Le ‘donne della transizione’ rompono il soffitto di cristallo

La parità di genere, quella vera, è ancora lontana. Ma negli ultimi anni la società civile ha fatto comunque dei passi avanti notevoli, così come la politica e il mondo dell’impresa. Dalle istituzioni alle grandi aziende, oggigiorno ci sono molte più donne ai posti di vertice rispetto a un passato anche recente, ma il percorso è lungo. E chissà se il processo che dovrà portare al compimento delle transizioni, ecologica, energetica e digitale, possa dare quella spinta che serve per frantumare definitivamente il soffitto di cristallo. Non solo perché Greta Thunberg è diventata ormai un simbolo mondiale dell’attivismo per il clima e la decarbonizzazione.

La riflessione emerge se, con santa pazienza, si prova a scorrere negli elenchi di Camera, Senato, Palazzo Chigi, management delle imprese chi sono attualmente i vertici. L’esempio più concreto è sicuramente quello del governo, dove Giorgia Meloni è entrata a far parte della storia del Paese come prima donna presidente del Consiglio. Nelle sue mani passano tutti i dossier più importanti, compresi quelli del Green Deal ovviamente. Oltre alla premier, tra le ‘donne della transizione‘ c’è di sicuro Vannia Gava, che per la seconda volta ricopre il ruolo di vice ministro dell’Ambiente, dicastero al quale da questa legislatura viene affiancata anche la delega alla Sicurezza energetica.

In Parlamento, invece, Chiara Braga, capogruppo del Partito democratico alla Camera, e Luana Zanella, presidente dei deputati di Avs, portano avanti la bandiera dell’ambientalismo nelle istituzioni. Tra i banchi di Montecitorio siede anche Elly Schlein, prima segretaria del Pd, sempre in prima linea sulle battaglie per il clima.

In Europa, poi, entra di fatto e di diritto nel pantheon la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Non foss’altro perché, anche nel suo caso, la responsabilità dei temi passa comunque tutta dalle sue mani. Nella squadra di Bruxelles, poi, ci sono la vicepresidente esecutiva, Margrethe Vestager, che si occupa di Digitale, Kadri Simson, che ha il compito di gestire la delega all’Energia, e Iliana Ivanova, commissaria a Innovazione, ricerca, cultura, istruzione e gioventù.

Nel mondo economico e finanziario è Christine Lagarde, attuale presidente della Banca centrale europea ed ex direttrice del Fondo monetario internazionale, il volto più conosciuto sul palcoscenico mondiale. Mentre sta iniziando a ritagliarsi il suo spazio anche Nadia Calvino, nominata lo scorso 1 gennaio presidente della Banca europea per gli investimenti: prima donna a ricoprire questo ruolo dalla fondazione della Bei, nel 1958.

Tornando in Italia, la situazione inizia a cambiare anche nei board delle principali società partecipate. Sebbene la strada sia ancora faticosamente lunga, visto che la prima e unica donna (della storia) a capo di una delle più grandi aziende italiane è l’amministratrice delegata e direttrice generale di Terna, Giuseppina Di Foggia, nominata il 9 maggio di un anno fa. Nel gruppo Eni, invece, Rita Marino è presidente di Plenitude, mentre tra i manager figurano Chiara Ficeti per l’Energy Management, Giorgia Molajoni per Digital, Information Technology & Communication, Giovanna Bianchi Health, Safety, Environment and Quality e Simona Napoli Internal Audit.

Rimanendo nel campo energetico, Francesca Gostinelli è Head of Enel X Global Retail, Silvia Fiori direttrice della funzione Audit di Enel, Elisabetta Colacchia è Head of People and Organization, Margherita Mezzacapo, Marina Lombardi e Donata Susca rispettivamente responsabili di Audit, Innovazione e Health, Safety, Environment and Quality di Enel Green Power & Thermal Generation, la business line di Enel che si occupa della generazione di energia elettrica.

Spostando l’obiettivo verso la parte più economica, Silvia Maria Rovere è presidentessa di Poste Italiane dal maggio 2023, Alessandra Ricci è amministratrice delegata e direttrice generale di Sace, che molto spesso investe in progetti relativi alla transizione ecologica e la sostenibilità. Altro nome di rilievo è quello di Silvia Massaro, presidentessa di Sace Srv, la società specializzata nel recupero dei crediti e gestione del patrimonio informativo. Regina Corradini D’Arienzo, inoltre, è ad e dg di Simest e Alessandra Bruni presidentessa di Enav.

Spostando l’attenzione sul mondo associazionistico, le donne con ruoli apicali diventano ancora di meno. Perché tra le grandi sigle ricoprono incarichi di vertice Annamaria Barrile, direttrice generale di Confagricoltura, Maria Letizia Gardoni, presidentessa di Coldiretti Bio, Maria Grazia Mammuccini, presidentessa di FederBio, Barbara Nappini e Serena Milano, rispettivamente presidentessa e direttrice generale Slow Food Italia, e Nicoletta Maffini, presidentessa di AssoBio. Infine, c’è molto da rivedere nel mondo sindacale, se solo Daniela Piras ha un incarico di vertice come segretaria generale della Uiltec.

Accordo Ue su efficienza energetica, risparmi dell’11,7% al 2030

Dopo 16 ore di negoziati (iniziati ieri alle 14), Parlamento europeo e Consiglio Ue hanno raggiunto un accordo sulla revisione della direttiva efficienza energetica, fissando l’obiettivo di ridurre il consumo finale di energia a livello dell’Ue dell’11,7% nel 2030, rispetto alle previsioni del consumo energetico per il 2030 formulate nel 2020. La revisione della direttiva è parte centrale del pacchetto sul clima ‘Fit for 55’, in cui la Commissione europea aveva proposto nel 2021 un obiettivo di risparmio energetico del 9%, poi aumentato al 13% a maggio scorso, nel piano ‘REPowerEU’ nel tentativo di abbandonare più rapidamente i combustibili russi. “Ora disponiamo di un solido quadro Ue per aiutarci a decarbonizzare completamente l’economia. L’efficienza energetica non è un costo, piuttosto un investimento per il futuro“, ha scritto su twitter la commissaria europea per l’energia, Kadri Simson

L’obiettivo da raggiungere collettivamente del l’11,7% – spiega una nota del Consiglio – si traduce in un limite massimo al consumo energetico finale dell’Ue (ovvero l’energia consumata dagli utenti finali) di 763 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio e di 993 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio per il consumo primario. Tutti gli Stati membri contribuiranno al raggiungimento dell’obiettivo generale dell’Ue attraverso contributi e traiettorie nazionali indicativi, stabiliti nei rispettivi piani nazionali integrati per l’energia e il clima (PNEC), che dovranno essere aggiornati per il 2023 e il 2024. Sarà la Commissione europea a calcolare se tutti i contributi si sommano all’obiettivo dell’11,7% e, in caso contrario, apporterà rettifiche ai contributi nazionali inferiori.

