Ue, Parlamento rinvia decisione su Fitto: più tempo per squadra vicepresidenti Commissione

Doveva essere il grande martedì che chiudeva i giochi sulla composizione della Commissione europea. Invece, alla fine, la decisione sui 6 vice presidenti esecutivi designati verrà presa nei prossimi giorni – non si sa quando, potrebbe slittare alla prossima settimana – e sarà figlia di una valutazione complessiva dei candidati, come se fossero parte di un solo ‘pacchetto’ di persone.
Tradotto significa che i gruppi politici disporranno sul tavolo i sei nomi e su di loro cercheranno di trovare una quadra che vada bene a tutti, con reciproche garanzie. In particolare, sull’italiano Raffaele Fitto, dei Conservatori e riformisti europei, audito in commissione Sviluppo regionale del Parlamento, e sulla spagnola Teresa Ribera, socialista.

La presidente del gruppo S&D al Parlamento europeo, Iratxe Garcia Perez, spagnola anche lei, ha specificato ieri che “non si possono mettere Fitto e Ribera sullo stesso piano” perché Ribera rientra nell’accordo tra le forze europeiste (Ppe, S&D, Renew Europe), mentre Fitto è il candidato di una famiglia politica e di un governo sovranisti. “Dall’inizio della legislatura, il Ppe si è sempre accordato con le forze europeiste, con S&D e con i liberali. Ciò che non è accettabile è che ora mettano Fitto sullo stesso piano di Ribera. Ribera è un socialista e l’accordo tra socialisti e popolari deve essere rispettato“, ha scandito. Non ci sta la premier italiana, Giorgia Meloni, che sui social accusa i dem di assumere un atteggiamento “inconcepibile“, chiedendo di togliere al commissario italiano designato la vicepresidenza esecutiva della Commissione Europea. Si rivolge direttamente ad Elly Schlein: “Vorrei sapere dalla Segretaria del PD se questa è la sua posizione ufficiale, sottrarre all’Italia una posizione apicale per impedirle di avere una maggiore influenza anche su settori chiave come agricoltura, pesca, turismo, trasporti e infrastrutture strategiche. Possibile che preferisca mettere il proprio partito davanti all’interesse collettivo?“, chiede.

Molto duri contro il ministro italiano anche i Verdi. I co-presidenti Bas Eickhout e Terry Reintke hanno commentato che “Fitto ha dimostrato più volte, attraverso la sua affiliazione politica di estrema destra, di non sostenere questi valori (dell’Ue, ndr) e di non avere a cuore l’interesse dell’Unione europea e dei suoi cittadini. Ciò lo rende inadatto a rappresentare la Commissione in un ruolo così importante come quello di vicepresidente esecutivo“. Non solo: “Qualsiasi tentativo da parte del Ppe di ritardare le conferme di commissari designati qualificati come Teresa Ribera e Stéphane Séjourné come ritorsione per Fitto significherà che il Ppe sarà responsabile di ritardare la conferma del collegio nel suo complesso, solo per confermare un candidato di estrema destra”. E chiamano a raccolta – i Verdi – “la parte democratica” del Parlamento che “deve essere unita contro la normalizzazione dell’estrema destra”.

In audizione Fitto ha ribadito i motivi per cui si ritiene una figura credibile e affidabile: la rappresentanza degli interessi dell’Ue e non quelli di un partito o di un Paese; l’impegno assunto con l’Europa; il dialogo con tutti e la collegialità delle scelte dell’esecutivo Ue; l’aderenza alle linee guida della presidente von der Leyen e al principio dello Stato di diritto. Un’audizione che ha descritto il futuro lavoro per una nuova politica di Coesione, “più flessibile e meno onerosa”, a misura di Pmi; per “una governance multi-livello” delle politiche di coesione, rafforzando “le relazioni tra governi centrali e locali”; contro lo spopolamento; all’ascolto delle Regioni periferiche e delle isole e in rispetto delle direttrici del Green deal, seppur con “la necessaria flessibilità“.
E, alla fine, l’appello al rendere prioritari gli obiettivi generali. “Nonostante le differenze politiche, 5 anni fa io ho votato a favore di Elisa Ferreira perché era prevalente l’aspetto istituzionale“, ha affermato. “Dobbiamo avere la capacità tutti insieme di mettere davanti gli interessi di carattere generale che mai come in questo momento vengono prima di qualsiasi altra cosa“, ha precisato. A quanto pare, però, serve altro tempo per avere la fotografia completa del prossimo esecutivo Ue.

Ue, Italia perde una presidenza di commissione. Opposizioni: “Rischiamo irrilevanza”

Una sola presidenza di commissione al Parlamento europeo per l’Italia. E’ quella di Antonio Decaro, Pd. Nessun incarico per la Lega, che fa parte del gruppo di estrema destra dei Patrioti, nessuna presidenza a Forza Italia, che lascia quella della commissione Affari costituzionali (era di Salvatore De Meo, passa al tedesco Sven Simon).

