In Italia non c’è allarme scorte di gas, ma il livello di attenzione diventa massimo

Lo stop al transito di gas russo via Ucraina in direzione Europa mette in allarme sugli stoccaggi. L’Ue minimizza, facendo sapere che avrò impatti minimi; l’Italia non fa drammi e tramite il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto, assicura che le scorte sono “a un livello adeguato”, ma comunque “si stanno valutando ulteriori misure per massimizzare la giacenza”.

L’inverno 2024/2025 si sta rivelando più freddo di quello dell’anno scorso, ragion per cui i riscaldamenti sono a pieno regime già dallo scorso mese di novembre in tutta Italia, e in alcuni casi anche da fine ottobre. È ragionevole immaginare un consumo più alto, dunque, ma non oltre la soglia di attenzione. “L’interruzione dei transiti di gas dall’Ucraina è tutto meno che una sorpresa”, dice al ‘Corsera’ il presidente di Arera, Stefano Besseghini. Dall’Authority non arrivano allarmi, visto che “gli impatti sul sistema saranno ragionevolmente gestibili”, ma “appare in tutta la sua evidenza la delicatezza del sistema Gas ancora oggi a quasi tre anni dall’inizio della guerra”. Ragion per cui, raccomanda Besseghini, “molto è stato fatto, ma non deve scendere il livello di attenzione”.

La fine delle forniture di Gazprom via Ucraina non è di sicuro un fulmine a ciel sereno: da tempo era preventivata questa interruzione e “il sistema si era già preparato”, assicura il numero uno di Arera al ‘Sole 24 Ore’. Ricordando come la combo tra stoccaggi “coperti” nel breve periodo e temperature non estremamente rigide, con consumi tutto sommato sotto controllo, “non deve portarci a rallentare il percorso di rafforzamento del sistema”. Questo perché “non dobbiamo dimenticarci che siamo ancora in una situazione di mercato estremamente fragile ed è troppo presto per scordarsi dell’emergenza”.

Non a caso dal mondo delle imprese partono i primi, preoccupati appelli. “L’annuncio di Gazprom di interrompere le forniture di Gas alla Moldavia a partire dall’inizio di gennaio segnala un aumento del rischio di una grave crisi energetica e umanitaria in Europa”, avverte ad esempio il presidente di Confapi, Cristian Camisa.

Il tema, ovviamente, tiene banco anche nel mondo politico. Dall’opposizione è Angelo Bonelli ad attaccare: “La storia non ha insegnato nulla a chi governa l’Italia: ci ritroviamo a dover affrontare costi energetici inaccettabili per imprese e famiglie che ci riportano al 2021-2022 – sostiene il deputato di Avs -, quando l’aumento del prezzo del Gas portò alla triplicazione del costo delle bollette realizzando un vero e proprio salasso economico per i settori sociali ed economici più deboli. L’esecutivo è responsabile di questa situazione perché non ha una strategia energetica ed invece di puntare sulle rinnovabili è impegnato a riportare l’Italia nella produzione di nucleare da fissione che porterà a fare pagare l’energia più di quanto la paghiamo oggi”.

Sulla stessa lunghezza d’onda il Cinquestelle, Davide Aiello, sottolineando che “la stangata sulle bollette di luce e gas nell’ex mercato tutelato registra un incremento del 18% per i prossimi mesi”. Il 2025, dunque, inizia già in salita ma senza (ancora) il suono d’allarme delle ‘sirene’.

Capodanno col botto: stop al gas russo in Europa via Ucraina, prezzo a 50 euro/Mwh

Il 2025 inizia con una crisi energetica per l’Europa. Capodanno col botto, viene da dire, considerando che dalle 6 dell’1 gennaio i flussi di gas russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina potrebbero cessare per sempre, visto il decadere dell’accordo sul transito che legava Mosca e Kiev dal 2019. Secondo i dati forniti dall’operatore di rete ucraino, le richieste di gas alla stazione di aspirazione di Sudzha, al confine tra Russia e Ucraina, sono scese a zero, una cifra ben al di sotto dei 40 milioni di metri cubi al giorno solitamente registrati. L’interruzione dei flussi russi, salvo improvvise retromarce nelle prossime ore o nei prossimi giorni, avrà impatti diretti sull’Europa, che già fatica a fronteggiare l’alta domanda e la scarsità delle risorse.

Nonostante la quantità di gas perduto rappresenti solo il 5% del fabbisogno complessivo, l’effetto sull’economia potrebbe “essere devastante, con una stima che parla di un aumento dei costi energetici per i consumatori europei fino a 120 miliardi di euro, tra gas e elettricità”, scrive Bloomberg. I prezzi del gas, infatti, hanno già cominciato a salire, superando anche i 50 euro per megawattora, il livello più alto da novembre 2023. L’Unione Europea, grande assente in questi mesi di tentativi di accordo andati a vuoto, ha cercato di rassicurare in questi giorni affermando che la sicurezza energetica non è a rischio grazie alla diversificazione delle fonti, tra cui le importazioni di gas naturale liquefatto, in particolare dagli Stati Uniti. Tuttavia, paesi come la Slovacchia, che dipendono ancora dalle forniture russe, potrebbero incontrare difficoltà nell’affrontare la carenza di gas, con conseguenti costi più elevati per il trasporto delle risorse alternative.