L’intesa prevede inoltre un aumento graduale dell’obiettivo di risparmio energetico annuale per il consumo finale di energia dal 2024 al 2030. Gli Stati membri assicureranno nuovi risparmi annuali dell’1,49% del consumo finale di energia in media durante questo periodo, raggiungendo gradualmente l’1,9% il 31 dicembre 2030. Previsto inoltre un obbligo specifico per il settore pubblico di ottenere una riduzione annuale del consumo energetico dell’1,9% che possa escludere i trasporti pubblici e le forze armate. Inoltre, gli Stati membri sarebbero tenuti a rinnovare ogni anno almeno il 3% della superficie totale degli edifici di proprietà di enti pubblici. L’accordo politico provvisorio deve essere formalmente approvato da entrambe le istituzioni, prima dell’entrata in vigore.

Simson: “Se ci saranno più rischi che benefici, Ue pronta a sospendere ex ante il price cap”

A distanza di quasi un mese dall’accordo difficile sul tetto al prezzo del gas, l’Unione europea guarda alle priorità energetiche dei prossimi mesi e si prepara a un’ampia riforma del mercato elettrico per disaccoppiare i prezzi del gas e dell’elettricità. Una riforma necessaria, ne è convinta la commissaria europea all’energia, Kadri Simson (nella foto), che in un’intervista a GEA assicura che la Commissione Ue “sta lavorando a pieno ritmo per presentare le proposte entro la fine di marzo” e presto avvierà una consultazione pubblica per avviarne le discussioni.

Gli Stati membri hanno faticato a trovare un accordo per introdurre un tetto massimo del prezzo del gas dopo mesi di discussioni. Secondo lei, l’accordo raggiunto lo scorso 19 dicembre dai ministri dell’energia è stato il miglior compromesso possibile?

“L’accordo che abbiamo raggiunto è un passo coraggioso per rispondere con unità alla crisi energetica e in cui tutti hanno dovuto scendere a compromessi. L’importante è che ora disponiamo di uno strumento per prevenire episodi di prezzi del gas eccessivi in ​​Europa che non riflettono i prezzi del mercato mondiale. I prezzi del gas elevati ed estremamente volatili sono dannosi per la nostra economia, per le nostre persone e le nostre imprese. Non potevamo semplicemente stare a guardare e aspettare. Ora abbiamo un altro importante strumento nella nostra cassetta degli attrezzi per proteggere i nostri cittadini e le nostre imprese dai picchi dei prezzi dell’energia”.

Quali saranno i vantaggi, in concreto?

“Con un tale meccanismo in atto, l’Europa sarà meglio preparata per la prossima stagione invernale e per un nuovo ciclo di riempimento dei depositi, che sarà più impegnativo di quanto non sia stato quest’anno. Penso che il modo in cui il mercato ha reagito alla nostra decisione sia un buon indicatore del fatto che abbiamo imboccato la strada giusta e che è positivo semplicemente prendere una decisione. Come tutte le misure adottate nel 2022, stiamo offrendo stabilità e certezza al mercato, e questo di per sé aiuta a ridurre al minimo la volatilità. I prezzi potrebbero risalire una volta che i nostri livelli di stoccaggio scenderanno e se il clima invernale si farà più rigido, ma credo che l’accordo raggiunto fosse necessario per evitare il ripetersi di episodi di prezzi eccessivi”.

La misura non è ancora in vigore ma è già stata criticata non solo dalla Russia ma anche da altri fornitori di gas dell’Ue, come l’Algeria. La Commissione è in contatto con i partner per fornire rassicurazioni?

“Durante l’intero processo di accordo su un meccanismo di correzione del mercato, siamo stati trasparenti con i nostri partner e ovviamente siamo stati in contatto con loro. Il meccanismo è concepito in modo da mantenere l’attrattiva dell’Europa come mercato per i fornitori. È fondamentale continuare a collaborare con partner affidabili per diversificare le nostre forniture”.

Il primo rapporto preliminare di Esma e Acer sul meccanismo di correzione del mercato è atteso entro gennaio 2023. Lei ha detto che se i rischi del meccanismo supereranno i benefici, la Commissione è pronta a sospenderne ex ante l’attivazione. Questo significa che il tetto al prezzo del gas potrebbe non essere mai implementato?

“La Commissione è sempre stata molto chiara sul fatto che questo meccanismo porta benefici ma non è privo di rischi. Per questo prevede presidi specifici per attrarre l’approvvigionamento di GNL, assicurare liquidità sui mercati finanziari ed evitare aumenti dei consumi di gas. Prima dell’entrata in vigore del meccanismo il 15 febbraio, ACER ed ESMA presenteranno un rapporto, per informare sui possibili effetti negativi. Ascolteremo gli esperti, compresa anche la Banca centrale europea. Nel caso in cui le condizioni per l’attivazione siano soddisfatte, ma i rischi superino i benefici, la Commissione è pronta a sospendere ex ante l’attivazione del meccanismo”.

Il 2023 sarà un anno importante sul fronte energetico, a breve è attesa la prima consultazione sulla riforma del mercato elettrico. Cosa dovremmo aspettarci da questa riforma, oltre al disaccoppiamento dei prezzi dell’elettricità e del gas?

