Boom dei prezzi alimentari in Italia: dal 2021 fare la spesa costa il 25% in più

Prima la ripresa dalla pandemia, poi gli shock energetici causati dalla guerra in Ucraina scatenata dalla Russia. Sono queste quelle che Istat definisce le “principali determinanti” della crescita dei prezzi dei beni alimentari in Italia. Una vera e propria impennata: da ottobre 2021 a ottobre 2025 hanno registrato aumenti del 24,9%, quasi 8 punti sopra l’inflazione generale misurata dall’Ipca (+17,3%). E se l’Italia è messa male, le altre principali economie Ue fanno anche peggio. L’Istat ricorda che i prezzi del cibo sono infatti aumentati, nel periodo in esame, del 29% per l’area euro (+32,3 nella Ue), del 32,8% in Germania, del 29,5% in Spagna. Solo la Francia ha registrato incrementi leggermente inferiori (23,9%).

Nel focus allegato all’ultima ‘Nota di andamento dell’economia italiana’, l’istituto nazionale di statistica rileva che i prezzi degli alimentari iniziano a crescere nella seconda metà del 2021, subiscono un’impennata dall’inizio del 2022 fino alla metà del 2023, e continuano ad aumentare, seppure a tassi più moderati, anche nel periodo successivo. Si arriva a settembre 2025 con prezzi in aumento del 26,8% rispetto all’ottobre 2021 e incrementi molto ampi per i prodotti vegetali (+32,7%), latte, formaggi e uova (+28,1%) e pane e cereali (+25,5%). L’impatto è facile da immaginare, considerando che i beni alimentari rappresentano oltre un quinto del valore economico dei beni e servizi consumati dalle famiglie italiane e che la sola componente cibo rappresenta il 16,6% della spesa media. Istat sottolinea che si tratta di “beni in prevalenza necessari” e si caratterizzano “per la rigidità della loro domanda rispetto ad aumenti di prezzo”. L’impatto risulta dunque “rilevante” sul potere di acquisto delle famiglie, soprattutto quelle a più basso reddito, in considerazione della maggiore quota dei beni alimentari rispetto al totale dei consumi.

Come si è arrivati fin qui lo spiega sempre Istat, con una fotografia plastica: a partire dalla seconda metà del 2021 sono iniziate a manifestarsi pressioni al rialzo dei prezzi internazionali delle materie prime alimentari dovute alla fase di ripresa economica post pandemica. In tale contesto, in presenza di una domanda crescente e di frizioni nell’approvvigionamento dovute ai riassestamenti delle catene globali dopo la pandemia, si è verificata una contrazione dell’offerta mondiale determinata anche da eventi metereologici avversi nei principali paesi esportatori. A partire da febbraio 2022, l’invasione dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni internazionali contro la Russia (con il blocco delle importazioni di gas) hanno determinato forti pressioni inflattive sui beni energetici. Nello stesso periodo hanno infatti continuato a crescere i prezzi delle materie prime alimentari. Lo shock energetico ha inoltre colpito anche indirettamente il settore alimentare, attraverso gli incrementi dei prezzi di altri prodotti intermedi, in particolare i fertilizzanti (il cui prezzo – rileva Istat – è più che raddoppiato dall’inizio del 2021 alla fine del 2022).

Un effetto a cascata: gli incrementi del prezzo dei prodotti alimentari non lavorati si sono trasmessi poi a quelli lavorati. Così i prezzi alla produzione dell’industria alimentare sono aumentati del 21,4%, tra il terzo trimestre del 2021 e il terzo del 2023, data un’analoga crescita delle materie prime agricole. Negli ultimi due anni, i prezzi hanno continuato ad aumentare “ma a tassi notevolmente più contenuti”, spiega Istat. A tale dinamica ha contribuito il recupero dei margini di profitto delle imprese del settore agricolo, mantenutisi su livelli particolarmente bassi nel periodo 2021-2022.

Secondo le associazioni dei consumatori sono dati che spiegano la depressione dei consumi. “I maxi rincari nel settore alimentare non solo impoveriscono le famiglie, ma portano a profonde modifiche nelle abitudini degli italiani, al punto che una famiglia su tre è stata costretta nell’ultimo anno a tagliare la spesa per cibi e bevande” spiega il presidente di Assoutenti, Gabriele Melluso, secondo cui gli aumenti dei listini alimentari proseguono ancora oggi: a fronte di una inflazione nazionale all’1,2%, alcuni prodotti registrano “rincari fortissimi”. Ad ottobre la carne balza del +5,8% su anno con punte del +7,9% per la carne bovina, le uova segnano un +7,2%, formaggi e latticini +6,8%, burro +6,7%, riso +4,6%. Per altri prodotti gli aumenti sono addirittura a due cifre: il cioccolato sale del +10,2%, il caffè del +21,1%, il cacao del +21,8%. Insomma, le famiglie italiane spendono sempre di più per un carrello sempre più vuoto: da ottobre 2021 ad oggi le vendite alimentari nel nostro Paese sono crollate in volume del -8,8%. Il Codacons chiama in causa Mister Prezzi e l’Antitrust “affinché avviino una approfondita indagine sull’andamento dei listini alimentari in Italia” dato che i listini “non sono tornati alla normalità” quando le emergenze sono terminate e hanno dato vita “a una forma di speculazione sulla pelle dei consumatori“.