In compenso, il Partito Popolare Europeo, il gruppo di cui FI fa parte, fa incetta di presidenze, incassandone otto. Gli azzurri, in verità, rivendicano di aver portato a casa due posizioni in più: Massimiliano Salini è diventato vice di Manfred Weber al Ppe e Caterina Chinnici vicepresidente di ‘Cont’ per il controllo del Bilancio. Forza Italia avrà poi la presidenza di due delegazioni: Ue-Nato con Salvatore De Meo e Ue-Asia centrale con Giusi Princi.
Resta, però, il fatto che il partito guidato dal vicepremier Antonio Tajani non ha più nessuna presidenza di commissione e agli occhi delle opposizioni questa sembra una prima ripercussione del voto contrario dell’Ecr, presieduto da Giorgia Meloni, a Ursula von der Leyen.

Il rischio, che Pd, M5s, Avs, Italia Viva denunciano dal minuto zero è quello di diventare irrilevanti in Europa. “Quando non si sanno rispettare le regole del club, arriva poi il conto da pagare“, tuona Enrico Borghi, capogruppo al Senato di Iv. “Davvero Giorgia Meloni pensa che si possa tranquillamente votare contro alla nomina della Presidente della Commissione Europea, al Presidente del Consiglio Europeo e all’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza, ponendo nei fatti l’Italia all’opposizione della governance Ue, senza ripercussioni? Per correre appresso a Orban e a Salvini, ci sta consegnando all’irrilevanza“, affonda.

Non la pensa così il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ammette di aver apprezzato la coerenza della premier sul voto contrario e minimizza: “Se l’Ue facesse dipendere il ruolo dell’Italia, Paese fondatore, dal voto del partito del presidente del consiglio avrei ragione di criticarla. Se venissimo penalizzati in base a quel voto, potrei criticarla. Ma una cosa è la libertà, in democrazia, di esprimere un voto, un altro il rapporto tra l’istituzione e un Paese”.

Il capo delegazione M5S Pasquale Tridico ottiene intanto un ruolo di peso, la presidenza della sottocommissione per le questioni fiscali.

Al gruppo dei Socialisti e democratici vanno cinque commissioni. Il Pd lascia la commissione Economia (che era di Irene Tinagli), spiegando di aver scelto l’Ambiente per “continuare a dare risposte alle tante emergenze quotidiane legate ai temi di Envi“. In gioco, ribadisce Decaro, “non c’è solo il futuro del nostro continente, ma un nuovo approccio globale alla risorsa pianeta“. Lo scontro sul Green Deal, in questa legislatura, si prospetta ancora più duro: “L’obiettivo di conseguirlo pienamente è certamente una sfida ambiziosa, ma non impossibile”, garantisce l’ex sindaco di Bari.

Furiosa la Lega, totalmente tagliata fuori. Paolo Borchia, capo delegazione della Lega al Parlamento europeo, parla di “furto” e di “attentato alla democrazia”. “Negare incarichi che spettano al gruppo dei Patrioti, come presidenze e vice presidenze delle commissioni parlamentari, che servono anche come ruoli di garanzie al corretto funzionamento del sistema del Parlamento, è un gesto vergognoso che definisce tutta la pochezza politica di forze che insultano non solo rappresentanti eletti, ma soprattutto il voto libero e democratico di milioni di cittadini europei“, lamenta.
Borchia denuncia l’esistenza di un “cordone” in Europa con cui socialisti e popolari hanno “persino dovuto violare il principio di uguaglianza di genere nelle commissioni” e promette battaglia: “La Lega e il gruppo dei Patrioti combatteranno con ogni mezzo e in ogni sede questo abominio istituzionale – assicura -. Il tempo è galantuomo e se ne pentiranno amaramente: si tengano le vice presidenze, noi ci teniamo la dignità”.

Ue, Borchia (Lega): “Obiettivo è modificare Green Deal, sia più sostenibile”

“Stiamo parlando del terzo gruppo del Parlamento Europeo, con dodici nazionalità rappresentate da 84 deputati per cui numericamente” si tratta di “una composizione importante che parte con diversi obiettivi. In primo luogo, l’idea è quella di modificare il Green Deal, tenendo presente che abbiamo bisogno di riuscire a produrre. a lavorare. a spostarci e alimentarci con l’obiettivo della sostenibilità. Però, contestualmente, dobbiamo tenere presente – come altri gruppi hanno già ravvisato ma soltanto in campagna elettorale, quindi senza la coerenza che ci ha caratterizzato negli ultimi cinque anni – che serve un Green Deal che sia maggiormente sostenibile non soltanto dal punto di vista ambientale”. Lo ha detto a GEA ed Eunews Paolo Borchia, capodelegazione della Lega al Parlamento europeo. “Anche perché – ha aggiunto – dobbiamo lavorare sia sulla competitività delle nostre imprese sia sulla possibilità di riuscire a dare ai nostri cittadini il potere d’acquisto che attualmente il mondo reale ci segnala come probabilmente la problematica maggiormente sentita”.

