Energia fuori controllo. Meloni: Approviamo subito decreto Aiuti

La crisi energetica è un grosso guaio, inutile nasconderlo. L’autunno si avvicina e il rischio per i partiti è di trovarsi gli italiani con bollette stratosferiche da pagare proprio nel momento in cui si aprono le urne per le elezioni politiche del 25 settembre. Ragion per cui tutti, o quasi, provano a spingere su Mario Draghi perché intervenga con un decreto d’urgenza, ma soprattutto vada a negoziare in Europa il tetto massimo al prezzo del gas, oltre al disaccoppiamento con il prezzo dell’elettricità.

Due temi non proprio semplici da portare a casa, soprattutto per chi è a capo di un esecutivo in carica per gli affari correnti. Dunque, con poteri limitati, nonostante lo stand internazionale del suo premier o l’appoggio annunciato da diverse forze della sua ex maggioranza, come Lega, Forza Italia, Pd, Impegno civico, Azione, Iv e altri ancora. I riflettori saranno puntati soprattutto su Bruxelles, dove il prossimo 9 settembre ci sarà il Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia. Ad oggi prevedere se per quella data sarà pronto il piano di riforma Ue del mercato elettrico è un esercizio decisamente complicato, ma le speranze sono tutte accese. “Il gas russo viene usato come strumento di pressione politica, per rispondere alla realtà in cui viviamo la riforma è necessaria”, dice il sottosegretario con delega agli Affari Ue, Enzo Amendola. Riconoscendo, però, che finora “l’Acer, l’agenzia europea per l’energia, non ha prodotto grandi passi in avanti”.

E se le Confindustrie del Nord Italia parlano di una crisi che “sta paralizzando il sistema industriale italiano con il forte rischio di deindustrializzare il Paese mettendo a repentaglio la sicurezza e la tenuta sociale nazionale”, anche dagli enti locali gli appelli al premier si moltiplicano: l’ultimo in ordine di tempo è del presidente della Regione Veneto, il leghista Luca Zaia. “Il costo dell’energia è quadruplicato: è fondamentale che ci sia un intervento dall’Europa su modello del price cap della Francia, dove si è deciso di fissare un prezzo massimo del 4%, dopodiché interviene lo Stato – dice -. Draghi, sempre lungimirante e attento, sposi subito questa causa, senza attendere oltre”. La proposta, però, non trova terreno fertile. Il dem Amendola, ad esempio, dice no: “Non sono per un ritorno allo statalismo, la vicenda francese, anche con la questione del nucleare, fa vedere che i costi sono duplicati“.

Sullo sfondo resta comunque in piedi l’ipotesi di un nuovo decreto Aiuti per mitigare gli effetti dei rincari. Anche se i fondi sono limitati, visto il poco spazio di manovra del governo dimissionario. Palazzo Chigi lavora ai conti per intervenire senza ricorrere a scostamenti di bilancio, mentre resta il vulnus dei 9 miliardi di gettito non versato dalle aziende energivore che hanno realizzato extraprofitti durante la crisi e l’isteria dei prezzi sul mercato del Ttf di Amsterdam. “Certamente dobbiamo riscuotere quei fondi, che poi lo Stato rinvestirà nel taglio delle accise sui carburanti e nel mitigare gli effetti dei rincari sulle bollette”, dice il leader di Impegno civico e ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

A proposito della tassa tanto discussa, dal M5S arriva una nuova proposta. A lanciarla è il ministro delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli: “Si può salire oltre il 25%, ma è il caso di allargare il range anche a quelle società che hanno beneficiato di situazioni di mercato favorevoli”, non necessariamente del comparto energetico. L’idea si sposa perfettamente con quella del ministro del Lavoro, il dem Andrea Orlando: “Mi sembra ragionevole intervenire per tentare un riequilibrio tra i settori di imprese in forte sofferenza e settori che hanno prodotto profitti record”.

Al di là delle intenzioni, resta comunque da capire quale sia il pensiero della coalizione che oggi i sondaggi danno in vantaggio. Sui rigassificatori Giorgia Meloni dice che “vanno fatti“, anche a Piombino se “non ci sono alternative“, perché “l’approvvigionamento energetico italiano è una priorità“. Ma nel frattempo bisogna intervenire sul presente: “Lo dico io che sono in opposizione, ci troviamo in Parlamento lunedì e proviamo ad approvare le norme che consentano ai cittadini di avere una situazione sostenibile” sulle bollette. Ma senza nuovo debito, che resta “l’ultima ratio”. Sullo sfondo resta però l’incertezza sulla posizione che assumerebbe un governo di centrodestra sul price cap. La leader di FdI porta l’esempio di Olanda e Germania: “Sono europeiste o difendono il loro interesse nazionale?”, domanda. La risposta, però, deve darla l’Europa. Non ci sono alternative.

