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Meloni al lavoro su energia e manovra, colloquio con Cingolani. Fontana presidente Camera

Anche la casella di Montecitorio viene occupata. Con l’elezione di Lorenzo Fontana (ricevuto anche da Sergio Mattarella) sullo scranno più alto di Montecitorio tutto è pronto per stilare il calendario delle consultazioni che dovrà portare al nuovo governo. Stavolta non ci sono intoppi e il candidato della Lega riesce a ottenere 222 voti al quarto scrutinio, nonostante il Pd gli frapponga Cecilia Guerra (77 preferenze), Azione-Iv Matteo Richetti (22) e il M5S Federico Cafiero de Raho (52). Un ottimo segnale per il centrodestra, dopo le ultime 24 ore di forti fibrillazioni dopo l’elezione di Ignazio La Russa alla Presidenza di Palazzo Madama grazie al ‘soccorso’ di 17 senatori delle opposizioni, che avevano acuito la ferita interna con Forza Italia, assente in aula per mandare un messaggio di “disagio” alla premier in pectore, Giorgia Meloni, decisa a non prendere in considerazione la candidatura di Licia Ronzulli, parlamentare molto vicina a Silvio Berlusconi, per la squadra di governo. Convinzione che comunque non pare essere cambiata, stando ai rumors di giornata.

Avevamo promesso agli italiani di procedere a passi spediti. Ci siamo riusciti: ora continuiamo a lavorare con la stessa velocità per le altre scadenze“, ribadisce Meloni dopo il voto per la Presidenza della Camera. Dopo un breve saluto con Matteo Salvini, la leader di FdI si è rimessa al lavoro con i suoi collaboratori sui dossier più urgenti per il Paese: legge di Bilancio, caro energia e approvvigionamento energetico. Proprio su quest’ultimo tema sente anche l’attuale ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, perché nella sua testa le priorità non sono cambiate. Come scrive su Facebook “non c’è tempo da perdere” e per questo serve “un governo autorevole”. Di cui ha ottime chance di farne parte il forzista Alessandro Cattaneo. Ai microfoni di Rainews24 sottolinea, infatti, che “Berlusconi non ha bisogno di sondare la mia disponibilità per inserirmi in qualsiasi ruolo. Sono in buone mani, l’importante è che le decisioni le prenda lui e non altri”. L’ex sindaco di Pavia è in lizza anche per la gestione proprio del Mite, anche se al momento sembra molto probabile che venga privato della delega all’Energia, che potrebbe tornare invece allo Sviluppo economico, dove Meloni vorrebbe Guido Crosetto.

Per l‘Economia la figura su cui sembrano convergere le preferenze dell’intera coalizione è quella di Giancarlo Giorgetti. Alla Lega dovrebbe essere riservato anche il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, che dovrebbe essere occupato dal segretario federale, Matteo Salvini. Per l’Agricoltura resta in corsa Gianmarco Centinaio, ma in questi giorni saranno fatte altre valutazioni con possibili alternative di eguale preparazione sul tema, anche per non squilibrare troppo i rapporti di forza tra le anime della coalizione.

L’importante sarà presentarsi al Colle con le idee chiare e, possibilmente, almeno due opzioni per i dicasteri di peso dove non c’è granitica unità di vedute. Le consultazioni, infatti, potrebbero aprirsi alla fine della prossima settimana, l’ipotesi che circola con insistenza è venerdì 21 ottobre, al termine del Consiglio europeo sull’Energia, al quale parteciperà ancora Mario Draghi, sperando di strappare quel price cap sul gas che sarebbe un’eredità preziosa per il suo successore. Che di scadenze ne avrà subito una bella tosta: la legge di Bilancio. Bruxelles dovrebbe riceverla domani, da prassi, ma vista la situazione (non solo dell’Italia, vedi anche Portogallo o Svezia, ad esempio) attenderà ancora qualche settimana prima di ricevere il plico da Roma. Anche se, è il messaggio che arriva dal commissario Ue agli Affari economici, Paolo Gentiloni, le manovre dei Paesi dell’Eurozona “dovrebbero evitare di alimentare ulteriormente l’inflazione, minare i progressi verso i nostri obiettivi climatici o creare un onere permanente per le finanze pubbliche“.

