JOHN ELKANN

Il ‘no’ di Elkann fa infuriare il Parlamento. Meloni: “Mancanza di rispetto”. Tavolo Stellantis al Mimit il 14 novembre

Il Parlamento non ci sta. Poche ore dopo il rifiuto del presidente di Stellantis, John Elkann, di presentarsi davanti alla commissione della Camera, adducendo come motivazione il fatto di non avere “nulla da aggiungere rispetto a quanto già illustrato dall’amministratore delegato” lo scorso 11 ottobre, tutto l’arco politico insorge. A partire dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che a ‘Porta a Porta’ sottolinea come “John Elkann non ha detto solo di no, ha detto ‘No perché aspetto il tavolo del governo’. Temo che a Elkann sfuggano i fondamentali della Repubblica italiana, una non esclude l’altra, noi siamo una Repubblica parlamentare e questa mancanza di rispetto per il Parlamento me la sarei evitata. Noi abbiamo fatto diversi tavoli con Stellantis, ma non hanno portato agli accordi di sviluppo”. E aggiunge: “Quando il governo mette dei soldi, sono soldi degli italiani, che si possono spendere se questi ultimi ne traggono beneficio. Il 70% delle risorse per gli incentivi sono servite a comprare auto non prodotte in Italia, anche questa è una riflessione da fare, fermo restando che dovrebbe andare ad ascoltare quello che il Parlamento ha da chiedergli“.

Una “vergognosa offesa alle istituzioni”, la definisce la Lega, sottolineando come la presenza di Elkann “è un obbligo, non solo morale, per rendere conto al Paese di una gestione scellerata nonostante gli enormi contributi pubblici”. Sempre dalla maggioranza, per Tommaso Foti di Fratelli d’Italia è “gravissimo” e “sconcertante” che il presidente di Stellantis non riferisca in Parlamento. E i toni non cambiano spostandosi dalla parte dell’opposizione, con la segretaria Pd Elly Schlein che sottolinea come “occorre stigmatizzare l’atteggiamento” di Elkann e il leader di Azione Carlo Calenda che lo definisce addirittura un “grave sgarbo istituzionale”. “Inaccettabile” il modo di rivolgersi al Parlamento per Nicola Fratoianni di Avs, un “atto di arroganza e di offesa a un’istituzione democratica” per il collega Angelo Bonelli. E va ancora oltre il leader dei Pentastellati, Giuseppe Conte, che non percepisce “nessuna reale strategia imprenditoriale, nessun piano industriale concreto, nessun rispetto degli impegni presi” e vede all’orizzonte “un declino ormai irreversibile del settore automotive“.

A poco quindi, sembrerebbe, servirà la lettera con cui il deputato della Lega Alberto Luigi Gusmeroli, presidente della commissione Attività produttive, Commercio e Turismo della Camera, rinnova a Elkann la richiesta di audizione davanti alle commissioni riunite di Camera e Senato: “Reputo la sua presenza ancora più necessaria, alla luce anche della disponibilità a un ‘dialogo franco e rispettoso’ da lei rappresentata” e “considerato il delicato periodo storico che stiamo vivendo“, spiega Gusmeroli. La replica di Elkann arriva con una telefonata pomeridiana con il presidente della Camera, Lorenzo Fontana, al quale ribadisce il rispetto del Parlamento spiegando che “la risposta al presidente della commissione attività produttive Gusmeroli nasce dall’osservanza della decisione della Camera di impegnare il Governo – attraverso le mozioni approvate dall’Aula – a identificare politiche industriali in linea con l’evoluzione del settore automotive” e “l’apertura al dialogo con tutte le Istituzioni, come da sempre il gruppo fa in tutti i paesi in cui è presente, Italia in primis”. Il presidente di Stellantis però ci tiene anche a mettere i puntini sulle i e spiega che “in questi anni non c’è stato nessun disimpegno in Italia; c’è stato solo un grande sforzo per orientare la nostra attività verso il futuro con prodotti competitivi e innovativi”. Anzi, sottolinea a Fontana, negli ultimi decenni “gli stipendi, gli oneri fiscali e previdenziali versati, la bilancia commerciale, gli investimenti fatti e le competenze cha abbiamo formato, hanno superato di gran lunga i contributi ricevuti in Italia. E lo rivendichiamo con orgoglio, essendo la più importante realtà industriale che opera in Italia. Stellantis da quando è nata (2021) ha investito in Italia 2 miliardi di euro all’anno”.