Rigassificatore

In Italia raggiunto 80% di stoccaggi gas, centrati gli obiettivi Ue

Riserve sotterranee di gas piene all’80% della capacità. L’Italia ha raggiunto con due mesi di anticipo il target richiesto dall’Unione europea di riempire gli stoccaggi di gas (almeno) all’80% della propria capacità entro il primo novembre 2022, per arrivare poi al 90% a partire dall’inverno 2023. L’obiettivo? Prepararsi a livello nazionale a uno scenario di completa interruzione delle forniture di gas da parte della Russia, tenendo piene le riserve e presentando misure di risparmio della domanda. Lo scenario è ormai più che realistico date le tensioni con Mosca per la guerra in Ucraina.

Ad annunciare il raggiungimento del target è stato il premier Mario Draghi dal palco del Meeting di Rimini, assicurando che il Paese “è in linea con l’obiettivo di raggiungere il 90% entro ottobre”. Il governo – ha riferito il premier ormai dimissionario – ha già predisposto i necessari piani di risparmio del gas, con intensità (dei tagli) crescente a seconda della quantità di gas che potrebbe venire eventualmente a mancare. L’annuncio di Draghi ha anticipato i numeri che compariranno domani sulla piattaforma indipendente europea (Gas Infrastructure Europe – AGSI+) che certifica il dato con due giorni di ritardo e segna oggi i livelli ancora al 79,92% della capacità di riempimento. A livello complessivo in Unione europea il livello di riempimento è pari al 77,74%.

A livello comunitario Italia e Germania – che sono i principali importatori di gas in Ue – sono anche i Paesi insieme a Francia, Paesi Bassi e Austria a concentrare la maggior parte della capacità di stoccaggio in tutta l’Unione europea. L’Italia ha una capacità di riempimento di 197,7 terawattora (TWh), in Ue seconda solo alla Germania (245,3 TWh). Non tutti gli Stati membri Ue dispongono di impianti di stoccaggio del gas, sono 18 su 27 i Paesi a disporne: Italia, Austria, Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Danimarca, Francia, Germania, Ungheria, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovacchia, Spagna e Svezia e rappresentano circa il 27 per cento del consumo annuale di gas dell’UE.

Un terzo degli Stati membri (Irlanda, Lussemburgo, Slovenia, Grecia, Cipro, Lituania e Finlandia) non dispone di proprie capacità di stoccaggio e dovrà fare affidamento sulle strutture degli altri, in caso di chiusura dei rubinetti del gas da parte di Mosca. Il gruppo europeo di coordinamento sul gas (che fa capo alla Commissione Europea) sta lavorando per rafforzare la cooperazione regionale tra Stati membri attraverso delle task force, con Bruxelles che continua a esortare i governi a siglare accordi di solidarietà bilaterale in vista di tagli improvvisi alle forniture da parte del Cremlino (al momento in Ue ce ne sono solo sei, di cui uno tra Italia e Slovenia).

Mario draghi

Autorevolezza e credibilità, il banco di prova del prossimo governo

Con l’autorevolezza viene il rispetto da parte degli altri”. Mario Draghi ha rivolto alla politica italiana un appello accorato nel suo discorso tenuto al Meeting di Rimini il 24 agosto. Ed è un appello che giunge da tante parti, al quale ci uniamo anche noi, naturalmente.

Stava introducendo un passaggio del suo discorso dedicato a Pnrr, definito “prova essenziale della nostra credibilità”. Su queste pagine ne abbiamo scritto più volte, ricordando anche, come ha fatto Draghi, che i governi europei con una scelta storica hanno deciso di tassare i propri concittadini per sostenere, in primo luogo, il risanamento e il rilancio dell’Italia, che riceve quasi la metà dei fondi del Piano nato con la pandemia.

Il governo Draghi ha fatto la sua parte, ha disegnato i progetti, ha rispettato i tempi conseguendo tutti gli obiettivi che si era prefissato. Ad alcune forze politiche questo non è bastato, anche tra quelle che lo hanno sostenuto ce ne sono che hanno fatto cadere il suo esecutivo. Ma lui, Draghi, sa quanto questo impegno sia importante per l’Italia, non solo sul piano della ripresa, ma proprio su quello della credibilità internazionale. E dunque ha assicurato che il suo governo sta lavorando per realizzare “il più alto numero possibile” di obiettivi prima del cambio di governo.

Perché Draghi sa che, qualunque sia il governo, una fase di rallentamento nei primi mesi potrà esserci. Ma soprattutto perché vede bene come la campagna elettorale potrà portare qualche forza politica a prendere impegni che potrebbero mettere in seria difficoltà la realizzazione del Piano.

L’Italia ha un disperato bisogno di riacquistare credibilità per ripartire, per ammodernarsi e camminare sulla strada della transizione ecologica, perché nessuno può farcela da solo, e in particolare il nostro Paese, ha ricordato il presidente del Consiglio, “non è mai stato forte quando ha deciso di fare da solo”. Il nostro posto, ha ribadito “è al centro dell’Unione europea e nel Patto Atlantico”. E lo è perché ne ha bisogno l’Unione, ma, ancor di più, perché ne ha bisogno l’Italia.