Le tensioni politiche tra Russia e Ucraina avevano già causato interruzioni nel 2006 – due settimane di stop – e nel 2009 – qualche giorno senza flusso di gas – ma la situazione attuale appare più complessa per via di una guerra ancora in corso. Il presidente ucraino Zelensky ha escluso qualsiasi accordo che possa rafforzare l’economia russa, mentre Putin ha dichiarato che non ci sarebbe stato tempo per trovare un compromesso prima della fine dell’anno. Mosca comunque continuerà a fornire gas a Serbia e Ungheria tramite il gasdotto TurkStream, che non attraversa l’Ucraina, ma questo non basta a compensare la perdita della rotta principale verso l’Europa centrale e, a cascata, levando materia prima e quindi potenziale elettricità ai Paesi attorno, fino all’Italia. Lo testimonia la galoppata del prezzo del gas, che in Europa è salito di oltre il 50% in un anno. Non siamo fortunatamente ai livelli dell’estate 2022. All’epoca il Ttf quotato ad Amsterdam arrivò al picco di 340 euro per megawattora perché si temeva che il Vecchio Continente non avrebbe avuto gas a sufficienza in vista dell’inverno e tutti i grandi Paesi spesero cifre folli per assicurarsi le forniture. Adesso siamo sui 50 euro/Mwh, ma è pur sempre il 200% in più rispetto a fine 2019. Le bollette non a caso hanno ripreso a salire a doppia cifra, con inevitabili conseguenze per inflazione, redditi familiari e competitività delle imprese. E l’inverno non è finito. Anzi…

Prezzo gas tocca i massimi da un anno: la Russia chiude i rubinetti verso l’Austria

Che coincidenza. Il governo tedesco stoppa un carico di Gnl proveniente dalla Russia e Gazprom blocca l’export di gas via tubo verso l’Austria. Torna così in tensione il prezzo del metano ad Amsterdam che venerdì ha terminato le contrattazioni in calo dell’1% dopo aver registrato un balzo di quasi il 3% nel pomeriggio, segnando il massimo da un anno per il contratto Ttf addirittura a 47,5 euro per megawattora.

Il ministero dell’Economia tedesco ha ordinato al terminale statale di importazione di gas di rifiutare una fornitura di gas naturale liquefatto proveniente dalla Russia. L’ordine, confermato dal Financial Times ieri, riflette l’intensificarsi delle misure europee per ridurre la dipendenza energetica dalla Russia in seguito all’invasione dell’Ucraina. La decisione riguarda il terminale Deutsche Energy Terminal, che si era preparato a ricevere una spedizione di GNL russo. Secondo quanto riportato, il Ministero ha intimato alla struttura di “rifiutare qualsiasi consegna di Gnl dalla Russia fino a nuovo avviso”, con l’obiettivo di accelerare la transizione energetica della Germania, ormai impegnata in un drastico distacco dal gas russo.

La lettera inviata dal ministero dell’Economia sottolinea che uno degli obiettivi principali del terminale di importazione tedesco è “ridurre progressivamente la dipendenza dalla Russia”, confermando che “in linea di principio, è corretto che la Germania non importi più gas russo. È chiaro che ciò non deve avvenire attraverso i terminali Gnl tedeschi”, ha dichiarato un portavoce del ministero al Financial Times.

Risposta della Russia? L’operatore energetico austriaco OMV ha annunciato una riduzione delle forniture di gas da Mosca, con l’intenzione di interrompere completamente i rifornimenti a partire da sabato. Il gigante energetico russo PJSC ha notificato che le consegne all’Austria saranno ridotte a zero, dopo la decisione di OMV di sospendere i pagamenti per un risarcimento arbitrale di 230 milioni di euro.

Il prezzo è appunto salito del 3%, subito dopo il comunicato diffuso da OMV, puntando minacciosamente verso quota 50 euro. Una quotazione, che non si vedeva da novembre 2023, alimentata anche da un clima più freddo che aumenta la domanda. Il calo delle temperature, combinato con la debole produzione di energia eolica, ha spinto al rialzo il consumo di gas per l’elettricità. Le previsioni mostrano che le temperature rimarranno in cifre singole basse fino a fine dicembre. I prelievi di gas dagli stoccaggi sono in corso dal 3 novembre, con le riserve europee piene al 93,04%. Per ora comunque le forniture di gas dalla Norvegia e i carichi di Gnl rimangono stabili.

E’ la fine del passaggio russo del gas in Europa che tiene in allerta i mercati. La SPP slovacca sta adottando misure per garantire la propria fornitura, tra cui un accordo pilota con la Socar dell’Azerbaijan, nel caso in cui il transito ucraino termini.

