Cdm e vertice governo, inizia ‘l’autunno’ della politica. Riflettori sulla legge di Bilancio

Giornata piena a Palazzo Chigi, quella di oggi 30 agosto. Con il vertice di governo tra la premier, Giorgia Meloni, e i suoi vice, Matteo Salvini e Antonio Tajani, e il successivo primo Consiglio di ministri post-ferie, inizia ufficialmente ‘l’autunno’ della politica. No, le stagioni non sono cambiate – nonostante il clima continui a dare segnali di profonda sofferenza -, ma questo, storicamente, è il momento di ‘mettere a terra’, come si usa dire oggi, i progetti di lavoro da qui alla fine dell’anno.

In agenda sono tanti i temi da discutere, tra gli alleati di governo e maggioranza. La partita europea è chiusa, non nel senso che gli accordi siano stati già definiti con Ursula von der Leyen, anzi. Ma la quadra su Raffaele Fitto è stata trovata da tempo e domani in Sala del Consiglio, dopo lo scampanellio della premier, si tratterà solo di mettere il suo nome nero su bianco sul foglio da spedire a Bruxelles con oggetto: candidato italiano alla nuova Commissione Ue. Poi tutto passerà nelle mani della presidente Udl, alla quale staranno fischiando parecchio le orecchie da direzione sud-Europa, dopo il tour de force del leader Ppe, Manfred Weber, a Roma. La partita andrà avanti fino a novembre, mese nel quale la squadra sarà completata con giocatori e ruoli assegnati.

Nel frattempo l’Italia deve imbastire tutti i passaggi che dovranno portare alla prossima legge di Bilancio 2025. In primis, il Piano strutturale di bilancio da consegnare a Parlamento e Unione europea: il Mef garantisce che arriverà in Cdm nei tempi previsti, ovvero metà settembre. Il documento non è di poco conto, perché prende il posto della Nadef e da quello si capirà se i rumors sui tagli all’assegno unico per i figli, il lavoro femminile e le pensioni sono reali, o fake news come sostiene il ministero dell’Economia. Dalle opposizioni chiedono chiarezza anche sulle reali intenzioni del governo rispetto alla transizione ecologica e la conseguente conversione industriale, perché, a detta degli avversari di centrosinistra (se riusciranno a trovare la quadra sulla potenziale coalizione), la lotta ai cambiamenti climatici non sembra proprio essere in cima ai pensieri della maggioranza.

Uno scenario, questo, che richiama ancora una volta alla sfida europea. Perché a Bruxelles il centrodestra continua a chiedere di avere un’Ue “meno ideologica“, ergo razionalizzando i dettami del Green deal. Principio sul quale, invece, la rive gauche italiana (e non solo) non vuole cedere e insiste con i vertici delle istituzioni continentali per andare avanti. Forti anche del fatto che i voti a von der Leyen per la riconferma, loro, non li hanno fatti mancare. Come il Ppe, che vuole realismo per non sovraccaricare le imprese. Sarà un bel nodo da sciogliere, per la riconfermata presidente.

Altro punto: i trasporti. L’estate nera per l’intensa opera di infrastrutturazione delle linee ferroviarie starebbe volgendo al termine, ma da sciogliere restano comunque diversi nodi, soprattutto sull’alta velocità. Per inciso, il ministro Salvini esulta per il via libera della commissione Mase agli interventi sulla AV Salerno-Reggio Calabria.

C’è il tema lavoro, poi. Il rilancio del piano industriale italiano ed europeo, fortemente voluto da Adolfo Urso. Il ministro delle Imprese e il Made in Italy dovrà mettere mano a diversi dossier, primo tra tutti Stellantis, per la Gigafactory di Termoli (il tavolo è fissato per il 17 settembre) e non solo. C’è da capire se arriverà, come sperano a Palazzo Piacentini, un secondo produttore automobilistico (ma anche un terzo e un quarto). Inoltre, vanno risolti i tavoli di crisi aperti, incrociando le dita che i dati sul fatturato dell’industria (in calo su base annua, a luglio) non ne portino altri in dote. Allo stesso tempo, c’è da aiutare le imprese a mantenere uno standard elevato di export (che va a gonfie vele), potenziando l’internazionalizzazione delle nostre aziende nel mondo.

Agricoltura. Capitolo complicato, legato a doppio nodo sia al Green deal, per il contrasto ai cambiamenti climatici, sia al braccio di ferro sulle regole europee, che i nostri agricoltori contestano perché miopi e troppo restrittive nella competizione con mercati che, invece, hanno pochi ostacoli da superare.

Tutto questo scenario, infine, si incrocia con la partita politica delle prossime elezioni regionali. Si voterà in Liguria, Emilia-Romagna e Umbria: tre partite che potrebbero riaprire i giochi per il centrosinistra oppure chiuderli (per il momento) a favore del centrodestra e del governo. Anche di questo parleranno Meloni, Salvini e Tajani. Cosa che faranno pure nel campo opposto (vedremo se largo o meno). Per l’appunto, l’autunno della politica è già iniziato.

Ponte Morandi, 6 anni dopo l’Italia non dimentica. Mattarella: “Accertare responsabilità”

Il 14 agosto 2018 non sarà mai una data qualsiasi per l’Italia. Quella mattina il Paese, in pausa per godersi qualche ora di riposo per il Ferragosto, si rialzò di colpo, sconvolto dal crollo del viadotto del Polcevera, a Genova, più comunemente conosciuto come Ponte Morandi, uno dei tanti costruiti nella penisola dal grande ingegnere italiano. Morirono 43 persone, innocenti che hanno avuto la sola colpa di attraversare quel pezzo di strada nel momento sbagliato: quando si staccarono alcune lastre di pavimentazione stradale, cadendo nel canale sottostante e inghiottendo le macchine che lo stavano attraversando, la storia dell’Italia cambiò inevitabilmente.

