappresentare il “primo elemento della spina dorsale dell’idrogeno” in Europa, ha ricordato von der Leyen, mentre l’Unione europea continua a lavorare per dar vita a una più ampia partnership per l’idrogeno verde con tutti i paesi del Mediterraneo meridionale. L’infrastruttura “H2Med” o “BarMar” (dai nomi di Barcellona e Marsiglia, le due città collegate da questo tubo), andrà nei fatti a sostituire il vecchio progetto di gasdotto sotterraneo “MidCat”, di cui si è discusso per anni per collegare le reti del gas francesi e spagnole attraverso i Pirenei e poi abbandonato.

La decisione di non far trasportare all’infrastruttura gas ma direttamente idrogeno è voluta perché Bruxelles possa dichiararlo un progetto di interesse comune, vista la necessità di sviluppare la produzione di energia pulita. “La penisola iberica è destinata a diventare uno dei principali hub energetici d’Europa. E l’Unione europea farà parte di questa ‘storia di successo‘”, ha aggiunto von der Leyen. Il premier portoghese Costa ha assicurato che l’infrastruttura non sarà utile solo al fabbisogno dei tre Paesi, ma al passaggio dell’idrogeno anche a tutto il resto del continente europeo. Secondo i dettagli preliminari del progetto, la tratta Barcellona-Marsiglia è pari a 455 chilometri.

decarbonizzazione

Cop27, piano d’azione per accelerare decarbonizzazione in 5 settori chiave

I governi che rappresentano oltre la metà del Pil mondiale lanciano un piano d’azione di 12 mesi per contribuire a rendere le tecnologie pulite più economiche e più accessibili ovunque. Il palco è quello della Cop27, in corso a Sharm el-Sheikh, in Egitto, ma il progetto è supportato anche dalle presidenze della Cop26 (avvenuta a Glasgow, l’anno scorso) e Cop28, che si terrà nel 2023 negli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di un pacchetto di 25 nuove azioni da realizzare entro la COP28 per accelerare la decarbonizzazione nell’ambito di cinque innovazioni chiave in materia di energia, trasporto su strada, acciaio, idrogeno e agricoltura.

Tali azioni sono rivolte a settori che rappresentano oltre il 50% delle emissioni globali di gas serra e sono anche progettate per ridurre i costi energetici e migliorare la sicurezza alimentare, con l’aggiunta del settore delle costruzioni all’interno della Breakthrough Agenda dell’anno prossimo.

Nell’ambito della Breakthrough Agenda, i Paesi che rappresentano oltre il 50% del Pil globale hanno definito “azioni prioritarie specifiche del settore per decarbonizzare energia, trasporti e acciaio, aumentare la produzione di idrogeno a basse emissioni e accelerare il passaggio all’agricoltura sostenibile entro la COP28. Queste misure sono progettate per ridurre i costi energetici, ridurre rapidamente le emissioni e aumentare la sicurezza alimentare per miliardi di persone in tutto il mondo.

Le azioni nell’ambito di ciascuna ‘svolta’ saranno realizzate attraverso cooperazioni di paesi impegnati – dal G7, Commissione europea, India, Egitto, Marocco e altri, supportati da importanti organizzazioni e iniziative internazionali e guidati da un gruppo centrale di governi di primo piano. Questi sforzi saranno rafforzati con finanziamenti privati ​​e iniziative industriali e altri paesi saranno incoraggiati ad aderire.

Le azioni prioritarie comprendono accordi per: Sviluppare definizioni comuni per acciaio, idrogeno e batterie sostenibili a basse e ‘quasi zero’ emissioni per aiutare a dirigere miliardi di sterline in investimenti, appalti e commercio per garantire credibilità e trasparenza; Accelerare la diffusione di progetti infrastrutturali essenziali, tra cui almeno 50 impianti industriali su larga scala a zero emissioni, almeno 100 valli di idrogeno e un pacchetto di importanti progetti infrastrutturali di rete elettrica transfrontaliera; Stabilire una data obiettivo comune per eliminare gradualmente le automobili e i veicoli inquinanti, coerentemente con l’accordo di Parigi. Un sostegno significativo per le date del 2040 a livello globale e del 2035 nei principali mercati sarà annunciato da paesi, aziende e città durante il Solutions Day; Usare miliardi di sterline di appalti pubblici e privati ​​e spese per infrastrutture per stimolare la domanda globale di beni industriali ecologici; Rafforzare sistematicamente l’assistenza finanziaria e tecnologica ai paesi in via di sviluppo e ai mercati emergenti per sostenere le loro transizioni, supportata da una serie di nuove misure finanziarie, compreso il primo grande programma di transizione industriale dedicato al mondo nell’ambito dei Fondi di investimento per il clima; Guidare gli investimenti in ricerca, sviluppo e dimostrazione in agricoltura (RD&D) per generare soluzioni per affrontare le sfide dell’insicurezza alimentare, dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale.

