centrale Zaporizhzhia

Raid su Zaporizhzhia: a rischio costante di incidente nucleare

Bombardamenti in serie, ripetute interruzioni di corrente, personale ucraino sotto pressione: la centrale elettrica di Zaporizhzhia, situata nel sud dell’Ucraina e occupata dall’esercito russo, vive sotto la costante minaccia di un disastro nucleare.
Dopo un primo timore, quando Mosca ha preso il controllo del sito il 4 marzo, la situazione è peggiorata notevolmente dall’inizio di agosto. I raid, di cui Mosca e Kiev si accusano a vicenda, si susseguono in tutta l’area della centrale, a ridosso della linea del fronte.
L’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), che ha finito per lasciare esperti sul posto, ha parlato di aver sentito “una buona dozzina” di spari questo fine settimana. “Chiunque sia, la smetta con questa follia!”, ha esortato il direttore generale Rafael Grossi. “È un atto assolutamente deliberato e mirato.” Danni sono già stati registrati in varie località, anche se al momento il livello di radiazione è rimasto normale e l’alimentazione esterna non è stata influenzata. “Sebbene non ci sia stato un impatto diretto sui principali sistemi di sicurezza, il bombardamento è arrivato pericolosamente vicino. Stiamo parlando di metri, non di chilometri“, ha detto il capo dell’organismo delle Nazioni Unite. Il team di esperti dell’Aiea prevede di concludere oggi una valutazione dell’impatto dei bombardamenti degli ultimi due giorni sul sito.

Per l’amministratore delegato della società statale russa per l’energia atomica Rosatom, Alexei Likhachev, “l’impianto è esposto al rischio di un incidente nucleare” per volere degli ucraini. Allo stesso tempo, per Kiev “il bombardamento della centrale nucleare è la tattica russa per interrompere le forniture di energia agli ucraini, gli attacchi durante il fine settimana equivalgono a una campagna genocida per privare i cittadini dell’elettricità e far congelare gli ucraini fino a che muoiono“, come ha dichiarato il consigliere del Ministero della Difesa ucraino Yuriy Sak.
Le sei unità sovietiche dell’impianto, la più grande d’Europa, finora sono state risparmiate. Sono protette da “recinti di contenimento piuttosto robusti”, ha detto il consulente Tariq Rauf, ex funzionario dell’AIEA, “ma ovviamente non sono stati progettati per resistere a una guerra”.

L’altro rischio è quello di un’interruzione di corrente prolungata. Normalmente, i sistemi dell’impianto sono alimentati da quattro linee da 750 kilovolt (kV), che sono state ripetutamente danneggiate dai bombardamenti. In caso di guasto alla rete, la corrente può essere fornita da altre linee tramite una vicina centrale termica. Tuttavia, anche questa è regolarmente colpita.

GAZPROM

La procura svedese conferma: Grave sabotaggio a Nord Stream

Quanto accaduto alla fine di settembre ai gasdotti Nord Stream 1 e 2 è stato “un sabotaggio“. A un mese e mezzo circa dalle 4 falle trovate sui condotti nel Mar Baltico – costruiti per portare il gas russo in Europa – la procura svedese ha confermato che non si è trattato di un incidente, ma della mano dell’uomo. Lo ha annunciato il procuratore incaricato delle indagini preliminari svolte in Svezia, Mats Ljungqvist. “Le analisi che sono state effettuate mostrano resti di esplosivo“, ha spiegato il pm. L’ipotesi del sabotaggio si era fatta strada quasi fin da subito. Secondo l’accusa il proseguimento delle indagini preliminari potrà dimostrare se qualcuno dovrà essere perseguito per un reato.

Nelle ultime settimane a livello internazionale si è discusso molte volte di eventuali responsabilità. La Russia ha sempre negato il suo coinvolgimento nei sabotaggi e, anzi, ha accusato la Marina britannica dei danni ai gasdotti.