Con guerra in Ucraina e calo del nucleare francese elettricità in Italia costa il 33% in più

In base alla rilevazione settimanale del Gme, il Gestore dei mercati energetici italiani, il prezzo del gas all’ingrosso è stato di 40,67 euro per megawattora nella settimana 32 di quest’anno, quella tra il 5 e l’11 agosto, in rialzo del 7,3% nei confronti dell’ottava precedente. Lo scorso anno, sempre nella settimana 32, il prezzo del gas all’ingrosso era scambiato a 30,78 euro per megawattora. Rispetto allo stesso periodo del 2023, il gas in Italia costa dunque il 32,1% in più. A surriscaldare i prezzi c’è il pericolo che l’escalation Ucraina-Russia coinvolga gli impianti energetici, ma c’è anche la concorrenza asiatica per il Gnl.

Il contratto Ttf con scadenza settembre sale di oltre il 5% a 45,4 euro per megawattora, durante la seduta odierna, in seguito all’attacco delle forze armate ucraine alla centrale nucleare di Zaporizhzhia e all’annunciata riduzione di capacità nucleare di 2,4 Gwh da parte di Edf a causa dell’ondata di calore che sta colpendo la Francia e l’Europa. Poi in realtà chiude perdendo circa l’1,5% e torna sotto i 40 euro. Si resta comunque sui massimi da 8 mesi perché sullo sfondo il più grande assalto dell’Ucraina in territorio russo, dopo l’invasione del 2022, sta mettendo ancora più pressione alle quotazioni di una delle materie prime chiave dell’Europa. Si combatte nella regione russa di Kursk, sede di un punto chiave di immissione di gas. La stazione di Sudzha è infatti vicino al confine e fa parte dell’ultimo punto di transito del gasdotto russo verso l’Europa attraverso l’Ucraina.

I flussi per ora restano comunque in linea con le settimane precedenti, come sottolineato da Gazprom. C’è grande timore però per un’interruzione improvvisa e anticipata dei flussi, il che rappresenterebbe uno shock per nazioni come la Slovacchia e l’Austria, che attualmente dipendono da questa fornitura e potrebbero vedere prezzi del gas più elevati per aziende e consumatori se venisse bloccata.
I commercianti di gas europei evitano quindi lo stoccaggio in Ucraina dopo gli attacchi russi. E, oltre al confine orientale, l’attenzione è rivolta anche alla prossima manutenzione intensiva presso gli stabilimenti norvegesi a partire da fine agosto, che ridurrà inevitabilmente le forniture.

Non è solo la guerra però ad accendere il gas. Al 6 agosto il tasso di riempimento degli stoccaggi in Europa supera l’86%, al di sopra della media quinquennale del 78%, tuttavia i minori afflussi di Gnl hanno fatto sì che il ritmo delle costruzioni di stoccaggio sia un po’ più lento anno su anno, e quindi le scorte stanno iniziando a scendere al di sotto dei livelli dell’anno precedente quando, in questo periodo, erano all’87%. Il principale colpevole di questa lentezza è stato il minor afflusso di Gnl in Europa. La forte domanda asiatica di gas liquefatto ha garantito che il JKM – l’equivalente del Ttf nell’Asia nord orientale specialmente in Giappone e Corea – sia stata scambiata a un premio superiore rispetto a Ttf per gran parte del 2024, il che ha portato a una deviazione dei carichi di Gnl dall’Europa all’Asia. Gli invii di gas liquefatto alla Ue a luglio sono rimasti sostanzialmente invariati mese su mese, a poco meno di 7,6 miliardi di metri cubi. Tuttavia, questo lascia comunque i volumi di luglio in calo del 25% anno su anno e i volumi mensili più bassi visti dall’inizio della guerra Russia/Ucraina.

Col gas più caro, anche il prezzo dell’energia elettrica rincara. A luglio luglio il Pun – cioè il prezzo della luce all’ingrosso – è salito “a 112,32 euro/MWh (+9,15 euro/MWh), livello più alto da inizio anno”, riflettendo “soprattutto lo stagionale aumento della domanda, con gli acquisti in decisa crescita ai massimi da agosto 2019, dinamica a cui si affianca anche un calo dei volumi rinnovabili“, si legge nell’ultima newsletter del Gme, il Gestore dei mercati energetici italiano. E se le rinnovabili perdono peso nel mix energetico, lo riacquista inevitabilmente il gas. Risultato finale: secondo la rilevazione settimanale del Gme, il prezzo dell’elettricità all’ingrosso è stato di 128,7 euro per megawattora nella settimana 32 di quest’anno, quella tra il 5 e l’11 agosto, in rialzo del 7,1% nei confronti dell’ottava precedente. Lo scorso anno, sempre nella settimana 32, il Pun (prezzo unico nazionale) dell’energia elettrica era di 96,31 euro per megawattora. Rispetto allo stesso periodo del 2023, l’elettricità in Italia costa dunque il 33,6% in più.