Di sicuro il dialogo, anche nelle intenzioni del presidente di Stellantis, proseguirà al tavolo di confronto istituito presso il ministero delle Imprese e del Made in Italy, convocato per giovedì 14 novembre a Palazzo Piacentini. Invitati a partecipare i rappresentanti dell’azienda, delle Regioni sede di stabilimenti produttivi, delle organizzazioni sindacali e dell’Anfia.

Una soluzione che non soddisfa completamente i sindacati che auspicano, a partire dal segretario della Cgil Maurizio Landini, una convocazione dell’azienda direttamente a Palazzo Chigi. “La Fiat non c’è più da anni. E anche davanti alla nuova società, non comanda più la famiglia Agnelli. Dove sono stati tutti in questi anni? Noi diciamo che è il momento di prenderla sul serio questa discussione”, spiega Landini. Insiste per spostare il tavolo a Chigi anche il segretario della Uilm Gianluca Ficco “per mettere fine alle sterili polemiche e per provare davvero a salvare il settore automotive”. Sulla stessa linea Michele De Palma della Fiom, che chiede anche di avviare una discussione su “un pacchetto straordinario di interventi“, e Ferdinando Uliano, segretario generale Fim Cisl, per cui “è importante mettere una dotazione specifica sugli ammortizzatori sociali perché stanno finendo in tutti gli stabilimenti Stellantis tranne due nel 2025”. Per il momento, intanto, il confronto è in stand by fino al 14 novembre.

Europee, cosa accade adesso: la timeline del Parlamento Ue

Dopo la chiusure delle urne in tutti i 27 Paesi europei, comincia la nuova legislatura a Bruxelles, che seguirà alcune tappe già fissate.

LA FORMAZIONE DEI GRUPPI POLITICI. In primo luogo, inizieranno i negoziati per la formazione dei gruppi politici che potrebbero proseguire fino alla prima sessione plenaria del nuovo Europarlamento. Ogni gruppo deve essere composto da almeno 23 deputati eletti in almeno un quarto degli Stati membri (ossia almeno sette). Per ottenere il riconoscimento ufficiale a partire dal 16 luglio, data della sessione costitutiva del Parlamento, i gruppi politici devono comunicare al Presidente il loro nome, la loro dichiarazione politica e la loro composizione entro il 15 luglio.

LA PRIMA SESSIONE PLENARIA. Si terrà tra il 16 e il 19 luglio la prima sessione plenaria costitutiva del nuovo Parlamento europeo, che aprirà formalmente la legislatura. I deputati eletti si riuniranno a Strasburgo per eleggere il presidente, 14 vicepresidenti e 5 questori. Sarà messa ai voti anche la composizione numerica delle commissioni permanenti e delle sottocommissioni del Parlamento. È probabile che, oltre alla composizione numerica, venga decisa anche la composizione nominale delle commissioni. Dopo la sessione costitutiva, tutte le commissioni si riuniranno per eleggere i rispettivi presidenti e vicepresidenti (Ufficio di presidenza).

ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA COMMISSIONE EUROPEA. Dopo la costituzione del Parlamento, i deputati dovranno eleggere chi guiderà la nuova Commissione europea e prenderà, quindi il posto, di Ursula von der Leyen. L’elezione potrebbe avvenire durante la sessione plenaria (16-19 luglio) o in quella successiva la pausa estiva (16-19 settembre). La decisione finale sul calendario preciso sarà presa dalla Conferenza dei presidenti (presidente del Parlamento europeo più capigruppo). In passato, quando le elezioni si sono svolte a maggio (come nel 2019), sono state organizzate due sessioni plenarie a luglio: la prima dedicata alla costituzione del nuovo Parlamento e all’elezione di presidente, vicepresidenti e questori, la seconda dedicata all’elezione del presidente della Commissione.

Il candidato proposto dal Consiglio europeo presenta al Parlamento il proprio programma politico per la legislatura. Questa dichiarazione è poi seguita da una discussione. Il Parlamento elegge il presidente della Commissione a maggioranza dei deputati che lo compongono (361 su un totale di 720). Il voto è a scrutinio segreto.

Se il candidato non ottiene la maggioranza richiesta, il presidente del Parlamento invita il Consiglio europeo a proporre, entro un mese, un altro candidato da eleggere seguendo la stessa procedura.

AUDIZIONE DEI COMMISSARI DESIGNATI. La procedura prevede che, insieme al presidente della Commissione, il Consiglio europeo nomini anche i commissari designati, a cui viene assegnato uno specifico portafoglio. Le commissioni del Parlamento, ciascuna in base al rispettivo ambito di competenza, esaminano i commissari designati in una serie di audizioni pubbliche, prima di votare in plenaria sulla nomina dell’intero collegio. Le audizioni possono cominciare solo dopo che la commissione giuridica ha confermato per iscritto l’assenza di qualsiasi conflitto di interessi.