A fine settembre erano state rilevate quattro enormi fughe di gas sui gasdotti che collegano la Russia alla Germania. Due si trovavano nella zona economica svedese e due in quella danese. Le ispezioni subacquee preliminari avevano rafforzato i sospetti di sabotaggio, poiché le perdite erano state precedute da esplosioni. A fine ottobre il consorzio Nord Stream, di cui la russa Gazprom è azionista di maggioranza, aveva inviato una nave civile battente bandiera russa per effettuare un sopralluogo nella zona svedese. A novembre Nord Stream ha ricevuto anche l’autorizzazione a ispezionare i gasdotti nell’area danese, dove è in corso un’altra indagine.

Dall’invasione dell’Ucraina da parte di Mosca, i due gasdotti, che collegano la Russia alla Germania, sono stati al centro delle tensioni geopolitiche, alimentate dopo la decisione di Mosca di interrompere le forniture di gas all’Europa come presunta rappresaglia contro le sanzioni occidentali. Fuori servizio al momento dei fatti, i due gasdotti contenevano comunque ingenti quantitativi di metano, che sono fuoriusciti per diverse settimane.

I ministri dell’Interno del G7, riuniti a Eltville (ovest), non lontano da Francoforte, hanno ribadito l’impegno ad affrontare le “minacce ibride” alla sicurezza, acuite dalla guerra in Ucraina, sia che si tratti del rischio di danni alle infrastrutture critiche sia della manipolazione di alcune informazioni. Parlando di “minacce ibride” da “attori statali e non statali” volte a seminare “insicurezza” e “divisione” , soprattutto contro infrastrutture critiche, i ministri hanno fatto riferimento proprio al sabotaggio dei gasdotti Nord Stream.

Giorgia Meloni e Joe Biden

Meloni al G20 incontra Biden e Erdogan: Russia e crisi dell’energia al centro

Alla fine della giornata, Giorgia Meloni sfila in abiti tradizionali indonesiani, come tutti i leader presenti al G20 di Bali, per la cena di gala nel primo giorno di lavori. Ma la giornata per lei inizia presto ed è intensa. Nella hall dell’hotel dove alloggia, si intrattiene per qualche minuto con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, uno scambio di battute e una sigaretta. Non si ferma a parlare con i cronisti, farà un punto sulla due giorni oggi, prima di ripartire per l’Italia. “C’è un clima fresco, ragazzi!”, ironizza, sul caldo torrido indonesiano. Arriva alle 9.20 (le 2.20 del mattino in Italia) all’Hotel Apurva Kempinski, inizia il vertice. Entra subito prima del presidente francese Emmanuel Macron, ma con lui nella giornata, nessun passaggio. Quarantuno persone al tavolo, solo quattro le donne presenti, ma è lei l’unica capa di governo. Le altre tre sono in rappresentanza di organizzazioni internazionali: Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea; Kristalina Georgieva, direttrice del Fondo Monetario Internazionale; Ngozi Okonjo-Iweala, direttrice dell’organizzazione mondiale del commercio. Due interventi in plenaria, uno ai lavori sulla sicurezza energetica e alimentare, l’altro sulla salute globale. Qui siede al tavolo ‘presidenziale’ con Joe Biden, Narendra Modi (che ospiterà il G20 il prossimo anno), il presidente indonesiano (che ospita il vertice quest’anno) Joko Widodo, e il presidente della Repubblica Popolare cinese, Xi Jinping.

E’ il bilaterale con Biden, un colloquio durato quasi un’ora, l’appuntamento chiave. Le conseguenze della guerra in Ucraina dominano, ancora una volta, il dibattito. Nel raccontarlo, la Casa Bianca usa la stessa espressione utilizzata da Meloni nel primo intervento al G20: al centro ci sono crisi climatica e “uso dell’energia come arma da parte della Russia”, oltre che le sfide poste dalla Repubblica Popolare Cinese, l’impegno a fornire all’Ucraina il sostegno necessario per difendersi e a ritenere la Russia “responsabile della sua aggressione“. “Il colloquio – spiega più vagamente Palazzo Chigisi è incentrato sulla solidità dell’alleanza transatlantica e sull’eccellente cooperazione per fare fronte alle sfide globali, dalla crescita economica alla sicurezza comune“.