A settembre il carrello della spesa rallenta a +3,1%. Inflazione -0,2% su mese e +1,6% su anno

A settembre, i prezzi dei beni alimentari, per la cura della casa e della persona decelerano (da +3,4% a +3,1%) e quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto accelerano (da +2,3% a +2,6%). Lo rende noto l’Istat. La decelerazione è dovuta all’ effetto del rallentamento dei prezzi degli alimentari non lavorati (da +5,6% a +4,8%; +0,6% su agosto). In dettaglio, si attenua il ritmo di crescita dei prezzi sia di frutta fresca o refrigerata (da +8,8% a +5,5%; -1,5% su agosto) sia dei vegetali freschi o refrigerati diversi dalle patate (da +5,1% a +2,8%; +3,2% su agosto). La dinamica tendenziale dei prezzi degli alimentari lavorati resta stabile (a +2,7%; -0,5% su agosto).

Complessivamente, a settembre, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, evidenzia una variazione del -0,2% su base mensile e del +1,6% su base annua (come nel mese precedente), confermando la stima preliminare.

La stabilità del tasso d’inflazione, spiega l’Istat, “sottende andamenti differenziati dei diversi aggregati di spesa”: sono in rallentamento i prezzi dei servizi relativi ai trasporti (da +3,5% a +2,4%), degli alimentari non lavorati (da +5,6% a +4,8%) e in accelerazione quelli degli energetici regolamentati (da +12,9% a +13,9%), a cui si aggiunge la ripresa dei prezzi degli energetici non regolamentati (da -6,3% a -5,2%).

A settembre l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, decelera (da +2,1% a +2,0%), come quella al netto dei soli beni energetici (da +2,3% a +2,1%). La dinamica tendenziale è stabile per i prezzi dei beni (+0,6%), mentre quella dei servizi si attenua lievemente (da +2,7% a +2,6%). Dunque, il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni scende a +2,0 punti percentuali, dai +2,1 p.p. del mese precedente.

L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) aumenta di 1,3% su agosto, per effetto della fine dei saldi estivi di cui il NIC non tiene conto, e dell’1,8% rispetto a settembre 2024 (da +1,6% del mese precedente), confermando la stima preliminare. Nel terzo trimestre 2025 i prezzi al consumo, misurati dall’IPCA, evidenziano aumenti più contenuti per le famiglie con bassi livelli di spesa (+1,7%) e lievemente più alti per quelle con livelli di spesa elevati (+1,8%).

Per Assoutenti, “una famiglia con due figli solo per bere e mangiare deve mettere oggi in conto una maggiore spesa da +343 euro annui rispetto al 2024”, mentre “se si considera la generalità dei consumatori, la stangata alimentare complessiva raggiunge in Italia i 6,2 miliardi di euro su base annua”. Il Codacons lancia l’allarme sulla “stangata d’autunno”.  In termini di spesa e considerati i consumi totali delle famiglie,  “equivale ad un maggiore esborso pari a +529 euro annui per la famiglia tipo, +731 euro per un nucleo con due figli”. In sostanza, dice l’Unione nazionale consumatori, “le famiglie sono sempre inguaiate e le loro tasche si svuotano ancor di più”. 

Lavoro, a luglio +0,9% di occupati rispetto a un anno fa. Meloni: “Numeri incoraggianti”

Cresce l’occupazione in Italia, cala la disoccupazione che scende al 6%. A dirlo è l’Istat, che nella rilevazione di luglio 2025 registra un aumento degli occupati su base annuale dello 0,9% (+218mila unità) e su base mensile dello 0,1% (+13mila unità).

L’aumento su base annuale riguarda uomini, donne, i 25-34enni e chi ha almeno 50 anni, a fronte di una diminuzione nelle altre classi d’età. Il tasso di occupazione, in un anno, sale di 0,4 punti percentuali. Rispetto a luglio 2024, cala sia il numero di persone in cerca di lavoro (-6,9%, pari a -114mila unità) sia quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-0,7%, pari a -81mila). Su base mensile l’aumento coinvolge invece uomini, dipendenti (permanenti e a termine), 15-24enni e 35-49enni. Gli occupati invece diminuiscono tra le donne, gli autonomi e nelle altre classi d’età. Il tasso di occupazione sale al 62,8% (+0,1 punti). La crescita degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,2%, pari a +30mila unità) interessa le donne, i 25-34enni e chi ha almeno 50 anni; tra gli uomini, i 15-24enni e i 35-49enni il numero di inattivi è invece in diminuzione. Il tasso di inattività sale al 33,2% (+0,1 punti). Anche confrontando il trimestre maggio-luglio 2025 con quello precedente (febbraio-aprile 2025) si osserva un incremento nel numero di occupati (+0,2%, pari a +51mila unità). Rispetto al trimestre precedente, crescono anche le persone in cerca di lavoro (+1,8%, pari a +28mila unità) e diminuiscono gli inattivi di 15-64 anni (-0,5%, pari a -67mila unità).

Numeri incoraggianti – scrive sui social la premier Giorgia Meloni – che confermano l’efficacia delle misure messe in campo dal governo e ci spingono a proseguire con determinazione su questa strada: più opportunità, più lavoro, più crescita per l’Italia“. La rilevazione Istat “conferma il trend positivo del mondo del lavoro in Italia”, aggiunge il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Marina Calderone, che sottolinea il minimo storico raggiunto dal numero assoluto dei disoccupati e il calo degli inattivi, “due dati importanti perché, tendenzialmente, mostrano la prosecuzione di questo trend anche in futuro. La stragrande maggioranza di questi nuovi posti di lavoro sono a tempo indeterminato”.