Il commissario designato è invitato a comparire dinanzi alla o alle commissioni parlamentari competenti per il suo portafoglio per un’audizione di tre ore, che viene trasmessa in diretta streaming. Il candidato effettua un discorso di apertura di massimo 15 minuti, dopodiché risponde alle domande dei deputati.

La commissione o le commissioni competenti devono completare la valutazione di un commissario designato entro 24 ore dall’audizione. Per farlo, devono riunirsi a porte chiuse il prima possibile. Entro 24 ore dal completamento della valutazione, la lettera viene trasmessa alla Conferenza dei presidenti di commissione per essere esaminata. Il Presidente della Commissione tiene conto dei risultati delle audizioni e delle consultazioni con i gruppi politici del Parlamento. Dopodiché, presenta la sua squadra e le sue priorità politiche nel corso di una sessione plenaria. Dopo una discussione, i deputati decidono, a maggioranza semplice dei voti espressi, se approvare la nomina del nuovo collegio dei commissari per un mandato di cinque anni.

Europee, dal Recovery al nuovo Patto di stabilità: i 5 anni economici della legislatura

Recovery fund, revisione del Patto di stabilità e crescita, riforma della Politica agricola comune (Pac). Sono alcuni dei grandi dossier economici che il Parlamento europeo ha affrontato, insieme alle altre istituzioni comunitarie, Consiglio e Commissione, in questi 5 anni di legislatura al termine. “Nel 2020, i negoziatori del Parlamento sono riusciti a ottenere per l’Ue il più grande pacchetto finanziario di sempre per far fronte alle conseguenze della pandemia di Covid-19 e finanziare una nuova generazione di programmi dell’Ue per il periodo 2021-2027”, ha sottolineato il Parlamento europeo rispetto al Recovery fund in una serie di schede con cui tira le somme del lavoro fatto.

DALLA PANDEMIA ALLA GUERRA IN UCRAINA. Il più grande Parlamento al mondo ha dovuto affrontare, insieme a Consiglio e Commissione, un periodo di crisi – pandemia e guerra – che ha spinto i Ventisette e le istituzioni comunitarie a fare i conti con le proprie capacità. In questo contesto, la Camera ha ricordato che, per sostenere ulteriormente l’Ucraina, rafforzare l’autonomia industriale dell’Ue e finanziare la politica migratoria, i deputati hanno chiesto e ottenuto una revisione intermedia e un aumento del bilancio a lungo termine. E ha specificato che, oltre al bilancio a lungo termine dell’Unione e al dispositivo per la ripresa e la resilienza, lo strumento per la ripresa del valore di 750 miliardi di euro che fa parte di NextGenerationEu (Recovery), sono state adottate, e poi integrate nel RePowerEu, misure a sostegno delle regioni e delle persone vulnerabili, come il Fondo per una transizione giusta e il Fondo sociale per il clima, per accelerare la transizione verso la neutralità climatica e ridurre la dipendenza dall’energia russa. “Il Parlamento è anche riuscito a far approvare una tabella di marcia giuridicamente vincolante per l’introduzione di nuove risorse proprie a copertura del rimborso dei prestiti assunti per NextGenerationEu”, ha precisato il Parlamento.

OBIETTIVI CLIMATICI E DIGITALI. Nel 2023, infatti, i deputati hanno sostenuto l’introduzione di 3 nuove fonti per il bilancio: le entrate previste nel sistema di scambio di quote di emissione, quelle del meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere e gli utili delle imprese. In quanto autorità di bilancio, il Parlamento esamina le spese che incidono sul bilancio e i piani nazionali per la ripresa finanziati con il dispositivo per la ripresa e la resilienza. Per poter ricevere finanziamenti dall’Ue, gli Stati devono rispettare gli obiettivi climatici e digitali, lo Stato di diritto e i valori fondamentali dell’Unione. In caso contrario, il Parlamento può fare pressione sulla Commissione affinché trattenga i pagamenti nell’ambito del meccanismo sulla “condizionalità dello Stato di diritto”. E questo è stato il caso per l’Ungheria: il Parlamento ha contestato lo sblocco da parte della Commissione di 10,2 miliardi di euro di fondi di coesione dell’Ue per Budapest.