Europee 2024, al voto 360 mln di cittadini: tra virate a destra e maggioranze difficili

Urne aperte per rinnovare il Parlamento più grande al mondo: quello europeo. Quattro giorni di votazioni, circa 360 milioni gli aventi diritto (47,3 milioni di italiani), 27 Stati coinvolti, 720 seggi (di cui 76 per gli italiani). Questo è il contenitore complessivo delle elezioni europee del 2024, anche se una delle domande ricorrenti di queste ore riguarda il possibile astensionismo. Cinque anni fa, i partecipanti al voto aumentarono dell’8,3% rispetto alla volta precedente e l’affluenza arrivò a sfiorare il 51%, trainata dai giovani.

In base ai dati di Eurobarometro raccolti dopo il voto del 2019, infatti, i cittadini sotto i 25 anni alle urne erano aumentati del 14% rispetto al 2014 e quelli di età tra i 25 e i 39 anni del 12%. Ad essere motore di quella scelta fu, in base all’indagine, l’economia e la crescita (per il 44%) e i cambiamenti climatici (37%), ma anche i diritti umani e la democrazia (37%), il modo in cui l’Ue dovrebbe funzionare in futuro (36%) e l’immigrazione (34%). Anche la Brexit fu una ragione per andare alle urne, per il 22%. “L’aumento molto significativo della partecipazione alle elezioni europee di maggio dimostra che i cittadini, soprattutto le giovani generazioni, apprezzano i loro diritti democratici e credono che l’Unione europea sia più forte quando agisce all’unisono per rispondere alle loro preoccupazioni“, commentò l’allora neoeletto presidente, David Sassoli. E la legislatura Ue salpò, cercando di utilizzare per le proprie vele anche il vento verde, soprattutto delle generazioni più giovani, che arrivava dalle piazze. Tant’è che nelle primissime settimane sembrava addirittura possibile una maggioranza arcobaleno, che includesse, oltre a popolari (Ppe), socialisti (S&d) e Liberali (Renew Europe), anche i Verdi.

Non andò così, ma la prima Commissione guidata da una donna, che ha chiesto, e ottenuto, la parità di genere per il suo collegio dei commissari, iniziò a lavorare avendo al centro il Green deal, la transizione digitale, un ruolo più geopolitico per l’Ue, lo stato di diritto, le migrazioni. Poi sono arrivate la pandemia di Covid-19, la guerra di aggressione all’Ucraina e, collegate, le diverse crisi: sanitaria, economica, energetica e di sicurezza. Molte risposte date dall’Ue sono state nuove: per la prima volta nella sua storia l’Ue ha concepito la possibilità di emettere debito comune per far fronte alle conseguenze della crisi sanitaria con il Next Generation Eu; ha comprato vaccini in comune; ha dato il via agli acquisti congiunti di gas (non russo) e perfino di armi, solo per citare qualche esempio.

C’è stato, dunque, uno scatto in comune, un pensare in modo europeo e non più solo nazionale. Ma, allo stesso tempo, la pretesa iniziale non è riuscita ad arrivare fino alla fine. L’annacquamento del Green deal per incontrare il favore degli agricoltori, tanto che una alleggerita legge sul ripristino della natura è ancora in stallo; il Patto su migrazione e asilo, giudicato da molte accreditate associazioni dei diritti umani un passo indietro nei diritti universali e nelle garanzie delle persone migranti; l’ammiccamento alle destre, di contro al ‘cordone sanitario’ che si era proclamato a inizio legislatura, rischiano, a detta di molti, di tenere tanti elettori di 5 anni fa a casa, soprattutto tra i più giovani. Sono oltre 22 milioni i nuovi elettori questa volta (2,8 milioni quelli italiani) e secondo un recente sondaggio Eurobarometro, in Italia, due su tre di loro vogliono utilizzare il proprio diritto di voto ed esprimere la propria voce. Ma in che verso? In base agli ultimi sondaggi, a perdere maggiormente seggi saranno i liberali (-20) e i verdi (-18) seguiti da un modesto calo di 5 deputati per i socialisti. A guadagnare saranno il gruppo Id (24), Ecr (12) e la sinistra (6). Anche il Ppe dovrebbe crescere, di 6 seggi. Dunque, Ppe e Socialisti continueranno a essere i due gruppi più numerosi, ma al terzo posto potrebbe esserci Id, sostituendo i liberali. E al quarto, l’Ecr.