G7, si lavora alla bozza: alla Cina si chiederà lo stop degli aiuti a Russia. Appello dell’Onu per il clima

La Cina smetta di sostenere la guerra della Russia in Ucraina e Hamas accetti l’accordo per il cessate il fuoco proposto dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. Sono due punti su cui lavorano gli sherpa del G7 per il documento finale che dovrà essere adottato dai leader a Borgo Egnazia, in Puglia (13-15 giugno).

In giornata, si solleva la polemica su un punto saltato, in cui i Grandi della Terra sottolineavano l’importanza di garantire “un accesso effettivo e sicuro all’aborto, inserito nel corso del G7 di Hiroshima. Il punto sarebbe stato eliminato su iniziativa del governo Meloni, creando tensioni tra le delegazioni. Fonti della presidenza italiana fanno però sapere che “nessuno Stato ha chiesto di eliminare il riferimento alle questioni relative all’aborto dalla bozza” e che “tutto quello che entrerà nel documento conclusivo sarà un punto di caduta finale frutto di un negoziato fra i membri G7”.

Sulla Cina, “Il continuo sostegno di Pechino alla base industriale della difesa russa ha implicazioni significative e di ampia portata sulla sicurezza”, si legge nella bozza che Bloolmerg ha lasciato trapelare.

Gli alleati di Kiev accuserebbero Pechino di fornire alla Russia tecnologie e componenti – sia presenti nelle armi sia necessari per costruirle – aiutando gli sforzi di Mosca per aggirare i pacchetti di restrizioni commerciali del G7 su molti di questi beni. I materiali vietati infatti spesso arrivano in Russia attraverso paesi terzi come Cina e Turchia o attraverso reti di intermediari. Le misure in discussione includono la quotazione di più società, il targeting delle banche di paesi terzi che facilitano gli scambi, la richiesta che le aziende intensifichino i controlli sulle loro filiali e subappaltatori all’estero e l’espansione delle restrizioni sui prodotti di marca occidentale che continuano a finire in Russia.

Il G7 chiederà anche a Pechino di spingere la Russia a ritirarsi dall’Ucraina e a sostenere una pace giusta. Si prevede che i leader affermino che le politiche della Cina “stanno creando ricadute globali, distorsioni del mercato e dannosa sovraccapacità in una serie di settori”. E ancora, i leader del G7 metteranno in guardia la Russia da minacce nucleari “irresponsabili”.

Quanto al Medioriente, ci sarà la sollecitazione ad Hamas ad accettare l’accordo di cessate il fuoco a Gaza presentato dal presidente Usa Joe Biden. Israele dovrebbe essere direttamente sollecitata ad allentare l’escalation di una “offensiva militare su vasta scala” a Rafah: la bozza potrebbe includere un linguaggio che chieda con decisione un passo in questo senso, in linea con le misure provvisorie ordinate dalla Corte internazionale di giustizia. “Esortiamo i paesi che hanno influenza su Hamas” a contribuire a garantire che accetti un cessate il fuoco, si legge.

Non c’è invece per il momento accordo unanime sul riconoscimento dello Stato palestinese come parte di un processo di pace a due Stati. “Notiamo che il riconoscimento di uno Stato palestinese, al momento opportuno, sarebbe una componente cruciale”, si legge nel testo provvisorio.

Arriva dal segretario dell’Onu Antonio Guterres, in un punto con la stampa a Ginevra, l’invito ai leader per un impegno alla fine all’uso del carbone entro il 2030. “I Paesi più grandi – ha aggiunto – hanno la responsabilità di andare più lontano, più velocemente” e per questo è necessario “creare sistemi energetici privi di combustibili fossili e ridurre la domanda e l’offerta di petrolio e gas del 60% entro il 2035”. “I leader del G7 hanno una responsabilità particolare, in primo luogo, sul clima”, sottolinea Guterres che denuncia il “vortice dell’inazione climatica, con alluvioni, incendi, siccità e caldo devastanti”.

C’è attesa intanto per il bilaterale più importante che Meloni potrà avere in questo senso: quello con il presidente americano Joe Biden, che questa sera arriva all’aeroporto di Brindisi. Il faccia a faccia dovrebbe avvenire, secondo quanto riferisce la Casa Bianca, venerdì 14 giugno, a margine, del summit. Cruciale sarà anche il bilaterale di Biden con Papa Francesco e la conferenza stampa, attesa per domani, giovedì 13 giugno, con il presidente ucraino Volodomir Zelensky.

Siti energetici russi sotto attacco dei droni. Putin accusa l’Ucraina: “Vogliono minare le elezioni”

I siti energetici russi sono sotto attacco per il secondo giorno consecutivo. L’ultimo, in ordine di tempo, ha preso di mira una raffineria di petrolio nella zona di Ryazan, che si trova a circa 200 chilometri a sud-est di Mosca, uno dei maggiori produttori di carburante per la Russia centrale e controllata dal gigante petrolifero Rosneft. L’attacco è stato portato ancora una volta con un drone, che ha provocato feriti e un incendio, riferisce France Presse citando le dichiarazioni del governatore della regione, Pavel Malkov.