FOCUS SUL LAVORO. Sul fronte delle retribuzioni, in questi 5 anni i deputati europei “hanno negoziato con gli Stati membri l’introduzione di salari minimi nazionali e una legge per garantire in tutta l’Ue la parità di retribuzione tra uomini e donne per lo stesso lavoro” e hanno approvato “una normativa che mira ad assicurare giustizia sociale e dignità ai lavoratori dei fornitori di servizi che operano tramite piattaforme digitali e a porre fine al falso lavoro autonomo”. In questo campo, i deputati hanno chiesto agli Stati di rafforzare i programmi di reddito minimo e di vietare lo sfruttamento dei tirocinanti. Per quanto riguarda il lavoro nel settore creativo e culturale, poi, i deputati hanno chiesto nel 2023 una nuova legislazione Ue sullo status sociale e sulle condizioni di lavoro degli artisti e degli altri professionisti che lavorano nella cultura. Dall’Aula in questi anni è uscito anche un divieto assoluto ai prodotti realizzati con il lavoro forzato, sia all’interno che all’esterno dell’Ue, obbligando il ritiro di questi oggetti dal mercato, e norme per introdurre requisiti di trasparenza per i servizi di affitto a breve termine. “Il Parlamento ha anche adottato nuove regole per le operazioni finanziarie in criptovalute, così che queste possano essere tracciate allo stesso modo dei trasferimenti di denaro tradizionali”, ha proseguito il Parlamento.

PIANO INDUSTRIALE EUROPEO. A febbraio 2023, l’Aula ha poi votato a favore dell’istituzione di un nuovo Piano industriale per l’Ue per consolidare e trasferire le capacità di produzione industriale in Europa e norme per riformare il mercato dell’elettricità e proteggere i consumatori da impennate dei prezzi, per la decarbonizzazione del mercato del gas, per sostenere l’approvvigionamento sufficiente di materie prime rare nell’Ue, e la legge sull’industria a zero emissioni. “Questo ‘pacchetto competitività’ dovrebbe favorire la produzione di tecnologie energetiche pulite e aiutare le industrie dell’Ue a creare posti di lavoro di alta qualità e a stimolare la crescita economica per raggiungere gli obiettivi del Green deal”, ha commentato il Parlamento. Infine, nell’ultima plenaria della IX legislatura, il Parlamento ha approvato la riforma della governance economica nell’Ue (il nuovo Patto di stabilità e crescita), “con l’obiettivo di rendere le norme più chiare, più favorevoli agli investimenti e più adattabili alla situazione di ciascun Paese” nel rientro dei livelli di debito, e ha dato l’ok alla revisione della politica agricola comune (Pac) “per alleggerire gli oneri amministrativi degli agricoltori dell’Ue e introdurre una maggiore flessibilità”.

Via libera definitivo alla Manovra 2024. Meloni: “Al centro famiglie, lavoro e imprese”

Con il via libera della Camera (200 voti favorevoli, 112 no e 3 astenuti), la legge di Bilancio 2024 è stata definitivamente approvata dal Parlamento. Dall’energia al Ponte sullo Stretto, alla lotta all’inflazione, sono diversi i temi trattati dal testo da circa 24 miliardi di euro.

Soddisfatta la premier, Giorgia Meloni: “Ringrazio a nome mio e del governo i parlamentari di maggioranza di Senato e Camera per il sostegno e la compattezza dimostrati. Un segnale positivo per una Manovra importante, che mette al centro le famiglie, il lavoro e le imprese. In linea con i principi che guidano la nostra azione e con il programma che gli italiani hanno votato“, scrive su Facebook. Aggiungendo che “questa volta la Manovra viene approvata senza il voto di fiducia. Ringrazio per questo anche le opposizioni che, pur nel forte contrasto sui temi, hanno contribuito allo svolgimento del dibattito. E ora avanti con determinazione, coraggio e responsabilità”. Anche per Giancarlo Giorgettibene il sì alla manovra. Proseguiamo su un percorso di prudenza, responsabilità e fiducia. Avanti così“, commenta il ministro dell’Economia dopo il voto.

Ecco, di seguito, alcuni dei punti principali della manovra 2024.

BONUS ELETTRICO – Proroga del bonus sociale elettrico anche per i mesi di gennaio, febbraio e marzo 2024. La copertura di spesa è di 200 milioni, che saranno trasferiti alla Cassa per i servizi energetici e ambientali. CARO SPESA – Contro l’inflazione dei beni di prima necessità, il provvedimento prevede nuove risorse per la carta ‘Dedicata a te’ per chi ha un Isee pari o inferiore a 15mila euro. Il Fondo viene rifinanziato nel 2024 con 600 milioni di euro. Inoltre, “in considerazione del permanere di condizioni di disagio sociale ed economico”, il Fondo per la distribuzione di generi alimentari alle persone indigenti viene inoltre incrementato di 50 milioni di euro.