Ovviamente siamo nel campo delle ipotesi e anche i sette gruppi parlamentari della legislatura uscente attendono, ovviamente, i risultati delle urne per capire come far pesare vecchi e nuovi rapporti di forza, per rinnovare o ribaltare le alleanze decisive per la maggioranza. Al momento l’opzione più quotata sembra una riconferma del patto delle forze europeiste che ha retto in questa legislatura, la cosiddetta ‘maggioranza von der Leyen’: Partito popolare europeo (Ppe), Alleanza progressista dei socialisti e dei democratici (S&d) e liberali, Renew Europe.

Anche se i popolari da tempo stanno considerando un potenziale spostamento verso destra, sia per un’intesa liberali-popolari-conservatori come auspicato dal presidente del Ppe, Manfred Weber, sia per l’apertura esplicita arrivata dall’attuale presidente della Commissione e candidata per il Ppe, von der Leyen, alla premier italiana, Giorgia Meloni. Se si considera, però, che non è possibile, secondo i sondaggi attuali, una maggioranza di popolari e conservatori da soli, un’opzione sarebbe un campo larghissimo di destra Ppe-Ecr-Id, ma la quasi totalità dei popolari considera assolutamente impraticabile questo tipo di scenario per via della presenza, in Id e anche in Ecr, di forze estremiste ed anti-Ue. Ma lo scenario dell’abbraccio Ppe-Ecr non è impensabile neanche alla parte socialista. Non a caso, i leader politici progressisti hanno promesso di non cooperare né di formare “mai” una coalizione con l’estrema destra. Altrimenti detto: nessuna alleanza con Ecr o Id al Parlamento europeo.

Legge sul ripristino della natura: Strasburgo mercoledì al voto

Dopo le tensioni degli ultimi mesi, il momento della verità è arrivato. L’Europarlamento riunito da lunedì a giovedì nell’ultima plenaria prima delle vacanze estive, discuterà martedì e voterà mercoledì (12 luglio) sulla proposta di regolamento della Commissione europea sul ripristino della natura, al centro di una vera battaglia politica del Partito popolare europeo (Ppe) in piena campagna elettorale per il 2024.

La mancata maggioranza nella commissione ambiente (Envi) lo scorso 27 giugno sulla prima legge rende l’iter procedurale di questo voto ancora più complesso di un via libera normale. La commissione Envi, non avendo trovato una maggioranza a sostegno della legge, è costretta in quanto commissione competente sul dossier a portare in plenaria un testo di rigetto del provvedimento. Se il rigetto venisse accolto dalla maggioranza semplice dell’Emiciclo, allora la prima lettura in Parlamento europeo sarebbe conclusa qui e spetterebbe al Consiglio Ue decidere se portare avanti il dossier per una seconda lettura oppure no. La Commissione europea è l’unica tra le tre istituzioni ad avere il potere di ritirare il testo, ma se il dossier fosse trascinato in seconda lettura all’Eurocamera e affossato di nuovo allora l’iter legislativo della legge sarebbe ufficialmente concluso.

Se il rigetto venisse invece bocciato, allora Strasburgo finirà a fare un estenuante voto emendamento per emendamento per “costruire” ex novo un testo nuovo. Una terza via è che venga subito accolta la proposta del gruppo dei liberali di Renew Europe di usare come posizione del Parlamento (da emendare) la posizione negoziale adottata dagli Stati membri al Consiglio Ue Ambiente lo scorso 20 giugno, già fortemente annacquata rispetto agli obiettivi originali della Commissione.

Una conta all’ultimo voto e all’ultimo eurodeputato, con S&D, Verdi, Renew e Sinistra decisi a votare pro-natura e quasi tutto il centro destra (Ppe, Id, Ecr) contro. Questo il quadro che si ipotizza, ma è difficile immaginare quale potrebbe essere il risultato dal momento che Ppe e S&D soprattutto, difficilmente voteranno compatti sulla rispettiva posizione. La normativa è da mesi ormai il bersaglio politico del principale gruppo – per numero di seggi, 177 in tutto – al Parlamento europeo, il Ppe, che ne chiede il ritiro dal momento che, a suo dire, potrebbe minacciare la produzione agricola e dunque la sicurezza alimentare in un momento delicato, come quello attuale, della guerra di Russia in Ucraina. Il Ppe ha denunciato nelle scorse settimane che gli obiettivi della legislazione “mettono a rischio la sicurezza dell’Ue” e che la valutazione d’impatto presentata dall’esecutivo comunitario non chiarisce nei fatti quali potrebbero essere le ricadute della strategia sulla produzione agricola e sul costo della vita. Per alcuni, una mossa politica in vista delle elezioni europee del 2024, per trovare consenso nell’elettorato agricolo. L’opposizione del Ppe ha provocato la bocciatura a maggio nelle commissione Agricoltura (Agri) e Pesca (Pesch).