Sono passati 6 anni da quella tragedia, il ponte è stato ricostruito grazie all’impegno di tutti, istituzioni comprese, che hanno prodotto uno sforzo normativo fuori sincrono con la prassi italiana. Oggi il Ponte San Giorgio è bello, sicuro, ma chiunque guardi in quella direzione non può dimenticare il perché sia lì.

Non lo dimentica il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in un messaggio inviato al sindaco di Genova, Marco Bucci. Sono poche righe ma cariche di contenuti e significato. “Le immagini di quel drammatico evento appartengono alla memoria collettiva della Repubblica e richiamano alla responsabilità condivisa di assicurare libertà di circolazione e assenza di rischi a tutti gli utenti, tutelando il patrimonio infrastrutturale del Paese“. Il capo dello Stato non dimentica nessuno degli aspetti che ancora caratterizzano questo anniversario. “Le responsabilità devono essere definitivamente accertate – aggiunge – e auspico che il lavoro delle autorità preposte si svolga con l’efficacia e la prontezza necessarie a ogni sentimento di giustizia“. Perché “il tempestivo processo di ricostruzione del collegamento tramite il Ponte Genova San Giorgio non costituisce attenuante per quanto accaduto“. Il presidente della Repubblica, poi, conclude: “In questa giornata di cordoglio e di memoria la Repubblica esprime vicinanza ai familiari delle 43 vittime, unitamente a un profondo sentimento di solidarietà alla Città“.

Sceglie tre parole-chiave specifiche la premier, Giorgia Meloni: “Memoria, rinascita, giustizia“. Parlando di “catastrofe che il 14 agosto 2018 ha sconvolto Genova, la Liguria e la nazione intera“, la presidente del Consiglio onora le vittime ed esalta come Genova sia “rinata più forte e più caparbia di prima” con il Ponte San Giorgio, “la cui costruzione ha segnato un modello di efficienza, innovazione e capacità ingegneristica“, ma “quel Ponte ricorda alla nazione le tante, troppe, domande rimaste ancora senza risposta“. Per cui “fare giustizia e individuare le responsabilità per ciò che è accaduto, accertando una volta per tutte colpe e omissioni, è un dovere morale, oltre che giudiziario“, sottolinea Meloni. Che rinnova l’auspicio affinché “l’iter giudiziario possa concludersi nel più breve tempo possibile perché Genova, la Liguria e l’Italia aspettano di conoscere la verità processuale su ciò che è accaduto“.

Se lo ricorda bene quel giorno anche il vicepremier, Matteo Salvini. All’epoca vice presidente del Consiglio del governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte e costruito con Lega e Movimento 5 Stelle a guida di Luigi Di Maio. Sei anni dopo Salvini è il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti dell’esecutivo Meloni, ma assicura che l’impegno non cambia. “Una tragedia che contò 43 vittime (ai quali va il nostro pensiero), centinaia di sfollati e tanta rabbia per una situazione che poteva essere evitata“, scrive su Instagram. “Grazie anche alla commovente capacità di reazione del popolo genovese, quel dramma riuscì però ad unire una città, una regione e un intero Paese che, superando ostacoli, burocrazia e lentezze, portò alla costruzione in tempi record di un nuovo Ponte, diventato un modello ingegneristico nel mondo – aggiunge -. Questa straordinaria opera infrastrutturale dimostra ancora oggi che, se tutti sono disposti a fare la loro parte, l’Italia ha tutti i mezzi necessari per rinascere nel nome dello sviluppo, del lavoro e dei ‘Sì’: è l’impegno che stiamo portando avanti“.

Nel giorno della commemorazione non mancano i pensieri delle alte cariche istituzionali. “Le ferite di quel disastro sono ancora aperte, così come saranno per sempre scolpite nella nostra memoria le immagini di una città, Genova, spezzata in due e quel senso di incredulità e rabbia che tutti abbiamo provato in quei drammatici momenti“, scrive sui social il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Ricordando che il ricordo di quell’evento drammatico è anche “una importante occasione per riflettere sull’eccezionale esempio di resilienza e impegno che ha portato alla rapida ricostruzione del nuovo Ponte San Giorgio. Un significativo segnale di riscatto per l’intera comunità nazionale“. Anche il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, ricorda le vittime “con profonda commozione“, dedicando “una preghiera per loro e la più sentita vicinanza alle loro famiglie“.

Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto, poi, sottolinea come “a sei anni dal crollo ricordiamo le 43 vittime e la grande dignità delle popolazioni colpite, capaci di rialzarsi dopo quel dramma. Una forte azione comune, che ha coinvolto tutti i livelli dello Stato, ha consentito la ricostruzione – dichiara -, segno di ripartenza e riaffermazione del più autentico senso di comunità“. Il cordoglio è comunque unanime, da destra a sinistra. Per una tragedia che continua a scuotere le coscienze di un intero Paese.

Ponte sullo Stretto, via libera alla relazione sul progetto finale. Salvini: “In funzione nel 2032”

Il Ponte sullo Stretto prende corpo. Con il via libera del Consiglio di amministrazione della Stretto di Messina spa alla Relazione del progettista di aggiornamento al progetto definitivo del 2011, può completarsi l’iter ministeriale, con l’invio al Mit (che dovrà indire la Conferenza dei servizi) e al ministero dell’Ambiente della documentazione completa, per poi arrivare alla tappa finale del Cipess, che avrà il compito di approvare il progetto finale e il piano economico-finanziario, che si stima possa arrivare già alla metà del 2024.