In poche parole, meglio se idee come lo scostamento di bilancio venissero accantonate. Che poi è la linea espressa più volte in campagna elettorale proprio da Meloni. “In questo momento, al di là del sentiero tracciato da Draghi, il tema è la sopravvivenza difronte all’aumento dell’inflazione e dell’impatto del costo dell’energia sul sistema economico“, dice il co-fondatore di FdI, Guido Crosetto, ospite di ‘Live In’, su Sky Tg24. “Ci sono imprese che stanno chiudendo, se perdiamo la base produttiva non riusciremo a pagare il debito“. Ma resta il nodo del caro energia: “Le bollette inoltre rischiano di mettere in crisi la tenuta sociale del Paese”, sottolinea l’ex sottosegretario alla Difesa. Spiegando che “gli aumenti attuali non sono sopportabili” per cui “il lavoro durissimo del prossimo governo è intervenire su questo tema“, anche se “il quadro è difficilissimo” e “serve una ripartizione di pesi sulle spalle di chi può sopportarli”. A qualcuno, in Europa, le orecchie saranno sicuramente fischiate.

Meloni lavora alla squadra di governo: tra i nodi il Mite

La parola d’ordine è ‘metodo’. Il tempo stringe, i dossier sono tanti e ogni giorno diventano sempre più pesanti: il nuovo governo ha al massimo un orizzonte temporale di circa 30 giorni per nascere, non perdendo un giorno in più di quelli necessari per l’espletamento dei passaggi istituzionali. Ragion per cui il centrodestra, che ha una maggioranza autonoma sia a Montecitorio che Palazzo Madama, dovrà arrivare alle consultazioni davanti al capo dello Stato con le idee chiare. Il vertice tra i leader, Giorgia Meloni (alla quale con molta probabilità andrà la premiership), Matteo Salvini e Silvio Berlusconi è nell’aria anche se una data non è stata ancora fissata. Non è escluso che possano essere invitati anche i rappresentati di Noi Moderati: Maurizio Lupi, Giovanni Toti, Lorenzo Cesa e Luigi Brugnaro. Da più voci viene ventilata l’ipotesi che possa tenersi già in queste ore, al massimo per il fine settimana. Non è escluso che il Cavaliere atterri a Roma, aprendo le porte di Villa Grande agli alleati.

Serve una squadra pronta, parafrasando lo slogan di FdI in campagna elettorale. Meloni, però, chiede ai partner di buttare giù una rosa di nomi con profili specifici per i dicasteri chiave. Una volta che la lista sarà stilata, saranno scelti almeno due profili per ruolo da sottoporre al presidente della Repubblica. Ma qui si apre il cosiddetto toto-ministri. E, di conseguenza, la partita più politica, che la leader di Fratelli d’Italia sta provando ad affrontare con prudenza e pazienza. Consapevole che il tonfo della Lega sta aprendo (inevitabilmente) una crepa attorno alla segreteria di Salvini. Difficile che il Capitano, come lo chiamavano un tempo i suoi, torni al Viminale come invece spera. Appare più realizzabile uno scenario nel quale all’Interno ci vada l’attuale prefetto di Roma, Matteo Piantedosi. All’Economia è plausibile che possa essere scelto un ministro più tecnico ma comunque di area: Fabio Panetta sarebbe la persona giusta al posto giusto, ma nei mesi scorsi il suo nome è stato ‘bruciato’ da alcune indiscrezioni sui media. I rumors rimettono in campo anche Domenico Siniscalco, già responsabile del Mef per un anno ai tempi del terzo governo Berlusconi, ma le chances non sono alte. Nelle ultime ore circola anche un nome nuovo, quello di Carlo Di Primio, attuale presidente dell’Aiee, associazione italiana economisti dell’energia, che ha alle spalle ormai oltre 40 anni di esperienza nel settore energia e rinnovabili in posizioni di vertice di grandi aziende e associazioni internazionali.