Mario Draghi

Draghi: “Momento complesso. Con rigassificatori liberi da Russia nel 2024”

Una sfida dopo l’altra. Intervenendo al meeting di Rimini, il premier Mario Draghi, traccia il quadro delle numerose emergenze che affliggono il Paese, cominciando, naturalmente, dall’energia. “L’Italia – annuncia – ha raggiunto l’80% dello stoccaggio di gas, in linea con l’obiettivo del 90% entro l’autunno”, un traguardo importante che permetterà al Paese di diminuire ulteriormente le forniture da parte della Russia. I risultati degli “sforzi” del governo per l’indipendenza da Mosca, ricorda “sono già visibili. A differenza di altri Paesi europei, le forniture di gas russo in Italia sono sempre meno significative, e una loro eventuale interruzione avrebbe un impatto minore di quanto avrebbe avuto in passato“.

In pochi mesi, aggiunge, “abbiamo ridotto in modo significativo le importazioni di gas dalla Russia, un cambio radicale nella politica energetica italiana. Abbiamo stretto nuovi accordi per aumentare le forniture – dall’Algeria all’Azerbaigian. Gli effetti sono stati immediati: l’anno scorso, circa il 40% delle nostre importazioni di gas è venuto dalla Russia. Oggi, in media, è circa la metà”. Ma c’è di più. Secondo il presidente del Consiglio dei ministri se la costruzione dei due rigassificatori sarà realizzata nei tempi previsti, “l’Italia sarà completamente indipendente dal gas russo nell’autunno del 2024”.

Tuttavia, oggi “il costo del gas è più di 10 volte il suo valore storico”. “In Europa abbiamo spinto molto sul price cap ma alcuni Paesi temono che Mosca possa nuovamente interrompere le forniture e i frequenti blocchi di questi mesi hanno mostrato i limiti di questa posizione. Così ci troviamo con forniture incerte e prezzi esorbitanti“, puntualizza.

Uno scenario che, inevitabilmente, si ripercuote su famiglie e imprese: “Il notevole aumento dell’inflazione, partito dai costi dell’energia, si è trasmesso sul comparto alimentare” aggravando ancora di più la condizione delle categorie più a rischio, ammette il premier. Inoltre, “il rallentamento della crescita globale si ripercuote negativamente sulle esportazioni e le condizioni di accesso al credito cominciano a peggiorare, questo avrà sicuramente effetti sugli investimenti“.

La questione energetica va certamente di pari passo con l’emergenza siccità. E qui entrano in gioco il cambiamento climatico e l’aumento dell’utilizzo di fonti non rinnovabili per sopravvivere alla crisi, che ‘sospende’ quello delle rinnovabili. Come sottolinea Draghi, invece, è solo “accelerando sulla strada delle energie rinnovabili che si potrà combattere il cambiamento climatico“. Proprio quello che ultimamente si è “manifestato in modo minaccioso – riferisce il l’ex Bce – con fenomeni estremi sono sempre più comuni con conseguenze tragiche, penso al dramma della siccità, che ha colpito in particolare il bacino del Po; allo scioglimento dei ghiacciai come quello della Marmolada; ai violenti nubifragi“, aggiunge.

Rumors e smentite ma impazza il toto-ministri. Cingolani tra i più ‘contesi’

Il quadro delle alleanze non è ancora definito, i programmi non sono stati depositati, ma come ogni campagna elettorale che si rispetti torna il toto-ministri. Questa volta, a dire il vero, un po’ di ‘colpe’ se le deve prendere il leader della Lega, Matteo Salvini. Perché è stato proprio lui ad accendere la miccia, invitando i suoi alleati del centrodestra a definire prima delle urne almeno un’ossatura di squadra governativa nel caso di vittoria alle urne il prossimo 25 settembre. Finora né Fratelli d’Italia, né tantomeno Forza Italia hanno risposto all’appello guardandosi bene dal fare un passo che molti analisti politici definiscono quantomeno ‘azzardato‘. Soprattutto per una formazione, quella di centrodestra, che tutti i sondaggi danno in largo vantaggio rispetto agli avversari del centrosinistra e anche del centro. Anche perché queste due ultime aree sono ancora in fase di costruzioni, con percorsi visibilmente accidentati.