La Legge sul ripristino della natura è stata proposta dalla Commissione Ue a giugno 2022 e prevede un obiettivo di ripristino degli ecosistemi del 20 per cento delle aree terrestri e marine dell’Ue entro il 2030 e in tutte le aree danneggiate dall’inquinamento o dallo sfruttamento intensivo (foreste, pascoli, ecc.) entro il 2050. Lo scorso 20 giugno gli Stati membri al Consiglio Ue Ambiente hanno dato via libera alla loro posizione politica per avviare il negoziato con l’Eurocamera, una volta che a sua volta avrà adottato una posizione. Su questo voto in Consiglio l’Italia ha deciso di votare contro insieme a Finlandia, Polonia, Paesi Bassi e Svezia (che tra l’altro è alla guida semestrale dell’Ue) mentre Austria e Belgio hanno deciso di astenersi.

Etichettatura degli alcolici: la posizione del Parlamento Ue

La Commissione “non prende minimamente in considerazione la posizione del Parlamento Europeo”. L’accusa dell’eurodeputato del Pd Paolo De Castro contro l’esecutivo comunitario sul via libera all’etichettatura dell’Irlanda a proposito degli avvisi sui rischi del consumo di alcol per la salute è particolarmente dura e parte dal voto dello scorso anno del Parlamento Ue sulla strategia anti-cancro, di cui proprio De Castro è stato firmatario di quattro emendamenti insieme al connazionale Herbert Dorfmann (Ppe). Era il 16 febbraio del 2022 quando l’Eurocamera approvava “a larghissima maggioranza una risoluzione che esclude categoricamente l’introduzione di sistemi di etichettatura sanitari, come quelli presenti sui pacchetti di sigarette”, è l’affondo dell’eurodeputato del Partito Democratico.

Ma cosa è previsto esattamente nella risoluzione del Parlamento Ue a proposito dell’etichettatura non solo del vino, ma anche di birra e altri alcolici? Prima di tutto va ricordato che gli eurodeputati fanno esplicitamente riferimento allo studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che “riconosce che il livello più sicuro di consumo di alcool non esiste per quanto riguarda la prevenzione oncologica”. Allo stesso tempo non viene negata la necessità di lottare contro il “consumo dannoso di alcool”, con l’aperto sostegno all’obiettivo della Commissione di fissare come asticella minima la riduzione del “10% entro il 2025”. Allo stesso tempo esecutivo Ue e Stati membri sono incoraggiati a “promuovere azioni tese a ridurre e prevenire i danni provocati dall’alcool nel quadro della revisione della strategia europea sull’alcool”.

Analizzando specificamente la questione delle etichette, è messa nero su bianco dal Parlamento Ue la “necessità di offrire ai consumatori informazioni appropriate migliorando l’etichettatura delle bevande alcoliche”, ma non si fa effettivamente nessun riferimento a questioni di tipo sanitario, almeno sul piano degli effetti che il consumo di bevande alcoliche ha sull’organismo. Nel testo compare invece “l’inclusione di informazioni su un consumo moderato e responsabile di alcool” (il classico ‘bevi responsabilmente’ delle pubblicità) e “degli ingredienti e delle informazioni nutrizionali”, come qualsiasi altro cibo commercializzato. Rimane centrale invece l’impegno contro l’abuso e a “tutela dei minori dall’esposizione alla comunicazione commerciale sul consumo” di bevande alcoliche: “La pubblicità non dovrebbe rivolgersi espressamente ai minori e non dovrebbe incoraggiare il consumo di alcool”, precisano gli eurodeputati.

In merito alla possibile divergenza dell’Irlanda sull’etichettatura delle bottiglie – su cui l’Italia sta spingendo con Spagna e Francia per promuovere invece ‘un’etichetta salutista’ che assomigli a un bugiardino per i medicinali, con i pro e i contro dell’assunzione di alcol – un anno fa gli eurodeputati chiedevano al gabinetto von der Leyen e ai 27 governi Ue di “adottare sistemi europei di etichettatura armonizzati e obbligatori sulla parte anteriore delle confezioni, sviluppati sulla base di dati scientifici solidi e indipendenti”, con l’obiettivo di “incoraggiare e aiutare i consumatori a prendere decisioni informate, sane e sostenibili”. A questo proposito può essere utile citare ancora il testo della risoluzione approvata dal Parlamento Ue il 16 febbraio dello scorso anno: “L’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc) ha classificato l’etanolo e l’acetaldeide da metabolismo dell’etanolo contenuti nelle bevande alcoliche come cancerogeni per l’essere umano” e soprattutto “in Europa circa il 10% di tutti i casi di cancro negli uomini e il 3% nelle donne sono riconducibili al consumo di alcool”.

catastrofe naturale

Ue, Consiglio pronto al negoziato col Parlamento su eco-crimini

Nuovi reati e soprattutto nuove pene, in nome dell’ambiente. Il Consiglio dell’Ue ha approvato la posizione per direttiva sulla criminalità ambientale, e può procedere adesso al negoziato inter-istituzionale con il Parlamento. I 27 Stati membri sostengono il principio per cui il patrimonio faunistico e floreale dell’Ue vada protetto e, in caso di azioni che lo compromettano, rendere indagini più snelle per una migliore certezza della pena.