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Energia, infrastrutture e costi: lo sviluppo per l’idrogeno e la sua variante verde

Da oltre 20 anni università e aziende inseguono il ‘Sacro Graal’ dell’energia. Ciò che sembrava impossibile nel 2000 e che veniva considerata una semplice ‘visione’ nel 2010 si sta concretizzando in decine di Paesi del mondo. Addirittura nel 2002 persino l’economista Jeremy Rifkin teorizzava l’avvento “dell’era dell’idrogeno”. Sta di fatto che da due decenni si fa ricerca applicata sulla fonte rinnovabile per eccellenza e dal 2019 è iniziata la vera svolta. Fu l’Agenzia Internazionale dell’Energia (Iea) a confermare l’enorme potenzialità dell’idrogeno verde, occupandosi dei notevoli passi in avanti di tre Paesi (Francia, Giappone e Corea del Sud) che avevano già definito strategie nazionali per la produzione e l’utilizzo dell’idrogeno. Ebbene, l’esempio è stato seguito da almeno 15 Stati e altri 20 stanno preparando la propria strategia sulla variante verde dell’idrogeno. In Europa progetti nazionali e investimenti verranno favoriti dal Green deal per l’abbattimento delle emissioni di gas serra del 55% entro il 2030. Per questo l’Ue sta incoraggiando la cooperazione tra governi, istituzioni e principali player del settore. In Italia un ruolo di primo piano sarà giocato da Eni, Enel e Snam. La ‘Relazione sulla situazione energetica nazionale’ del ministero della Transizione ecologica, stima che oltre il 70% della rete dei metanodotti Snam siano pronti a trasportare idrogeno. Gli investimenti saranno dunque pubblici e privati e saranno rivolti anche alla realizzazione di impianti e reti di distribuzione

L’Hydrogen Council, che raggruppa un centinaio di amministratori delegati e top manager dell’energia e dei trasporti e dell’industria, ha stimato che entro il 2030 si produrranno 10 milioni di tonnellate di idrogeno, il 70% verde e il 30% blu. Proprio sulla versione ‘green’ si concentra l’attenzione dei governi più avanzati, data la necessità di approntare infrastrutture specifiche, dalle reti di distribuzione alla riconversione di aziende fino ai trasporti.

idrogeno

L’idrogeno verde è il punto d’arrivo ideale delle strategie nazionali di quei Paesi che stanno già investendo sulla decarbonizzazione. Si tratta infatti della variante ‘green’ dell’idrogeno che viene prodotta a basso impatto ambientale (tendente a zero) tramite il processo di elettrolisi dell’acqua alimentato da energia proveniente da fonti rinnovabili. La variante verde si differenzia da quella grigia, che viene prodotta attraverso lo steam reforming del metano (con conseguente dispersione nell’ambiente di enormi quantità di anidride carbonica) e si distingue da quella blu, anch’essa ottenuta mediante steam reforming ma con la ‘cattura’ delle particelle di CO2.

I governi più lungimiranti si stanno giù muovendo nella realizzazione delle infrastrutture di sviluppo e produzione di idrogeno verde e in alcuni casi si prevede la costruzione di impianti di elettrolisi a energia solare entro i prossimi due anni. Potrebbero intervenire però alcune incognite: tensioni geopolitiche (una su tutte la guerra in Ucraina), crisi della supply chain e della produzione di alta tecnologia, incremento abnorme dei prezzi dei beni energetici. In più è necessaria una grande quantità di elettricità pulita per il processo di elettrolisi: sarà fondamentale il ridimensionamento dei parchi fotovoltaici e soprattutto l’investimento in tecnologie più efficienti. Quest’ultimo fattore sarà cruciale nell’immediato futuro: il decremento dei costi di produzione e dei prezzi delle energie pulite agevoleranno la produzione di idrogeno verde. L’aumento della domanda potrebbe portare il prezzo dell’idrogeno verde dai 4-6 dollari al chilo a meno di 2 dollari al chilo nel 2030 e a 1,5 nel 2050. Attualmente l’idrogeno grigio costa attorno a 1,5 dollari al chilo e quello blu tra i 2 e i 2,5 dollari.