Quello dell’Economia è un nodo che si intreccia con il futuro di Mise e Mite. Con il governo di Mario Draghi l’ex ministero dell’Ambiente ha cambiato la denominazione in Transizione ecologica, acquisendo la delega di peso all’Energia. Spetta a Meloni decidere se proseguire su questa linea o riportare le competenze in capo allo Sviluppo economico. Nella prima ipotesi, una conferma di Roberto Cingolani è esclusa dal diretto interessato, ma non da chi potrebbe riproporlo al capo dello Stato. Gli altri nomi che potrebbero finire nella rosa sono quello di Fabio Rampelli, anche se le dinamiche interne a FdI rendono la sua candidatura più ‘debole’ rispetto a quella, ad esempio, del responsabile Ambiente del partito, Nicola Procaccini. La futura premier vorrebbe tenere per i suoi un ministero pesante, su cui ha giocato buona parte della campagna elettorale, promettendo il disaccoppiamento dei prezzi di gas e rinnovabili o lo sviluppo di un hub europeo con base italiana dell’energia, sfruttando le potenzialità dei gasdotti che arrivano sulla sponda sud del Paese. Se, invece, volesse riportare le deleghe al Mise allora la partita si sposterebbe su via Veneto, dove la figura di Francesco Lollobrigida (in corsa anche per le Infrastrutture) o Guido Crosetto (papabile per sia per la Difesa, come Ignazio La Russa, sia come sottosegretario alla Presidenza del Consiglio) sarebbero molto più rassicuranti rispetto a quella del leghista Giancarlo Giorgetti. Che ha ottime chance di restare nella squadra, ma non dove FdI ha puntato le fiches più pesanti.

In questo secondo scenario, dunque col ritorno al ministero dell’Ambiente, potrebbe scalare posizioni il nome di Vannia Gava, responsabile Transizione ecologica della Lega, ma soprattutto sottosegretaria al Mite con Sergio Costa, ai tempi dell’asse giallo-verde, e con lo stesso Cingolani. A lei spetterebbero, in quel caso, i compiti di traghettare l’Italia verso l’obiettivo di emissioni zero al 2030 previsto dai trattati internazionali.

Altro punto cruciale sarà quello delle Politiche agricole, alimentari e forestali. Per quel ruolo la Lega ha ottime possibilità di essere accontentata, con Gianmarco Centinaio in pole position, ma tenendo sempre aperto un canale per Massimo Garavaglia, che ha accumulato un bel po’ di esperienza (e punti) gestendo la delega al Turismo per Draghi. Non c’è solo il Carroccio da accontentare, perché Forza Italia si aspetta almeno 3, se non 4, ministeri. Almeno uno o due di quali con portafogli. Antonio Tajani è in lizza per la Presidenza della Camera (Roberto Calderoli al Senato), ma potrebbe tornare molto utile anche agli Esteri o ai rapporti con l’Unione europea. Soprattutto se Meloni deciderà di portare avanti il suo piano per fare il ‘tagliando’ al Pnrr, per la parte di progetti non ancora partiti.

Per ora si tratta di rumors, spifferi che passano nei corridoi dei palazzi romani della politica. Per verificare quante di queste voci si riveleranno attendibili, comunque, non passerà molto tempo. Perché è quello che manca all’Italia: l’orologio corre veloce e i problemi sono tutti lì, che aspettano di essere risolti.

Per Cingolani l’unica alternativa è nucleare: Salvini esulta, Verdi e M5S attaccano

Il nucleare occupa da almeno 30 anni il dibattito pubblico, ma la politica è ancora lontana da una soluzione. Anche perché il tema tocca quasi tutti i gangli nevralgici del nostro Paese: dall’economia all’ambiente, dal sociale all’industria. Anche in questa campagna elettorale è tornato più volte negli interventi dei vari leader o candidati, ma nessuno ha messo nero su bianco un impegno, sia a riprendere il discorso, sia per chiuderlo definitivamente. A riaccendere i riflettori stavolta è un tecnico, Roberto Cingolani, ad oggi ministro della Transizione ecologica del governo Draghi, dunque in carica, anche se per gli affari correnti. Il responsabile del Mite, però, è anche un tecnico. Anzi, per la precisione un fisico esperto di robotica, dunque non estraneo alla materia. “L’indipendenza energetica oggi è anche sociale e finanziaria. Con le rinnovabili non riusciremo a mandare avanti per sempre la manifattura del Paese“, dice ai microfoni di Radio24, introducendo il discorso.