Dopo Biden, la premier incontra anche il presidente turco Recep Tayyip Erdogan. L’attentato di Istanbul, le prospettive per il Mediterraneo e, ancora una volta, gli sviluppi della “guerra d’aggressione russa all’Ucraina” i temi sul tavolo, con “le principali sfide che si pongono di fronte alla Comunità internazionale, che vedono impegnate insieme Turchia e Italia”, spiega l’Italia.
In giornata, uno scambio di battute, prima della seconda sessione plenaria, con il cancelliere tedesco Olaf Scholz (è lui che si avvicina a lei) e un incontro informale, a margine dei lavori, con il presidente del Consiglio europeo Charles Michel.

Oggi, prima di lasciare l’Indonesia, la giornata sarà altrettanto lunga, altri quattro bilaterali in agenda: con il presidente cinese, Xi-Jinping, il premier canadese, Justin Trudeau, quello giapponese, Fumio Kishida, quello indiano, Narendra Modi.

nave grano

Le conseguenze della guerra: nodo del grano al G20, il tempo stringe

E’ la guerra in Ucraina il convitato di pietra del G20. Di tutte le sue ripercussioni, in ogni loro sfaccettatura, i leader si troveranno a discutere a Bali, in Indonesia, nella due giorni più attesa. Oltre alla crisi energetica, alla sicurezza e all’inflazione galoppante, torna lo spettro della carestia. Perché tra soli cinque giorni scadrà l’accordo sui corridoi sicuri per il trasporto del grano e l’Africa, provata, trema ancora. Il 19 novembre è alle porte e, per ora, la Russia continua a negare la proroga.
E’ “essenziale per la sicurezza alimentare mondiale“, ricorda il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres. “L’iniziativa per i cereali del Mar Nero e gli sforzi per garantire che i prodotti alimentari e i fertilizzanti russi possano fluire verso i mercati mondiali sono indispensabili per la sicurezza alimentare globale“, avverte, chiedendo “un’azione urgente per scongiurare la fame in un numero crescente di luoghi nel mondo”.

L’accordo, siglato il 22 luglio a Istanbul sotto l’egida delle Nazioni Unite e della Turchia, è stato fondamentale, finora, per evitare nuovi aumenti dei prezzi e risparmiare la fame a milioni di persone. Oltre 10 milioni sono state le tonnellate di cereali e prodotti alimentari sbloccate e partite dall’Ucraina grazie ai corridoi.
Venerdì le Nazioni Unite e i funzionari di Mosca hanno discusso dello stato delle esportazioni dei fertilizzanti dalla Russia, necessari per combattere la crisi alimentare. Senza troppo successo, anche se, grazie al Programma Alimentare Mondiale, i Paesi Bassi hanno permesso una spedizione di 20mila tonnellate per il Malawi. Poco, troppo poco per le necessità del continente.

Il mondo non può permettersi di lasciare che i problemi globali di accessibilità ai fertilizzanti diventino una carenza alimentare globale“, scrive l’Onu in una nota, dopo l’incontro tra la segretaria generale per il Commercio e lo Sviluppo, Rebeca Grynspan, il capo dell’agenzia umanitaria, Martin Griffiths, e il vice ministro degli Esteri russo Sergey Vershinin. Le discussioni, assicurano le Nazioni Unite, sono state “costruttive”

Nube metano Nord Stream

Da Nord Stream nube metano su Europa. L’esperto: Contributo a cambiamento climatico