Il Cda, inoltre, ha approvato l’aggiornamento della documentazione ambientale, in particolare lo Studio di impatto ambientale (Sia), lo Studio di incidenza ambientale (Sinca) e la Relazione di ottemperanza e della relazione paesaggistica; l’analisi costi-benefici, che ha evidenziato come il progetto sia in grado di generare un Valore attuale netto economico (Vane) ampiamente positivo con un Saggio di rendimento interno del 4,5% superiore al livello minimo previsto dalla normativa vigente (3%); l’aggiornamento del Piano degli espropri e il programma di opere anticipate.

È un grande risultato ottenuto in pochi mesi grazie all’impegno del governo, in particolare del ministro Salvini, e al lavoro del Contraente generale Eurolink, della società Stretto di Messina e dei nostri altri contraenti ed esperti nelle diverse discipline ingegneristiche legate al Ponte“, commenta l’amministratore delegato della Sdm, Pietro Ciucci. “Si conferma un progetto straordinario, tecnicamente all’avanguardia e di riferimento a livello internazionale. Dopo i molti ponti ‘Messina Style’ costruiti nel mondo, è il momento di realizzarlo nello Stretto di Messina“.

Intanto, il ministero di Porta Pia è già al lavoro. Il vicepremier, Matteo Salvini, ha subito convocato l’incontro istituzionale per presentare la relazione del progettista, al quale hanno preso parte, oltre a Ciucci e al presidente della Stretto di Messina spa, Giuseppe Recchi, anche i presidenti della Regione Siciliana, Renato Schifani, della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, e i sindaci di Villa San Giovanni, Giuseppina Caminiti, e Messina, Federico Basile. Poche parole in apertura di confronto: “Per me è una grande soddisfazione, vi ringrazio“, viene riferito da fonti del Mit. Sulle tempistiche è ancora Salvini, ma al question time del Senato, a confermare le date: “L’intenzione è aprire i cantieri entro quest’anno e aprire al traffico stradale e ferroviario entro il 2032“.

Il tema ‘Ponte’ resta comunque caldo nel dibattito pubblico. Tra le prime reazioni c’è quella del Wwf, contraria all’opera, che definisce l’approvazione del progetto definitivo del Ponte sullo Stretto di Messina “una fuga in avanti che ricade sulle spalle del Paese, visto che ad oggi il Governo ha immobilizzato sino al 2032 ingenti risorse senza avere stime credibili sull’entità dei costi finali dell’opera, sulla sua redditività dal punto di vista economico-finanziario, sulle pesantissime ricadute sull’ambiente e il territorio“. Nei giorni scorsi, invece, i leader di Pd, Europa verde e Sinistra italiana, Elly Schlein, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, avevano annunciato di aver presentato un esposto in Procura per la poca trasparenza sull’infrastruttura. In particolare per il mancato accesso alla documentazione, negata – denunciano – anche ai parlamentari. “Attendiamo ora di esaminare i documenti per una valutazione approfondita, inclusa un’analisi costi-benefici che evidenzi l’impatto positivo del progetto“, commenta Bonelli. Accusa, però, che fonti della società Stretto di Messina hanno più volte respinto al mittente, spiegando che non c’è stato alcun diniego ma solo un rinvio per aspettare che l’iter interno fosse completato, come prescrive la legge. Ma che una volta approvato tutto sarebbe stato pubblico. Cosa che, dopo il via libera del Cda, dovrebbe avvenire a stretto giro di posta.

 

Photo credit: ministero delle Infrastrutture e dei trasporti

Confagricoltura: “Serve un Piano straordinario per il settore, investire in innovazione”

Per alimentare il trend positivo del comparto agricolo e agroalimentare bisogna puntare in alto investendo. E’ quanto emerge dall’assemblea invernale 2023 di Confagricoltura. “L’agricoltura sta vivendo una stagione straordinaria“, spiega il presidente, Massimiliano Giansanti: “Da una parte abbiamo una ripresa sull’importanza della strategicità, sui temi della sovranità alimentare, dall’altra le sfide mondiali, se pensiamo alla nuova geopolitica del cibo, perché ci sono i progressi fatti dal Brasile, dagli Usa, dalla Cina, le nuove coltivazioni di olivicoltura in Arabia Saudita“. Tutto questo, sottolinea ancora il numero uno della confederazione, “deve farci pensare che il settore deve continuare a investire, a investire sull’innovazione e per fare questo serve un Piano straordinario per l’agricoltura“.

Del resto, la filiera agroalimentare, dalle imprese alla ristorazione, “è arrivata a incidere per il 16% sulla formazione del Pil“, ma “tenendo anche conto dei mezzi tecnici per la produzione agricola, si sale oltre il 20 percento“, elenca ancora Giansanti, ricordando che “sono 1, 4 milioni i posti di lavoro assicurati” e “le potenzialità di crescita rilevanti“. Numeri importanti, che necessitano di un programma a lungo termine, che vada oltre gli interventi previsti dal Pnrr che, arrivati a questo punto, hanno un orizzonte temporale (il 2026) limitato, per le ambizioni del comparto. Fortissimo anche nell’export: “Il Made in Italy agroalimentare ha toccato il massimo storico di 60 miliardi di euro e continua a salire, nonostante le difficoltà innescate dall’inflazione e dal rallentamento dell’economia in Europa e nel mondo“, ricorda il numero uno di Confagricoltura. Che prosegue con altri dati: “Dal 2013 al 2022 la quota italiana sulle esportazioni totali della Ue verso i Paesi terzi è passata dal 9,5 all’11,3%, La Francia è scesa dal 19,2 al 17,2 percento“.