Una delle principali novità è l’armonizzazione a livello europeo delle sanzioni persone fisiche e, per la prima volta, giuridiche. Nel caso di persone fisiche si prevede la reclusione non inferiore a dieci anni per i delitti colposi che causano la morte di chiunque; reclusione fino a cinque anni per i delitti commessi con “negligenza almeno grave” che cagiona la morte di chiunque. Prevista poi reclusione massima di cinque anni per gli altri reati dolosi. Nel caso delle persone giuridiche, invece, il testo prevede per i reati più gravi una sanzione pecuniaria massima non inferiore al 5% del fatturato mondiale complessivo della persona giuridica, o in alternativa 40 milioni di euro.

Per tutti gli altri reati scatterà una sanzione pecuniaria non inferiore al 3% del fatturato mondiale complessivo della persona giuridica, o in alternativa 24 milioni di euro.

In base al testo su cui i rappresentanti degli Stati membri hanno saputo trovare l’intesa, possono inoltre essere adottati anche ulteriori provvedimenti, tra cui l’obbligo per il trasgressore di ripristinare l’ambiente o di risarcire il danno, l’esclusione dall’accesso a finanziamenti pubblici o la revoca di permessi o autorizzazioni.

In aggiunta il testo contempla la necessità di fornire formazione a coloro che lavorano per individuare, indagare e perseguire i reati ambientali e di destinare risorse adeguate. Include anche disposizioni sul sostegno e l’assistenza alle persone che denunciano reati ambientali, ai difensori dell’ambiente e alle persone colpite da tali reati.

L’intervento legislativo dell’Unione europea si è reso necessario per un fenomeno, quello degli eco-reati, in aumento e difficile da rilevare, perseguire e punire. Una libertà che fa male all’ambiente e, di conseguenza sulla salute umana. In tal senso, recita il testo, i sistemi sanzionatori esistenti allo stato attuale “non sono stati sufficienti in tutti i settori della politica ambientale per garantire la conformità con il diritto dell’Unione per la protezione dell’ambiente”. Da qui la necessità di intervenire e porre rimedio. “Oggi abbiamo compiuto un passo avanti verso l’ottenimento di uno strumento giuridico per proteggere l’ambiente”, sottolinea un soddisfatto Pavel Blazek, ministro della Giustizia della Repubblica ceca, Paese con la presidenza di turno del Consiglio Ue . “La protezione dell’ambiente è una delle principali sfide della nostra generazione, sia nell’UE che nel resto del mondo”. Come Unione europea, aggiunte, “dobbiamo assicurare alla giustizia gli individui e le organizzazioni che traggono profitto da attività che mettono a rischio la nostra salute e danneggiano i nostri ecosistemi”.

La conferma del Parlamento Ue per gas e nucleare in tassonomia verde

Nessuna obiezione. O meglio, un’obiezione c’era ma non è passata al voto dell’Eurocamera. Il Parlamento europeo riunito a Strasburgo in sessione plenaria ha deciso mercoledì (6 luglio) a maggioranza assoluta di non bocciare la proposta della Commissione europea di includere, a certe condizioni e per un tempo limitato, anche il gas e l’energia nucleare nel sistema di classificazione degli investimenti sostenibili, la cosiddetta tassonomia ‘verde’ dell’Ue.

Il voto a Strasburgo ha spaccato quasi a metà l’Eurocamera, mettendo in luce divisioni sulla questione all’interno delle stesse famiglie politiche. Sono stati 278 i deputati a votare a favore del veto, 328 contrari e 33 si sono astenuti (su 639 votanti totali), ma per porre il veto alla proposta della Commissione sarebbe stata necessaria una maggioranza assoluta di 353 deputati (su 705). Passa, dunque, la linea della Commissione europea che vede nell’energia dell’atomo e nel gas nucleare non tanto fonti di energia ‘verdi’ in senso proprio, ma utili e necessarie alla transizione e nel passaggio dall’elettricità prodotta dal carbone a quella 100% rinnovabile.