“L’attuale struttura del mercato dell’energia elettrica ha prodotto un mercato efficiente e ben integrato, consentendo all’Europa di raccogliere i vantaggi economici di un mercato unico dell’energia, garantendo la sicurezza dell’approvvigionamento e sostenendo il processo di decarbonizzazione, in tempi normali. Tuttavia, durante la crisi energetica, abbiamo anche assistito alla vulnerabilità dell’attuale struttura del mercato dell’elettricità dell’UE”.

Quali sono le criticità e quando arriverà la proposta?

“Dipendiamo troppo dal gas, anche nella produzione di energia. Pertanto, nonostante la crescente quota di energie rinnovabili nel mix energetico, i consumatori non vedono ancora, in misura sufficiente, i vantaggi in termini di costi della transizione energetica. L’attuale struttura del mercato ha garantito la sicurezza dell’approvvigionamento, anche durante la crisi. Ma dobbiamo fornire prezzi prevedibili per i consumatori sulla base di tecnologie pulite e convenienti, e allo stesso tempo certezza degli investimenti e ricavi sostenibili e prevedibili per le imprese. Stiamo lavorando a pieno ritmo per presentare le nostre proposte entro la fine di marzo e presto avvieremo una consultazione pubblica per consentire a tutte le parti interessate di esprimere le proprie opinioni. Dobbiamo rendere il nostro mercato dell’elettricità pienamente adatto a un sistema energetico decarbonizzato e facilitare l’adozione di energia rinnovabile. L’obiettivo principale della riforma sarà quello di mettere a disposizione di tutti i vantaggi di una produzione di energia pulita ed economica”.

Sulla riforma del mercato elettrico le posizioni degli Stati membri sono distanti quanto lo erano sul price cap. Vede il rischio di ripetere lunghe trattative anche sul disaccoppiamento tra prezzi gas ed energia elettrica?

“Stiamo lavorando duramente a una proposta volta a offrire i vantaggi della transizione verso l’energia pulita ai consumatori di tutti gli Stati membri dell’Ue. Il 2022 ha chiaramente dimostrato che la cooperazione ti porta oltre il fare le cose da soli o, peggio ancora, l’uno contro l’altro. Ho visto una notevole disponibilità al compromesso attorno al tavolo dei ministri dell’energia dell’Ue, non solo sul meccanismo di correzione del mercato, ma su tutti gli strumenti che abbiamo introdotto quest’anno per affrontare questa crisi energetica senza precedenti. Perché i ministri capiscono il motivo per cui lo stiamo facendo e quali sono le conseguenze geopolitiche. Mi aspetto che una riforma cruciale per il nostro futuro energetico, come la revisione del disegno del mercato elettrico, sarà gestita con lo stesso spirito”.

Un ruolo importante sarà svolto dalla nuova presidenza di Svezia alla guida dell’Ue dal primo gennaio…

“Sono già stata in contatto con la ministro svedese dell’Energia (Ebba Busch, ndr) che presiederà le riunioni del Consiglio Energia durante la sua presidenza, e credo che trovare un compromesso adeguato su tale questione sarà in cima alla loro lista di priorità”.

Basterà per affrontare la crisi dei prezzi? È ancora viva l’idea di una soluzione più strutturale alla crisi, come un nuovo ‘Sure’ finanziato dal nuovo debito comune, come suggerito dai commissari Paolo Gentiloni e Thierry Breton?

“Il 2022 è stato un anno straordinario per la politica energetica dell’Ue. Abbiamo agito su molti fronti per affrontare questa crisi. Non solo affrontandone i sintomi e sostenendo finanziariamente coloro che lottano per pagare le bollette, ma anche affrontandone le cause alla radice, in particolare lo squilibrio tra domanda e offerta sui mercati globali del gas. Abbiamo diversificato le nostre forniture, ridotto la domanda di energia in modo coordinato, creato uno stoccaggio comune nell’Ue e accelerato la diffusione delle energie rinnovabili. Quest’anno avremo a disposizione anche altri strumenti, come l’acquisto in comune del gas, nuove regole per la solidarietà e un meccanismo di correzione del mercato per evitare impennate del prezzo del gas. Inoltre, continueremo con l’attuazione del nostro piano REPowerEU, che ci aiuterà a riconquistare la nostra indipendenza energetica con investimenti nella sicurezza dell’approvvigionamento, nonché nelle energie rinnovabili e nell’efficienza energetica. Potenzieremo la sua potenza di fuoco finanziaria. È in corso una valutazione delle necessità”.

Parlando di porre fine alla dipendenza dai combustibili fossili russi, l’Ue sta cercando di compensare il gas russo affidandosi a Paesi come Israele o il Qatar, che, finito al centro dello scandalo di presunta corruzione di eurodeputati e funzionari del Parlamento Ue, ha minacciato un impatto negativo sui negoziati in corso con Bruxelles. La Commissione non vede il rischio di spostare la dipendenza energetica dell’Ue verso altri partner inaffidabili?

“Per troppo tempo l’Ue è stata oltremodo dipendente dalle importazioni russe di combustibili fossili. Vediamo l’impatto dell’eccessiva dipendenza da un fornitore con i consumatori che ne pagano il prezzo. Penso che con questa crisi senza precedenti, stimolata dall’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo imparato la lezione. Questo è il motivo per cui abbiamo rapidamente diversificato le nostre rotte di approvvigionamento, in modo che nessun fornitore possa mai più danneggiarci in questo modo. Quest’anno abbiamo notevolmente aumentato i volumi di gas in arrivo nell’Ue da Stati Uniti, Norvegia, Egitto, Azerbaigian e altri paesi. E siamo molto grati per questa collaborazione. Ma dobbiamo assicurarci di non dipendere troppo da una linea di approvvigionamento o da una rotta e, infine, eliminare gradualmente la nostra dipendenza dai combustibili fossili tutti insieme. Questo è il motivo per cui stiamo anche ponendo molta enfasi sulla promozione di soluzioni rinnovabili autoctone, che possono essere diverse in ogni stato membro, ma ci aiutano proprio là dove sono necessarie”.