PONTE SULLO STRETTO – E’ di 11,6 miliardi di euro la dotazione per la realizzazione del collegamento stabile tra Calabria e Sicilia. La cifra è pluriennale e copre l’arco temporale tra il 2024 e il 2032. Di queste risorse 9,3 miliardi arriveranno dal bilancio pubblico, mentre 2,3 miliardi dal Fondo di sviluppo e coesione: 1,6 miliardi dagli stanziamenti previsti inizialmente per la Sicilia e la Calabria e 718 milioni dai ministeri.

ASSICURAZIONI CONTRO EVENTI CALAMITOSI – Le imprese sono tenute a stipulare, entro il 31 dicembre 2024, contratti assicurativi a copertura dei danni agli immobili direttamente cagionati da calamità naturali e catastrofi su territorio nazionale, come i terremoti, le alluvioni, le eruzioni vulcaniche, i fenomeni di bradisismo, le frane, le inondazioni e le esondazioni. L’eventuale scoperto o franchigia nei contratti per “l’adempimento dell’obbligo di assicurazione” non potrà essere superiore al 15% del danno. Il rifiuto o l’elusione dell’obbligo a contrarre l’assicurazione è punito con una multa da 200mila a un milione di euro, irrogate tramite Ivass.

VULNERABILITA’ SISMICA EDIFICI PUBBLICI – E’ istituito, presso il Mef, per poi essere trasferito al bilancio autonomo della Presidenza del Consiglio dei ministri, un Fondo per il finanziamento di un ‘Programma di mitigazione strutturale della vulnerabilità sismica degli edifici pubblici’, con una dotazione con una dotazione totale di 285 milioni, di cui 45 per il 2024, poi 60 milioni per ciascuno degli anni 2025, 2026, 2027 e 2028.

RICOSTRUZIONI POST CALAMITA’ – L’articolo 72 è dedicato alle misure per garantire la prosecuzione delle attività amministrative delle strutture commissariali e degli uffici speciali per la ricostruzione. Tra queste ci sono la la proroga dei contratti stipulati dai comuni del cratere sismico del 2009, in deroga alla normativa vigente in materia di vincoli alle assunzioni a tempo determinato presso le Amministrazioni Pubbliche, l’autorizzazione di spesa è incrementata di 1,4 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025. Inoltre, il termine di scadenza dello stato di emergenza per gli eventi sismici del 20 e 29 maggio 2012 viene prorogato, per le regioni Lombardia ed Emilia-Romagna, al 31 dicembre 2024 ed è autorizzata la spesa di 12,2 milioni per il 2024 per le spese relative al funzionamento, all’assistenza tecnica, all’assistenza alla popolazione, al contributo di autonoma sistemazione e a interventi sostitutivi per gli eventi sismici che hanno colpito i territori dell’Emilia-Romagna nel 2012.

SOSTEGNO A PMI ORTOFRUTTICOLE – L’Ismea è autorizzato a erogare prestiti cambiari in favore delle Pmi agricole del settore ortofrutticolo per un massimo pari al 50% dell’ammontare dei ricavi registrati nel 2022 dall’impresa richiedente e, comunque, non superiore a 30mila euro, con inizio del rimborso dopo 24 mesi dalla data di erogazione e durata fino a 5 anni.

EMERGENZE AGRICOLTURA – Per le situazioni di crisi di mercato nel settore agricolo, agroalimentare, zootecnico e della pesca generate da eventi non prevedibili, è istituito presso il Masaf un Fondo per la gestione delle emergenze finalizzato a sostenere gli investimenti delle imprese che operano in questi settori, con una dotazione totale di 270 milioni di euro, suddivisi in 90 milioni per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026.

GARANZIE GREEN – Sace è abilitata a rilasciare, fino al 31 dicembre 2029, garanzie connesse a investimenti nei settori delle infrastrutture, anche a carattere sociale, dei servizi pubblici locali, dell’industria e ai processi di transizione verso un’economia pulita e circolare e la mobilità sostenibile, l’adattamento ai cambiamenti climatici e la mitigazione dei loro effetti, la sostenibilità e la resilienza ambientale o climatica e l’innovazione industriale, tecnologica e digitale delle imprese. Lo prevede la bozza della legge di Bilancio. Le garanzie sono concesse per una durata massima di 25 anni e per una percentuale massima di copertura non eccedente il 70 per cento, ovvero il 60 per cento, ove rilasciate in relazione a fideiussioni, garanzie e altri impegni di firma, che le imprese sono tenute a prestare per l’esecuzione di appalti pubblici e l’erogazione degli anticipi contrattuali ai sensi della pertinente normativa di settore, ovvero il 50 per cento nel caso di esposizioni di rango subordinato.