Sui numeri della bocciatura non ci sono state grandi sorprese, prima del voto e grazie agli orientamenti dei gruppi politici già espressi si contavano poco più di 250 deputati a favore del veto. Rimanevano fuori un centinaio di deputati indecisi che infine non sono stati tutti convinti. A votare contro l’atto delegato (quindi a favore dell’obiezione) sono stati principalmente i Verdi europei (gli unici a votare davvero compatti contro la Commissione), la Sinistra e la maggioranza dei Socialisti&Democratici (S&D). A favore dell’atto delegato così come è stato presentato dalla Commissione, si è espressa invece la maggioranza del Partito popolare europeo (il gruppo maggioritario in Eurocamera, con 177 seggi), i Conservatori e riformisti di ECR, la destra di Identità e democrazia) e buona parte del gruppo dei liberali di Renew Europe (fedeli alla linea del presidente francese Emmanuel Macron pro-nucleare). Gli eurodeputati italiani hanno seguito essenzialmente la linea del gruppo parlamentare a cui appartengono all’Europarlamento (anche se una vera e propria linea non c’era): i deputati del Pd nel gruppo dei S&D hanno votato compatti a favore dell’obiezione insieme ai Verdi e al Movimento 5 Stelle tra i Non Iscritti. Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Italia Viva contro, come PPE, ID, ECR e Renew di cui rispettivamente fanno parte.

Il voto di oggi fa tirare un sospiro di sollievo alla Commissione europea, che ha proposto questo secondo atto delegato dedicato alle “fonti di transizione” all’inizio di febbraio dopo oltre un anno di ritardo, stretta tra le pressioni tanto dei governi tanto delle industrie e delle lobby. “Il voto è un riconoscimento importante del nostro approccio pragmatico e realistico nell’aiutare molti Stati membri nel loro percorso di transizione verso la neutralità climatica”, ha scritto l’Esecutivo in una nota dopo aver saputo dei risultati. Precisa inoltre che l’inclusione “delle attività transitorie del gas e del nucleare è una piccola, anche se necessaria, parte dell’intera tassonomia dell’Ue, che è incentrata sulle energie rinnovabili”. Pochi minuti prima dell’inizio delle votazioni a Strasburgo, proprio la presidente Ursula von der Leyen aveva chiarito in conferenza stampa che se fosse passato il veto all’Europarlamento (costringendo la Commissione a ritirare o modificare in maniera sostanziale l’atto), l’Esecutivo non avrebbe presentato una nuova proposta.

La tassonomia verde è un sistema di classificazione per stabilire criteri comuni a livello europeo per le attività economiche sostenibili a livello ambientale con cui finanziare il Green Deal, così da orientare gli investimenti (principalmente quelli privati). A livello normativo si tratta di un regolamento che fissa sei obiettivi ambientali, che non possono essere compromessi da un’attività considerata “sostenibile” a livello ambientale così come un’attività economica per entrare nella tassonomia deve contribuire “in maniera significativa” al raggiungimento di almeno uno di questi. Alla legislazione europea “secondaria”, ovvero agli atti delegati (che Parlamento e Consiglio non possono emendare ma solo approvare in blocco), la Commissione ha affidato il compito di stabilire i criteri specifici per le singole attività.

Il primo atto delegato è stato presentato ad aprile 2021, coprendo oltre dieci settori dall’energia rinnovabile alla silvicoltura passando per la ristrutturazione degli edifici e i trasporti. Il secondo atto delegato, quello che deve definire i criteri per gas e nucleare tra le attività di transizione, è stato presentato solo a febbraio di quest’anno. Il voto di oggi apre la strada all’approvazione della proposta anche da parte degli Stati membri entro l’11 luglio. Solo una maggioranza rafforzata di 20 su 27 Stati membri potrebbe affossare l’atto in seno al Consiglio, molto difficile che si raggiunga. Senza opposizioni da parte dei co-legislatori, l’atto delegato sulla tassonomia entrerà in vigore e si applicherà a partire dal primo gennaio 2023.

Proprio perché in seno al Consiglio non è verosimile una maggioranza per bocciare l’atto (non dovrebbe esserci neanche un vero e proprio voto), i pochi Stati membri convintamente contrari sono pronti a trovare altre vie per far sentire le ragioni del proprio dissenso alla Commissione europea. Come già annunciato all’indomani della presentazione da parte dell’Esecutivo europeo, i governi di Lussemburgo e Austria hanno confermato oggi l’intenzione di avviare un’azione legale contro la Commissione europea per la decisione.

Da Parlamento Ue ‘sì’ a gas e nucleare in tassonomia verde

Sì a gas e nucleare nella tassonomia ‘verde’ dell’Unione Europea, il sistema di classificazione degli investimenti sostenibili. È la decisione che ha preso il Parlamento europeo, riunito a Strasburgo in plenaria, ponendo però delle condizioni fra cui un limite di tempo. La risoluzione di obiezione alla Tassonomia ha ricevuto 328 voti contrari e 278 favorevoli, con 33 astenuti su un totale di 639 votanti. Il Parlamento era chiamato a votare sull’obiezione alla proposta della Commissione Ue di includere, appunto, gas e nucleare in tassonomia.

Lo scorso 14 giugno, le commissioni competenti per il dossier, Ambiente (ENVI) e Affari economici (ECON), in una sessione riunita avevano sostenuto l’obiezione (76 voti a favore, contrari 62 e 4 astensioni), che non è però stata confermata dall’Eurocamera.