Ma sono decine i droni che hanno puntato su siti strategici anche in altre zone della Russia, come Belgorod, Bryansk, Kursk e Voronezh. La caratteristica che hanno in comune è di trovarsi geograficamente al confine con l’Ucraina. Negli attacchi, comunque, non ci sono notizie di ferimenti, stando a quanto riportano le varie autorità regionali.

Un altro drone è stato abbattuto, invece, mentre si avvicinava a una raffineria di petrolio nella regione di Leningrado, vicino a San Pietroburgo (nord-ovest)

I raid erano iniziati già martedì 12 marzo, puntando come obiettivo sempre una raffineria di petrolio, ma nella zona industriale di Kstovo (regione di Nizhny Novgorod), a 800 chilometri dal confine ucraino. Così come sempre ieri un incendio è scoppiato in un impianto di carburante nella regione di Orel. Le autorità regionali riferiscono che più di trenta droni sono stati abbattuti nella regione di Voronezh, mentre l’attacco ha causato danni non rilevanti alle infrastrutture. Il computo sale sommando gli 8 droni abbattuti nella regione di Bryansk, quattro nella regione di Kursk, sei nella regione di Belgorod, dove però i danni alle linee elettriche hanno causato diverse interruzioni di corrente.

Il presidente Russo, Vladimir Putin, punta il dito contro l’Ucraina. “Non ho dubbi che l’obiettivo principale, se non riusciranno a minare le elezioni presidenziali in Russia, è almeno quello di cercare di impedire ai cittadini di esprimere la loro volontà in qualsiasi modo”.

INFOGRAFICA INTERATTIVA Commercio, Eurostat: Sempre meno scambi tra Ue e Russia

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, su dati Eurostat, è riportato l’andamento di import ed export dell’Ue con la Russia negli ultimi anni. I flussi sono stati fortemente influenzati dalle restrizioni all’importazione e all’esportazione imposte dall’UE in seguito all’invasione russa dell’Ucraina. Sia le esportazioni che le importazioni sono scese considerevolmente al di sotto dei livelli prima dell’invasione. I valori destagionalizzati mostrano che la quota della Russia nelle importazioni extra-UE è scesa dal 9,5% nel febbraio 2022 all’1,9% nel dicembre 2023, mentre la quota delle esportazioni extra-UE è scesa dal 3,8% all’1,4% nello stesso periodo. Nell’infografica GEA l’andamento degli scambi commerciali.
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‘Turismo migliore grazie a scioglimento ghiacci’: ecco come la Russia distorce il cambiamento climatico

Nessuna agenda politica per il clima, scarsa pianificazione all’adattamento, distruzione dell’atmosfera a causa delle operazioni militari – che aggiungono sostanze tossiche e rifiuti pericolosi al suolo, all’aria e all’acqua – ma anzi, investimenti sui combustibili fossili e una narrazione autoreferenziale che porta a raccontare, ad esempio, quanto sia ‘bello’ lo scioglimento dei ghiacci artici perché consente di viaggiare senza troppi disagi. Debra Javeline, professoressa associata di Scienze politiche all’Università di Notre Dame, è l’autrice principale di uno studio dedicato al rapporto tra la Russia e il cambiamento climatico, dal quale emerge un quadro decisamente preoccupante. La ricerca è stata condotta insieme a un gruppo di esperti del Ponars (Program on New Approaches to Research and Security in Eurasia), che hanno analizzato l’agricoltura, gli affari internazionali, il cambiamento dell’Artico, la salute pubblica, la società civile e la governance.

I ricercatori hanno scoperto che la Russia sta già soffrendo per una serie di impatti del cambiamento climatico – nonostante le dichiarazioni del governo – ed è mal preparata a mitigare o ad adattarsi alla nuova situazione. Inoltre, mentre il resto del mondo si sta convertendo alle fonti di energia rinnovabili, il governo russo, dipendente dai combustibili fossili, non è disposto o pronto a fare piani alternativi per il Paese. E mentre Mosca continua a condurre una guerra ad alta intensità di carbonio in Ucraina, rimane “sempre più isolata dalla comunità internazionale e dai suoi sforzi per ridurre le emissioni di gas serra”, scrivono gli esperti.

Il motivo di preoccupazione sta nel fatto che la Russia non solo è considerata il Paese più grande del mondo, occupando più della metà delle coste dell’Oceano Artico, ma si sta anche riscaldando quattro volte più velocemente della Terra ed è uno dei principali emettitori di gas serra. Gli impatti ambientali già in atto includono inondazioni, ondate di calore, siccità e incendi che colpiscono non solo le comunità, ma anche l’agricoltura, la silvicoltura e le risorse idriche.