Se la prudenza non è mai troppa per chi fa politica, l’arte di osare e andare oltre le dichiarazioni di facciata è invece il compito degli osservatori. Soprattutto i media. I primi rumors, così, non tardano ad arrivare e riguardano Giorgia Meloni. Secondo ‘Repubblica‘, la leader di FdI, in un colloquio avuto con Mario Draghi subito dopo le dimissioni, si sarebbe informata con il premier uscente sulle caratteristiche di alcuni ministri. Addirittura chiedendo all’ex Bce consiglio su chi potrebbe essere un asset importante da mettere in campo in un nuovo esecutivo, magari a sua guida. La risposta sarebbe stata Roberto Cingolani e l’ex dg di Bankitalia, Fabio Panetta. Sarebbe, appunto. Perché fonti di Palazzo Chigi non si attardano a smentire il retroscena: “Sono fantasiose e prive di fondamento le ricostruzioni riportate da ‘La Repubblica’ in merito a presunti contatti telefonici del presidente Draghi con Giorgia Meloni, con particolare riferimento a consigli o suggerimenti su nominativi per la composizione della futura compagine di governo“.

La notizia, però, gira a ritmo frenetico. Qualcuno fa il ‘matching‘ con alcune dichiarazioni proprio di Meloni dei giorni scorsi, in cui esprimeva un giudizio tutto sommato positivo sull’azione del ministro della Transizione ecologica. Il diretto interessato non entra nella partita, né per confermare né per smentire. A suo tempo chiarì che non sarebbe stato candidato, tanto che giovedì 4 agosto, in Cdm, lo stesso Draghi ha indirizzato gli auguri di buone vacanze ai ministri non impegnati nella campagna elettorale. Cingolani compreso, che infatti ha ascoltato con un sorriso evidente il premier mentre raccontava questo aneddoto in conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio.

Il ‘problema‘, se così vogliamo chiamarlo, è che il rumors è arrivato fino a Lampedusa, dove Salvini è stato giovedì 4 venerdì 5 agosto. In un punto stampa qualcuno la domanda gliela fa. Prima risponde che non commenta i retroscena giornalistici, poi però qualcosa la dice. “Se Cingolani fosse a disposizione ne sarei ben felice: non penso abbia tessere di partito in tasca, però fra i ministri del governo uscente, anche se non ha nulla a che fare con la Lega, mi trovo bene“. Il tema che gli fa apprezzare di più il fisico prestato (temporaneamente) alla politica è il nucleare, su cui il responsabile del Mite è tornato più volte in questi mesi, soprattutto da quando è scoppiata la crisi energetica. Cingolani ne fa una questione teorica: studiamo, recuperando un gap più che ventennale, poi si vedrà. Il segretario del Carroccio, però, vorrebbe farne un punto programmatico: “Così come non si può più rinviare la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina, non si può più rimanere tra i pochi grandi Paesi al mondo che non producono energia col nucleare di ultima generazione“.

Un pensiero diametralmente opposto a quello di Nicola Fratoianni, alle prese con la decisione se accettare o meno l’accordo con il Pd. Mentre i Verdi sembrano ormai pronti a firmare, Sinistra italiana sta ancora riflettendo, lasciando il cuore del M5S e di Giuseppe Conte aperto a una speranza, seppur flebile, di accordo. Condividere ‘casa‘ con Carlo Calenda è un problema per Si: a dividerli sono, tra le altre cose, le idee sul rigassificatore di Piombino, sul nuovo termovalorizzatore a Roma e, appunto, il nucleare. La sostanza della fase politica, però, è molto meno articolata rispetto alla discussione su fissione o fusione: al massimo, in vista del 25 settembre, c’è ‘solo‘ il rischio che qualche leader possa restare col cerino in mano.

energia

L’energia è al centro della crisi ma non del dibattito politico

Come si dice, non l’ha toccata piano. Perché tra le tante cose che Mario Draghi ha detto in conferenza stampa dopo aver approvato il dl Aiuti, ce n’è una destinata a fare particolarmente rumore: la tassa sugli extra profitti. “È intollerabile che ci sia un settore che elude una disposizione del governo”, il j’accuse del Presidente del Consiglio. Non un monito ai naviganti ma qualcosa di più, quasi una promessa che di qui al 25 settembre, pur con il solo compito del disbrigo degli affari correnti, il governo metterà mano a questa anomalia. Perché “si pagherà tutto”, sempre per citare Draghi, inorridito dal fatto che ci siano famiglie e aziende con l’acqua alla gola e imprese energetiche che, lucrando sugli aumenti di gas e petrolio, stanno accumulando guadagni spropositati.

Ballano, detto male, 10 miliardi. Che con i tempi che corrono sono linfa vitale per mettere pezze qua e là in un’economia che cerca di non crollare sotto il peso della pandemia prima e della guerra in Ucraina poi. La rabbia malcelata del premier, ancorché vicino al congedo, è esplosa in un “avremo tempo per studiarli bene”, riferito ad eventuali provvedimenti da prendere nei confronti di imprese che provano a sfuggire alla ghigliottina di tasse sugli extraprofitti. Al momento, dei 10 miliardi previsti è entrato nelle casse dello Stato un decimo, malgrado – come recita un antico adagio – i conti si facciano alla fine. Però, onestamente, qualche perplessità monta. Come la panna.