Transizione energetica, correggere il tiro prima che sia troppo tardi

Il dibattito politico ed economico internazionale è segnato da tempo dal tema della ‘transizione energetica’, ma gli ultimi diciotto mesi hanno mostrato chiaramente come questo obiettivo sia molto più sfidante e complesso di quello che si poteva immaginare. Da molte parti, senza mettere in questione l’obiettivo della decarbonizzazione che tutti condividono, si sottolinea che esso va perseguito con razionalità e pragmatismo, abbandonando visioni estremiste e unilaterali che hanno messo in secondo piano problemi importantissimi come la sicurezza energetica e la disponibilità di materie prime necessarie per la transizione.

Anche negli Usa e in Europa, aree nelle quali sono state adottate misure imponenti per perseguire l’obiettivo della transizione e della decarbonizzazione (come ad esempio l’Inflation Reduction Act negli Usa e il RePowerEu in Europa), lo sviluppo, la diffusione e la crescita delle nuove tecnologie su cui si basa la transizione avverrà in un tempo molto più lungo di quello inizialmente previsto. E ciò perché le economie sviluppate non sono in grado di passare in pochi anni da un modello economico basato sugli idrocarburi ad un altro basato esclusivamente sulle energie rinnovabili.

E la recente crisi energetica causata dall’aggressione russa dell’Ucraina lo ha mostrato con chiarezza. Il mondo, ad esempio, sta usando oggi tre volte più carbone di quanto ne usasse dieci anni fa, e nel 2022 si è raggiunto il record storico nel consumo di questa fonte di energia. Ciò si deve certamente alla crescita dei fabbisogni energetici di molti Paesi del mondo in via di sviluppo che hanno trovato nel carbone la fonte più conveniente, ma anche al fatto che molti paesi europei, Germania e Italia in testa, che avevano deciso di chiudere le loro centrali elettriche a carbone, hanno dovuto fare marcia indietro per fronteggiare la mancanza di gas e l’esplosione dei prezzi energetici causati dalla guerra.

Alla luce di ciò è lecito porsi la domanda: ma perché le famiglie e le imprese europee, che sono responsabili di non più del 9% delle emissioni mondiali di CO2, devono essere quelle che sopportano di più il peso della transizione? Se per ipotesi tutte le industrie europee, che sono responsabili di meno del 4% di tutte le emissioni mondiali di CO2, chiudessero i battenti contemporaneamente, l’effetto sulle emissioni mondiali e quindi sulla causa primaria del climate change sarebbe insignificante.

In un interessante paper del 2021 del Peterson Institute for International Economics un importante economista francese, Jean Pisani-Ferry, ha affermato che muoversi troppo rapidamente verso l’obiettivo di emissioni zero potrebbe provocare una drammatica crisi dell’offerta industriale, ancora più grave di quella creata dallo shock energetico dell’inizio degli anni 70 conseguente alla  guerra arabo-israeliana. L’economista mette in guardia dal fatto che un processo di transizione energetica precipitoso potrebbe provocare disastri, e sollecita i policy makers a rendersene conto e ad assumere le decisioni adeguate.

Quali sono i fatti nuovi che hanno cambiato così radicalmente la prospettiva? Innanzitutto la sicurezza energetica, come detto, è tornata ad essere la priorità. E la sicurezza energetica è fatta di disponibilità di fonti e di prezzi ragionevoli dell’energia. Il Presidente degli Usa Biden ad esempio, benché sia molto concentrato sugli obiettivi della transizione, nel corso dell’ultimo anno ha sollecitato le compagnie petrolifere nazionali a incrementare la produzione, così da aumentare le Strategic Petroleum Reserve come non era mai avvenuto con le precedenti Amministrazioni.

I verdi tedeschi al governo della Germania hanno spinto moltissimo per aumentare la capacità di impianti di rigassificazione del Paese, così da incrementare significativamente le importazioni di LNG (gas naturale liquido) dagli Stati Uniti. E in non più di 200 giorni la Germania è stata capace di dotarsi di nuovi rigassificatori galleggianti come quelli che dobbiamo fare anche in Italia, ma che sono in ritardo a Piombino per l’opposizione del Sindaco, che proviene dalle fila del partito del Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.