Il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon apprezza invece il dato sulla disoccupazione, che scende al 6%, “il livello più basso da giugno 2007. Numeri che rappresentano una prospettiva concreta di fiducia per famiglie e giovani che guardano al futuro”. Segnali “incoraggianti che certificano la crescita dell’occupazione reale, sostenuta anche dalle misure messe in campo con la Zona Economica Speciale”, commenta il presidente nazionale della Fapi (Federazione autonoma piccole imprese), Gino Sciotto, che chiede però ora di ampliare la Flat Tax fino a 150 mila euro e di liberare le piccole imprese “dal peso delle cartelle esattoriali, attraverso una rottamazione tombale”. “Consolidato un trend di crescita che permane da oltre 4 anni”, spiega invece l’Ufficio Studi di Confcommercio, che parla di dinamiche del lavoro “sostanzialmente stabili”. Tra le forze politiche invece ci si divide. Da una parte c’è la maggioranza, che lega i risultati Istat al lavoro svolto dal governo. “Mentre gli altri creavano debito e sussidi noi continuiamo ad incrementare l’occupazione dando stabilità all’economia italiana”, dice il vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Augusta Montaruli. “Abbiamo archiviato la stagione di bonus e assistenzialismi, puntando su crescita, formazione, merito. Ora proseguiamo su questa strada”, aggiunge la deputata della Lega e vicepresidente della commissione Lavoro, Tiziana Nisini. Giorgio Mule’, deputato di Forza Italia, rimarca le differenze con l’opposizione: “Noi non vogliamo la patrimoniale, come vorrebbe Avs, noi non vogliamo l’esproprio delle case sfitte, come vorrebbe la sinistra estrema, noi non vogliamo il Reddito di cittadinanza, come vorrebbe il M5S: noi non vogliamo tutto questo. Siamo altro: oggi l’Istat dimostra che la strada da noi intrapresa è quella giusta e porta a risultati”. Per Maurizio Lupi, presidente di Noi Moderati, il lavoro “si crea non con gli slogan o con ricette del passato ma con pragmatismo e serietà, costruendo un’alleanza virtuosa tra istituzioni, lavoratori e mondo produttivo”.

L’opposizione non ci sta. “Giorgia Meloni si accorge dell’esistenza dell’Istat a giorni alterni – dice la senatrice Raffaella Paita, capogruppo al Senato di Italia Viva – due giorni fa neanche una parola sul carrello della spesa, salito del 3,5%, e sul pil stagnante”. “E’ finta occupazione” secondo il senatore e vicepresidente del M5S Mario Turco, coordinatore del Comitato economia lavoro impresa: “il presunto record di occupati è ‘drogato’ anche dalla stretta del Governo sulle uscite anticipate dal lavoro”.

Pil in calo, consumi nulli: ad agosto il ‘carrello dello spesa’ doppia l’inflazione generale

Il Pil italiano non si riprende, mentre a correre è il ‘carrello della spesa’. Ancora una volta, i dati Istat restituiscono la fotografia di un’Italia che arranca. La stima finale sul prodotto interno lordo conferma un -0,1% nel secondo trimestre 2025 (dal +0,3% di gennaio-marzo) nonostante un +0,4% annuale (da +0,7%) e una crescita acquisita dello 0,5%. Rispetto al trimestre precedente si registra una stabilità dei consumi finali nazionali e una crescita dell’1% degli investimenti fissi lordi. Le importazioni sono aumentate dello 0,4% trimestrale ma le esportazioni sono diminuite dell’1,7%. La lieve flessione del Pil, spiega la nota di aggiornamento Istat sui conti, è dovuta “a contributi nulli dei consumi delle famiglie e delle Isp (Istituzioni sociali private) e della spesa delle amministrazioni pubbliche, a contributi positivi degli investimenti per 0,2 punti percentuali e della variazione delle scorte per 0,4 punti, a fronte di un contributo negativo  della domanda estera netta per 0,7 punti”. Dal lato del valore aggiunto sono risultate in diminuzione sia l’agricoltura, silvicoltura e pesca dello 0,6% sia l’industria dello 0,3%, a fronte di una stazionarietà fatta registrare dai servizi.

Uno stallo, quello dei consumi, registrato nonostante l’inflazione sia sotto controllo da mesi e continua a non destare particolari preoccupazioni, tranne per il ‘carrello della spesa’, che cresce più del doppio della media dei prezzi. Secondo le stime preliminari, ad agosto l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, registra una variazione del +0,1% su base mensile e del +1,6% su agosto 2024 (da +1,7% del mese precedente). Ad accelerare è la crescita su base annua dei prezzi del ‘carrello della spesa’: i beni alimentari, per la cura della casa e della persona mostrano balzano da +3,2% di luglio a +3,5%, così come, in modo più contenuto, i prodotti ad alta frequenza d’acquisto (da +2,3% a +2,4%). Anche l’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, accelera leggermente, da +2% a +2,1%, così come quella al netto dei soli beni energetici (da +2,2% a +2,3%). Nel dettaglio, spiega Istat, l’indice generale dell’inflazione scende principalmente per effetto della flessione dei prezzi dei beni energetici (-4,4% da -3,4% di luglio) mentre accelerano invece i prezzi nel settore alimentare (+4% da +3,7%), che risentono dell’aumento del ritmo di crescita sia dei prezzi dei prodotti non lavorati (+5,6% da +5,1%) sia di quelli lavorati (+3% da +2,8%).