Adesso: provando ad astrarsi dalla polemica e da ciò che potrà accadere nei prossimi mesi, resta un punto fuori discussione: petrolio e – soprattutto – gas sono al centro di una speculazione che esula da qualsiasi logica, che è antecedente all’attacco di Putin e che inciderà sulla vita di cittadini e aziende in un autunno caldissimo. Il conflitto ucraino è scoppiato sullo sfondo di una contesa energetica che ha una localizzazione geopolitica planetaria perché coinvolge anche Stati Uniti e Cina, di energia saranno pieni giornali e telegiornali per i prossimi mesi, forse anni, di rigassificatori si ferisce ma non si perisce, eppure…

Eppure nell’ingorgo parolaio di una campagna elettorale messa in piedi dall’oggi al domani, di energia si parla ancora poco, di ambiente quasi per nulla. Si parla di molto altro e non sempre a proposito, siamo ancora alle alleanze non ai programmi, siamo alla chiacchiera o al bisticcio, non “al fare”. Gas, petrolio, rinnovabili, bollette: di tutto un po’, tipica ‘fricassea’ politichese. A meno di usare la parola green, come sta avvenendo, per pulirsi la coscienza. E pensare che il governo Draghi, formalmente, è caduto per il termovalorizzatore di Roma. Con tutto il rispetto, una goccia nell’Oceano (inquinato) di questi giorni burrascosi.

Varato dl Aiuti: 17 miliardi contro siccità e rincari di energia e gas

Dal disbrigo degli affari correnti ‘allargati‘ nasce il nuovo decreto Aiuti. Un provvedimento corposo, da ben 17 miliardi, di cui 15 dal testo varato ieri pomeriggio in Consiglio dei ministri, più altri 2 miliardi per effetto di norme collegate. Dunque, dopo giorni di attesa è arrivato il via libera alle misure di protezione contro i rincari di luce, gas, acqua e carburanti, oltre alle norme su lavoro e welfare. In realtà si tratta di proroghe della legislazione già in vigore, che comunque finora ha prodotto decreti per un ammontare di 35 miliardi, il costo di almeno una, se non due, manovre finanziarie. “Il metodo che abbiamo utilizzato è quello della condivisione: con le parti sociali, i sindacati, le forze di maggioranza ma anche quelle di opposizione, oltre ovviamente ai ministri. A tutti loro vorrei dire grazie“, esordisce Mario Draghi in conferenza stampa dopo la riunione di Palazzo Chigi.

Il premier tocca diversi argomenti, che hanno un unico filo conduttore: la situazione geopolitica internazionale. “Ci sono nuvole all’orizzonte dovute alla crisi energetica, all’aumento del prezzo del gas e al rallentamento del resto del mondo. Le previsioni sono preoccupanti per il futuro“, spiega. Perché “non bisogna sottacere i problemi: il caro vita, l’inflazione, l’aumento dei prezzi dell’energia e di altri beni, le difficoltà di approvvigionamento, l’incertezza politica non solo nostra ma geopolitica“. Ed è la ragione per cui, pur dimissionario, ha rimesso il governo al lavoro per trovare le risorse utili a rifinanziare molte misure anche nel quarto trimestre dell’anno: dalle riduzioni sulle bollette di luce e gas, al taglio di 25 centesimi sulle accise dei carburanti (anche se soltanto fino al 20 settembre), compreso il gasolio per i mezzi agricoli. Una scelta salutata con soddisfazione da Coldiretti. Che accoglie positivamente i primi 200 milioni per mitigare gli effetti negativi della siccità sulla produzione. Peraltro, con il nuovo dl Aiuti arriva anche la possibilità di dichiarare lo stato di emergenza anche in maniera preventiva rispetto al calcolo dei danni effettivi.

Restano anche i prelievi sugli extraprofitti delle aziende energivore. In questo caso la norma è stata allungata fino al 30 giugno del 2023. Sul punto ha battuto molto Draghi, svelando che “il gettito degli acconti pagati finora è inferiore a quello che sarebbe dovuto essere se gli importi fossero stati tutti pagati“. Per l’ex Bce “non è tollerabile che con le famiglie in difficoltà e il sistema italiano in difficoltà un settore eluda le disposizioni del governo“, ma la sua intenzione è ferma: “Paghino tutto“. Ragion per cui “in questo decreto ci sono provvedimenti che aumentano fortemente le sanzioni e gli obblighi al pagamento“. E se l’antifona non fosse già chiara, il presidente del Consiglio avvisa: “Non escludo che se non avremo una risposta dalle grandi società di produzione elettrica l’esecutivo possa prendere altri provvedimenti“.