Ursula von der Leyen

Commissione Ue al lavoro per una riforma del mercato dell’elettricità

Niente di nuovo, all’apparenza, ma sotto i colpi dei prezzi dell’elettricità “in crescita vertiginosa” la Commissione europea stringe i tempi e potrebbe non aspettare necessariamente il nuovo anno per presentare la sua proposta di riforma del mercato elettrico. “Vediamo i limiti del nostro attuale design di mercato, sviluppato per circostanze e obiettivi completamente diversi da quelli che ci dobbiamo trovare ad affrontare oggi“, ha spiegato la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, nel corso del suo intervento al Bled Strategic Forum (in Slovenia), annunciando che l’esecutivo comunitario “sta lavorando a un intervento d’emergenza e a una riforma strutturale” del mercato dell’elettricità.

Già a fine luglio la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson, si era esposta sulla questione, mettendo però in chiaro che la proposta del gabinetto von der Leyen non sarebbe arrivata prima dell’inizio del 2023. A un mese di distanza da quelle parole, la situazione in tutta l’Unione è peggiorata sensibilmente, con prezzi record dell’elettricità raggiunti in Italia, Francia e Germania. Ecco perché potrebbe accelerare anche il lavoro della Commissione sulla proposta legislativa che dovrebbe svincolare il prezzo dell’energia elettrica proveniente dal gas naturale da quella di altre energie, il cosiddetto disaccoppiamento dei prezzi per evitare l’effetto contagio. L’intervento sarà di vasta portata, per delineare “un modello nuovo che funzioni davvero e ci riporti in bilanciamento“, ha assicurato la presidente von der Leyen: l’attuale design di mercato dell’elettricità è calibrato sulle esigenze di vent’anni fa, quando le energie rinnovabili avevano un costo molto più elevato, mentre oggi – all’opposto – è il gas a essere più costoso, andando però ancora a definire l’intero prezzo dell’energia sul mercato.

La questione dell’aumento dei prezzi dell’energia e del design di quello dell’elettricità deriva dalle conseguenze della guerra rissa in Ucraina e la via d’uscita, secondo la numero uno dell’esecutivo comunitario, passa dalla “neutralizzazione della capacità russa di minacciarci“, che potrebbe materializzarsi presto in unacompleta interruzione delle forniture” verso l’Europa. Le vie da seguire sono diverse e passano dalla diversificazione delle fonti energetiche da Mosca (aumentate di 31 milioni di metri cubi da gennaio, ha ricordato von der Leyen) al taglio del 15% dei consumi di gas in tutti i Paesi membri (“per risparmiare 45 milioni di metri cubi”), fino all’impulso allo sviluppo delle rinnovabili: “Ogni chilowatt di elettricità dalle fonti solare, geotermica, eolica e dalle biomasse è un chilowatt in meno di dipendenza dalla Russia“, ha aggiunto von der Leyen nel suo intervento a Bled. Domani la leader dell’esecutivo Ue sarà in Danimarca per “discutere di parchi eolici nel Mar Baltico, come già ne esistono nel Mare del Nord“.

aereo

ReFuelEu Aviation, il piano dell’Europa per decarbonizzare l’aviazione

Mettere a disposizione degli aeroporti dell’Ue una quota di almeno l’85% di combustibili sostenibili entro il 2050, includere anche idrogeno ed elettricità nei mix di biocarburanti e dar vita a un fondo per l’aviazione sostenibile per incoraggiare gli investimenti in tecnologie a zero emissioni. Sono solo alcuni dei punti del mandato negoziale che il Parlamento europeo ha adottato lo scorso 7 luglio in sessione plenaria a Strasburgo sull’iniziativa ReFuelEU Aviation, la proposta di regolamento per un trasporto aereo sostenibile, parte del pacchetto sul ‘Fit for 55’ presentato a luglio scorso dalla Commissione europea.

Nell’idea dell’Esecutivo, ReFuelEU Aviation punta a promuovere l’uso di carburanti sostenibili per l’aviazione (Saf) negli aeroporti di tutta Europa, attraverso obiettivi in percentuale da applicare progressivamente negli aeroporti dell’UE. La proposta deve inoltre definire nello specifico di cosa parliamo quando facciamo riferimento ai “carburanti sostenibili in fatto di aerei”.

Aviazione più pulita, verde e dunque più sostenibile. I settori dell’aviazione e del trasporto marittimo non sono tra i più inquinanti dell’Ue (circa il 4% delle emissioni totali di gas serra dell’UE), ma sono quelli che secondo le stime sono in più rapida ascesa. Nel mandato negoziale approvato in plenaria, i deputati chiedono un aumento per gli obblighi di carburanti sostenibili (Saf) a disposizione degli aeroporti. Rispetto alla proposta della Commissione europea, la quota minima di un carburante sostenibile per l’aviazione che dovrebbe essere messo a disposizione negli aeroporti dovrebbe essere al 2% a partire dal 2025, aumentando al 37% nel 2040 e all’85% entro metà del secondo, tenendo conto del potenziale di elettricità e idrogeno nel mix complessivo di combustibili (la Commissione ha proposto il 32% per il 2040 e il 63% per il 2050).

Alla Commissione europea si chiede di sviluppare entro il 2024 un sistema di etichettatura a livello europeo sulle prestazioni ambientali per i voli commerciali. I deputati si sono soffermati sull’estensione della definizione di carburanti sostenibili, che comprende carburanti sintetici o alcuni biocarburanti prodotti da residui agricoli o forestali, alghe, rifiuti organici o olio da cucina usato. Nella definizione andrebbero inclusi anche i carburanti derivanti dal carbonio riciclato, prodotti dal trattamento dei rifiuti e dal gas di scarico del processo di produzione negli impianti industriali. Inoltre, per un periodo limitato (fino al 2034), anche alcuni biocarburanti prodotti da grassi animali o distillati potrebbero essere inclusi nel mix di carburanti per l’aviazione. Non è passata invece la proposta di includere anche derivati dall’olio di palma e dalla soia.