Non solo problemi di approvvigionamento energetico, ma anche ambientali. Le esplosioni e la fuga di gas nei gasdotti Nord Stream hanno infatti creato una “grande nuvola di metano” su Norvegia e Svezia che si teme possa arrivare anche sull’Italia. A dare la notizia sono stati i media dei due Paesi. Secondo i calcoli di Stephen Matthew Platt, scienziato del clima presso l’istituto norvegese di ricerca sull’aria Nilu, si tratta di circa 40.000 tonnellate di metano rilasciate dal sospetto sabotaggio: il doppio delle emissioni annue di metano nazionali norvegesi dell’industria petrolifera e del gas. “Sono livelli record, non abbiamo mai visto niente di simile prima in Norvegia e Svezia”, ha riferito Platt, sottolineando tuttavia che l’elevata concentrazione di metano non rappresenta un grave pericolo per le persone. L’allarme è immediatamente scattato in Italia, anche se, secondo l’esperto del Cnr e amministratore del consorzio Lamma Bernardo Gozzini, contattato da GEA, “non è sicuro che la nube di metano arriverà in Italia”, visto che, secondo una ricostruzione fatta al computer, “avrebbe avuto una traiettoria divisa in due parti, una è andata verso le isole Svalbard, l’altra verso la Gran Bretagna e la Francia”. In ogni caso, se anche arrivasse, sarebbe molto diluita” sull’Italia. Il rischio non sarebbe immediato, ma l’incremento di metano nell’atmosfera contribuisce all’effetto serra. Questo, appunto, il problema anche secondo Alessandro Di Menno, ricercatore Ispra, che spiega a GEA come “il metano è un gas serra, non un inquinante atmosferico tradizionale. Non ha un effetto diretto sulla salute umana, come ad esempio il monossido di carbonio. Ma è nella nube c’è una quantità di gas serra potente, molto più climalterante della Co2“. “E’ una cosa nuova, gli effetti non li vedremo nell’immediato, diciamo che è un altro bel contributo sul cambiamento climatico, è come aver emesso una grande, grandissima, quantità di Co2 tutta in una volta – precisa -. La nube ad ogni modo si disperderà, arriverà in forma molto diluita“.

Intanto, al netto dell’aspetto ambientale e climatico, continua il rimpallo di accuse sul presunto sabotaggio a Nord Stream che ha causato la perdita. Secondo un rapporto ufficiale presentato da Svezia e Danimarca alle Nazioni Unite, a causare le quattro perdite nel Mar Baltico sarebbero state esplosioni sottomarine equivalenti a “centinaia di chilogrammi” di TNT. “La magnitudo delle esplosioni è stata misurata rispettivamente a 2.3 e 2.1 della scala Richter, il che probabilmente equivale a una carica esplosiva di centinaia di chili“, hanno dichiarato i due Paesi scandinavi in una comunicazione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che si riunirà venerdì a New York su richiesta della Russia. “Tutte le informazioni disponibili indicano che queste esplosioni sono il risultato di un atto deliberato“, hanno scritto Svezia e Danimarca nella loro lettera al segretario generale delll’Onu, senza nominare alcun Paese responsabile. Mosca, da parte sua, prima ha rivolto tramite il capo del Servizio di intelligence estero della Federazione Russa, Sergei Naryshkin, le sue attenzioni su una “impronta occidentale nell’organizzazione e nell’attuazione di questo atto terroristico”, poi lo stesso presidente Vladimir Putin ha accusato gli “anglosassoni” che “organizzando esplosioni sui gasdotti internazionali hanno di fatto iniziato a distruggere le infrastrutture energetiche europee“. Immediata la risposta del segretario di Stato americano Antony Blinken che giudica le accuse una “oltraggiosa disinformazione”, mentre il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg conferma che l’Alleanza continua a sostenere “gli sforzi di investigazione per capire chi è dietro a questi attacchi”.

Photo credits: ICOS Integrated Carbon Observation System

gas stoccaggio

Gli stoccaggi gas in Italia sono a livello del 2021 e -11% sul 2020

Da Cernobbio, qualche giorno fa, il commissario europeo agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, affermava che la Ue “è pronta allo stop del gas”, dato che sono “aumentati gli stoccaggi. Nelle ultime settimane infatti le scorte sono cresciute, una corsa agli acquisti su spinta degli Stati che ha anche contribuito all’impennata dei prezzi sulla borsa di Amsterdam. Per cui all’8 settembre, in base ai dati dell’Aggregated Gas Storage Inventory (Agsi), gli stoccaggi della Ue sono pieni all’82,77%. Nel dettaglio la Germania è all’86,95%, la Francia al 94%, la Spagna all’85,96% e l’Italia all’84,46%, sopra dunque la media europea ma sotto quella dei principali Stati dell’Unione. Se però confrontiamo il dato degli stoccaggi con quelli dell’8 settembre di due anni fa, anno pandemico per eccellenza, notiamo che le scorte in realtà erano addirittura superiori a quelle attuali, quando il prezzo del gas era di appena 14-15 euro per megawattora.