Il discorso è inevitabilmente caduto anche sulle grandi sfide in corso. Come quella degli stoccaggi di gas, che “proseguono, vanno avanti e molto bene“, assicura Draghi. Anzi, l’Italia “ha diversificato rapidamente l’offerta, quindi oggi la nostra posizione è decisamente migliore rispetto ad altri Paesi europei per stabilità delle forniture. Tanto è vero che il livello dei nostri stoccaggi è tra più alti in Europa“. Il dato è confermato anche dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani: “Siamo intorno al 74%“. Il responsabile del Mite spiega che “il trend di stoccaggio procede secondo la curva ideale, quella secondo cui ci dovrebbe portare al 90% entro l’inizio del periodo più freddo, orientativamente ottobre-novembre“, garantendo al Paese “una quantità di circa 80-90 milioni di metri cubi al giorno“. Tutto ciò nel bel mezzo di una sostituzione dei 30 miliardi di metri cubi importanti dalla Russia con 25 miliardi da nuovi contratti di fornitura “manteniamo la rotta di decarbonizzazione“. Tra l’altro, “la dipendenza dal gas russo è calata dal 40 al 15% in poche settimane“.

Resta però aperta la questione Piombino. “Metà del nuovo gas è Gnl, che va rigassificato subito“, dice Cingolani. Che torna a ribadire, sempre con forza che “non si può mettere a rischio la sicurezza nazionale perché non si vuole un rigassificatore“.

Draghi si concede anche due battute sulla politica, non di più però. Racconta, con il suo classico sorriso, di aver augurato “buone vacanze ai ministri che non saranno impegnati nella campagna elettorale e ho augurato che si verifichino i loro sogni e i loro desideri a chi, invece, dovrà farla. Sono molto vicino a loro“. Su una sua disponibilità futura a guidare altri altri governi glissa: “Ho già risposto tante volte. Io un nonno al servizio delle istituzioni? Beh, un nonno lo sono… quello è innegabile“. A chi gli chiede numi sulla ormai famigerata ‘Agenda Draghi‘, risponde invece: “Quando sono arrivato non è che ne avessi una, dovevo fare alcune cose. Per cui, questa ‘agenda’ è fatta di risposte pronte ai bisogni dell’economia, ai bisogni delle famiglie più povere e di credibilità, interna e internazionale“. E qui batte il ferro: “Il credito di cui gode l’Italia oggi è la componente più importante del perché l’Italia cresce“. Le luci su Palazzo Chigi si spengono, ma Draghi ancora non chiude la porta dell’ufficio alle sue spalle.

Siccità, energia, guerra: tre dossier ‘hot’ per il nuovo governo

Sarà una campagna elettorale ‘lampo’, ma non senza scontri, tensioni e anche qualche ‘colpo basso’. Lo scenario con cui l’Italia si prepara al ritorno alle urne, il prossimo 25 settembre, è ricco di insidie. Per ogni schieramento. Non solo il cronoprogramma di riforme e progetti per non perdere i fondi europei del Pnrr, nell’agenda di tutte le forze politiche ci sono almeno tre temi cerchiati con in rosso: strategia nazionale sull’energia, transizione ecologica e digitale e, ovviamente, la guerra in Ucraina, che trascina con sé non solo implicazioni geopolitiche ma anche legate alla crisi alimentare. Lo sblocco, graduale, delle scorte di grano e cereali bloccati da mesi nei porti del Mar Nero è una buona notizia – se gli accordi firmati con i garanti Onu e Turchia reggeranno -, ma il tempo stringe perché alle porte ci sono i nuovi raccolti e le incertezze si triplicano senza il cessate il fuoco tra Mosca e Kiev.

L’altro, grande capitolo riguarda inevitabilmente gli approvvigionamenti energetici. Non soltanto – e non tanto – per la conferma e il rispetto degli accordi stipulati dal governo Draghi con Algeria, Libia, Egitto, Mozambico, Azerbaijan, Congo e Qatar: queste partnership ci renderanno indipendenti dalle forniture russe entro la fine del 2024 e l’inizio del 2025. Piuttosto il prossimo governo dovrà prendere una decisione sul ritorno o meno a puntare sulla produzione nazionale di gas. Ovvero, per dirla con il gergo utilizzato da alcune associazioni ambientaliste e movimenti politici, se l’Italia tornerà a muovere le proprie trivelle per sfruttare le possibilità del territorio. Il dibattito si è acceso negli ultimi mesi, quando la crisi energetica ha imposto una riflessione sul mix da adottare. Ad oggi le divisioni rimangono e la discussione non fa passi avanti.

In ballo ci sono interessi economici altissimi, però. Perché da circa una ventina d’anni, da quando è stata operata la scelta di comprare il gas da fornitori esteri (la Russia è diventata in pochissimo tempo il nostro partner principale), c’è chi conta una perdita in termini di occupazione, sviluppo delle nostre aziende e di risorse pubbliche, dovendo pagare l’Iva ai Paesi di appartenenza dei ‘venditori’. Il rovescio della medaglia, però, riguarda la tutela dell’ambiente e delle biodiversità. Non un problema da poco, visti gli effetti a volte devastanti dei cambiamenti climatici. Per ovviare a tutti i rischi c’è chi si appella alle nuove tecnologie, considerandole un valido alleato. Ma non tutti – in entrambi gli ‘schieramenti’ – sono pronti a metterci le mani sul fuoco.