Per l’Europarlamento nei mix di carburanti devono rientrare però l’idrogeno pulito (o rinnovabile, derivato dal processo di elettrolisi dall’acqua) e l’energia elettrica rinnovabile, “poiché entrambe sono tecnologie promettenti che potrebbero contribuire progressivamente alla decarbonizzazione del settore aereo”, spiega l’Eurocamera. In ultimo, i deputati spingeranno nei negoziati con gli Stati per dare vita a un nuovo fondo per l’aviazione sostenibile dal 2023 al 2050, così da finanziare gli investimenti in combustibili aeronautici sostenibili, tecnologie innovative di propulsione degli aeromobili e ricerca di nuovi motori.

Una normativa più chiara e rigorosa in materia di sostenibilità, secondo la Commissione europea è necessaria per attrarre investitori nel settore. “Creando un quadro normativo affidabile attireremo anche gli investimenti”, spiega la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson. L’Ue deve ora lavorare per creare un vero mercato per il carburante sostenibile destinato all’aviazione per mettere anche il settore “sulla strada giusta della decarbonizzazione entro il 2050“. “I carburanti sostenibili sono parte centrale nella decarbonizzazione dell’aviazione in particolare per le tratte (di voli) lunghe e medie”, dove si prevede che i combustibili liquidi rimarranno predominanti almeno fino al 2050. Per la commissaria “dispiegati su larga scala hanno il potenziale per abbattere le emissioni di CO2 del settore, consentendo ai cittadini di spostarsi con gli aerei in maniera più responsabile“.

Bicicletta

Un italiano su due pedala. Ma l’Italia non è (ancora) un Paese per bici

Se c’è un mezzo di trasporto che di fronte alla parola ‘emissioni’ può ritenersi al sicuro da ogni responsabilità, quello è la bicicletta. Amata e utilizzata regolarmente – ogni giorno o, almeno, una volta alla settimana – dal 50% degli italiani, può contare su 4700 chilometri di piste ciclabili (in crescita di oltre il 15% dal 2015). I dati, contenuti nel rapporto del Mims ‘Verso un nuovo modello di mobilità locale sostenibile’, raccontano che la densità è molto maggiore nelle città del nord (57,9 km per 100 km2, contro 15,7 del centro e 5,4 del Mezzogiorno). Tra i capoluoghi metropolitani, Torino e Milano presentano i valori più elevati (166,1 e 123,3 km per 100 km2), seguiti da Bologna e Firenze (poco meno di 100). E proprio il Piemonte punta a diventare la prima regione in Europa per chilometri ciclabili attrezzati. Per farlo sono stati messi in campo 40 milioni di euro di fondi europei per attuare il Piano regionale della mobilità ciclistica. Il Pnrr, poi, a livello nazionale, prevede investimenti per 600 milioni di euro per finanziare la realizzazione delle ciclovie turistiche (400 milioni) e delle ciclovie urbane (200 milioni), per un totale di 1.800 chilometri.

Recentemente il ministro dei Trasporti e della Mobilità sostenibili, Enrico Giovannini, ha ricordato che nel 2022 le Regioni si sono “azzuffate” sulle risorse da destinare alle piste ciclabili, “proprio come hanno sempre fatto su strade e ferrovie“. “Segnale – ha detto – che la mentalità è cambiata“. Della stessa opinione anche Alessandro Tursi, presidente della Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), che ricorda come la bici sia “una soluzione climatica, energetica, sociale e urbanistica fondamentale, e come tale deve diventare una priorità”. E anche l’Europa, come spiega la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, “fa riferimento alla sostenibilità della mobilità ciclabile per aumentare l’indipendenza a livello energetico“.

I capoluoghi italiani con servizi di bike sharing sono 53 (di cui solo 8 nel Mezzogiorno). L’offerta pro capite è più che triplicata nel corso degli ultimi anni, passando da 6 a 19 biciclette ogni 10.000 abitanti tra il 2015 e il 2019. Anche in questo caso l’offerta è più elevata nei comuni capoluogo di provincia del Centro (17) e del Nord (32), a fronte di valori modesti nel Mezzogiorno (2). Il fenomeno è concentrato prevalentemente nei comuni capoluogo delle città metropolitane come Firenze (109 biciclette ogni 10.000 abitanti), Milano (96), Bologna (68) e Torino (35).

Sul fronte economico i dati sono incoraggianti. La mancanza di prodotto, le difficoltà globali di approvvigionamento e i ritardi nelle consegne, che interessano la filiera del pedale negli ultimi anni, non frenano il desiderio di bici degli italiani. Secondo i dati di Confindustria Ancma, dopo i numeri record del 2020, con oltre 2 milioni di pezzi venduti – merito anche del bonus bici – il mercato 2021 sfiora infatti il dato dell’anno precedente, fermandosi a 1.975.000, pari a un -2%. Eppure, nonostante i dati positivi, “non siamo ancora davvero un Paese ciclabile”, dice Piero Nigrelli, responsabile comparto bici di Ancma. “I cittadini lo stanno dicendo: ‘È bello avere la bici, ma è ancora più bello poterla usare al meglio’. I due anni di pandemia lo hanno dimostrato”. Ecco allora che, ancora una volta, il Pnrr potrebbe venire in soccorso. “È tutto pronto”, afferma Nigrelli, per far partire i cantieri delle nuove ciclovie, “ma mancano i tecnici per seguirli. Ci auguriamo che i soldi vengano utilizzati e spesi beni. Per farlo ci va coraggio”.

Intanto dal 16 al 22 settembre si svolgerà la ‘Settimana europea per la mobilità’. Per l’edizione 2022 la Commissione Europea ha scelto di sottolineare l’importanza di una maggiore sinergia per aumentare la consapevolezza verso la mobilità sostenibile e per promuovere un cambiamento degli stili di vita in favore di una mobilità attiva.