La seconda questione riguarda la dimensione del problema. Oggi 100 trilioni di dollari Usa (centomila miliardi di dollari!) dell’economia mondiale dipendono da più dell’80% di approvvigionamento energetico da idrocarburi, e nulla come un così gigantesco e complesso sistema energetico mondiale può essere rapidamente e facilmente cambiato. In un interessante volume fresco di stampa, ‘How The World Really Works’, di uno studioso di economia dell’energia, Vaclav Smil, si sottolinea come i quattro pilastri della moderna civilizzazione – cemento, acciaio, plastica e ammonio (per i fertilizzanti) – siano ciascuno fortemente dipendente dall’attuale sistema energetico.

C’è poi un terzo punto fondamentale: la divisione tra Nord Sud del mondo. Nell’emisfero Nord del mondo, in particolare Stati Uniti d’America e Europa, il tema del climate change è al primo posto dell’agenda politica. Ma nell’emisfero Sud questa priorità coesiste con altre priorità come la promozione della crescita economica, la riduzione della povertà e il miglioramento della qualità della vita e della salute con la riduzione della combustione di legno e rifiuti attraverso un uso più intenso del gas naturale.

Questa divisione è stata plasticamente rappresentata lo scorso anno da un voto di denuncia e censura del Parlamento Europeo (di cui i media a dire il vero hanno parlato assai poco) relativo alla costruzione di una nuova pipeline per il gas dall’Uganda attraverso la Tanzania fino all’Oceano Indiano.

Il Parlamento Europeo ha stigmatizzato e condannato la realizzazione di questa infrastruttura perché il progetto poteva avere aspetti negativi per il clima, l’ambiente e ‘i diritti umani’. Nello stesso tempo lo stesso Parlamento dava il suo voto favorevole per un’infrastruttura analoga tra la Francia e il Belgio, paesi nei quali il reddito pro-capite è rispettivamente 50 e 60 volte maggiore di quello dell’Uganda, dove la nuova pipeline è vista come un fattore determinante per lo sviluppo del Paese. La risoluzione europea ha provocato in Africa reazioni furiose. Lo speaker del parlamento dell’Uganda ha denunciato l’atteggiamento europeo come il migliore esempio “dell’alto livello di neocolonialismo e di imperialismo contro la sovranità dell’Uganda e della Tanzania”.

Il quarto nodo è rappresentato dai fabbisogni di nuovi materiali per la transizione. L’elettrificazione dei sistemi energetici, industriali e di trasporto alla base della transizione richiede un’enormità di nuove materie prime: rame, cobalto, nickel, litio e terre rare, che possono essere reperite soltanto con nuove e intensive attività minerarie enormemente energivore. Si pone il serio problema dell’aumento esponenziale della loro produzione, che se si guardano i numeri è stato giustamente definito sconvolgente: entro il 2040 la produzione di nickel dovrà crescere di 41 volte, quella di cobalto 21 volte, quella di rame di 28 volte e quella di graffite di 28 volte. Perché un così grande consumo di queste materie prime? Semplice: in termini di chilogrammi di minerali necessari per la produzione di un megawatt di energia elettrica gli impianti eolici offshore ne richiedono 16 tonnellate, il solare fotovoltaico 6,8, quando una centrale turbogas chiede appena 1,1 tonnellate. Le energie convenzionali compreso il nucleare sembrano tutte essere assai meno consumatrici di minerali di quanto non siano le fonti rinnovabili (naturalmente solo per la costruzione degli impianti).

E con riferimento all’offerta? Scrive Marcello Minenna su ‘Il Sole 24 Ore’ di domenica scorsa: “…al ritmo attuale di estrazione e considerati i progetti di espansione della produzione già avviati, la domanda globale di rame supererà l’offerta già nel 2025. Non solo. Senza un nuovo piano aggressivo di incremento della capacità produttiva (che vuol dire nuovi giganteschi investimenti minerari) l’offerta comincerà a declinare a partire dal 2024, amplificando il gap con le necessità dell’economia globale. Stesso destino è previsto per il cobalto, con la domanda che supererà l’offerta nel 2024 e nel 2030 dovrebbe essere 2,5 volte maggiore della capacità produttiva globale, prevista sostanzialmente stabile. Per il litio nel 2030 senza uno sforzo senza precedenti per espandere l’estrazione il fabbisogno globale sarebbe 2,5 volte l’offerta”.