Il riscaldamento globale, poi, ha avuto un’enorme influenza sul permafrost russo, che ora si sta scongelando a ritmi allarmanti. Quello che una volta era considerato un terreno stabile ora si sta spostando causando danni enormi. Lo studio ha evidenziato un aumento delle inondazioni, delle frane, dello sprofondamento del terreno che sostiene le infrastrutture esistenti, con conseguenti crepe nelle fondamenta e compromissione dei rifugi.

Secondo gli studiosi del Ponars, tuttavia, la leadership russa interpreta questi impatti climatici in modo autoreferenziale e incoraggia i cittadini ad accettarli come benefici. Ad esempio, mentre gli scienziati mettono in guardia dalle temperature estreme e dalla diminuzione del ghiaccio marino, il governo pubblicizza una rotta artica per tutto l’anno e un clima complessivamente più vivibile. Inoltre, le politiche per ridurre la vulnerabilità di alcune regioni agli impatti climatici sono limitate, e in generale la pianificazione dell’adattamento è scarsa e l’attuazione degli adattamenti effettivi ancora di più. Inoltre, “nessun leader politico di primo piano si fa promotore di un’agenda per il clima”, dicono gli esperti, e “chi occupa le più alte posizioni di potere o sta in silenzio o è negazionista”.

Infine, l’invasione dell’Ucraina ha aggravato l’emergenza climatica. “Il disastro umanitario è della massima importanza, ma il danno collaterale è l’intensa distruzione dell’atmosfera”, osservano i ricercatori. La guerra ha portato danni irreparabili al clima globale a causa dell’aumento delle emissioni militari, che, dicono i ricercatori, hanno assunto la forma di “diversi milioni di tonnellate extra di anidride carbonica equivalente”.

Gozzi: “L’Occidente non può lasciare il continente africano alla Cina e alla Russia”

Nell’editoriale della scorsa settimana ragionando sulle prospettive economiche del 2024 e cercando di collocarle all’interno di un quadro più strutturale di medio-lungo periodo ho evidenziato i ritardi e le debolezze dell’Europa rispetto alle altre grandi aree economiche del mondo (USA, Cina e in prospettiva India).

Ho scritto che, a mio giudizio, questa debolezza relativa parte da una degenerazione culturale (la presunzione di pensare che “siamo i più bravi di tutti” e quindi regole, regole, regole) e da un declino industriale e demografico: tra le prime 10 aziende del mondo non ce n’è neppure una europea, e la popolazione del nostro continente invecchia a ritmi impressionanti con tutto ciò che ne consegue in termini economici e sociali.

La situazione che si è creata rischia di spiazzare definitivamente l’Unione Europea e i suoi sogni di gloria, relegandola al ruolo di attore minore nelle dinamiche mondiali.

Dinanzi a un quadro del genere, che mi pare difficilmente contestabile, può essere utile cercare di definire una prospettiva strategica ed economica non velleitaria per l’Europa all’interno della quale collocare l’Italia.

Mi sono divertito ad usare per questo esercizio uno dei modelli classici della teoria d’impresa: forze/debolezze, minacce/opportunità. Pur consapevole dei limiti di un’applicazione del genere non a singole imprese ma a sistemi economici globali, sono convinto che la provocazione possa servire.

Ho due convinzioni radicate che hanno sostenuto la mia riflessione e che voglio sviluppare. La prima vede inscindibilmente legate le prospettive economiche e industriali del nostro continente alle dimensioni geo-strategica e della sicurezza. La seconda è che, poiché il tema del Mediterraneo si imporrà sempre di più nei prossimi anni, vi è un ruolo importantissimo che l’Italia può giocare partendo non solo dalla sua collocazione geografica ma anche da un dato culturale e di vicinanza alle popolazioni del Sud e dell’Est.
Ma procediamo con ordine.

Come detto la situazione di oggi è che l’Europa, per differenziale negativo di crescita e per minore tasso di innovazione tecnologica della sua economia industriale, è indietro rispetto ad USA e Cina; ciò in particolare in quelle aree che sono coperte da protezione brevettuale come intelligenza artificiale, biotecnologie, aero-spazio, e in parte farmaceutica e vaccini. Oggi si trova in terza posizione ma in pochi anni rischia, con la travolgente crescita indiana, di diventare quarta. Se le cose continuano così il declino e la marginalizzazione mi appaiono francamente inevitabili.

Dall’altro lato, in termini geo-strategici e di sicurezza la posizione europea è super delicata. Pressata com’è a est dal neo-imperialismo russo e a sud, nel Mediterraneo e nel Golfo, dall’affacciarsi di nuove potenze e nuovi protagonisti come Turchia e Iran, nonostante una spesa militare sì ingente (oltre 200 miliardi di euro l’anno ) ma del tutto scoordinata e quindi inutile alla creazione di campioni industriali europei, non può fare a meno dell’ombrello protettivo USA come è successo negli ultimi 70 anni.