Pannelli solari

Ue alza i target per le rinnovabili, verso obbligo pannelli solari su tetti

Pannelli solari obbligatori sui tetti dei nuovi edifici commerciali dal 2026 e per le nuove case a partire dal 2029. Nel suo piano per l’indipendenza dai combustibili fossili importati dalla Russia, ‘RepowerEU’, presentato mercoledì, la Commissione Europea fa leva su un massiccio aumento e accelerazione delle energie rinnovabili nella produzione di energia, ma anche nell’industria, negli edifici e nei trasporti per liberarsi dai combustibili fossili russi, da cui dipende per oltre il 50% delle sue importazioni di energia.

Bruxelles ha proposto nel piano di portare l’attuale target per l’energia prodotta da fonti rinnovabili dal 40% al 45%. Neanche un anno fa, a luglio 2021, la Commissione Ue aveva proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della direttiva sulle energie rinnovabili risalente al 2018 per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32% delle energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%. Mercoledì Bruxelles ha rivisto al rialzo l’obiettivo per accelerare la transizione e punta principalmente sull’energia solare.

Come parte centrale del ‘Repower Eu’, ha lanciato una ‘strategia solare dell’Ue’ per raddoppiare la capacità solare fotovoltaica entro il 2025 e installare 600 Gigawatt di nuova potenza entro il 2030. Per aumentare la capacità propone un’iniziativa specifica sui tetti solari con un obbligo a tappe per gli Stati membri per installare pannelli solari su nuovi edifici pubblici e commerciali e nuovi edifici residenziali. Per liberare un potenziale che l’Ue stima potrebbe fornire il 25% del consumo di elettricità dell’intera Unione, i governi dovrebbero limitare la durata con cui vengono rilasciati i permessi per gli impianti solari su tetto, compresi quelli di grandi dimensioni, a un massimo di 3 mesi. Dovranno rendere gradualmente obbligatoria l’installazione di energia solare sul tetto per tutti i nuovi edifici pubblici e commerciali con una superficie superiore a 250 metri quadri entro il 2026 e per tutti gli edifici pubblici e commerciali esistenti entro il 2027. L’obbligo entrerà in vigore nel 2029, invece, per tutti i nuovi edifici residenziali, quindi le case.

Per contrastare la lentezza con cui si approvano le autorizzazioni per i grandi progetti rinnovabili, la Commissione ha presentato una raccomandazione agli Stati per accelerare le approvazioni e un emendamento mirato alla direttiva sulle energie rinnovabili per riconoscere l’energia rinnovabile come “un interesse pubblico prioritario”. In questo modo, i governi dovrebbero istituire aree di riferimento dedicate per le energie rinnovabili con procedure di autorizzazione abbreviate e semplificate in aree con rischi ambientali limitati. Attualmente ci vogliono almeno “9 anni” per autorizzare progetti che riguardano l’eolico e “più di 4 anni per i progetti che riguardano il solare”, ha spiegato nella conferenza stampa la stampa per l’Energia, Kadri Simson.

URSULA VON DER LEYEN

Svolta RePowerEU: 300 miliardi mobilitati e spinta sui pannelli solari

La Commissione Europea ha presentato il piano ‘RePowerEU’ per ridurre la dipendenza europea dai combustibili fossili, in particolare quelli importati dalla Russia. “Si tratta di un grande pacchetto sui temi che sono emersi come cruciali dopo l’invasione russa dell’Ucraina, tra cui quello della sicurezza energetica”, ha dichiarato dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. “Abbiamo visto – ha detto – quanto siamo dipendenti e vulnerabili dalle fonti che arrivano da Mosca, ma con questo piano arriveremo a esserne indipendenti”.

Come illustrato da von der Leyen, il piano RePowerEU si concentrerà su tre livelli: “Primo, sulla domanda, cioè sul risparmio energetico. Secondo, sulle forniture, per sostituire le fonti russe con quelle di altri partner più affidabili. Terzo, sulle energie rinnovabili, accelerando gli investimenti. Saranno mobilitati quasi 300 miliardi di euro, di cui circa 72 miliardi in sovvenzioni e 225 miliardi in prestiti: il 95% dei finanziamenti andrà a sostenere la transizione verde per le rinnovabili”. Per raggiungere gli obiettivi di diversificare i fornitori di energia, abbattere i consumi energetici e puntare sull’energia pulita, Bruxelles stima che servirà un investimento aggiuntivo di 210 miliardi di euro da qui al 2027, ma anche che la riduzione delle importazioni di combustibili fossili russi porterà a un risparmio di 100 miliardi di euro all’anno.

Tra le proposte della Commissione, un emendamento al Pnrr per usare circa 225 miliardi di euro in prestiti non ancora richiesti dai governi europei da incanalare in investimenti a sostegno del piano e l’aumento della dotazione finanziaria dello stesso con 20 miliardi di euro di sovvenzioni provenienti dalla vendita di quote di carbonio del sistema di scambio di emissioni dell’Ue – il sistema ETS – che oggi sono ferme nella riserva di Stabilità del Mercato. Attraverso l’attuale quadro finanziario (2021-2027), la Commissione intende dirottare una parte dei fondi della politica di coesione (circa 100 miliardi di euro) e della politica agricola comune, la PAC (circa 7,5 miliardi) per investire in energie rinnovabili, idrogeno e infrastrutture. In autunno la Commissione raddoppierà i fondi disponibili per il bando 2022 del Fondo per l’innovazione, portandoli a circa 3 miliardi di euro.

INFRASTRUTTURE

Per integrare meglio i progetti di interesse comune e le infrastrutture di collegamento del gas – si legge nel piano ‘RePowerEU’ – si stima che saranno necessari investimenti per circa 10 miliardi di euro, con circa 12 nuovi progetti infrastrutturali a cui dar vita nei prossimi anni e 20 già in lavorazione. “Non serve rivoluzionare l’infrastruttura energetica attuale”, ha spiegato un funzionario dell’Ue. Nel quadro del piano presentato oggi, l’Esecutivo europeo ha lanciato anche un nuovo bando da 800 milioni di euro nel quadro del Meccanismo per collegare l’Europa, a cui ne seguirà un altro all’inizio del 2023.