Per Cingolani nel 2040-2050 bisognerà “dare sorgenti continue“, rispettando l’impegno di “uscire da carbone e gas perché producono Co2“. Dunque, “l’unica alternativa è il nucleare” per il ministro. Che poi sottolinea: “Io parlo di quello di nuova generazione, ma se non facciamo questa scelta non riusciremo mai a sbloccarci“, ammonisce. Il discorso tocca corde molto tese, ma nelle parole di Cingolani c’è un orizzonte ben più largo del presente: “Il futuro dei nostri figli lo stiamo bloccando con l’ideologia di oggi“. Non un inedito, il suo pensiero è sempre stato questo, senza mai nasconderlo dietro il politically correct.

Il primo a esultare è Matteo Salvini, che spesso rilancia il nucleare nei suoi appuntamenti di campagna elettorale. “Bene Cingolani – commenta il leader del Carroccio -. Il nucleare moderno è la forma di produzione energetica più pulita e sicura. Chi in Italia dice no al nucleare, dice no ad un futuro di libertà energetica, con emissioni zero e bollette meno care. Per la Lega nessun dubbio: ritorno al nucleare subito“. Rincarando la dose ai microfoni di ‘Un giorno da pecora’, su Rai Radio1: “Il referendum è di qualche annetto fa, sono in corso le ricostruzioni di 55 reattori: dagli stati Uniti al Giappone, dalla Francia alla Romania, non possiamo rimanere gli unici che dicono no. Non è più il Nucleare come quello di Chernobyl“.

Non la pensa così, invece, il M5S. “Non trovo nulla di stucchevole nel fatto che paesaggio e ambiente siano tutelati dalla nostra Costituzione – sostiene il senatore pentastellato, Gianluca Perilli -. Trovo incomprensibile, e totalmente anacronistico, il fatto di mettere i cittadini dinanzi alla scelta tra bisogni energetici e tutela dell’ambiente. Come se le politiche energetiche del futuro non potessero convivere con i nostri paesaggi. L’emergenza non può e non deve rappresentare un motivo valido per violare un principio costituzionale“.

Non tarda nemmeno la risposta di Europa verde: “A Cingolani, la cui visione di futuro è ancora offuscata dal nucleare, vogliamo far notare cosa sta succedendo in Francia dove il Presidente Macron si è visto costretto a ricapitalizzare la Edf in modo da sopperire ai forti debiti e dove i lavori di costruzione della centrale di Flamanville, in Normandia, iniziati nel 2007“, dice Angelo Bonelli. Puntando il dito verso il responsabile del Mite: “Questa campagna di delegittimazione delle rinnovabili condotta dal ministro della Transizione ecologica è inaccettabile. Insegue il passato“. L’impressione, però, è che dell’argomento si sentirà ancora parlare.

Punti di rifornimento: il Pnrr mette sul piatto 741 milioni di euro

Missione 2, Componente 2, Investimento 4.3: è qui che, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, si trovano le risorse destinate costruire una rete di punti di ricarica adeguata sia a livello numerico che di distribuzione geografica al prevedibile boom dei mezzi elettrici nei prossimi anni. Gli investimenti previsti ammontano a 741,3 milioni di euro e puntano a rendere operative, entro il 2026, almeno 7.500 stazioni di ricarica super-veloci sulle strade strade extraurbane (autostrade escluse) e almeno 13.755 stazioni di ricarica veloci nei centri urbani. A tutto questo dovrebbero aggiungersi anche 100 punti di ricarica sperimentali volti allo stoccaggio dell’energia. I target sono ambiziosi ma non rinviabili, visto che gli obiettivi europei definiscono un parco circolante di circa 6 milioni di veicoli elettrici in Italia nel 2030, con la necessità di avere sul territorio almeno 31.500 punti di ricarica rapida.