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Italia presente nell’elenco progetti rinnovabili transfrontalieri Ue

La Commissione europea ha individuato il primo elenco di tre progetti transfrontalieri di energia rinnovabile da realizzare in Ue, tra cui uno finalizzato alla produzione di energia elettrica pulita in Italia, Spagna e Germania per la conversione, il trasporto e l’utilizzo di idrogeno verde nei Paesi Bassi e in Germania. Per la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, i tre progetti selezionati “sono solo l’inizio: stiamo accelerando la diffusione delle energie rinnovabili in tutta l’Ue e ci stiamo muovendo verso un approccio sempre più collaborativo”.

Per quanto riguarda l’Italia, il piano punta alla costruzione di nuove centrali rinnovabili aggiuntive nella Penisola e quindi convertire l’energia verde prodotta in idrogeno verde e/o ammoniaca. Parte di questa – spiega l’esecutivo europeo – sarà utilizzata per gli acquirenti direttamente nei Paesi Bassi, ma la maggior parte sarà convertita in idrogeno e trasportata in Germania per un ulteriore utilizzo, soprattutto per le industrie difficili da elettrificare. Gli stati lavoreranno in simbiosi, anche perché, come afferma Simson: “Il pieno potenziale per la transizione verde e la decarbonizzazione dell’Ue può essere realizzato solo attraverso sforzi congiunti in tutti i settori, tecnologie e regioni”. Quanto agli altri due progetti dell’elenco, si tratta di un parco eolico offshore ibrido tra Estonia e Lettonia e una rete di teleriscaldamento transfrontaliera basata sulle rinnovabili tra Germania e Polonia.

(Photo credits: Ina FASSBENDER / AFP)

Treno idrogeno

La prima linea ferroviaria a idrogeno arriva in Germania. Ma non è così green

Via libera in Germania alla prima linea ferroviaria al mondo interamente a idrogeno, un importante passo avanti per la decarbonizzazione delle ferrovie, nonostante le sfide di approvvigionamento poste da questa tecnologia innovativa. Una flotta di quattordici treni, forniti dalla francese Alstom alla regione della Bassa Sassonia (nord), sostituirà le attuali locomotive diesel sui cento chilometri della linea che collega le città di Cuxhaven, Bremerhaven, Bremervörde e Buxtehud, non lontano da Amburgo. “Qualunque sia l’ora del giorno, i passeggeri viaggeranno su questa rotta grazie all’idrogeno“, spiega Stefan Schrank, project manager di Alstom.

I treni a idrogeno sono un mezzo importante per ridurre le emissioni di CO2 e sostituire il diesel, che fornisce ancora il 20% dei viaggi in Germania. Mescolano l’idrogeno a bordo con l’ossigeno presente nell’ambiente, grazie a una cella a combustibile installata nel tetto che produce l’elettricità necessaria per trainare il treno.

Progettati in Francia, a Tarbes e assemblati a Salzgitter in Germania, i treni Alstom – battezzati Coradia iLint – sono pionieri nel campo. Nel 2018 sono iniziate le prove commerciali sulla linea con la circolazione regolare di due treni a idrogeno. L’intera flotta sta ora adottando questa tecnologia.

Il gruppo francese ha firmato quattro contratti per diverse decine di treni, in Germania, Francia e Italia, e la domanda è in crescita. Nella sola Germania “tra 2.500 e 3.000 treni diesel potrebbero essere sostituiti dall’idrogeno“, stima Schrank. “Entro il 2035, circa il 15-20% del mercato regionale europeo potrebbe funzionare a idrogeno“, conferma Alexandre Charpentier, esperto ferroviario di Roland Berger. I treni a idrogeno sono particolarmente rilevanti per le piccole linee regionali, dove il costo del passaggio all’elettrico è troppo elevato rispetto alla redditività del collegamento. Attualmente, circa un treno regionale su due in Europa viaggia a diesel.

Anche i concorrenti di Alstom sono entrati in gara. La tedesca Siemens ha presentato lo scorso maggio un prototipo di treno con Deutsche Bahn, in vista della messa in servizio a partire dal 2024. Ma, nonostante queste prospettive allettanti, “ci sono delle barriere concrete” allo sviluppo, afferma l’esperto.