Un aspetto sottolineato anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento: “L’Ue è il primo esportatore globale di prodotti agroalimentari e, in essa, Italia e Francia si contendono il primo posto. E’ parte del soft power europeo“. Non solo, per il capo dello Stato l’Italia “può giocare d’iniziativa a tutto campo; in una stagione che vede, insieme, alimentazione, tutela dell’eco-sistema, governo del territorio, valorizzazione dei beni ambientali“. Ma per questo “è necessario rendere tutti consapevoli di quanto centrale sia oggi l’agricoltura“.

Anche a livello europeo è importante adeguare le normative alle sfide del nostro tempo. Ne è convinta la premier, Giorgia Meloni, che nel suo intervento video sottolinea come “il comparto agroalimentare italiano è tante cose messe insieme: identità, territorio, qualità, sostenibilità, innovazione, sviluppo“. Ecco perché il governo “fin dall’insediamento ha lavorato per valorizzare le nostre filiere, stimolare la produzione nazionale, difendere il nostro modello agroalimentare, la nostra biodiversità, i cibi di qualità dall’omologazione e dall’impoverimento“. Infatti, il capo del governo rivendica il successo sullo stop al cibo sintetico: “Siamo la prima nazione al mondo ad averlo fatto e siamo orgogliosi di poter essere un modello da seguire anche su questo“.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche il vicepremier, Matteo Salvini, che chiede all’Ue norme più corrispondenti alla realtà e rilancia il tema del nucleare come elemento per il futuro. A patto, però, che ci siano le centrali in Italia, perché “svilupparlo senza averle, sarebbe… azzardato“. Sul tema si pronuncia anche l’altro vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, che promuove la bozza di conclusioni della Cop28 nel passaggio favorevole proprio al nucleare: “E’ l’unica soluzione che abbiamo di fronte, nel breve, medio e lungo periodo per ridurre le emissioni di Co2, gradatamente, e avere anche una politica sociale non soltanto una politica di lotta al cambiamento climatico, permettendo l’autosufficienza energetica“. A proposito di energia, “se oggi il settore agricolo concorre per quasi il 10% sulla produzione elettrica totale da fonti rinnovabili, è in gran parte merito dei nostri imprenditori, è giusto riconoscerlo“, sottolinea Giansanti.

L’agricoltura è “pilastro della nostra economia, facendo dell’Italia la terza economia agricola europea e seconda, dopo la Francia, per valore aggiunto“, dice poi il ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, nel suo videomessaggio. Dimostrando un’attenzione, da parte del governo, confermata dal responsabile del Masaf, Francesco Lollobrigida: “Stiamo lavorando, in Italia e nei consessi europei, per aumentare i fondi al settore“, garantisce il ministro dell’Agricoltura, sovranità alimentare e delle foreste. Che ricorda: “Abbiamo chiesto sostegno maggiori alla Pac e una previsione chiara di quelle che dovranno essere i nuovi ingressi in Europa, perché se da una parte siamo convintissimi della necessità di aggregare intorno all’Ue altri Stati, a cominciare dall’Ucraina, sappiamo bene quale possano essere i rischi per i nostri agricoltori se non vi è una pianificazione in grado di sostenere il nostro modello produttivo e i nostri agricoltori con nazioni che hanno costi di produzione più bassi ed estensioni territoriali più ampie“. Un discorso che si sposa perfettamente con la visione di Confagricoltura, che infatti indica quelle che dovrebbero essere le priorità del prossimo Parlamento Ue e della nuova Commissione europea dal 2024: “Bilancio pluriennale dopo il 2027 e una nuova riforma della Politica agricola comune”. La nuova Ue dovrà ripartire da lì.

Logistica, Confetra: Serve piano per decarbonizzare movimentazione urbana merci

La parola d’ordine è “decarbonizzazione della movimentazione urbana delle merci“. L’assemblea pubblica 2023 di Confetra, la Confederazione generale italiana dei trasporti e della logistica, dedicata alla sostenibilità, indica la rotta per un settore che ha bisogno di una “transizione verde che parta da un progetto nazionale“. I numeri indicano il sentiero, perché “ci sono forti motivazioni per concentrare l’attenzione sulla decarbonizzazione del trasporto urbano e, in particolare, di merci, per la forte concentrazione di emissioni“. A livello nazionale, rispetto al complessivo trasporto stradale, “secondo i dati del Cluster Trasporti, quello urbano presenta una quota del 23,1% di veicoli/km e del 30,7% di emissioni di gas serra. Se si guarda al solo trasporto urbano, quello riguardante le merci ha una quota di veicoli/km del 17,3% e di emissioni del 32,5%“.

Inoltre, va considerato che “ci sono anche favorevoli condizioni di contesto“, per cui “lanciare un progetto nazionale di sperimentazione nei centri urbani e metropolitani di decarbonizzazione della distribuzione delle merci sarebbe certamente utile e propedeutica alla complessiva politica di transizione energetica“, spiega Confetra. “A patto che tutto non si risolva solo con l’allargamento delle Ztl o l’aumento delle tariffe di accesso – spiega il presidente, Carlo De Ruvoserve anche una trasformazione tecnologica e un quadro coerente e compatibile con i flussi di merci a monte e la distribuzione a valle. Bisogna stabilire dei principi fondamentali sui quali poi costruire una politica dedicata e ridurre la disomogeneità di regolamentazione (criteri tecnici, tariffazione, orari di accesso per il carico e lo scarico) della mobilità delle merci nei centri urbani“. Ma il messaggio principale che esce dall’assemblea 2023 è che occorre “fare molta chiarezza“, come dice il direttore generale, Giuseppe Mele. Perché “Molte aziende non sanno ancora esattamente come orientarsi sulla sostenibilità, mentre c’è l’esigenza di capire quali tecnologie utilizzare e quali costi dover sostenere. E le istituzioni dovrebbero cercare di rendere più chiaro il quadro, approfondire, su settori molto complessi come il trasporto e la logistica, gli elementi di base per poter procedere ad una effettiva decarbonizzazione delle loro attività”.