Più nel dettaglio, il Pnrr fissa alcuni traguardi intermedi. Entro giugno 2023 dovranno essere definiti i contratti per almeno 2.500 infrastrutture di ricarica da almeno 175 kW (ma espandibili fino ad erogare potenze di almeno 350 kW) sulle strade extraurbane e 4.000 da almeno 100 kW nelle zone urbane. Queste strutture dovranno entrare in servizio entro giugno 2024. Entro dicembre dello stesso anno andranno definiti i contratti per le rimanenti 5.000 stazioni extraurbane e 9.755 urbane, da ultimare poi entro dicembre 2025. La spesa prevista è così suddivisa: 400 milioni per il 2023, 150 per il 2024, 141,3 per il 2025 e infine 50 per il 2026. Mentre riguardo alla tipologia di impianti da installare, circa 360 milioni andranno a quelli sulle strade extraurbane e circa 353 milioni a quelli situati in città.

Secondo quanto fissato dal ministero della Transizione Ecologica, i fondi saranno erogati attraverso tre gare, con un bando per ogni anno nel periodo 2022-24: il primo è previsto a dicembre di quest’anno e resterà aperto per 90 giorni. Gli incentivi prevedono contributi a fondo perduto fino al 40% dei costi di realizzazione, con un tetto massimo di investimento ammissibile di 81mila euro per gli impianti sulle strade extraurbane e di 50mila euro per quelli cittadini. In ogni caso, le stazioni di ricarica dovranno entrare in esercizio entro 12 mesi dall’ammissione all’incentivo.

Il primo passo ufficiale è stato compiuto a cavallo tra maggio e giugno con la consultazione pubblica riservata a soggetti interessati e stakeholders che hanno potuto inviare al Mite osservazioni in vista della stesura finale del decreto attuativo chiamato a regolare i bandi di gara. Tra i punti che hanno suscitato maggiori perplessità c’è l’intenzione del Mite di istituire una “corsia preferenziale” per la nascita di impianti all’interno di stazioni di carburanti già esistenti. Tra gli obiettivi esplicitati c’è infatti quello di “massimizzare il ricorso a stazioni di rifornimento di carburanti tradizionali, al fine di evitare ulteriore sottrazione di suolo e ottimizzare l’utilizzo delle connessioni alla rete elettrica già presenti”. “Limitare la premialità ai soli distributori di carburante, escludendo supermercati, stazioni o altri nodi già operativi, non rappresenta affatto un vantaggio né per gli utenti e né per il sistema elettrico”, ha spiegato Francesco Naso, segretario generale di Motus-E, associazione che rappresenta gli stakeholder della mobilità elettrica. “Si rischia di non raggiungere gli obiettivi sul numero di infrastrutture da installare, di non spendere tutte le risorse stanziate e, soprattutto, di dare vita ad un servizio poco efficiente per gli utenti finali”, ha avvertito.

auto elettriche

Italia ‘slow’ a causa burocrazia: ma tecnologia e risorse ci sono

Il 10,3% rispetto al 19,8% in Francia, al 21,65 nel Regno unito, al 26% in Germania e soprattutto al 30% in Olanda (primato europeo). È necessario partire dai numeri, ancora una volta, per comprendere il ritardo dell’Italia sulla mobilità elettrica in auto. Con una quota così bassa, non può nemmeno sorprendere che nel Belpaese le infrastrutture per la mobilità stradale a zero emissioni siano ancora scarsamente diffuse. Tuttavia, il trend è positivo e la crescita costante. Un balzo evidente confrontando i dati Motus-E (associazione dell’automotive a basse emissioni) di marzo 2022, quando i punti di ricarica erano 27.857 in 14.311 infrastrutture (stazioni o colonnine), e al 30 giugno, quando risultavano installati 30.704 punti di ricarica in 15.674 infrastrutture, con 12.410 location accessibili al pubblico (77% su strada e 23% su suolo privato a uso pubblico, come supermercati o centri commerciali). In pratica, tra il primo e il secondo trimestre dell’anno si sono conteggiati 2.847 punti di ricarica e 1.363 colonnine in più, ovvero, secondo Motus-E, il più alto aumento trimestrale di sempre. Ciononostante, l’11% delle infrastrutture installate (al 30 giugno) non era utilizzabile per la mancanza di collegamento alla rete elettrica, sia per accordi con il gestore sia per autorizzazioni varie.