In allarme le associazioni di categoria e dei consumatori. Confcommercio spiega che “la conferma di una modesta contrazione del Pil nel secondo trimestre rende più complicato il raggiungimento di un tasso di crescita attorno allo 0,7-0,8% nella metrica dei dati grezzi. Ristagnano i consumi, in ragione della scarsa fiducia presso le famiglie“. In questo scenario congiunturale emerge “in termini molto favorevoli la dinamica del saldo turistico consumer che ha ritoccato al rialzo i precedenti record, rendendo possibile una proiezione a fine anno prossima ai 29 miliardi di euro, valore mai raggiunto in precedenza“. Proprio l’inflazione sui servizi legati al turismo, secondo il Codacons, rappresenta un’ulteriore nota dolente. Secondo l’associazione dei consumatori, i prezzi dei voli nazionali crescono del +23,5% su anno, le tariffe dei traghetti del +7,8%, i listini dei pacchetti vacanza nazionali del +10,4%, case vacanza, b&b e altre strutture ricettive del +6%, quelle dei servizi ricreativi e sportivi (lidi, piscine, palestre, ecc.) del +6,8%. Di “stangata” parla anche l’Unione nazionale dei consumatori (Unc), secondo cui l’Inflazione pari a +1,6% significa, per una coppia con due figli, un aumento del costo della vita pari a 611 euro su base annua, superiore a quella che si aveva in luglio, pari a 606 euro. Inoltre, ben 384 euro (a luglio erano 356 euro) se ne vanno solo per i prodotti alimentari e le bevande analcoliche e 403 euro per il carrello della spesa (un mese fa erano 376).

Più sfumata la lettura di Confesercenti: “Da un lato c’è un rallentamento dell’inflazione generale, che può offrire un po’ di respiro. Dall’altro, persistono tensioni sui beni essenziali – alimentari e spesa quotidiana – voci difficili da comprimere per le famiglie, soprattutto quelle con redditi più contenuti. Uno scenario, dunque, di estrema debolezza dei consumi delle famiglie, che nel secondo trimestre hanno segnato una crescita nulla rispetto al trimestre precedente. Al netto del contributo del turismo, la spesa delle famiglie sul territorio economico ha registrato un arretramento congiunturale dello 0,1%“.

Rapporto Istat, calano le emissioni ma più del 40% di acqua va perduta

Bene, ma non benissimo. Nonostante alcuni segnali positivi sul fronte delle emissioni di gas serra, l’Italia resta in ritardo nella gestione delle risorse ambientali e idriche. A dirlo è il rapporto 2025 “Noi Italia” diffuso dall’Istat, che traccia un quadro articolato ma per certi versi ancora critico.

Nel 2023, le emissioni di gas serra prodotte dal sistema economico italiano si sono attestate a 399 milioni di tonnellate di Co2, in calo rispetto all’anno precedente. Anche quelle complessive sul territorio nazionale sono diminuite del 7,3% rispetto al 2022, segnando una riduzione del 26% rispetto ai livelli del 1990. Tuttavia, il miglioramento sul piano delle emissioni non basta a compensare altre fragilità strutturali specie in ambito urbano e idrico. L’inquinamento atmosferico, intanto, continua a rappresentare uno dei principali problemi percepiti dai cittadini, in particolare nelle aree metropolitane.

Secondo l’Istat, nel 2024 il 40,6% delle famiglie italiane ritiene che l’aria della propria zona sia inquinata, con percentuali che salgono sensibilmente in Lombardia e Campania, dove si registrano rispettivamente il 57,2% e il 48,1% di segnalazioni. Anche gli odori sgradevoli vengono lamentati da quasi un quinto delle famiglie, con picchi in Campania (29%) e Puglia (27,5%). E’ però soprattutto sul fronte dell’acqua che emergono dati allarmanti.

Nonostante un leggero calo nei volumi prelevati, l’Italia continua a detenere il primato europeo per quantità di acqua dolce estratta per uso potabile, con oltre 9 miliardi di metri cubi nel 2022. Il problema è che una porzione significativa di questa risorsa non arriva mai agli utenti: il 42,4% dell’acqua immessa nella rete va perduta lungo il tragitto, una dispersione che sarebbe sufficiente a soddisfare i bisogni idrici di oltre 43 milioni di persone in un anno. Inoltre, 13 comuni italiani – in cui vivono circa 58.000 persone – risultano del tutto privi di un servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile. Anche il sistema fognario e di depurazione mostra evidenti lacune.

Circa 6,6 milioni di residenti non sono allacciati alla rete fognaria pubblica e oltre 1,3 milioni vivono in comuni che non dispongono di alcun sistema di depurazione delle acque reflue urbane. Si contano ancora 41 comuni completamente privi del servizio di fognatura, che interessano quasi 400.000 persone. Infine, sul piano del degrado costiero, i rifiuti marini spiaggiati restano un fenomeno diffuso: nel 2023 si sono registrati in media 250 oggetti ogni 100 metri di litorale, ben lontani dal limite di 20 fissato dalla Commissione europea. Il problema è acuito dall’elevata densità abitativa e turistica delle aree costiere italiane, dove si contano oltre 4.000 presenze turistiche per km2, cinque volte superiori rispetto alle zone interne.

La produzione industriale italiana torna a salire oltre le stime dopo 26 mesi di calo

Il taglio continuo dei tassi e un calo degli ordini meno forte spinge la produzione industriale italiana a battere un colpo. Ad aprile segna un balzo dell’1% rispetto a marzo, superando le previsioni di una crescita zero. Inoltre, dopo 26 mesi consecutivi di calo tendenziale, si registra un +0,3% anno su anno. Nella media del periodo febbraio-aprile – evidenzia l’Istat – l’incremento del livello della produzione è dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti. Mese su mese, buon andamento per beni di consumo (+1,8%), strumentali (+0,8%) e intermedi (+0,2%).