Perché i treni non sono gli unici ad avere sete di idrogeno. L’intero settore dei trasporti, stradale o aereo, ma anche l’industria pesante, in particolare siderurgica e chimica, si affidano a questa tecnologia per ridurre le proprie emissioni di CO2.

Anche se la Germania ha annunciato nel 2020 un piano ambizioso da 7 miliardi di euro per diventare leader nelle tecnologie dell’idrogeno in un decennio, nel Paese mancano ancora le infrastrutture – come in tutta Europa – sia per la produzione sia per i trasporti, ed entrambi richiedono investimenti colossali. “Per questo motivo, non vediamo una sostituzione del 100% dei treni diesel con l’idrogeno“, spiega Charpentier. Inoltre, l’idrogeno non è necessariamente carbon free: solo quello ‘verde’, prodotto utilizzando energia rinnovabile, è considerato sostenibile dagli esperti. Esistono altri metodi di produzione, molto più comuni, ma emettono gas serra perché sono ricavati da combustibili fossili. Prova che la risorsa è carente: la linea della Bassa Sassonia dovrebbe, inizialmente, utilizzare l’idrogeno sottoprodotto di alcune industrie, come quella chimica. Secondo l’istituto di ricerca francese IFP, specializzato in questioni energetiche, l’idrogeno è attualmente “derivato per il 95% dalla trasformazione dei combustibili fossili, di cui quasi la metà dal gas naturale“.

Tuttavia, l’Europa sta già vivendo tensioni a causa della riduzione della fornitura di gas naturale russo, sullo sfondo della guerra in Ucraina. “Le decisioni politiche dovranno stabilire in quale settore andrà o meno la produzione di idrogeno“, afferma Charpentier. Anche la Germania dovrà aumentare le importazioni per soddisfare le sue esigenze. Recentemente sono state firmate partnership con India e Marocco e un accordo per importare idrogeno dal Canada è in programma in questi giorni.

isola Cavoli

Con Green Hyland l’isola dei Cavoli sarà la prima al mondo a impatto zero

L’isola dei Cavoli, sulla costa sud orientale della Sardegna, potrebbe presto diventare la prima isola al mondo alimentata al 100% da energia rinnovabile. È questo l’obiettivo dell’iniziativa Green Hyland, promossa dalla startup sarda H2D Energy, in partenza il prossimo settembre. Un progetto ambizioso che mira all’autonomia energetica mediante accumulo e trasformazione in idrogeno; in questo modo tutti i servizi verranno alimentati da tecnologie a emissioni zero e saranno realmente sostenibili e rispettosi dell’ecosistema marino e terrestre.

Non è un caso che sia stata scelta proprio l’isola dei Cavoli per questo esperimento unico al mondo. Collocata all’interno dell’area marina protetta di Capo Carbonara, ente del Comune di Villasimius, la piccola isola granitica è una terra di confine di impareggiabile bellezza, immersa in un contesto naturalistico selvaggio. Le sue acque limpide ospitano delfini, balenottere e razze marine pregiate, dalle aragoste alle ricciole, vero e proprio richiamo per il pescaturismo. Un patrimonio naturale che necessita, oggi più che mai, di essere salvaguardato.

Ma su cosa si basa il progetto? L’idea è quella di accumulare energia elettrica rinnovabile mediante idrogeno, sfruttando il sistema Hybox, progettato dalla startup H2D Energy. Durante le ore diurne questo dispositivo accumula l’energia elettrica prodotta da un sistema fotovoltaico, la trasforma in idrogeno e la restituisce quando quest’ultimo non produce energia (ad esempio di notte o con tempo nuvoloso). Il sistema – come ha spiegato a GEA Carlo Manconi, managing director di H2D Energy – lavorando 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno, risolve il problema fisiologico delle energie rinnovabili, ovvero la mancanza di continuità. Una vera e propria rivoluzione energetica: la produzione dell’idrogeno non utilizza infatti componenti inquinanti, né nella fase di accumulo, né in quella di rilascio dell’energia, dunque non necessita di alcun processo di smaltimento. Evita inoltre le dispersioni di energia che, prodotta durante l’estate, può essere utilizzata in inverno, o anche a distanza di anni.