Le due guerre in corso in Ucraina e in Israele testimoniano ciò in maniera solare. In base a questi due assunti le debolezze europee sono dunque evidenti: spiazzamento competitivo economico, industriale e demografico; fragilità geo-strategica e della sicurezza.

Abbiamo per contro punti di forza? Certamente almeno due: un grande mercato, anzi il più grande e ricco mercato del mondo (almeno per ora) non a caso concupito da economie non europee, ed un sistema di valori e istituzioni democratici saldo (sempre almeno per or ) e garante di diritti economici, sociali e civili che non ha eguali al mondo e che, non a caso, attira grandi flussi migratori.

Se si condivide questa analisi, e se per un attimo si lascia da parte la retorica europeista che crede di risolvere i problemi dell’oggi e di domani mattina con la stanca riproposizione di un modello ideale di Stati Uniti d’Europa difficile da attuare nel breve periodo, con un’unica politica estera, un sistema di difesa comune fuori dalla Nato, ed una transizione energetica tutta ideologica e destinata, se portata avanti così, a desertificare industrialmente il continente senza incidere per nulla sul climate change a livello mondiale, nella situazione data non restano molte strade da percorrere.

L’unica, riconoscendo onestamente l’impossibilità di rimanere soli, è perseguire con forza la realizzazione di una grande area di cooperazione euro-atlantica che veda in un’alleanza geostrategica, militare, economica e industriale USA/UE l’unica prospettiva realisticamente possibile in un mondo nel quale si registra una convergenza antioccidentale negli altri protagonisti.

All’interno di quest’area, che deve ovviamente coinvolgere alleati asiatici e ‘pacifici’ (in primis Giappone, Corea del Sud e Australia) vanno individuate complementarietà e sinergie economiche e industriali che possono esprimere una forza esponenziale.

Un’idea per gli amici di Aspen: sarebbe bello che due grandi centri di ricerca economica e industriale, uno statunitense l’altro europeo, iniziassero a studiare quali potrebbero essere i terreni industriali di questa possibile collaborazione. Tu fai questo, io faccio quello, tu investi lì io investo là, in un disegno coordinato e unitario soprattutto in tutte le aree del de-risking e cioè in tutte le aree industriali sensibili a questioni di sicurezza strategica: di nuovo, intelligenza artificiale, microprocessori, biotecnologie, farmaceutica e vaccini e aero-spazio.

Per le esperienze industriali maturate a livello internazionale ho visto molte volte opportunità e grandi potenzialità in questa ipotesi di cooperazione euro-atlantica. Basti ricordare nel settore automotive la straordinaria vicenda FIAT/Chrysler e il genio di Marchionne. Ma ci sono altre importanti aree di dialogo e possibile cooperazione industriale con gli USA.

Come siderurgici italiani abbiamo molto insistito, ad esempio, sulla necessità di accogliere la proposta dell’Amministrazione Biden di un’area di libero scambio Stati Uniti ed Europa estesa a Canada e Messicoper l’acciaio e l’alluminio, con l’eliminazione del dazio del 25% a suo tempo introdotto da Trump sulle importazioni di questi prodotti negli Usa. L’unica condizione richiesta dagli americani è che questo dazio possa essere mantenuto nei confronti di quei Paesi, fuori dall’area di libero scambio, che praticano unfair-trade, a partire dalla Cina.

L’ideologismo mercatista della Commissione Europea e le ambiguità della Germania, che di fatto rifiuta ogni provvedimento daziario nei confronti della Cina, hanno impedito questo accordo. L’Europa, nel non cogliere questa opportunità, ha fatto un grave errore ed ha mostrato la sua insipienza. Un’eventuale vittoria di Trump alle elezioni presidenziali del novembre 2024 renderebbe tutto maledettamente più difficile.

E ancora: sulla definizione di green steel, e cioè sulle caratteristiche di processo e intrinseche che deve avere l’acciaio verde, la posizione italiana è molto più vicina a quella dell’Associazione dei siderurgici statunitensi che a quella di Eurofer (l’organizzazione dei siderurgici europei a cui aderisce anche l’italiana Federacciai).

Questa comunanza deriva dall’oggettivo fatto che la stragrande maggioranza dell’acciaio prodotto sia in Usa che in Italia è da forno elettrico e rottame quindi già largamente decarbonizzato.

I nostri amici americani di Nucor (la prima siderurgia Usa con oltre 24 milioni di tonnellate di acciaio prodotte ogni anno e che per più di 12 anni è stata socia di Duferco negli impianti italiani) produce acciaio da forno con utilizzo di rottame e di DRI (direct reduction iron). Nucor dispone di due grandi impianti di DRI (identici a quelli che dovrebbero essere installati a Taranto) uno in Lousiana e l’altro a Trinidad. Certamente l’esperienza di questo grande gruppo americano, amico dell’Italia, pur senza coinvolgimenti diretti sarebbe preziosissima per il processo di decarbonizzazione dell’Ilva e per il suo rilancio.