In questo contesto, uno dei punti su cui il governo ripone le maggiori aspettative è il piano Industria 5.0: “Nella legge di Bilancio ci sono le risorse“, sottolinea il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. “Intendiamo incrementarle con la riprogrammazione dei fondi del Pnrr, così da giungere a una dotazione, nel 2024 e 2025, di 6 miliardi l’anno, tra risorse nazionali e quelle del Pnrr provenienti dal RePowerEu“. Fondi che “riteniamo possano essere decisivi per supportare e incentivare le imprese nell’ammodernamento tecnologico e nella formazione del proprio personale, quello che abbiamo definito Transizione 5.0“.

Poi c’è la sfida della tecnologia, di cui parla il vicepremier, Matteo Salvini. “Io sto finanziando l’installazione delle colonnine per la ricarica delle auto, l’anno prossimo in Lombardia ci sarà il primo treno a idrogeno, ma se mi domandano ‘possiamo trasformare tutta la logistica in elettrico o idrogeno?’ rispondo che è una fesseria: l’elettrico può essere una delle componenti“, avverte il responsabile del Mit. Secondo valutazioni della Confetra su scenari possibili di immatricolazione di nuovi veicoli elettrici di trasporto merci (Motus E), nel periodo 2024-2030 potrebbero entrare in esercizio poco meno di mezzo milione di veicoli leggeri e poco meno di centomila veicoli pesanti, con un investimento complessivo, in termini di Tco (Total Cost of Ownership per tipologia di veicolo), stimato in oltre 45 miliardi di euro, la cui sostenibilità richiederebbe, ipotizzando un’incidenza media del 20-25% degli incentivi diretti e indiretti, sui costi di acquisto ed esercizio dei veicoli, per circa 9-11 miliardi di euro. “Cifre significative, anche se da verificare, sulle quali occorre riflettere attentamente sui relativi impatti sul bilancio pubblico e soprattutto su quelli aziendali“, mette in chiaro la Confederazione.

C’è poi un altro nodo da sciogliere, che riguarda i valichi alpini. “Un tema per noi importantissimo – avvisa De Ruvo -. Ogni limitazione al transito delle merci risulta davvero critico. Oggi, con la crisi climatica e l’aumento delle frane, stanno aumentando in modo esponenziale le chiusure, anche parziali o temporanee, e questo sta ulteriormente aggravando la situazione. Almeno per il contenzioso con l’Austria sul Brennero andrebbe risolto da un’iniziativa dell’Ue che deve poter garantire il libero accesso delle merci nel mercato unico europeo“.

siccità

Siccità, Salvini annuncia oltre 100 milioni per interventi in 5 Regioni

Conclusa a Palazzo Chigi la prima cabina di regia sulla crisi idrica. In base a quanto riferisce una nota del Mit, il ministro dell’Infrastrutture e vicepremier Matteo Salvini, che ha presieduto il tavolo, ha annunciato che “più di 100 milioni sono stati messi a disposizione dal Mit e serviranno per finanziare interventi urgenti in cinque Regioni italiane maggiormente colpite dalla siccità. L’iniziativa del dicastero di Porta Pia, si legge “è la prima risposta, concreta, dopo aver verificato in tempi brevissimi i fondi disponibili e le necessità degli enti locali“. Al momento, conclude la nota “per la crisi idrica sono stati messi a disposizione fondi esclusivamente del Mit”.

Nello specifico: in Lombardia, per la realizzazione delle nuove opere di regolazione del lago d’Idro l’importo previsto a integrazione dei finaziamenti sarebbe di 33.100.000,00 milioni; per il Veneto l’integrazione dei finaziamenti per i lavori di adeguamento dello sbarramento antisale alla foce dell’Adige con bacinizzazione dal fiume per il contenimento dell’acqua dolce a monte dello stesso ammonta a 22 milioni. In Piemonte, per il Canale Regina Elena e diramatore Alto Novarese sono previsti 27,8 milioni per interventi di manutenzione straordinaria delle gallerie e di vari tratti di canale per il miglioramento della tenuta idraulica, del trasporto della risorsa idrica e del risparmio idrico, nei comuni di Varallo Pombia, Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago Novarese e Cameri in Provincia di Novara – 1° lotto – 2°, 3° e 4° stralcio funzionale. E ancora: in Emilia-Romagna 5 milioni per la riqualificazione e telecontrollo delle opere di derivazione dal Canale emiliano romagnolo lungo l’asta principale; 8.100.000,00 milioni per le opere di stabilizzazione e di ripristino dell’efficienza nel tratto Attenuatore (progressiva 0,098 km) – Reno (progressiva 2,715 km) del Canale Emiliano Romagnolo. Infine nel Lazio 6.030.000,00 milioni per l’interconnessione per il riutilizzo dell’impianto di depurazione a Fregene (Lazio).

Al tavolo erano presenti  il ministro per l’Agricoltura Francesco Lollobrigida, il nuovo commissario straordinario per l’emergenza idrica Nicola Dell’Acqua, designato ieri dal Consiglio dei ministri, e i sottosegretari Lucia Albano del Tesoro e Vannia Gava del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

Venerdì mattina il primo tavolo sull’emergenza siccità

Mentre l’Emilia Romagna conta i danni delle alluvioni, il resto del Nord Italia è alle prese con la siccità e il governo cerca di mettere il Paese al riparo davanti a una estate che si preannuncia ancora più rovente di quella dello scorso anno.