C’è ancora tempo fino all’11 luglio affinché Parlamento e Consiglio possano sollevare obiezioni alla proposta, ma se questo non accadrà l’atto delegato sulla tassonomia verrà applicato dal 1 gennaio 2023. Poco prima del voto la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen aveva precisato che se il Parlamento avesse bocciato la proposta, non ce ne sarebbe stata una nuova da parte dell’esecutivo.

La tassonomia verde è un sistema di standard e criteri comuni a livello europeo per classificare le attività economiche sostenibili a livello ambientale con cui finanziare il Green Deal. Introdurre a livello europeo un’etichetta verde per gli investimenti, con l’obiettivo di mobilitare grandi somme di capitale (provenienti in particolare dal settore privato) in attività che contribuiscano ai suoi obiettivi climatici e ambientali. Le attività escluse dalla tassonomia non saranno vietate nell’Ue, ma l’idea alla base della classificazione è quella di fare in modo che la gran parte delle risorse private siano investite in attività o progetti che ne fanno parte. Nei fatti la tassonomia si traduce in un regolamento che ha stabilito 6 obiettivi ambientali: mitigazione e adattamento al cambiamento climatico, l‘uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine; la transizione verso un’economia circolare; la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento; la protezione e il ripristino della biodiversità e degli ecosistemi. Un’attività economica per entrare nella tassonomia deve contribuire “in modo significativo” al raggiungimento di uno di questi sei obiettivi fissati da Bruxelles, ma nessuno di questi obiettivi può essere compromesso (ovvero, l’attività non può arrecare un danno significativo).

Un caricabatterie universale per ridurre i rifiuti elettronici

Via libera dagli eurodeputati ai negoziati interistituzionali con il Consiglio dell’UE sulla revisione della direttiva sulle apparecchiature radio. Con l’approvazione in sessione plenaria della propria posizione, il Parlamento europeo è pronto per l’introduzione di un caricatore universale per la maggior parte dei dispositivi ricaricabili tramite cavo: smartphone, tablet, fotocamere digitali, cuffie e auricolari, console per videogiochi e altoparlanti portatili. Tutti dispositivi che potranno essere ricaricati con un unico caricatore, riducendo così l’accumulo di rifiuti elettronici attualmente prodotti ogni volta che si acquista, con un nuovo dispositivo, un nuovo caricabatterie.

Mezzo miliardo di caricatori per dispositivi portatili spediti in Europa ogni anno, tra le 11 mila e le 13 mila tonnellate di rifiuti elettronici. Un unico caricabatterie per telefoni cellulari e altri dispositivi elettronici di piccole e medie dimensioni andrebbe a beneficio di tutti”, ha commentato il relatore maltese, Alex Agius Saliba. “Questo è un cambiamento politico globale”, ha aggiunto l’eurodeputato socialdemocratico, presentando la relazione. Nella posizione degli eurodeputati viene specificato che, per i nuovi dispositivi, servono “informazioni chiare e un’etichettatura sulle opzioni di ricarica”, per rendere le scelte di acquisto più semplici per i consumatori, “che spesso possiedono diversi dispositivi e non sempre hanno bisogno di caricabatteria aggiuntivi”. Al centro del progetto c’è la necessità di abbattere gli sprechi nel continente, ma anche di risparmiare costi non necessari e ridurre gli svantaggi per i consumatori.

Ma il Parlamento europeo si è spinto oltre, affrontando anche le criticità della proposta della Commissione. Nei negoziati interistituzionali sarà preso in considerazione l’uso “sempre più frequente” della ricarica wireless e, se si troverà un accordo, alla Commissione verrà chiesto di presentare entro la fine del 2026 una strategia “che permetta a qualsiasi nuova soluzione di ricarica di funzionare in combinazione con le altre”. L’obiettivo è ridurre ulteriormente i rifiuti elettronici e contrastare i cosiddetti effetti lock-in (quelli che si verificano quando un consumatore dipende da un singolo produttore). Per tutti i gruppi al Parlamento Europeo “il 2025 è una scadenza verosimile per includere in questa legislazione anche le ricariche senza filo”, considerato che “i nuovi smartphone usciranno solo con questo tipo di caricabatterie”.

Inoltre, “stiamo espandendo la portata della proposta, aggiungendo più prodotti, che dovranno essere conformi alle nuove regole”, ha puntualizzato Agius Saliba. Se la revisione della direttiva fa parte dello sforzo delle istituzioni europee di ridurre i rifiuti elettronici, gli eurodeputati non capiscono perché non sono stati inclusi computer portatili, e-reader, mouse, giocattoli elettronici, lampade e gps che usano la porta usb: “Vanno tutti ripresi nel testo, per influenzare scelte sostenibili da parte dei consumatori al momento dell’acquisto”, ha sottolineato con forza il relatore.