Mentre la discussione va avanti, c’è comunque il presente da affrontare. Ad oggi il problema più grave è la siccità. Continua a non piovere su diverse zone del Paese, mentre dove finalmente scende giù l’agognata acqua, molto spesso lo fa con una violenza dirompete, a causa dell’incontro-scontro con le temperature record di questi mesi estivi. Il governo, prima che deflagrasse la crisi politica, era all’opera per un nuovo decreto Aiuti. La fine della maggioranza, le dimissioni di Mario Draghi e lo scioglimento delle Camere sembravano aver mandato in fumo l’opportunità. L’allargamento del perimetro dei cosiddetti affari correnti, però, ha riacceso la speranza e ora ci sono oltre 14 miliardi di euro da utilizzare per prorogare le misure di contrasto ai rincari di energia, carburanti e beni alimentari, ma anche i primi sostegni per i danni all’agricoltura. Il decreto dovrebbe vedere la luce la prossima settimana. Certo, le cifre stanziate non saranno sufficienti a coprire tutti gli ammanchi, ma va anche detto che oggi è tecnicamente impossibile fare la conta dei danni, quando le colture sono ancora in itinere.

Giocoforza questo sarà uno dei primi dossier su cui il nuovo governo, e la maggioranza che lo sosterrà, dovrà impegnarsi. Chi verrà dopo l’ex Bce, però, si troverà comunque una situazione economica e finanziaria di tutto rispetto. Almeno secondo quanto certificano diverse analisi, non ultima quella dell’Istat. “Con il dato sulla crescita del secondo trimestre” dice il ministro uscente della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, “è ragionevole aspettarsi un tasso di crescita annuo per il 2022 più vicino al 4%“. L’ex forzista si toglie anche un sassolino dalle scarpe: “Il governo Draghi ha lavorato bene, addirittura benissimo. Tanto che tra i Paesi del G7 nel 2022 l’Italia sarà quello che crescerà più di tutti“. E’ la campagna elettorale, bellezza. Ma anche una buona notizia per chi verrà tra due mesi circa.

Rinnovabili, il Cdm approva 11 impianti: sbloccati 452 megawatt

Nuovo ‘ossigeno’ nella strategia nazionale di approvvigionamento energetico, con lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Il via libera del Cdm di questo pomeriggio, infatti, sblocca l’iter di ben 11 progetti di impianti di energia eolica. Operazione resa possibile dalle semplificazioni dei procedimenti autorizzativi previsti dal primo decreto Aiuti del governo presieduto da Mario Draghi, approvato nello scorso mese di maggio.

Grazie alle nuove norme, infatti, il Consiglio dei ministri ha potuto deliberare “l’approvazione del giudizio positivo di compatibilità ambientale” relativo a otto progetti da realizzare nel territorio della Puglia e tre in Basilicata, che contano complessivamente una potenza pari a circa 452 megawatt. L’articolo 7 del precedente dl Aiuti, dunque, rendono le deliberazioni del Cdm sostitutive ad ogni effetto del provvedimento di Valutazione d’impatto ambientale, il cosiddetto Via. La decisione di oggi, viene fatto notare in ambienti di governo, è perfettamente in linea con la strategia dell’esecutivo di sostegno al piano di diversificazione delle fonti energetiche.

Anche il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, esprime soddisfazione per il via libera: “Una decisione – spiega – che evidenzia quanto sia prioritario per questo governo l’impegno nello sviluppo di energia da fonti rinnovabili su tutto il territorio nazionale”. Per il responsabile del Mite “si tratta di un’ulteriore accelerazione verso l’indipendenza energetica, la decarbonizzazione e gli obiettivi di sviluppo sostenibile”.

Nel dettaglio, gli otto progetti da realizzare nel territorio della Puglia riguardano Mondonuovo (Comune di Mesagne, Brindisi), per una potenza pari a 54 megawatt, Valleverde (Comune di Bovino, Foggia, in località “Monte Livagni”) e opere di connessione (da ubicare anche nei comuni di Castelluccio dei Sauri e Deliceto, Foggia) per 31,35 megawatt. E ancora il rifacimento parziale e potenziamento (‘repowering’) del parco eolico (Comuni di Motta Montecorvino e Volturara Appula, Foggia), per complessivi 42 megawatt; poi San Pancrazio Torrevecchia (Comune di San Pancrazio Salentino, Brindisi) e relative opere di connessione alla Rete di Trasmissione Nazionale (comuni di Avetrana, Taranto, ed Erchie, Brindisi) per totali 34,5 megawatt, San Severo La Penna (Foggia) e relative opere di connessione, per 47,6 megawatt; San Potito (Ascoli Satriano, Foggia, località Torretta) e relative opere di connessione (Comune di Deliceto, Foggia), per 34,5 mw.