Insomma, accelera la tecnologia ma la burocrazia rallenta il processo. Uno dei problemi atavici dell’Italia e uno dei tasti dolenti toccato anche da Andrea Cardinali, direttore generale dell’Unrae (Unione nazionale rappresentanti autoveicoli esteri): “È assolutamente evidente la necessità di accelerare in modo massiccio l’infrastrutturazione del Paese. A 14 mesi dal varo del Pnrr, che prevede 750 milioni per le infrastrutture di ricarica pubbliche nel 2022-2026, manca ancora un puntuale cronoprogramma che indichi tempi, luoghi e tipologie di colonnine da installare, nonché i soggetti incaricati di effettuare gli investimenti”. Il timore è quello di mancare clamorosamente gli obiettivi dell’Agenda Ue sulla transizione ecologica. “Per avere una capillarità della rete di infrastrutture di ricarica paragonabile all’Olanda – aggiunge Cardinali – l’Italia necessiterebbe di 320mila punti di ricarica pubblica, dotando, in particolare, autostrade e superstrade delle indispensabili colonnine fast charge, ma siamo ancora lontanissimi da questi livelli. Una situazione che frena pesantemente lo sviluppo del mercato dei veicoli alla spina”. Senza contare che per le infrastrutture di ricarica private non sono stati ancora varati i provvedimenti attuativi previsti all’articolo 12 del decreto del 25 agosto 2021 che stanziava 90 milioni allo scopo di incentivare la diffusione delle infrastrutture elettriche.

Ancora una volta, l’inghippo sarebbe nelle procedure, non nelle risorse. Il ministero per la Transizione ecologica ha destinato 741,5 milioni di euro relativamente alla ‘Missione 2, Componente 2’ del Piano nazionale di Ripresa e resilienza (Pnrr), al fine “di incentivare la realizzazione di infrastrutture di ricarica per veicoli elettrici veloci e ultra-veloci, ristrutturando la rete di distribuzione dei carburanti e con l’obiettivo finale di realizzare una rete di ricarica uniformemente distribuita sull’intero territorio nazionale”.

Proprio la mappatura di Motus-E offre una panoramica indicativa sullo stato delle infrastrutture di ricarica in Italia. Il 57% circa delle colonnine è situato al Nord, il 23% nel Centro e il 20% distribuito tra Sud e isole. La Lombardia vanta oltre 5mila punti di ricarica (il 17% del totale nazionale), seguita da Piemonte (11%), Lazio ed Emilia-Romagna (circa il 10%), Veneto (9%) e Toscana (8%). Queste 6 regioni complessivamente coprono peraltro il 64% del totale italiano. In termini di potenza, il 92% dei punti di ricarica è in corrente alternata (AC), mentre l’8% in corrente continua (DC). Di queste il 14% è a ricarica lenta (con potenza installata pari o inferiore a 7 kW), il 78% a ricarica accelerata in AC (tra più di 7 kW e 43 kW), un 4% fast DC (fino a 50 kW). Il restante 4% riguarda in punti ad alta potenza (di cui quasi il 2% oltre i 150 kW).

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Cingolani: “Il gas costa un botto, acceleriamo sulle rinnovabili”

Non ci sono dubbi: il prezzo del gas è alle stelle. Una drastica conseguenza della guerra russo-ucraina ma anche della forte speculazione presente sul ‘dark web’ dell’economia italiana. “Paghiamo un botto. Già prima della guerra c’era stato un rialzo per vari motivi, anche speculativi, ma passare da 20 centesimi a 1-1,5 euro è troppo”, esclama il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, che nel corso di una conferenza stampa al Mite fa il punto su due dei temi di maggior tendenza in questo periodo: gas e rinnovabili.

L’aggiornamento sul ‘work in progress’ delle rinnovabili da parte del ministro arriva subito: “Il lavoro per l’aumento delle energie pulite procede a ritmi serrati“. Parole che, considerando il caos energetico di Gazprom, delle varie manutenzioni ai gasdotti con il piano di risparmio europeo del 15% e l’autunno sempre più vicino, lasciano spazio a un sospiro di sollievo. Premesso, quindi, che sulla transizione energetica i passi avanti l’Italia li sta compiendo, c’è ancora un tassello da mantenere dal quale non possiamo ancora fare a meno. Quello riguardante il rinvio del phase out delle centrali a carbone, perché servirà a risparmiare 2 miliardi metri cubi di gas. E Cingolani avverte: “Farà un po’ di danno ambientale, ma ci consentirà di accelerare sulle rinnovabili“. Detto questo, “le nuove forniture di gas richiederanno un po’ di tempo per andare a regime ma non sono previste drastiche misure di contenimento a livello industriale“, la sottolineatura.