Il primo tavolo sull’emergenza idrica è convocato per venerdì. “Bisogna trattenere l’acqua piovana quando cade”, sostiene il vicepremier Matteo Salvini, che presiede la cabina di regia sull’emergenza idrica. Quindi, spiega, “occorrono dighe e invasi“. Il governo, fa sapere Salvini, investe miliardi “nelle fognature per ridurre le dispersioni idriche” e venerdì mattina ci saranno le prime “proposte concrete” e i primi “interventi economici concreti”.

Lo scorso mese, il 6 aprile, il governo ha dato il via libera in consiglio dei ministri al Dl Siccità, che prevedeva una cabina di regia, un commissario straordinario, un osservatorio permanente in ogni autorità di bacino. E ancora: un fondo per gli invasi e multe molto più care per le estrazioni illecite di acqua. In cabina di regia, oltre a Salvini, ci sono i ministri Gilberto Pichetto Fratin (Mase), Raffaele Fitto (Affari europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Nello Musumeci (Protezione civile e politiche del mare), Roberto Calderoli (Affari regionali) e Giancarlo Giorgetti (Economia). Alessandro Morelli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al coordinamento della politica economica e programmazione degli investimenti pubblici, partecipa alle riunioni come segretario.

Luca Zaia, presidente della Regione Veneto, tra le più colpite dall’assenza d’acqua, ha già inviato al Mit un piano da oltre 2 miliardi euro, con un elenco di opere e interventi urgenti. “La pioggia di questi giorni non basta, ma aiuta, soprattutto in agricoltura. Il problema è che mancano le riserve idriche che d’inverno si formano grazie alla neve che quest’anno è stata molto scarsa“, osserva il governatore. Il problema è diventato frequente e richiede “nuove soluzioni e nuove opere“, afferma. Tra le opere elencate da Zaia, sei interventi in particolare sono urgenti, per un importo di oltre 400 milioni di euro. “Serviranno a mettere in sicurezza il territorio, gestire meglio la rete idrica, costruire riserve d’acqua ed evitare gli sprechi attuali dovuti a infrastrutture idrauliche vetuste”, sostiene.

Una carenza cronica di acqua, nonostante le piogge nel weekend, confermata dai coltivatori diretti. “Serve un tavolo di lavoro con chi si occupa di energia idroelettrica. Spesso vantano una priorità non prevista dalle norme“, scandisce Roberto Moncalvo, presidente Coldiretti Piemonte. In queste ore, l’associazione ha chiesto alla Regione Piemonte nuovi bacini. “I danni sull’agricoltura nella Regione sono stati superiori al miliardo di euro nello scorso anno“. Al momento, c’è il fondo di solidarietà nazionale con risorse per circa duecento milioni di euro per tutta l’Italia. “Si tratta di una cifra simbolica“, ammette Moncalvo.

L’approccio di Salvini al problema non piace al co-fondatore di Europa Verde Angelo Bonelli, secondo il quale il ministro delle Infrastrutture “non sa di cosa parla“: “Abbiamo un irresponsabile alla guida del comitato, parliamo di un Ministro che pensa che il problema della Siccità sia dovuto dall’assenza di dighe. Salvini non sa nemmeno a cosa servono le dighe, ovvero a regolare il deflusso di un corso d’acqua naturale, a proteggere un tratto di costa o un porto, oppure a formare un bacino o un serbatoio al servizio di una centrale idroelettrica. Il ministro forse voleva parlare di invasi per trattenere l’acqua piovana ma pensa che costruendo più invasi scomparirà la Siccità. Drammaticamente ridicolo“, tuona. Questi eventi climatici estremi, che si abbattono sul Paese sempre più spesso, ricorda, “hanno un nome, nome che il Ministro Salvini si rifiuta di pronunciare: cambiamento climatico“. L’esponente di Avs tira ancora in ballo il Ponte sullo Stretto di Messina, bandiera del vicepremier: “Salvini dovrebbe riflettere sul fatto che, invece di destinare 15 miliardi ad un’opera inutile e dannosa è doveroso e urgente investire quelle risorse, così ingenti, per la messa in sicurezza del territorio e delle infrastrutture, approvare una legge per lo stop al consumo di suolo per consentire ai terreni di assorbire più acqua e restituirla alle falde, trasformare l’Italia in un hub delle rinnovabili e non del gas“.

Di Maio inviato Ue nel Golfo, Lega-FI attaccano: “Scelta curiosa”

L’Italia conquista una casella nello scacchiere europeo. Luigi Di Maio, a meno di clamorose retromarce dell’ultimo secondo, sarà il nuovo inviato dell’Unione europea per il Golfo persico. Secondo Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha tutte le carte in regola per ricoprire il ruolo. Per diversi partiti politici, invece, la sua nomina sarebbe da evitare. O almeno così la pensa la Lega, che a caldo aveva definito la scelta fatta a Bruxelles una “indicazione vergognosa, un insulto all’Italia e a migliaia di diplomatici in gamba“. Commento reiterato dopo 24 ore dal segretario federale del Carroccio, che è anche vice premier del governo Meloni: “Con tutti i diplomatici di carriera, che hanno fatto tanto in Italia e in Europa, mandare a mediare il signor Di Maio Luigi è curioso“, tuona Matteo Salvini. Garantendo che “non è una questione personale“, anche se in passato, soprattutto dalla fine dell’esecutivo gialloverde, nel 2019, ha spesso e volentieri incrociato le spade (politicamente, sia chiaro) con l’ex collega.