L’8 settembre del 2020, sempre secondo i dati Agsi, la percentuale di riempimento degli stoccaggi nella Ue era al 92,4%. La Germania si posizionava al 93,78%, la Francia al 95,89%, la Spagna al 93% e l’Italia addirittura 95,26 per cento. Rispetto a due anni fa, il nostro Paese è sotto di un 11% circa insomma.
E l’8 settembre 2021? Effettivamente, come sostiene Gentiloni, la situazione è nettamente migliorata a livello Ue. Un anno fa le scorte di gas dell’intera Unione erano piene al 69,5%. La Germania addirittura si fermava al 61,6%. Meglio la Spagna col suo 72,4%. La Francia invece era già all’86% e l’Italia stava all’83%, quindi più o meno in linea con il tasso di riempimento attuale. Un anno fa il prezzo del gas era intanto già raddoppiato rispetto al 2020, essendo salito a 30 euro/MWh.

Il confronto però nasconde una insidia non proprio trascurabile: mentre nel 2020 e nel 2021 il flusso di gas dalla Russia era blindato, adesso gli approvvigionamenti sono crollati (vedi Tarvisio) o addirittura spariti, basti considerare che il North Stream che alimenta la Germania è bloccato a tempo indeterminato. Per cui, nonostante proclami e annunci roboanti, siamo nella stessa condizione di un anno fa a livello di stoccaggi, solo che ci arriva meno gas. Tuttavia i consumi di metano, almeno in Italia, sono scesi di pochissimi punti percentuali negli ultimi mesi e il piano di contenimento dei consumi annunciato dal ministro Cingolani prevede risparmi per 8 miliardi di metri cubi circa fino a fine marzo. Per compensare il taglio di forniture dalla Russia, grazie agli accordi stretti dal governo, stanno aumentando i flussi da Algeria e Azerbaigian (via Tap), tuttavia rimane un gap di una quindicina di miliardi di metri cubi che non potranno essere coperti da un extra proveniente dagli stoccaggi, visto che sono gli stessi o addirittura inferiori rispetto agli scorsi anni.

L’Italia ha pagato 8,6 mld a Putin da inizio guerra per gas e petrolio

Bloomberg scrive che l’economia russa rischia una forte crisi, Mosca invece fa sapere che quest’anno il Pil calerà di appena il 2,9%. La decisione di Mosca di interrompere il flusso del Nord Stream per alcuni osservatori sta a indicare che, senza export di metano, Putin vedrebbe ridurre drasticamente i propri introiti. Altri sostengono che le sanzioni stanno facendo male più all’Europa che alla Russia. Chi ha provato a fare luce sui numeri è il Center for Research on Energy and Clean Air (Crea), un think tank indipendente finlandese, secondo il quale la Russia ha guadagnato 158 miliardi di euro di entrate dalle esportazioni di combustibili fossili nei primi sei mesi di guerra (dal 24 febbraio al 24 agosto), poco meno di un miliardo al giorno. E la Ue ne ha importato il 54%, per un valore di circa 85 miliardi di euro. Più precisamente le esportazioni di combustibili fossili hanno contribuito con circa 43 miliardi al bilancio federale russo dall’inizio dell’invasione, contribuendo a finanziare la stessa guerra in Ucraina, sottolinea il Crea.

La principale importatrice di combustibili fossili è stata appunto la Ue (85,1 miliardi di euro), seguita da Cina (34,9 miliardi), Turchia (10,7), India (6,6), Giappone (2,5 miliardi), Egitto (2,3) e Corea del Sud (2 miliardi di euro). A sua volta, all’interno della Ue, la parte del leone la fa la Germania con 19 miliardi di euro pagati a Mosca per importare principalmente gas e petrolio, poi segue l’Olanda (11,1 miliardi soprattutto per il petrolio) nonostante sia la base della borsa che fa impazzire il prezzo del gas e nonostante sia seduta su decine di miliardi di metri cubi inutilizzati a Groningen, al terzo posto l’Italia che in 180 giorni ha versato nelle casse di Putin 8,6 miliardi pari a circa 50 milioni al giorno per ricevere in cambio gas via Tarvisio (sempre meno), petrolio, derivanti dal petrolio e un po’ di carbone (materia prima sulla quale è scattato l’embargo a inizio agosto). In pratica il nostro Paese durante i sei mesi che hanno sconvolto il mondo ha versato più soldi a Putin dell’India, che recentemente ha confermato di non voler applicare sanzioni verso il Cremlino e di voler intensificare gli acquisti di metano e greggio da Mosca. Fuori dal podio europeo troviamo infine la Polonia (7,4 miliardi di euro di prodotti fossili importati), Francia (5,5 miliardi), Bulgaria (5,2), Belgio (4,5) e Spagna 3,3).