A livello tendenziale energia +1,8% e beni di consumo +1,1%. Calano, invece, i beni intermedi (-0,4%) ei beni strumentali (-0,7%). In particolare i settori di attività economica che registrano gli incrementi tendenziali maggiori sono l’industria del legno, della carta e stampa (+4,7%), la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+4,3%) e la fabbricazione di computer e prodotti di elettronica (+3,3%). Le flessioni più ampie si registrano nella produzione di prodotti farmaceutici di base e preparati farmaceutici (-11%), nella fabbricazione di mezzi di trasporto (-9,5%) e nella fabbricazione di coke e prodotti petroliferi raffinati (-5,0%). “Ad aprile l’indice destagionalizzato della produzione industriale registra un incremento congiunturale (+1,0%); si osserva una moderata crescita anche su base trimestrale (+0,4%).

“Anche oggi l’ Istat certifica il disastro delle politiche industriali del Governo Meloni. Non sarà certo il primo mese di flebile aumento della produzione industriale su base annua, ovvero aprile 2025, a cancellare l’immane gravità del record storico di 26 mesi precedenti di crollo della produzione stessa. Del resto i conti più importanti si fanno annualmente”, commentano in una nota i parlamentari M5S delle Commissioni bilancio, finanze e attività produttive di Camera e Senato. “La storia è nota: provvedimenti fallimentari o impalpabili come Transizione 5.0 o l’Ires premiale costituiti micidiali concause del peggior periodo industriale della storia italiana”, concludono i pentastellati. “La produzione industriale riparte dopo due anni di contrazione, e questo grazie alle politiche del governo Meloni. ritrovata linfa del nostro tessuto produttivo dopo due anni in cui la sinistra ha colto ogni occasione per mettere i bastoni tra le ruote al nostro esercizio senza peraltro riuscirsi. Appare ovvio che sia solo un inizio ma significativo sicuramente in cui va sottolineata la ritrovata capacità dell’Italia governata dalla destra con misure tese a sostenere imprese, famiglie, lavoratori ed artigiani”, replica il senatore di Fratelli d’Italia, Matteo Gelmetti, componente la Commissione Bilancio a Palazzo Madama.

Sul fronte sindacale, per il segretario confederale della Cisl Giorgio Graziani, “questo segnale positivo, pur contenuto, può rappresentare, pur in uno scenario di incertezza dovuto alle politiche americane sui dazi e ai conflitti in corso, un punto di svolta importante per il nostro sistema manifatturiero”. Ora però “serve urgentemente un Patto per l’Industria – prosegue Graziani – che coinvolga istituzioni, parti sociali e imprese in una strategia condivisa che trasforma la possibile ripresa in crescita strutturale, attraverso investimenti mirati in ricerca, digitalizzazione e transizione verde, affrontando il gap competitivo rispetto alla media europea negli investimenti industriali, valorizzando il potenziale del Mezzogiorno come risorsa strategica nazionale, accompagnando le transizioni senza sacrificare l’occupazione, investendo massicciamente in formazione e riqualificazione professionale”.

Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha invece usato la risoluzione della crisi de La Perla per commentare il dato diffuso da Istat. “Pochi credevano” al salvataggio “perché la materia era estremamente complessa”, ma “è importante che questo coincida proprio oggi coi segnali positivi per la ripresa industriale del Paese. E’ importante che accada proprio oggi che un’icona così significativa del Made in Italy ha una prospettiva di rilancio industriale importante grazie a investitori internazionali”, ha concluso.

Ad aprile ‘effetto Pasqua’ rilancia i consumi ma le vendite non alimentari restano ferme

I consumi in Italia registrano ad aprile un’accelerazione inattesa, spinta dall’effetto calendario legato alla Pasqua. Secondo i dati Istat, le vendite al dettaglio segnano un aumento mese su mese dello 0,7% in valore e dello 0,5% in volume, con una crescita trainata in particolare dai beni alimentari, che registrano un +1,3% in valore e un +0,9% in volume. Anche i beni non alimentari mostrano un lieve progresso, con un +0,2% in valore e +0,3% in volume.

Il raffronto su base annua restituisce uno scenario ancora più marcato: rispetto ad aprile 2024, le vendite crescono del 3,7% in valore e dell’1,9% in volume. Anche qui la spinta arriva quasi esclusivamente dal comparto alimentare, dove l’incremento raggiunge l’8,6% in valore e il 5,4% in volume, grazie agli acquisti legati alle festività pasquali, celebrate quest’anno ad aprile, a differenza del 2024, quando erano cadute a fine marzo. L’effetto stagionale ha quindi giocato un ruolo decisivo nel determinare il balzo dei consumi, come confermato dallo stesso Istat, che parla del più forte aumento tendenziale in valore dal giugno 2023. Tuttavia, la ripresa appare sbilanciata. Il settore non alimentare resta in difficoltà, segnando un calo dello 0,4% in valore e dello 0,8% in volume. Tra le categorie merceologiche, si salvano solo profumeria (+3,4%) e strumenti musicali e fotografici (+3,2%), mentre le flessioni più significative colpiscono calzature (-3,9%) e articoli sportivi (-3,5%).