Per il ministro delle Infrastrutture e dei trasporti “non è l’unica iniziativa curiosa da parte di alcune istituzioni europee, che sono più ideologiche che pragmatiche, penso alle direttive case e auto green, carni sintetiche, vini farlocchi“. Ecco perché fa sapere di contare sul fatto “che ci ripensino, ci sono persone con curriculum superiori“. Nemmeno il suo attuale omologo, Antonio Tajani, ha gradito la nomina, ma con realismo ammette: “L’iter è avviato e non è facilmente modificabile“. In Forza Italia, comunque, sono in tanti a pensarla come il ministro degli Esteri. La notizia della nomina europea sempre più vicina per Di Maio non fa fare i salti di gioia, ma neanche le barricate, ai partiti di centro. A domanda, il leader di Azione, Carlo Calenda, ad esempio risponde senza troppi giri di parole: “Non lo avrei designato, ma Borrell avrà fatto le sue analisi. Io ho visto Di Maio prendere molte decisioni, sempre in coincidenza con il suo interesse personale. Detto questo, non faremo una battaglia contro, se sta bene a Borrell sono fatti suoi“.

Nel frattempo l’ex responsabile della Farnesina ha ridotto al minimo i contatti. Anche i suoi fedelissimi hanno difficoltà a raggiungerlo, non foss’altro per fargli gli in bocca al lupo di rito. Mentre i suoi ex colleghi del Movimento 5 Stelle restano in silenzio. Lo strappo consumato alla fine della scorsa legislatura, con l’addio alla casa-madre per fondare prima il gruppo Insieme per il futuro e, successivamente, Impegno civico con Bruno Tabacci, non si è mai sanato. Difficilmente, quindi, potrà contare sul sostegno pentastellato nel suo nuovo incarico. Mentre nel Partito democratico qualche vecchio amico su cui contare ce l’ha ancora. E per il momento può anche bastargli così.

Maxi-multe per chi vandalizza i monumenti: nel mirino attivisti clima

Protestare vandalizzando i monumenti ha un costo. Il Consiglio dei ministri licenzia il disegno di legge che prevede multe da 20mila a 60mila euro per chi “distrugge, disperde, deteriora o rende in tutto o in parte inservibili o non fruibili” beni culturali o paesaggistici. Chi poi deturpa o imbratta è punito con una sanzione che va da 10mila ai 40mila euro. Somme che si aggiungono a quelle cui verranno eventualmente condannati a pagare i trasgressori in sede penale o civile. Si tratta, infatti, di sanzioni amministrative immediatamente irrogabili dal prefetto del luogo dove il fatto è commesso, sulla base delle denunce dei pubblici ufficiali.

Nel mirino del governo ci sono gli attivisti ambientalisti, in particolare quelli di Ultima generazione, che il primo aprile hanno ‘colorato’ di nero la Barcaccia di piazza di Spagna, a Roma, versando del carbone vegetale nella fontana, per denunciare l’emergenza climatica e energetica. Un blitz parte della campagna ‘Non paghiamo il fossile‘, uno dei tanti che il movimento organizza periodicamente.

Super multe per vandali e imbrattatori: una proposta di legge che la Lega aveva depositato a novembre“, rivendica il vicepremier Matteo Salvini sui social. “Gli attacchi ai monumenti e ai siti artistici producono danni economici alla collettività“, spiega il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano. Per ripulire occorrono “l’intervento di personale altamente specializzato e l’utilizzo di macchinari molto costosi. Chi compie questi atti deve assumersi la responsabilità anche patrimoniale“, denuncia. Secondo i dati della Soprintendenza Speciale di Roma, il ripristino della facciata del Senato, imbrattata di vernice rossa il 2 gennaio, è costato 40mila euro. “Ebbene, chi danneggia deve pagare in prima persona“, sentenzia il ministro.

Di “giustizia distorta” parla il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, parlamentare dell’Alleanza Verdi Sinistra. Riflette su come in poco tempo il governo abbia “partorito un nuovo reato contro gli attivisti per il clima“, ma “contro la speculazione edilizia e il consumo di suolo, i grandi inquinatori o chi sversa veleni nell’ambiente” non abbia fatto nulla. E ricorda l’introduzione di un “salvacondotto” per le grandi aziende, “responsabili della stragrande maggioranza delle emissioni, per concordare le tasse da pagare“: “In pratica, se devasti l’ambiente o evadi milioni non ti fanno nulla, se manifesti con della vernice vegetale che non lascia segni ti sbattono in cella. Una follia. Un governo di climafreghisti tutto chiacchiere e distintivo“. I giovani “vanno ascoltati, non puniti“, gli fa eco Ilaria Cucchi, che fa riferimento al reato contro i Rave di inizio legislatura, prima della stretta per chi compie atti contro opere d’arte e beni monumentali: “Un freno, secondo il governo e la maggioranza, ai blitz degli attivisti ambientalisti che risponde solo alla sicurezza e al decoro ma non ai problemi posti da queste ragazze e ragazzi. Un grido d’allarme verso le sorti del Pianeta che non può essere criminalizzato. Saranno sicuramente iniziative estreme ma è estrema la crisi climatica in corso, e devono essere estreme le risposte. E invece un governo negazionista dei cambiamenti climatici pensa di risolvere tutto aumentando le pene o mettendo in carcere gli attivisti“.