Grazie al sistema Hybox, l’acqua sarà ottenuta condensando l’umidità dell’aria mediante un sistema chiamato AWG (Atmospheric Water Generator) e le acque reflue saranno filtrate da un sistema a osmosi inversa e rese pure. Anche il trasporto verrà rivoluzionato: per la prima volta al mondo sarà installata una colonnina di rifornimento idrogeno per imbarcazioni da diporto, così l’isola potrà essere raggiunta direttamente con imbarcazioni elettriche, eliminando non solo l’inquinamento emesso dagli scarichi, ma anche quello acustico.

Le tappe dell’iniziativa sono già ben definite, come spiegato da Fabrizio Atzori, direttore dell’area marina protetta di Capo Carbonara: “Partiamo a settembre con il primo processo di elettrolizzazione e con il posizionamento della strumentazione sull’isola per testarne il sistema. Questo ci è possibile anche grazie alla collaborazione con il dipartimento di ricerca dell’Università di Cagliari. Poi tra giugno e luglio 2023 forniremo una barca alimentata a propulsione a idrogeno e una colonnina che verrà posizionata sui moli grazie al finanziamento di Regione Sardegna. Arriviamo poi a fine 2023/inizio 2024 con l’avvio della produzione di acqua. In questo modo andiamo verso quello che è il concetto vero e proprio di transizione ecologica”.

Il progetto, che ha un costo stimato di circa 250mila euro, è finanziato con fondi regionali e privati. Si tratta di un’occasione unica per la Sardegna e l’Italia intera di dare vita al primo territorio del pianeta Terra realmente sostenibile: un primo piccolo grande passo verso una rivoluzione che avrà presto dimensioni globali.

Aereo

Il futuro green per i voli aerei è (per ora) nell’olio di cucina usato

Se la rivoluzione elettrica nell’automotive è già realtà e persino le compagnie da crociera stanno seguendo la rotta verso la sostenibilità, c’è da chiedersi quando decollerà il primo aereo eco-friendly. Non si tratta solo di una sfida tecnologica o di piani aziendali per migliorare la reputazione ambientale. Ma di una necessità. Al di là dei toni allarmistici, i dati dell’Air Transport Action Group (Atag) dicono che nel 2019 (ormai anno di riferimento pre-pandemico), i voli aerei globali hanno prodotto qualcosa come 915 milioni di tonnellate di CO2, ovvero il 2,1% delle emissioni totali causate dagli esseri umani. L’aviazione pesa inoltre per il 12% sul totale delle emissioni generate dai trasporti (al primo posto, con il 74%, c’è quello stradale).

Dovrebbero bastare anche solo questi dati per spingere le compagnie aeree e le istituzioni a tracciare una rotta che obblighi il settore ad una svolta green. Ma c’è di più, considerando il proverbiale rapporto costi/benefici. Un volo passeggeri, infatti, registra mediamente una capienza vicina all’83%, molto di più di altri sistemi di trasporto. In più, i combustibili alternativi, in particolare quelli per aerei sostenibili (Saf, sustainable aviation fuel), sono stati identificati come ottimi candidati per aiutare a raggiungere gli obiettivi climatici del settore. Nella fattispecie, Atag ha fissato al 2050 il limite per raggiungere quota zero emissioni. Mancano poco meno di tre decenni ma il piano appare già ambizioso, considerando il settore.

Eppure l’industria aeronautica ha già investito globalmente oltre 1 trilione di dollari dal 2009 per migliorare le proprie flotte e dotarle di mezzi più efficienti. Tale adeguamento ha consentito di risparmiare almeno 80 milioni di tonnellate di CO2. Aumentano, inoltre, di anno in anno, gli investimenti in ricerca e sviluppo. Non solo sulle forniture tecnologiche, ma anche nel campo dei carburanti: i primi test per bio-carburanti destinati all’aviazione sono cominciati nel 2008. Da allora è stato dimostrato che le fonti derivate da Saf come alghe, jatropha o olii di scarto di origine bio (come l’olio da cucina usato) riducono l’impronta di carbonio del carburante per aerei fino all’80%.