Inoltre, il Cdm dà il via libera al progetto da realizzare nel comune di San Paolo Civitate (Foggia), nelle località Pozzilli, Chiagnemamma, Cerro Comunale, Marana della Difensola–Quarantotto, Masseria Difensola e infrastrutture connesse, che si trovano nel territorio del comune di Torremaggiore (Foggia), nelle località Fari e Rascitore, per una potenza di 42 megawatt; Il Parco Eolico San Severo” (Comune di san Severo, Foggia), con potenza 54 megawatt.

Per quel che concerne, poi, i tre progetti che riguardano la regione Basilicata, si tratta della proroga di cinque anni del termine di validità del provvedimento di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione dell’impianto eolico Serra Gagliardi, da realizzare in agro del Comune di Genzano di Lucania (Potenza), per 36 megawatt. Proroga di cinque anni anche del provvedimento di valutazione di impatto ambientale relativo all’impianto eolico Castellani da realizzarsi nel territorio del Maschito e Venosa (Potenza) per 38,995 megawatt. Infine, a Rosamarina (Comune di Lavello, Potenza) disco verde alle opere di connessione nei comuni di Venosa e Melfi, per una potenza complessiva di 37,1 megawatt.

Carlo Buttaroni

Buttaroni: “Temi ambientali al secondo posto per i cittadini. Al primo l’inflazione”

È il carrello della spesa che guida l’orientamento di voto“. Non azzarda ancora percentuali Carlo Buttaroni, presidente di Tecnè, che con GEA commenta la crisi di governo in un momento di estrema fragilità sociale.

In questo contesto, i temi ambientali avranno un ruolo importante e trasversale, sostenuti da tutti i partiti, ma non prioritario per il sondaggisti: “Il tema del cambiamento climatico lo stiamo vivendo con il caldo asfissiante, è importante, la gran parte degli italiani ne è consapevole. Ma per i cittadini viene in secondo piano rispetto all’inflazione“.

L’aumento dei prezzi è determinato da fattori esogeni forti: la guerra, il costo dell’energia, le politiche energetiche, ma, insiste Buttaroni, “alla fine la messa a terra scarica tutta sul carrello. La maggioranza delle persone ha un reddito che si aggira tra i mille e i 1.100 euro, va da sé che il tema dirimente diventa questo“.

Non si può ignorare, però, che la crisi ha imposto un’accelerazione sui temi ambientali: “Tutti si sono espressi, è difficile fare una graduatoria. La campagna elettorale sarà breve e impegnativa, i partiti devono organizzarsi a costruire una proposta politica che tenga insieme tutto. Ripeto, i temi ambientali non contano quanto l’inflazione, la priorità è arrivare non alla quarta, ma alla terza settimana del mese“, è la posizione del sondaggista.

La sostenibilità è, in quest’ottica, un “impreziosimento” delle campagne, il cui focus sarà “esclusivamente di tipo economico: “In questo momento servono soluzioni sulle priorità“. Buttaroni chiede una riflessione alle forze politiche: “La gente si dice, ‘io ho bisogno di mettere a tavola un pasto. Sono disposto a mettere da parte un pasto per una migliore qualità dell’aria?’ Stiamo parlando di bisogni primari. Alla base della piramide di Maslow c’è il mangiare e il dormire. Noi siamo siamo proprio a questo punto qui, la crisi è drammatica. Mi stupisco che non si ponga l’attenzione su quello che sta per accadere“.

La grande incognita di come mettere insieme il pranzo con la cena è quella che ha guidato l’astensionismo alle ultime elezioni. Questa volta come andrà? “Siamo molto lontani dalla geometria di un consenso stabile. Siamo stati colti tutti di sorpresa“, precisa. Due elementi cozzano sulla velocità, fa notare: “I collegi sono cambiati e la crisi è iniziata da qualche mese, la tempesta economica deve ancora esprimersi in tutta la sua violenza. Non è facile pensare a delle soluzioni ragionevoli formulate in breve tempo. Per di più, capiterà ad agosto, nel periodo meno propizio“.

Gli elettori avranno nostalgia di Mario Draghi?La maggior parte dei cittadini nei esprime apprezzamento nei confronti di Draghi, è sicuramente una persona seria, competente, che ha autorevolezza. Per noi aveva una percentuale di gradimento del 53%, tantissimo per un premier, Monti scivolò verso il basso molto velocemente“. Questo però, puntualizza, “non significa che la grande maggioranza degli italiani pensi che andare al voto sia una sciagura. Ho trovato eccessive le drammatizzazioni sulla crisi di governo, per gli italiani non accelera la crisi che già vivono nelle proprie case“.