RINNOVABILI

Aumentare l’obiettivo principale per il 2030 per le rinnovabili dal 40% al 45% raddoppiando la capacità fotovoltaica entro il 2025 e installando 600 Gigawatt entro il 2030. È un altro dei progetti suggeriti dalla Commissione Ue che, attraverso il ‘RepowerEU’, lancia un’iniziativa sui tetti solari con l’obbligo legale per gli Stati membri di installare pannelli fotovoltaici sui nuovi edifici pubblici e commerciali e su quelli residenziali, ovvero le case. Il piano prevede inoltre di raddoppiare il tasso di diffusione delle pompe di calore e misure per integrare l’energia geotermica e solare termica nei quartieri modernizzati.

La Commissione sta lavorando anche alla creazione del meccanismo di acquisto congiunto di energia, in cui “negozierà per gli Stati membri che ne fanno parte (dal momento che sarà su base volontaria) gas e poi in futuro anche idrogeno”, ha evidenziato la commissaria europea per l’Energia, Kadri Simson che spera, a livello europeo, di “raggiungere prima dell’estate nuovi accordi politici – dopo quelli siglati con Canada e Stati Uniti – per ulteriori forniture di gas naturale liquefatto (GNL)”, la sottolineatura di Simson che auspica, per Bruxelles, un futuro di indipendenza energetica dalla Russia. Attualmente l’Europa importa oltre il 50% dell’energia da Mosca.

TIMMERMANS

Il vicepresidente della Commissione Ue, Frans Timmermans, è tornato sull’idea di Mario Draghi di limitare l’uso dei condizionatori: “In Italia il premier ha dato un’idea al Paese sulla temperatura dei condizionatori per risparmiare energia, ma è una questione che va lasciata alla discrezione delle aziende e dei singoli cittadini. Voglio solo informarli che abbassare la temperatura del riscaldamento in inverno e non azionare troppo presto l’aria condizionata in estate è un modo di togliere soldi dalle tasche di Putin e questa è una cosa buona”

Frans Timmermans

Ue valuta il rialzo per i target sulle energie rinnovabili al 2030

I target sulle energie rinnovabili proposti dalla Commissione Europea nel pacchetto sul clima ‘Fit for 55’ potrebbero non essere abbastanza per contrastare la crisi energetica trainata dalla guerra di Russia in Ucraina. Ne è ormai convinto l’Esecutivo europeo che a più riprese nelle scorse settimane, da quando l’invasione russa è iniziata lo scorso 24 febbraio, ha lasciato intendere che potrebbe fissare obiettivi più ambiziosi per la sua transizione verso le energie rinnovabili, mentre è alle prese con la necessità di ridurre le sue importazioni di petrolio e gas dalla Russia.

Target insufficienti”, li aveva definiti settimane fa la commissaria per l’Energia, Kadri Simson, in audizione in commissione per l’Industria e l’energia dell’Europarlamento. Questa settimana, in visita in Egitto per rafforzare la partnership in vista della Cop27 di Sharm El-Sheikh che si terrà in autunno, anche il responsabile per il Green Deal, Frans Timmermans, ha fatto intendere che una revisione al rialzo ci sarà. Probabilmente già a maggio, quando la Commissione dovrà presentare i dettagli del suo piano ‘RepowerEu’ per liberarsi dalla dipendenza dai combustibili fossili russi, di almeno due terzi delle importazioni di gas russo già quest’anno e totalmente entro il 2027. L’Ue complessivamente dipende per il 40% dal gas russo.

Neanche un anno fa, a luglio 2021, Bruxelles ha proposto nel quadro del suo pacchetto climatico ‘Fit for 55’ una revisione della direttiva sulle energie rinnovabili risalente al 2018 per portare l’obiettivo per il 2030 dall’attuale 32% di energie rinnovabili nel mix energetico dell’Ue, fino al 40%. Gli Stati membri dovranno aumentare i loro contributi nazionali per raggiungere collettivamente il nuovo obiettivo vincolante, principalmente attraverso i loro piani per l’energia e il clima (Pniec).

Se fino a questo momento ha fatto affidamento sul gas naturale come ‘ponte’ di transizione dal carbone alle rinnovabili per la produzione di energia, oggi le considerazioni devono essere diverse per portare gli Stati membri a ridurre la dipendenza dal gas. “Nelle prossime due settimane lavoreremo per l’iniziativa ‘Repower EU’, e come parte di ciò vogliamo accelerare la transizione energetica. Quindi, potremmo rivedere i nostri obiettivi”, ha spiegato Timmermans dal Cairo, precisando che la revisione significherebbe una “percentuale più alta di energia rinnovabile per il 2030”. Quanto alta non lo ha precisato, né ha chiarito se la Commissione intende presentare una proposta alternativa a quella fatta un anno fa.

C’è un’altra strada che l’Ue potrebbe percorrere rispetto a presentare una nuova proposta (allungando quindi i tempi). Dopo la proposta della Commissione, la revisione della direttiva passa in mano ai due co-legislatori europei – il Consiglio e l’Europarlamento – che possono proporre emendamenti alla proposta originaria. Il Parlamento Ue, come sempre l’istituzione più ambiziosa delle tre, è deciso a chiedere un aumento della quota di energie rinnovabili nel mix energetico fino al 45% di energie rinnovabili entro il 2030. L’opzione della Commissione è quella di lasciare ‘carta bianca’ ai negoziati tra Consiglio e Parlamento in modo che il compromesso finale sia in linea con la richiesta più ambiziosa dell’Eurocamera.

Poco si sa dei dettagli del piano ‘Repower EU’ che dovrebbero essere presentati il 18 maggio, se non che la strategia Ue per l’indipendenza dal gas russo si baserà, principalmente, sulla diversificazione dei fornitori di gas, l’abbattimento dei consumi di energia e la spinta sulle rinnovabili, che quindi potrebbe portare con sé un obiettivo rivisto.