SCARTI PREZIOSI

Attualmente il carburante più utilizzato sui voli commerciali è il jet fuel, a base di cherosene (derivato del petrolio, più conveniente ed efficiente dell’Avgas, la benzina avio). Ma alcune compagnie aeree, tra cui i colossi Klm, Boeing e Lufhtansa, hanno già cominciato a miscelare il Saf con combustibile fossile per alcuni voli di prova. La sostituzione completa del carburante da qui al 2050 avverrà ovviamente in modo graduale, anche perché la capacità di produzione disponibile nel mondo è molto limitata. Secondo l’Organizzazione internazionale dell’Aviazione civile (Icao), nel 2021 sono stati prodotti circa 5 milioni di tonnellate di Saf a fronte di un fabbisogno annuo mondiale di oltre 140 milioni di tonnellate. Senza contare che il Saf è almeno 2-3 volte più costoso del carburante tradizionale. La stessa Icao ha promosso lo schema Corsia (Carbon Offsetting and Reduction Scheme for International Aviation), per la regolazione delle emissioni di CO2 dall’aviazione civile tramite utilizzo del Saf. Prevede tre fasi: le prime due 2022-2023 e 2024-2026 a partecipazione volontaria, la terza obbligatoria per tutti gli Stati partecipanti dal 2027 al 2035. Finora 107 Paesi hanno adottato lo schema (Italia compresa), e dal 2023 il numero dovrebbe salire a 114.

LE ALTERNATIVE

Le rotte che l’industria aeronautica può percorrere verso la sostenibilità sono diverse. Almeno sulla carta. Considerando la tecnologia, l’approdo più immediato sarebbe sull’elettrico, il che significherebbe azzerare di netto le e missioni nocive. Troppo bello per essere vero? Dipende. Al momento il problema più grosso è lo stoccaggio delle batterie, troppo pesanti e ingombranti per garantire viaggi di media e lunga percorrenza e soprattutto per imbarcare centinaia di passeggeri o tonnellate di merce. Le sperimentazioni in corso prevedono per ora viaggi mediamente brevi per 4-5 persone. Quanto all’idrogeno, sarebbe la soluzione più conveniente dal punto di vista ambientale, ma anche qui l’ostacolo da superare è l’ingombro di stoccaggio sui velivoli, 3-4 volte superiore di quello del carburante tradizionale. Ciò nonostante, Airbus ha già annunciato di voler inaugurare il primo aereo a idrogeno entro il 2035.

Nel frattempo, l’Europa spinge sulla svolta sostenibile. Con il piano ReFuelEU Aviation inserito nel pacchetto sul ‘Fit for 55’, la Commissione Ue intende aumentare almeno all’85% la quota di combustibili sostenibili entro il 2050, includere idrogeno ed elettricità nei mix di biocarburanti e dar vita a un fondo per l’aviazione sostenibile così da incoraggiare gli investimenti in tecnologie a zero emissioni.

(Photo credits: Eric PIERMONT / AFP)

Ferruccio Resta

Alla scoperta del Centro nazionale mobilità sostenibile del PoliMilano

Il Centro Nazionale per la Mobilità Sostenibile? Risponde a una delle missioni chiave del Pnrr, ma non si fermerà al 2026. Anzi, “I primi tre anni saranno per noi una fase di startup, nella quale investire in progetti flagship, ma la prospettiva è continuare a sviluppare innovazione valorizzando le competenze sul territorio per dare una risposta concreta ai bisogni del paese”. Ne è convinto Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano, ente proponente del Centro: un progetto di ampio respiro che potrà intervenire nell’ambito della decarbonizzazione, della decongestione delle reti di trasporto, fino alla sicurezza, l’accessibilità e l’inserimento di nuove competenze e professionalità nel mercato.

Siglato a giugno l’atto costitutivo, vedrà l’inizio delle attività dall’1 settembre. Sono coinvolte 25 università e centri di ricerca, con quasi 700 ricercatori dedicati, e 24 grandi imprese. Un investimento da 394 milioni di euro (nel triennio 2023 – 2025) per contribuire a sviluppare un settore che raggiungerà un valore complessivo di 220 miliardi di euro nel 2030, e assorbirà il 12% della forza lavoro.

L’attività del Centro Nazionale si concentrerà su cinque aree strategiche, nell’ottica di renderle più green e digitali: la mobilità aerea, i veicoli stradali, il trasporto per vie d’acqua, il trasporto ferroviario, oltre all’ambito dei veicoli leggeri e della mobilità attiva. Per tutti questi vettori saranno poi considerate tecnologie trasversali (ne sono state individuate nove) sulle quali intervenire: dai materiali innovativi, fino alle smart infrastructures, servizi, urban mobility o sistemi alternativi di propulsione. “La nostra idea è che non esista una tecnologia unica per la mobilità” dice Resta. Sistemi di propulsione basati su biocombustibili, sull’energia elettrica, o sull’utilizzo di idrogeno, rivestono insomma pari importanza per il futuro dei trasporti. “È evidente, per esempio, che non si può parlare di idrogeno soltanto pensando a mezzi ferroviari, navi o mezzi pesanti” continua Ferruccio Resta, “Così come l’elettrico, fino ad oggi associato quasi esclusivamente ai mezzi terrestri, sta già incontrando ragionamenti per un passaggio su acqua a air mobility”.