Tutto ciò significa come detto nuovi giganteschi investimenti minerari, con altissimi consumi di energia connessi, che la cultura ambientalista vede come il fumo negli occhi. Senza contare che tali fabbisogni sono destinati a creare nuove influenze geo-politiche e nuove dipendenze in particolare a favore della Cina. L’industria chimica cinese raffina il 40% del rame, il 35% del nickel, il 65% del cobalto e il 58% del litio prodotti a livello mondiale. Sulle terre rare si può parlare di monopolio cinese non solo nella produzione ma anche nella raffinazione. Quanto detto dimostra ancora una volta che un approccio ideologico e dogmatico alla transizione energetica rischia di provocare disastri economici e sociali alle economie dell’occidente. Occorre al contrario perseguire la via della neutralità tecnologica, che significa non privilegiare solo le fonti rinnovabili e l’elettrificazione ma anche le altre tecnologie che conducono alla decarbonizzazione di processi, e prodotti  come il nucleare di nuova generazione, i biocombustibili e il biogas, le tecnologie di cattura, stoccaggio e utilizzo delle CO2.

La politica deve prendere nota di queste contraddizioni e correggere il tiro sui metodi e sui tempi della transizione energetica prima che sia troppo tardi.

Per il nuovo dl Aiuti 6,2 miliardi. Ma il voto in Parlamento slitta

Il nuovo decreto Aiuti potrebbe essere l’ultimo atto ‘di peso’ del governo di Mario Draghi. Il Consiglio dei ministri mette a punto la ‘prima fase’ dell’iter con l’approvazione, su proposta del presidente del Consiglio e del ministro dell’Economia, Daniele Franco, della Relazione al Parlamento che aggiorna gli obiettivi programmatici di finanza pubblica sulla base di maggiori entrate, calcolate dal Mef in 6,2 miliardi di euro. Su queste risorse poggia l’impalcatura del provvedimento che servirà a contrastare gli effetti del caro bollette su famiglie e imprese, ma che l’esecutivo non potrà approvare prima della settimana prossima, dopo il via libera del Parlamento, che nel frattempo è fermo per una impasse tutta politica.

Lo stallo che si è generato a Palazzo Madama sul dl Aiuti di inizio agosto, infatti, fa slittare tutto il calendario. Il Movimento 5 Stelle chiede modifiche al testo per sbloccare la situazione della cedibilità dei crediti del Superbonus, di fatto alzando un muro sull’approvazione del testo, che le conferenze dei capigruppo di Senato e Camera sono costrette a rinviare l’approdo in aula, rispettivamente, a martedì 13 e giovedì 15 settembre. Il cambio di programma provoca nuove polemiche tra le forze politiche e la protesta di tre ministre, Elena Bonetti (Pari opportunità e famiglia), Mariastella Gelmini (Affari regionali) e Mara Carfagna (Sud), che vergano una nota congiunta infuocata. “Si tratta di un ritardo inaccettabile, del quale riteniamo debbano assumersi piena responsabilità le forze politiche che continuano a ostacolare in Parlamento l’azione del governo a favore dei cittadini“, scrivono. Rincarando anche la dose: “Questo atteggiamento irresponsabile tiene in ostaggio le imprese esponendole al rischio di chiusura e danneggia pesantemente la vita delle famiglie e dell’intero Paese“.

Nel nuovo decreto dovrebbero trovare spazio l’aumento al 25 della percentuale di prelievo sugli extraprofitti delle aziende energivore (con un allargamento anche a imprese di alcuni settori che hanno conseguito guadagni imprevisti dalla crisi), oltre alla rateizzazione delle bollette per le attività produttive, la Cig, la retromarcia sullo smartworking per i fragili e le misure di contrasto alle delocalizzazioni. Ma ci saranno nuovi interventi “anche in favore del settore agroalimentare, come sottolinea lo stesso Draghi in un messaggio inviato in occasione dell’evento organizzato a Roma da Coldiretti-Filiera Italia. Secondo quanto detto poche ore prima della riunione dal ministro del Turismo, Massimo Garavaglia, ai microfoni di ‘24 Mattino‘, su Radio 24, “l’ordine di grandezza dovrebbe essere intorno ai 10 miliardi“, ma l’obiettivo di Palazzo Chigi sarebbe quello di mettere sul piatto fino a 13 miliardi, anche se già ad agosto le cifre sono state maggiori di quelle attese, nella stesura finale.

A proposito del Cdm, nel corso della riunione il premier ha rivolto l’invito ai ministri a preparare un ordinato passaggio di consegnevolto a fornire al nuovo governo un quadro organico delle attività in corso“. A coordinare le operazioni con i vari responsabili dei dicasteri sarà il sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli. Altro segnale che il tempo dei ‘saluti’ per del governo di unità nazionale è sempre più vicino.