Per Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del Pd, “un governo incapace, che mostra ogni giorno che passa la propria inadeguatezza ad affrontare i problemi del Paese, continua ad affidarsi a provvedimenti il cui unico scopo è distrarre l’attenzione agitando le bandiere della propaganda“. Una legge, ricorda, esiste già ed è entrata in vigore lo scorso anno: “prevede pene molto severe per chi danneggia i beni artistici, legge che abbiamo voluto a tutela del nostro straordinario patrimonio artistico e culturale e che venne votata da tutto il Parlamento, maggioranza e opposizione. Basta, anche in questo caso, applicarla. Ma evidentemente questo non importa al governo. Ciò che conta è nascondere i propri fallimenti“.

E’ d’accordo il Movimento 5 Stelle, che accusa Palazzo Chigi di “distrazione di massa” per coprire “l’evidente incapacità di affrontare i dossier più importanti“. Le leggi e le sanzioni esistono già, ribadiscono: nel 2022 è stata introdotta una disciplina dei reati contro i beni culturali, il M5S ha contribuito concretamente alla definizione di quelle norme. L’intervento del governo Meloni, sottolinea il M5S, è “superfluo ma in fondo coerente con la sua assurda linea di contrasto alla transizione ecologica“.

 

Photo credit: Ultima Generazione (Instagram)

Siccità

Siccità, arrivano cabina di regia, commissario e osservatori

Una cabina di regia, un commissario straordinario, un osservatorio permanente in ogni autorità di bacino. E ancora: un fondo per gli invasi e multe molto più salate per le estrazioni illecite di acqua.

Il consiglio dei ministri dà il via libera al decreto Siccità, che servirà per affrontare l’estate, prima, per evitare di ripiombare nell’emergenza poi.

C’è tanto verde, ma questo verde ha sete, come hanno sete i nostri agricoltori, i nostri figli, le nostre industrie, stiamo cercando di racimolare il racimolabile”, spiega il ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini.

Il Commissario potrà adottare interventi urgenti e resterà in carica fino al 31 dicembre 2023, ma potrà essere prorogato fino alla fine del 2024. Eserciterà le sue funzioni sull’intero territorio nazionale, sulla base dei dati degli osservatori distrettuali permanenti. In via d’urgenza, sarà sua la realizzazione degli interventi di cui sarà incaricato dalla Cabina di regia. Per farlo, opererà in deroga a ogni disposizione di legge diversa da quella penale (nel rispetto della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento giuridico e delle disposizioni del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, dei vincoli inderogabili derivanti dall’appartenenza all’Unione europea).

La cabina di regia sarà un organo collegiale presieduto dalla premier Giorgia Meloni o, su sua delega, dal vicepremier Salvini e composto da lui, da Gilberto Pichetto Fratin (Ambiente), Raffaele Fitto (Affari europei), Francesco Lollobrigida (Agricoltura), Nello Musumeci (Protezione civile e politiche del mare), Roberto Calderoli (Affari regionali) e Giancarlo Giorgetti (Economia). Alessandro Morelli, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al coordinamento della politica economica e programmazione degli investimenti pubblici, partecipa alle riunioni come segretario. La prima riunione della cabina sarà entro un mese. L’organo avrà funzioni di indirizzo, coordinamento e monitoraggio per il contrasto della crisi idrica ed entro un mese dall’entrata in vigore del decreto effettua una ricognizione delle opere e degli interventi urgenti, finanziati anche con risorse oggetto di autorizzazioni di spesa non ancora impegnate o comunque altrimenti disponibili. Cambia la disciplina degli impianti di desalinizzazione. Quelli di capacità pari o superiore a 200 litri al secondo saranno sottoposti a verifica di assoggettabilità a Via, la valutazione di impatto ambientale.

Per gli invasi, la sicurezza e la gestione, ci sarà un fondo ad hoc nello stato di previsione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, destinato alla realizzazione delle operazioni di sghiaiamento e sfangamento delle dighe. Il commissario, d’intesa con la regione territorialmente competente, provvede alla regolazione dei volumi e delle portate derivati dagli invasi, nei limiti delle quote autorizzate dalle concessioni di derivazione e dagli atti adottati dalle autorità di vigilanza, in funzione dell’uso della risorsa.

A scopo di irrigazione, le Regioni potranno dare l’ok anche all’uso di acque reflue depurate prodotte dagli impianti di depurazione già in esercizio, fino al 31 dicembre 2023.

Presso ciascuna Autorità di bacino distrettuale è istituito un osservatorio distrettuale permanente sugli utilizzi idrici, che supporterà per il governo integrato delle risorse idriche e cura la raccolta, l’aggiornamento e la diffusione dei dati relativi alla disponibilità e all’uso della risorsa nel distretto idrografico di riferimento, compresi il riuso delle acque reflue, i trasferimenti di risorsa e i volumi eventualmente derivanti dalla desalinizzazione, i fabbisogni dei vari settori d’impiego, con riferimento alle risorse superficiali e sotterranee.

Mutui e finanziamenti sospesi per i concessionari di piccole derivazioni a scopo idroelettrico fra l’1 maggio 2023 e il 31 ottobre 2023 e senza oneri aggiuntivi. La sospensione può essere richiesta anche in relazione ai pagamenti dei canoni per contratti di locazione finanziaria su beni mobili o immobili strumentali allo svolgimento delle attività di concessionario di piccole derivazioni a scopo idroelettrico. Multe molto più salate in caso di estrazione illecita di acqua: salgono da una forbice di 4.000-40.000 euro a una di 8.000-50.000 euro. Per gli inadempimenti nell’ambito delle attività di esercizio e manutenzione delle dighe, passano da 400-2.000 euro a 2.000-10.000 euro. Entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto, verrà approvato un piano di comunicazione per sensibilizzare i cittadini sulla situazione di crisi idrica e le gravi conseguenze che potrebbe portare sul tessuto economico e sociale e informare sul corretto utilizzo della risorsa idrica.