Tornando sull’Italia nei due mesi che hanno preceduto il blocco all’import di carbone russo, abbiamo continuato a comprarne in compagnia di Olanda, Polonia, Germania e Spagna. Più o meno gli stessi Paesi che nelle ultime settimane si sono convertiti al carbone sudafricano che parte dal Richards Bay Coal Terminal benché la domanda fosse già cresciuta del 40% da gennaio a maggio. A proposito di carbone, ieri il prezzo del Newcastle Coal ha toccato i massimi a 463 euro a tonnellata. Ad agosto, i ricavi e i volumi delle esportazioni di combustibili fossili della Russia sono leggermente rimbalzati dal minimo raggiunto a giugno, nonostante le esportazioni russe siano diminuite del 18% rispetto al livello record raggiunto all’inizio dell’invasione (febbraio-marzo). Infatti rispetto all’inizio dell’invasione, le riduzioni delle importazioni di combustibili fossili russi sono costate al Paese 170 milioni di euro al giorno in mancate entrate in luglio e agosto. Il calo complessivo dei volumi delle esportazioni è stato determinato da un calo delle esportazioni verso la Ue, che sono diminuite del 35%.

Da notare infine un dato: dopo l’Europa il più grande importatore dalla Russia è la Cina. E la spesa maggiore di Pechino è per il petrolio, per il quale ha investito circa 25 miliardi. Il gas? Pesa molto meno dell’import di carbone: un paio di miliardi per il metano, quasi 4 per il carbone. E pure l’India è affamata di petrolio e non di gas. Per cui sorge una domanda: se il gas russo non va in Europa, a chi lo venderà Mosca?

(Photo credits: Odd ANDERSEN / AFP)

Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo

Mosca attacca Roma: “Piano Cingolani imposto da Ue-Usa”

La Russia attacca di nuovo l’Italia. Stavolta nel mirino finisce il Piano di contenimento dei consumi di gas naturale per fronteggiare l’emergenza energetica, firmato dal ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani. Per Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, “il piano del ministro dell’Ambiente per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi russi è chiaro che viene imposto a Roma da Bruxelles (che, a sua volta, agisce su ordine di Washington), ma alla fine sarà il popolo italiano a soffrirne“, scrive in un post sul suo canale Telegram. Rincarando anche la dose: “L’inflazione ha raggiunto il livello della crisi degli anni ’80 del secolo scorso, il paniere dei consumatori è cresciuto del 10% in valore e continua a crescere“.

Il documento deve aver fatto molto rumore a Mosca, se la portavoce di Sergej Lavrov scrive che Roma è spinta “al suicidio economico per realizzare la follia delle sanzioni euro-atlantiche“. E non dimentica le punture di spillo sulle sanzioni: “Sono diventate uno strumento di concorrenza sleale per i produttori italiani” e “gli affari in Italia vengono distrutti dai ‘fratelli’ d’oltremare“, visto che “gli imprenditori americani pagano l’elettricità sette volte meno di quelli italiani“.

La risposta non si fa attendere. “Ancora un volta dalla Russia arrivano dichiarazioni strumentali a poche settimane dal voto. Ennesima prova che le autorità russe si stanno rendendo protagoniste di chiare ingerenze, con la diffusione di notizie propagandistiche“, dichiara Giuseppe Marici, portavoce del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Aggiungendo che “c’è una certezza: ad oggi le famiglie e le imprese italiane rischiano di essere strozzate economicamente dagli aumenti del gas. Questi ultimi, a loro volta, derivano dalle speculazioni russe e da una guerra che Putin continua a portare avanti causando la morte di centinaia di vittime innocenti“. Parole corroborate da quelle del responsabile della Farnesina e leader di Impegno civico, che ribadisce: “E’ chiaro che Putin sta provocando l’aumento del gas in tutta Europa, sta ricattando l’Europa ed è per questo che l’Italia deve intervenire calmierando il prezzo delle bollette“. Anche Bruxelles reagisce, definendo “ridicole” le affermazioni di Zakharova. Il portavoce-capo della Commissione europea, Eric Mamer, risponde che l’esecutivo comunitario “non spende il tempo a commentare accuse ridicole” che arrivano dalle personalità del regime di Putin.