Cingolani: “Contento di come stiamo gestendo la crisi del gas”

Non sono settimane facili per Roberto Cingolani, il ministro della Transizione Ecologica, costretto dal conflitto tra Russia e Ucraina a gestire situazioni inimmaginabili e di estrema delicatezza. “Se rifarei il ministro? E chi se lo immaginava un anno fa, quando mi ha chiamato il presidente Draghi, che sarebbe scoppiata una guerra? Ma quando uno dà la sua parola e presta questo servizio non si può tirare indietro perché è troppo difficile”, dice con un filo di voce. Aggiungendo che “la vita non è giusta, ma la vita è quella e va affrontata. Bisogna andare avanti e tenere la barra dritta”. Anche perché la congiuntura geopolitica non consente alternative.

Ministro Cingolani, saremo banali ma cominciamo dal gas. Kadri Simson, commissaria europea per l’Energia, sostiene che il gas sarà comunque imprescindibile nel futuro. Gas che noi italiani stiamo cercando di acquistare da nuovi interlocutori per liberarci dal giogo russo. Così, però, invece che da Mosca dipenderemo da altri.

“Noi intanto dobbiamo rimpiazzare al più presto 29 miliardi di metri cubi di gas che ci fornisce ogni anno la Russia per questioni umanitarie e politiche. Adesso ci stiamo occupando di questo a tempo pieno, siamo molto avanti, c’è un percorso di differenziazione che procede speditamente. Anche perché stiamo accelerando le rinnovabili e possiamo mantenere la nostra road map -55%. Sono già contento di poter dire che con questa catastrofe bellica, a differenza di altri Paesi, non abbiamo alcun piano con sorgenti sporche, lo scenario peggiore è che rimaniamo sul track attuale”.

Sì ma la dipendenza?

“Sono vent’anni che questo paese dice no a tutto… Vent’anni fa producevamo tra i 15 e i 20 miliardi di metri cubi di gas nostro, da nostri giacimenti, Si è deciso di andare sostanzialmente a zero. Oggi ne produciamo tre. Questa cosa avrebbe avuto senso se avessimo ridotto di altrettanto la quota di consumo globale. Invece abbiamo ferito gravemente l’industria del nostro gas andando a comprare il gas fuori e facendo esattamente lo stesso danno ambientale. Allora: dopo 20 anni in cui nessuno ammette l’errore, adesso ci lamentiamo di dipendere dagli altri pagando Iva e trasporti, chiudendo le nostre aziende? In un mese questo problema non si risolve. La differenziazione che stiamo portando avanti sfrutta il fatto che l’Italia ha la fortuna di avere 5 gasdotti, siamo connessi a Sud a Nord e a Est, e questo ci consente anche di differenziare geograficamente. Poi avremo due rigassificatori nuovi, non permanenti. Già il fatto di poter distribuire la pressione su 4-5 Paesi, per quanto instabili, è diverso che aver un unico interlocutore, che è la Russia. Comunque la colpa è legata agli errori del passato, per non aver sfruttato le nostre risorse naturali ma anche per aver detto no a qualunque tipo di alternativa energetica. Speriamo che questa lezione ci serva per allargare il portafoglio energetico“.

A proposito di fonti alternative. Lei ha accennato una volta al nucleare ed è scoppiato il finimondo…

“Io ho detto quello che pensavo sul nucleare e l’Europa ha dimostrato che avevo ragione al di là delle ideologie. Molti Paesi hanno reagito a Chernobyl e Fukushima con una chiusura, noi avevamo già i referendum che stabilivano qualcosa e io non posso che rispettare la volontà popolare. In questo momento non mi imbarcherei nella costruzione di una centrale di seconda o terza generazione, quelle francesi per essere chiari. Credo che iniziare oggi con questa tecnologia significa che quando potrà essere utilizzabile sarà vecchia. Io penso sia giusto spingere sull’innovazione. La quarta generazione, che poi sono motori di rompighiaccio nucleari, sono progetti piccoli modulari che si assemblano e possono anche essere messi sotto terra. Un energy mix ampio deve avere tutto”.

In tutto questo, con il ritorno al carbone per colpa della guerra, la transizione ecologica rallenterà? Greta direbbe blablabla…

“Non ritengo che Greta sia un riferimento dal punto di vista delle competenze. Il blablabla è una semplificazione di chi non ha mai fatto nulla e proclamarsi primi della classe è una semplificazione di chi è presuntuoso. Noi abbiamo gas e rinnovabili, paghiamo un energy mix stretto, un portafogli di energia non molto ampio, però il nostro phase out del carbone va avanti rapidamente. Direi anche che sulle rinnovabili ora c’è un’accelerazione impressionante. Non sono fautore di una nazione che va tutta a rinnovabili, tecnicamente in questo momento non è possibile per un problema di rete, di distribuzione regionale delle capacità di spostamento della rete e anche per un problema di accumuli. Quindi è troppo semplicistico dire installiamo in fretta grandissime quantità di rinnovabili perché tanto la rete non gestirebbe bene e gli accumuli sarebbero un problema”.

L’idrogeno affascina ma costa

“Costa quello verde, perché quanto più sei pulito tanto più costi. Ricordiamoci che l’idrogeno è un ottimo accumulatore”.

Come si pone il greenwashing? È diventata una necessità?

“Greenwashing mi sembra un neologismo che serva in queste infinite battaglie da tastiera. Quando una azienda o uno Stato ha un piano di decarbonizzazione o di recupero acqua, queste sono azioni che hanno ‘kpi’ misurabili, per cui al netto delle chiacchiere se io riesco a ridurre in un processo la Co2 o lo spreco di acqua, queste sono cose che si misurano, non c’è greenwash che tiene. Che poi qualcuno in nome del green dica cosa gli pare, ci sta anche, ma non condannerei per il gusto di condannare”.

Come vede l’Italia tra 8 anni, nel 2030?

“Prima della guerra avevo un’idea, adesso vorrei capire come va a finire. Due mesi fa, sembra due ere fa, vedevo un’Italia che aveva 5 anni per mettersi in una traiettoria virtuso a livello ambientale, tecnologico e sociale. Che poi avrebbe vissuto 25 anni sulle sue forze. Speriamo che questa guerra, finisca perché la decarbonizzazione è andata in secondo piano e si devono recuperare gli interessi generali per i grandi temi”.