Un altro esempio importante nel percorso che dovrà portarci a un sistema di mobilità sostenibile è poi il tema della connessione. Da realizzare prima di tutto a livello di infrastruttura: “Un’infrastruttura connessa porta con sé importanti tematiche relative alla capacità delle reti e alla sicurezza” continua il rettore Ferruccio Resta, requisito fondamentale per arrivare poi all’introduzione, per esempio, di veicoli a guida autonoma sulle nostre strade. “Ma passare da una mobilità tradizionale a una mobilità autonoma non sarà come accendere un interruttore” continua Ferruccio Resta, “sarà invece un processo continuo. Già oggi le nostre automobili stanno lentamente assumendo funzioni sempre più autonome, e sempre di più ci aiuteranno durante la guida. Fra 10/20 anni di fatto potranno rendere possibile una mobilità nuova”.

Il lavoro del Centro sarà allora sviluppare competenze per accompagnare una transizione di lungo respiro. La sfida” commenta il rettore, “sarà implementare un modello di business per dare continuità al Centro Nazionale, consolidandosi e aiutando il paese ad avere un ruolo sempre maggiore in questo ambito. “E sono convinto che ciò possa avvenire” conclude, “vedo sempre maggiore esigenza da parte di comuni, regioni, istituzioni locali, ad avere un interlocutore a supporto dello sviluppo di una mobilità adatta alle specifiche condizioni”. Un punto di partenza incoraggiante per un progetto che punta ad accompagnare la transizione green e digitale in un’ottica sostenibile, garantendo la transizione industriale del comparto e accompagnando le istituzioni locali a implementare soluzioni moderne, sostenibili e inclusive nelle città e nelle regioni del paese.

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‘Ipcei Hy2Tech’: il primo progetto di interesse comune europeo sull’idrogeno

Un primo passo storico a livello europeo per lo sviluppo e l’innovazione delle tecnologie legate all’idrogeno. Il 15 luglio è arrivato il via libera dalla Commissione europea a un piano di aiuti di Stato da 5,4 miliardi di euro che coinvolge 15 Paesi membri Ue, sotto la bandiera del progetto ‘Ipcei Hy2Tech’, il primo di interesse comune europeo per sostenere la ricerca e le applicazioni industriali nella catena di valore dell’idrogeno. “L’idrogeno è una parte cruciale della soluzione per attuare la transizione verde, perché ha il potenziale di sostituire parte delle fonti fossi attualmente utilizzate“, ha sottolineato la vicepresidente esecutiva della Commissione Ue e commissaria per la Concorrenza, Margrethe Vestager. “La guerra in Ucraina e la crisi energetica – ha aggiunto – hanno solo accelerato un processo che era già in atto“.

Sulla base delle norme dell’Unione europea sugli aiuti di Stato, l’esecutivo comunitario ha inaugurato così il primo dei cosiddetti ‘Important Projects of Common European Interest’ (Ipcei) sull’idrogeno, che dovrebbe sbloccare altri 8,8 miliardi in investimenti privati. Anche l’Italia partecipa al progetto ‘Ipcei Hy2Tech’ (insieme ad Austria, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Slovacchia e Spagna) e tra le 35 aziende coinvolte – per 41 progetti totali di ricerca, sviluppo e applicazione industriale – ci sono anche le italiane Alstom, Ansaldo, De Nora, Fincantieri ed Enel. Con l’obiettivo di creare circa 20 mila posti di lavoro diretti, la Commissione europea specifica che il progetto di interesse comune coprirà “un’ampia parte della catena del valore della tecnologia dell’idrogeno“, tra cui le celle a combustibile, lo stoccaggio, il trasporto e la distribuzione dell’idrogeno, “in particolare nel settore della mobilità“.