Riprendendo il discorso sui tre rigassificatori galleggianti, “due saranno operativi tra i prossimi 12-24 mesi”, mentre il terzo è in stallo. Si tratta dell’impianto di Piombino: “Ora c’è un po’ di polemica, faremo di tutto per cercare di alleviare i disagi, ma la sicurezza nazionale passa dal Comune toscano“. L’importante, per il responsabile del Mite è che “Il rigassificatore entri in funzione tra il primo quarto del 2023 e il primo quarto del 2024“, stessa cosa per quello di Ravenna che “è pronto ma serve un tubo di raccordo”.

Resta sempre sul tavolo il discorso relativo al tetto al prezzo del gas. Sulla Borsa, spiega il ministro, “sono stato esplicito anche in sede europea, spiegando che non siamo in economia di mercato ma in economia di guerra, quindi il price cap, che abbiamo chiesto e che l’Ue si è impegnata a presentare una proposta a settembre, diventerebbe un normalizzatore importante“.

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Cingolani: “L’alternativa al gas russo? Metà Gnl e metà da gasdotto”

Una crescita di 25 miliardi di metri cubi entro il 2025 per l’approvvigionamento di gas alternativo – metà Gnl e metà da gasdotto – rispetto a quello russo. “Si tratterebbe di un’accelerazione notevole, possibile grazie ai recenti accordi presi con Africa e Medio Oriente volti alla diversificazione delle forniture energetiche”, ha sostenuto il ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani,  nel corso dell’audizione nelle Commissioni riunite Bilancio e Finanze alla Camera. In quella occasione, il titolare del Mite ha scattato un’istantanea della situazione energetica italiana. I numeri fanno ben sperare: secondo i dati di Terna, nel 2022 sono già stati richiesti allacciamenti per 5,1 gigawatt, 2 volte e mezzo di quelli realizzati nel 2020 e nel 2021.

Tra le novità discusse da Cingolani nel corso del dibattito sul Dl Energia, ci sono anche le misure previste dall’articolo 7 che introduce forme di semplificazione procedimentale per l’autorizzazione di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili. “L’intervento risulta coerente con gli impegni assunti dall’Italia in sede europea a seguito dell’adozione del Pnrr e con il programma di governo”, ha commentato il ministro. L’obiettivo è superare l’eventuale contrasto tra amministrazioni, in merito alla definizione degli iter inerenti a progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza statale e cioè quelli riguardanti impianti con potenza termica installata pari o superiore ai 300 megawatt.

La transizione energetica impone provvedimenti anche sul fronte dei rifiuti: “Stiamo lavorando corposamente sul pacchetto ‘End of waste’. A giugno uscirà un decreto importante“, ha annunciato il titolare del Mite. Il ministero ha prodotto il ‘Piano nazionale dei rifiuti’, secondo il quale le Regioni devono a loro volta produrre la strategia regionale e, successivamente, verrà verificata la compatibilità tra piano nazionale e quelli regionali. Il motivo? “Siccome un inceneritore o termovalorizzatore è, eventualmente, una prerogativa della Regione e non del ministero, se l’ente locale vuole inserirla come ipotesi dovrà farlo seguendo regole molto precise“, ha chiarito Cingolani, mettendo in chiaro che per la realizzazione di questi impianti è necessario attenersi a rigide direttive.

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L’orso Juan Carrito è tornato in libertà nel Parco della Maiella

L’orso Juan Carrito è tornato in libertà. L’animale è stato trasportato oggi dall’area faunistica di Palena sul massiccio della Maiella, attraverso un’operazione svolta dal personale del Parco Nazionale della Maiella in collaborazione con il Raggruppamento Aeromobili Carabinieri, il Reparto Carabinieri Parco Nazionale Maiella, e con il Reparto Carabinieri Biodiversità di Pescara. Il ritorno dell’orso in natura rappresenta la seconda fase dell’intervento di emergenza, eseguito dal Parco Nazionale della Maiella a supporto della Regione Abruzzo, che era iniziato con la cattura di Juan Carrito a Roccaraso e il suo temporaneo trasferimento in area faunistica in attesa di un miglioramento delle condizioni meteorologiche che, finora, avevano impedito l’attuazione della traslocazione sulla Maiella.