La crescita beneficia della spinta della grande distribuzione, che registra un +6,8% in valore su base annua. Le piccole superfici avanzano invece di appena lo 0,9%, a conferma delle difficoltà strutturali che continuano a colpire il commercio di vicinato. Una tendenza che, secondo Confesercenti, ha ormai assunto carattere stabile: dal 2022 i piccoli negozi accumulano perdite superiori al 10% in termini di volumi. Anche il commercio elettronico non sfugge alla debolezza, con un -0,7%, mentre le vendite fuori dai negozi scendono dello 0,1%.

Le associazioni dei consumatori invitano dunque alla cautela nell’interpretazione dei dati. Il Codacons definisce il balzo di aprile una “illusione ottica” legata alla Pasqua, sottolineando che i consumi restano deboli nella media dei primi mesi dell’anno. Assoutenti avverte che, nei primi quattro mesi del 2025, le vendite alimentari crescono in valore dell’1,4%, ma crollano in volume dell’1,2%, segno che le famiglie acquistano meno pur spendendo di più, a causa dell’inflazione. Una famiglia con due figli, secondo le stime dell’associazione, ha dovuto tagliare la spesa per cibi e bevande di circa 110 euro annui, a parità di potere d’acquisto. Per cui se da un lato l’effetto Pasqua ha riportato momentaneamente in positivo le statistiche del commercio, dall’altro non si intravedono ancora segnali solidi di una ripresa strutturale. Il quadro resta fragile, aggravato dalla crisi dei prezzi e da un consumo delle famiglie ancora frenato.

Bollette e alimentari spingono l’inflazione italiana ai massimi da un anno e mezzo

In attesa dei dazi, salgono i prezzi. Balzo oltre le attese dell’inflazione italiana che rivede i livelli di settembre 2023. Dopo un anno e mezzo sotto il 2% – il target fissato dalla Bce come soglia di stabilità – il carovita tricolore rivede questo target, anzi lo supera se solo consideriamo il carrello della spesa balzato al +2,1%.

A febbraio l’inflazione era all’1,6%. Una percentuale che secondo il mercato si sarebbe dovuta confermare anche in queste ultime settimane. Invece c’è stata una inaspettata risalita, principalmente per le variazioni dei prezzi delle bollette e degli alimentari, che stanno accelerando in modo preoccupante. Secondo le stime preliminari dell’Istata, i prezzi degli energetici non regolamentati registrano un forte balzo, passando da un incremento contenuto dello 0,6% a un più marcato +3,2%. Il principale fattore di questo aumento è la risalita dei costi del gas naturale e dell’energia elettrica nel mercato libero, che spingono al rialzo l’inflazione complessiva. Anche i prezzi degli alimentari non lavorati segnano un’impennata, passando da un incremento tendenziale del 2,9% a un più elevato 3,3%. E tra gli alimenti freschi, frutta e verdura registrano aumenti notevoli, contribuendo al pesante aumento del “carrello della spesa” che cresce del 2,1% su base annua.

Il dato confortante – almeno per ora – riguarda però l’inflazione di fondo, quella che esclude gli alimentari freschi e gli energetici. Quest’ultima resta stabile a +1,7%, anche se quella al netto degli energetici accelera leggermente, portandosi a +1,8%. Merito del taglio dei tassi Bce che ha alleggerito a cascata le spese sostenute dalle imprese, le quali finora non hanno scaricato gli aumenti sui clienti.

Non solo bollette e alimentari, però… anche i tabacchi subiscono un incremento nei loro prezzi, con un aumento dal 4,1% al 4,6%, dovuto anche all’incremento delle accise, deciso dal governo. Insomma, “nel complesso, per ora, non c’è da allarmarsi, in quanto l’inflazione acquisita è pari ad 1,4% e non desta preoccupazioni, ma certo questi aumenti sul mercato libero dell’energia vanno monitorati e danno da riflettere, nel momento in cui i clienti del mercato libero sono circa l’80% e quindi il peso di questa voce sull’indice è cresciuto molto”, commenta Confesercenti. Il problema semmai è che questa fiammata dell’inflazione “compromette il potere d’acquisto delle famiglie e rischia di spegnere i già deboli segnali di recupero dei consumi. Una situazione che deve essere considerata con la massima attenzione, dal momento che la spesa delle famiglie è al momento il principale fattore di sostegno della congiuntura, con il ciclo degli investimenti che già nel 2024 è entrato in fase negativa e le esportazioni che saranno presto colpite dalla nuova politica protezionistica degli Stati Uniti”, conclude Confesercenti.

L’inflazione sale e cresce anche il carrello della spesa. M5S: “Senza Rdc famiglie sul lastrico”

Inflazione in leggera accelerazione a febbraio. L’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (Nic), al lordo dei tabacchi, è aumentata dello 0,2% rispetto a gennaio 2025 e dell’1,6% rispetto a febbraio 2024 (da +1,5% del mese precedente). La stima preliminare era +1,7%. A renderlo noto è l’Istat, che ha diffuso le stime preliminari dei prezzi al consumo. Sempre a febbraio, il cosiddetto ‘carrello della spesa’ torna ad accelerare ma meno del previsto: il tasso tendenziale di variazione dei prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona sale infatti dal +1,7% di gennaio a +2,0%, con le stime preliminari che prevedevano un incremento del 2,2%.