Secondo la valutazione della Commissione europea sulle norme Ue per gli aiuti di Stato, il progetto ‘Ipcei Hy2Tech’ soddisfa le “condizioni richieste“, soprattutto sul contributo alla catena di valore energetica e sugli obiettivi del Green Deal europeo, della Strategia europea per l’idrogeno e del piano RePowerEU. “Tutti i 41 progetti che fanno parte del progetto di interesse comune sono molto ambiziosi, in quanto mirano a sviluppare tecnologie e processi che vanno al di là di quanto offre attualmente il mercato e che consentiranno di migliorare notevolmente le prestazioni, la sicurezza, l’impatto ambientale e l’efficienza dei costi“, si legge nella valutazione del gabinetto guidato da Ursula von der Leyen. “Gli aiuti alle singole imprese sono limitati a quanto necessario, proporzionato e non falsano indebitamente la concorrenza“, alla luce di quanto verificato sui massimali di aiuto previsti, e “si genereranno effetti positivi di ricaduta in tutta Europa“, considerato il fatto che i risultati del progetto saranno condivisi dalle aziende partecipanti con la comunità scientifica e l’industria europea.

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Venezia spinge sulla sostenibilità, la svolta green tocca anche il Lido

Il Mose per salvare la laguna, il dibattito sulle grandi navi e la prima banchina provvisoria a Marghera per limitarne il transito a San Marco. E ancora, la stazione Eni per il rifornimento di veicoli a idrogeno e il piano per contingentare le presenze in centro storico. Ora Venezia punta a diventare ancora più green sul turismo, vero e proprio motore per il Pil cittadino e del Veneto. E comincia dal Lido, promuovendo un nuovo modello di turismo rispettoso dell’ambiente attraverso il progetto ‘Litorale green’, presentato allo stabilimento balneare ‘Blue moon’. “Il primo e più importante intervento – ha commentato l’assessore comunale al Bilancio, Michele Zuinè stata la creazione di una rete urbana di trasporto pubblico del tutto elettrica, composta da 30 autobus con relative ricariche dotati ognuno di circa 90 posti, porte usb e schermi che forniscono informazioni ai cittadini su cui abbiamo investito 27 milioni di euro. Vogliamo portare anche i privati verso l’elettrico, perciò è stata stipulata una convenzione con Enel che ha installato finora quattro colonnine di ricarica. L’obiettivo sarà introdurre questi mezzi, sia elettrici che a idrogeno, anche in terraferma“.

Il progetto relativo al Lido, rientra nella prima edizione del ‘Summit del mare costa veneta green lab’, l’iniziativa promossa dalla Conferenza dei sindaci del litorale veneto, alla quale hanno aderito 10 comuni costieri tra i quali anche Venezia (oltre a San Michele al Tagliamento, Caorle, Eraclea, Jesolo, Cavallino Treporti, Chioggia, Rosolina, Porto Tolle e Porto Viro).

La Conferenza prevede che ognuna delle località coinvolte promuova una serie di attività di tutela ambientale. L’impegno in ottica sostenibilità del Lido era nato tuttavia tra il 2018 e il 2019, con la firma del protocollo condiviso con l’allora ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti. “L’adesione alla Conferenza dei sindaci del litorale ci può aiutare, confrontandosi anche con altri Comuni, quali Jesolo o Caorle, a sviluppare per il Lido un tipo di turismo diverso e sostenibile“, ha rimarcato Zuin. Un particolare intervento del Comune mira dunque alla svolta per la mobilità elettrica. Verrà realizzata una nuova pista ciclabile (investimento di quasi 3 milioni di euro), che partirà da San Nicolò e arriverà a Pellestrina. “Abbiamo inoltre installato 109 rastrelliere in 33 aree del Lido, per un totale di 828 posti, e 17 in 9 aree di Pellestrina, per 141 posti. Altri 926 posti verranno creati tra l’estate e l’autunno“, spiega l’assessore della Giunta Brugnaro.

Altro caposaldo del ‘Lido sostenibile’ è la gestione accorta dei rifiuti, considerando il grande afflusso di turisti, soprattutto nella stagione estiva e durante i grandi eventi (primo tra tutti la Mostra del Cinema). La quota di raccolta differenziata è in effetti già al 75%, ovvero pari a quella della terraferma, ma l’obiettivo è arrivare all’80% e al contempo ridurre del 15% la produzione di rifiuti solidi urbani. Nella zona di santa Maria Elisabetta, dove sono situati gli attracchi dei traghetti, il Comune ha anche installato in via sperimentale un cestino compattatore alimentato a energia solare.