Durante il periodo trascorso in area faunistica l’orso Juan Carrito non ha avuto contatti con l’uomo e si è alimentato esclusivamente di cibi di origine naturale ma, al contrario di quanto riportato da molti organi di stampa e da fonti ufficiali di altri enti, allo stato attuale non è stato effettuato nessun percorso di ‘rieducazione’. In questa fase, infatti, come riportato chiaramente nel precedente comunicato ufficiale del Parco Nazionale della Maiella, la permanenza temporanea in area faunistica era mirata al solo allontanamento urgente dell’orso da Roccaraso in attesa, appunto, di poter effettuare la traslocazione in Maiella.

L’obiettivo dell’intervento di traslocazione è stato discusso nell’ambito di specifiche riunioni di coordinamento tecnico-istituzionale, richiesto dall’ente competente, Regione Abruzzo, e autorizzato dal Ministero per la Transizione Ecologica (Mite) su parere favorevole di Ispra, è quello di allontanare l’orso dalle aree antropizzate che frequentava per tentare di indurlo a vivere lontano dai paesi e dal cibo di provenienza antropica. La presenza di Juan Carrito nei centri abitati, infatti, non era più tollerabile soprattutto perché l’animale si alimentava ormai da troppo tempo quasi esclusivamente di rifiuti, un comportamento che, oltre a creare situazioni potenzialmente pericolose e di conflitto con le persone, danneggiava l’orso stesso mettendo a repentaglio la sua salute. È difficile prevedere cosa farà l’orso Juan Carrito nelle prossime settimane e nei prossimi mesi poiché sono molte le variabili che influenzano l’esito di operazioni complesse come le traslocazioni e, purtroppo, il ritorno dell’orso all’interno di centri abitati è un’eventualità che potrebbe verificarsi anche nel breve termine. Per questo motivo Il Parco Nazionale della Maiella ha già predisposto un piano di intervento nel quale sono proposte ulteriori attività, anche sperimentali, mirate a tenere l’orso lontano dai paesi e a tentare tutto quanto possibile per eliminare o quanto meno ridurre la sua dipendenza dal cibo di origine antropica.

Il Parco Nazionale della Maiella – spiega Luciano Di Martino, Direttore del Parco – sta operando con estrema professionalità supportando le operazioni di gestione della complessa situazione creatasi a Roccaraso sia attraverso azioni concrete, sia attraverso proposte di possibili attività da sperimentare, tra le quali il già citato percorso di ‘rieducazione’, per agire sul comportamento dell’orso, che tuttavia non è ancora iniziato, e anzi deve essere ancora espressamente autorizzato”.

Naturalmente – aggiunge Lucio Zazzara, Presidente del Parco – gli interventi da mettere effettivamente in campo saranno stabiliti attraverso interlocuzioni tra tutti gli enti coinvolti e, comunque, sempre sottoposti ad autorizzazione da parte del MITE. Il Ministero è stato aggiornato sull’esito delle nostre attività e sulla nostra volontà di fare tutto quanto sia nelle nostre possibilità e nella compatibilità delle valutazioni scientifiche del caso, per garantire a Juan Carrito una vita ‘da orso’ in natura.”

Proprio il coordinamento tra Enti, la ricerca e l’applicazione di metodi sperimentali e la consapevolezza che la dipendenza dal cibo di origine antropica sia un fenomeno deleterio per l’orso sono i tre punti cardine della strategia di intervento nella quale si incastrano le attività portate avanti e proposte dal Parco Nazionale della Maiella, anche nell’ambito del Progetto Life internazionale ARCPROM del quale il Parco è partner congiuntamente al Wwf Italia con cui sono in corso diverse collaborazioni, con la finalità ultima di permettere a questo animale di continuare a vivere in libertà nei territori montuosi a cui appartiene.