Una stretta cooperazione economica e industriale tra Stati Uniti d’America e Europa darebbe tra l’altro un sostrato e una ancor più grande giustificazione al permanere di una stretta alleanza militare della Nato di cui l’Europa non può fare a meno per la sua sicurezza. Cosa ne sarebbe stato dell’Ucraina senza gli aiuti militari degli Usa e del Regno Unito?

Allargando il ragionamento dall’economico e industriale ai temi strategici e della sicurezza il ruolo dell’Italia in uno schema del genere diventa importantissimo. Vediamo perché.

Nei prossimi anni la divisione con il Nord Africa si andrà attenuando e il baricentro europeo, oggi tutto concentrato sull’asse franco-tedesco, si abbasserà spostandosi verso il Mediterraneo.

In questo contesto la posizione geografica dell’Italia, che è sostanzialmente una gigantesca piattaforma logistica proiettata verso il Sud e l’Est; l’internazionalizzazione della sua economia e la sua capacità culturale, di empatia e di dialogo con i Paesi della sponda adriatica e del Nord Africa costituiscono un formidabile patrimonio non solo per noi ma per l’Occidente tutto.

L’Italia può e deve diventare il ‘traduttore’ dei valori civili, democratici, istituzionali dell’Occidente per quei Paesi che sono alla ricerca del benessere e di un riscatto economico ma anche di una via verso il progresso democratico. Grazie al solido ancoraggio atlantico mantenuto anche dal Governo Meloni e alla capacità di dialogo che ci contraddistingue possiamo svolgere questo ruolo molto meglio di altri Paesi europei il cui passato coloniale è molto più ingombrante del nostro.

Ci vuole un approccio al tempo stesso dialogante ma anche molto più sofisticato di quello usato dall’occidente nelle vicende recenti delle cosiddette ‘primavere arabe’ e della crisi libica; un approccio che la politica estera italiana e la sua diplomazia sono capaci di esprimere.

Il piano Mattei, a partire dalle iniziative in campo in Tunisia: la linea di connessione elettrica che Terna sta per realizzare; la disponibilità degli industriali energivori italiani a partecipare con il loro consorzio Interconnector al finanziamento della linea e alla realizzazione di impianti di energia rinnovabile e di produzione di idrogeno verde in quel Paese; l’iniziativa sull’acqua che grandi aziende italiane come Acea e Fisia potrebbero intraprendere; un primo accordo per la messa a disposizione dell’industria italiana di 4000 lavoratori tunisini opportunamente formati può diventare davvero un nuovo modello di intervento in Africa basato su una cooperazione concreta e fattiva.

Una delle grandi direttrici dello sviluppo mondiale nei prossimi 20 anni sarà in Africa.

L’Occidente non può lasciare il continente africano alla Cina e alla Russia, che vi opera con i mercenari della Wagner per proteggere clepto-dittature autoctone. L’Italia, se pensa in grande, può giocare una partita fondamentale. Abbiamo tutto per farlo, dobbiamo concentrarci su quella che gli americani chiamano execution.

Allarme di Kiev: “La Russia ha ricominciato con il terrore energetico”

La Russia ha ricominciato con azioni destinate a diffondere il “terrore energetico” in Ucraina con l’avvicinarsi dell’inverno. A lanciare l’allarme è il primo ministro ucraino, Denys Shmyhal.

 “La fase del terrore energetico è già iniziata”, ha dichiarato il premier durante un forum economico, citato dall’agenzia di stampa Interfax-Ucraina. “Lo possiamo vedere nella distruzione delle infrastrutture energetiche” e nei “primi attacchi” contro le sottostazioni elettriche “nelle ultime due settimane”, ha aggiunto.

Il premier ucraino ritiene, però, che il Paese sia meglio preparato rispetto all’inverno precedente, quando gli attacchi di Mosca alle infrastrutture energetiche hanno regolarmente gettato milioni di persone nel buio e nel freddo. “Siamo molto più preparati e forti dell’anno scorso”, ha sottolineato, grazie soprattutto alla fornitura di sistemi di difesa aerea occidentali. “L’inverno sarà sicuramente duro, non certo più facile dell’ultimo”, ma “sappiamo cosa sta facendo il nemico e quali sfide ci attendono”, ha aggiunto Shmygal.

Quasi ogni notte, la Russia bombarda le città ucraine con missili e droni kamikaze. Giovedì, una nuova salva di oltre 40 missili da crociera ha ucciso tre persone a Kherson, nel sud, e ne ha ferite sette nella capitale, Kiev. Sebbene la maggior parte dei missili sia stata abbattuta, alcuni hanno colpito infrastrutture civili, secondo le autorità ucraine.

Per la prima volta in sei mesi, gli impianti energetici nell’ovest e nel centro del Paese sono stati danneggiati dagli attacchi russi, causando interruzioni di corrente in diverse regioni, ha riferito il fornitore ucraino Ukrenergo su Telegram.