Diminuisce invece la variazione tendenziale dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto, da +2,0% di gennaio a +1,9% a febbraio. La dinamica tendenziale dei prezzi dei beni evidenzia una nuova accelerazione (da +0,7% a +1,1%), mentre quella dei servizi rallenta (da +2,6% a +2,4%). Il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni scende quindi a +1,3 punti percentuali (dai +1,9 di gennaio 2025), mentre l’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, si riduce, così come quella al netto dei soli beni energetici (entrambe le variazioni tendenziali passano da +1,8% a +1,7%). L’inflazione acquisita per il 2025 è pari a +1,1% per l’indice generale e a +0,6% per la componente di fondo. L’aumento congiunturale dell’indice generale è dovuto prevalentemente ai prezzi degli Energetici regolamentati (+0,8%) e non regolamentati (+0,7%), ma anche a quelli dei Beni non durevoli (+0,4%) e dei Servizi relativi all’abitazione (+0,3%); i prezzi dei Tabacchi (+2,5%) risentono anche dell’aumento delle accise. Gli effetti dei suddetti aumenti sono stati solo in parte compensati dalla diminuzione dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti e dei Beni durevoli (entrambi a -0,2%). A livello geografico, la variazione percentuale del tasso di inflazione sui dodici mesi, a febbraio, è più alta di quella nazionale nel Nord-Est, nel Sud (per entrambe passa da +1,7% a +1,8%) e nel Centro (da +1,6% a +1,7%), è uguale alla nazionale nelle Isole (stabile a +1,6%), mentre risulta inferiore nel Nord-Ovest (da +1,3% a +1,4%). Tra i capoluoghi delle regioni e delle province autonome e nei comuni non capoluoghi di regione con più di 150mila abitanti, l’inflazione più elevata si osserva a Rimini (+2,7%), Bolzano (+2,6%) e Padova (+2,4%), mentre la più contenuta si registra a Modena (+1,1%), ad Aosta e a Firenze (+0,9% entrambe). Sull’altro fronte della classifica non c’è più nessuna città in deflazione. La città più virtuosa d’Italia è Lodi, dove con +0,8%, l’inflazione più bassa d’Italia, si ha un aumento annuo di 210 euro. Al secondo posto Caserta, +1% e un maggior costo di 214 euro. Medaglia di bronzo per Catanzaro, +1,3% e +230 euro.

In testa alla classifica delle regioni più “costose“, con un’inflazione annua a +2,1%, il Trentino che registra a famiglia un aggravio medio pari a 597 euro su base annua. Segue il Friuli Venezia Giulia (+1,9%, +450 euro) e al terzo posto Veneto ed Emilia Romagna, ex aequo con + 449 euro e un’inflazione pari, rispettivamente, a +1,8% e +1,7 per cento. La regione più risparmiosa è la Valle d’Aosta: +0,9% e +234 euro. In seconda posizione la Sardegna, in terza il Molise. L’Istat ha poi effettuato delle simulazioni valutando gli effetti sui redditi disponibili delle famiglie generati dalle politiche redistributive introdotte nel 2024. In particolare, gli effetti della riforma di aliquote e scaglioni Irpef e detrazioni da lavoro, dell’eliminazione del Reddito di cittadinanza (RDC) e dell’introduzione dell’Assegno di Inclusione (Adi), della prosecuzione dell’esonero contributivo parziale per i lavoratori dipendenti e dell’introduzione dell’esonero totale per le lavoratrici dipendenti madri e, infine, dell’indennità una tantum per i lavoratori dipendenti (Bonus Natale). Dalla simulazione, si stima che siano 11,8 milioni le famiglie che vedono migliorare, grazie alle misure, il proprio reddito disponibile, per un ammontare medio annuo di 586 euro. Ma ci sono 300mila famiglie che invece registrano una perdita. Il peggioramento, pari in media a 426 euro, è riconducibile in larga parte alla perdita del diritto al trattamento integrativo dei redditi da lavoro dipendente (Bonus Irpef). L’indennità una tantum di 100 euro per i lavoratori dipendenti si stima abbia raggiunto circa 3 milioni di famiglie (11,6% delle famiglie residenti), generando una variazione del reddito disponibile pari in media allo 0,2%. Mentre il passaggio dal reddito di cittadinanza, già depotenziato nel corso del 2023, all’assegno di inclusione ha comportato un peggioramento dei redditi disponibili per circa 850mila famiglie (3,2% delle famiglie residenti). La perdita media annua è di circa 2mila 600 euro e interessa quasi esclusivamente le famiglie che appartengono al gruppo delle famiglie più povere.

Critico il Movimento Cinquestelle:Mentre l’inflazione continua a erodere il potere d’acquisto delle famiglie italiane, con aumenti del 31,4% sui beni energetici e del 2% sui prodotti alimentari, ben 850mila famiglie hanno subito un drastico impoverimento a causa dell’abolizione del Reddito di cittadinanza. Un colpo mortale inferto proprio alle fasce più vulnerabili della popolazione”. “Grazie al governo Meloni, un milione di occupati”, replica il vice responsabile nazionale del Dipartimento Imprese e mondi produttivi di FdI, Lino Ricchiuti. Preoccupate le associazioni. “L’inflazione rialza la testa in Italia con i prezzi al dettaglio che a febbraio salgono all’1,6% – commenta il Codacons – una accelerazione che, in termini di spesa e considerata la totalità dei consumi di una famiglia, equivale ad un aggravio pari in media a +526 euro annui per la famiglia ‘tipo’, +716 euro per un nucleo con due figli”. Per il presidente Codacons, Carlo Rienzi, i numeri Istat certificano come “l’emergenza energia abbia effetti a cascata sull’economia nazionale e sulle tasche delle famiglie. Per questo consideriamo inadeguate le misure introdotte dal governo col recente decreto bollette, che non intervengono per contrastare le cause strutturali che fanno salire le tariffe di luce e gas e non risolvono il problema del caro-energia sul lungo periodo”.