Intanto la campagna elettorale va avanti, in vista delle elezioni politiche del 25 settembre e gli scontri si moltiplicano. Matteo Salvini conferma la sua posizione critica sulle sanzioni e chiede agli altri leader di firmare un accordo, subito, per un intervento da 30 miliardi che serva a bloccare gli aumenti delle bollette. Di questo tavolo “lo apprendo ora, ma Forza Italia c’è ed è disposta a sedersi“, risponde a stretto giro la forzista, Licia Ronzulli. Nel fronte progressista Angelo Bonelli (Verdi-Sinistra italiana) punta il dito verso Giuseppe Conte e il M5S: “E stato premier di ben due governi in cui il Movimento aveva il 32% dei consensi. E cosa ha fatto per l’ambiente? Nulla, se non provvedimenti contraddittori“. Enrico Letta, invece, chiama a raccolta i suoi candidati per gli ultimi giorni di campagna elettorale, invitando a non considerare il Pd e la coalizione già per perdenti.

Domani il Terzo polo sarà impegnato in una ‘manifestazione diffusa’ sul territorio a favore di infrastrutture e gas, denominata ‘Imby, In my back yard-Sì all’Italia dei sì’. Carlo Calenda sarà a Piombino per il rigassificatore, Matteo Renzi e Maria Stella Gelmini al termovalorizzatore di Brescia, Teresa Bellanova a Melendugno per parlare di Tap , Matteo Richetti alla Darsena Popup del porto di Ravenna, Mara Carfagna ad Acerra davanti al termovalorizzatore, Maria Elena Boschi a Roma, nel XII municipio, Mario Polese a Tempa Rossa e Raffaella Paita alla Gronda di Genova. Ultima annotazione, il governo prosegue il lavoro in vista del Cdm di questa settimana con il nuovo decreto Aiuti (probabilmente giovedì). E il premier, Mario Draghi, ha incontrato ha incontrato a Palazzo Chigi il direttore generale della Fao, Qu Dongyu, per parlare della collaborazione dell’Italia e uno scambio di vedute sulla risposta alla crisi alimentare determinata dal conflitto russo-ucraino. Perché oltre la campagna elettorale c’è ancora tanto da fare.

Ue non ha fatto i conti col petrolio: l’Opec+ sale sopra il tetto al prezzo

L’Europa in piena emergenza gas non aveva fatto i conti col petrolio. L’Opec+, ovvero l’organizzazione dei Paesi esportatori di greggio allargata alla Russia, ha deciso che a ottobre ridurrà di 100mila barili al giorno la sua produzione, primo taglio da oltre un anno. Di fatto si torna ai livelli di agosto, dopo il leggero incremento produttivo deciso lo scorso mese per settembre. Una mossa, quella dei signori del petrolio, più politica che di sostanza. Infatti il messaggio diffuso dal comunicato è che una riunione d’urgenza dell’Opec potrebbe essere indetta in qualsiasi momento. Come dire: per ora ci accontentiamo di tenere i prezzi tra i 90 e i 100 dollari al barile, tuttavia se la recessione dovesse avanzare bruscamente e la domanda calare precipitosamente, siamo disposti a rivedere tutto. In che direzione però non si sa.

La decisione dell’Opec+ ha così fatto tornare sopra i 90 dollari al barile il prezzo del future del Wti texano e ben oltre i 95 quello del Brent europeo. Da notare che la Russia non voleva una riduzione della produzione, perché non intendeva far sapere soprattutto ai partner asiatici che di petrolio ce n’è più di quanto serva.