Parla di “dati allarmanti” l’Unione Nazionale Consumatori: “Un’impennata che, su base tendenziale, prosegue ininterrottamente da settembre 2024, passando da 0,7% a 1,6%, più del doppio in appena 5 mesi”. Per il presidente UNC, Massimiliano Dona, la fiammata “è dovuta anche al caro bollette, contro le quali, purtroppo, il Governo è intervenuto tardivamente, non impedendo gli effetti nefasti sull’inflazione”. Per Assoutenti, i dati “evidenziano ancora una volta la necessità di intervenire sulle cause che scatenano il rialzo dei prezzi in Italia, a partire dal caro-energia, combattendo le speculazioni e tutelando la capacità di spesa degli italiani”.

Istat, nel 2024 Pil +0,7% e deficit 3,6%. Per Giorgetti “finanze meglio del previsto”

Nel 2024 l’economia italiana è cresciuta dello 0,7%, un dato inferiore rispetto alla stima del +1% indicata dal governo nel Piano strutturale di bilancio. A scattare la fotografia è il report su Pil e indebitamento Amministrazioni pubbliche diffuso oggi dall’Istat. Bene il rapporto deficit-Pil, in miglioramento sul 2023, ma rispetto alle previsioni politiche aumenta di oltre un punto percentuale la pressione fiscale, che passa dal 41,4 al 42,6%. È cresciuta inoltre la spesa per interessi del 9,5%. Tuttavia la crescita comporta un miglioramento del debito PA rispetto al 2023, stimolata da un contributo positivo della domanda nazionale al netto delle scorte (+0,5%) ed estera (+0,4%). Su beni e servizi, il valore aggiunto ha segnato crescite in agricoltura (+2%) e nei servizi (+0,6%), meno nell’industria (+0,2%), con un trend che per questo settore resta negativo anche nei primi mesi 2025. Positivi i numeri sul rapporto deficit-Pil, meglio di quanto stimato: dal 7,2% del 2023 al 3,4% del 2024, col governo che puntava a farlo scendere al 3,8%. Per valore assoluto, l’indebitamento per il 2024 è stato dunque di -75.547 milioni di euro, in diminuzione di circa 78,7 miliardi rispetto a quello dell’anno precedente.

Le entrate correnti hanno registrato poi un aumento del 5,7%, attestandosi al 46,8 % del Pil. In particolare, le imposte dirette sono cresciute del 6,6%, principalmente per l’aumento dell’Irpef e dell’Ires. In aumento sono risultate anche le sostitutive sugli interessi e sui redditi da capitale e le ritenute sugli utili distribuiti dalle società. Le imposte indirette hanno registrato una crescita anch’essa marcata (+6,1%), con aumenti significativi dell’Iva, dell’Irap e delle imposte sull’energia e oneri generali del sistema elettrico e gas, queste ultime tornate sui livelli pre-crisi energetica per il ripristino completo degli oneri generali del sistema energetico. Nel 2024, infine, anche il debito pubblico italiano è salito al 135,3% del Pil, dal 134,6% del 2023, un dato inferiore rispetto a quello indicato dal governo nelle stime del Piano strutturale di bilancio (135,8%).

Numeri che soddisfano complessivamente il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, secondo cui i dati “confermano che la finanza pubblica è in una condizione migliore del previsto”. Per il ministro, l’avanzo primario certificato dall’Istat “è una soddisfazione morale”, la crescita “corrisponde a quella che avevamo aggiornato a dicembre. Naturalmente tutto questo è confortante ed è ragione di soddisfazione ma non possiamo fermarci. Ora la sfida è la crescita in un contesto assai problematico, non solo italiano, che coinvolge tutta Europa“.

D’altra opinione i consumatori. Secondo il Codaconsi dati Istat attestano ancora una volta la mancata ripartenza dei consumi in Italia, con la spese delle famiglie che registra una marcata flessione in alcuni comparti chiave”. Gli utenti segnalano in particolare una flessione nei consumi di vestiti, scarpe, salute, svago, ricreazione, sport e cultura. Per questo il Codacons chiede “misure efficaci per far ripartire i consumi”. Il ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, sottolinea invece i risultati ottenuti nel proprio settore, con l’Istat che “certifica il ruolo centrale dell’agricoltura: il settore primario traina la crescita economica dell’Italia, registrando un incremento del valore aggiunto del 2%. Agricoltura, silvicoltura e pesca sono tra i settori con la crescita più significativa. Un segnale chiaro della vitalità e della forza ritrovata di un comparto strategico”. Per questo Lollobrigida un plaude l’esecutivo Meloni “che ha sempre creduto nella centralità del settore agricolo e lo ha dimostrato con fatti concreti, stanziando oltre 11 miliardi di euro a sostegno del comparto, investendo in innovazione, competitività e difesa delle nostre eccellenze”.

Le opposizioni però non ci stanno e attaccano. “Con Meloni e Salvini aumentano le tasse e sale il debito pubblico”, denuncia il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia. “Il governo di sovranisti aumenta le tasse e fa male all’Italia”, aggiunge Matteo Renzi, mentre il M5S bolla l’esecutivo Meloni come “il governo delle tasse e dell’austerity”. Secondo il leader dei Verdi, Angelo Bonelli, l’Istat “sbugiarda Meloni, con lei le tasse sono in aumento”.