L’Arabia Saudita, vero azionista di maggioranza dell’organizzazione, non ha ancora assecondato i desiderata di Joe Biden, recatosi a Jedda a metà luglio per chiedere un incremento della produzione allo scopo di raffreddare i prezzi. C’è il tema dell’Iran, che tratta un ammorbidimento delle sanzioni, che potrebbe preoccupare la casa regnante saudita. C’è poi il tema dell’embargo deciso dall’Occidente al petrolio russo, che comincerà a dicembre. C’è il tema gas: se effettivamente la Ue precipitasse in una profonda recessione, come suggeriscono i dati sui costi alla produzione, il consumo di petrolio e carburanti rischierebbe di precipitare e con esso il prezzo del greggio. C’è, in questo senso, soprattutto il tema posto dal G7 di un tetto al prezzo del petrolio.

Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia dell’Arabia Saudita ha detto a Bloomberg che l’aver deciso un mini-taglio alla produzione “è un’espressione della volontà di utilizzare tutti gli strumenti del nostro kit. La semplice modifica mostra che saremo attenti, preventivi e proattivi in termini di supporto alla stabilità e al funzionamento efficiente del mercato“. Con l’Europa in crisi, la Cina affamata di energia e l’America impegnata su più fronti, il mondo arabo intende ora aumentare il proprio peso internazionale.

(Photo credits: Mazen Mahdi / AFP)

Nucleare, Aiea a Zaporizhzhia: Obiettivo presenza permanente

La missione dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA) è a Zaporizhia, al Sud-Est dell’Ucraina. Nella centrale atomica che porta il nome della città, l’intenzione è quella di stabilire una presenza “permanente per prevenire un incidente nucleare.

Gli ispettori avranno accesso all’impianto occupato dai russi a partire da oggi. “Ci stiamo preparando per il vero lavoro che inizierà giovedì“, riferisce il direttore generale dell’organizzazione, Rafaelo Grossi. “Cercheremo di stabilire una presenza permanente dell’agenzia da quel momento in poi“, aggiunge, prospettando una soluzione che non era stata menzionata prima, soprattutto dai russi.

Il convoglio, composto da una ventina di auto, metà delle quali con la scritta ‘ONU’, e un’ambulanza, è arrivato in città, a circa 50 chilometri in linea d’aria dall’impianto, nel primo pomeriggio di ieri. La missione di 14 persone è stata ricevuta il giorno prima a Kiev dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky e ha lasciato la capitale mercoledì mattina presto.

“Vogliamo evitare un incidente nucleare”, conferma Grossi alla stampa, aggiungendo che gli esperti trascorreranno “alcuni giorni” sul posto e assicurando di aver ricevuto garanzie di sicurezza dalle autorità russe e ucraine.

L’Ucraina ha chiesto alle forze russe un corridoio con il cessate il fuoco sulla strada per l’impianto. “Le truppe di occupazione russe devono smettere di sparare sui corridoi utilizzati dalla delegazione dell’AIEA e non ostacolare le sue attività“, accusa su Facebook il portavoce diplomatico ucraino, Oleg Nikolenko. Secondo Yevgen Yevtushenko, capo dell’amministrazione di Nikopol, i russi, che controllano il sito e l’Energodar, sul cui territorio si trova, hanno bombardato la città per dare alla missione dell’AIEA l’impressione che fosse Kiev a colpire l’area intorno all’impianto.

Intanto, a Mosca, il ministero della Difesa russo ha simmetricamente accusato le forze ucraine di “provocazioni” volte a “disturbare il lavoro della missione dell’AIEA“, sostenendo che uno dei bombardamenti di artiglieria ucraini aveva “colpito” martedì “un edificio per il ritrattamento di rifiuti radioattivi” presso il complesso.

Da settimane Kiev e Mosca si accusano a vicenda di mettere in pericolo la sicurezza della centrale e di rischiare un incidente nucleare.

L’impianto, il più grande d’Europa, è occupato dall’esercito russo dall’inizio di marzo, dopo l’invasione dell’Ucraina iniziata il 24 febbraio. Kiev ha accusato Mosca di aver dispiegato centinaia di soldati in quella zona, di aver posizionato pezzi di artiglieria e di aver immagazzinato munizioni. Zaporizhia, una delle quattro centrali nucleari attive in Ucraina, ha sei reattori con una capacità di mille megawatt ciascuno. La settimana scorsa, per la prima volta nella sua storia, è stata brevemente scollegata dalla rete elettrica in seguito al danneggiamento delle linee elettriche.

Credit foto: Rafael Grossi/Twitter