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Sciopero benzinai 25-26 gennaio: “Basta ondata di fango”. Pichetto: “Diritto legittimo”

Sciopero dei benzinai il 25 e 26 gennaio. A comunicarlo sono Faib-Confesercenti, Fegica-Cisl e Figisc-Confcommercio dopo le polemiche legate all’aumento dei prezzi del carburante, in seguito all’eliminazione degli sconti sulle accise scattati a inizio anno. “Per porre fine – si legge nella nota congiunta – all’ondata di fango contro una categoria di onesti lavoratori e cercare di ristabilire la verità, le associazioni dei gestori, unitariamente, hanno assunto la decisione di proclamare lo stato di agitazione della categoria, su tutta la rete; di avviare una campagna di controinformazione sugli impianti e proclamare, per le giornate del 25 e 26 gennaio 2023, una prima azione di sciopero, con presidio sotto Montecitorio”.

Immediate le reazioni del mondo politico. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin, durante l’incontro Valore Natura organizzato dal Wwf, dichiara: “Nessun aumento stellare, la media dei prezzi non è salita neanche del valore delle accise. I dati diffusi martedì dal ministero dell’Ambiente indicavano una media nazionale di 1,81 per la benzina e 1,86 per il diesel”. Difende la scelta “precisa” fatta dal Governo di destinare 21 miliardi contro il caro bollette e “allo stesso tempo, considerati i prezzi molto bassi di gas e petrolio, ha valutato che poteva essere sospesa la misura, temporaneamente assunta dal passato governo, di taglio delle accise”. Pichetto plaude all’operazione trasparenza per il controllo dei prezzi, che reputa “efficace. Ogni distributore dovrà esporre il prezzo medio nazionale, calcolato giornalmente, della benzina e del gasolio. In questo modo i cittadini potranno verificare e valutare se e quanta differenza ci sarà col prezzo realmente praticato”. Rispetto allo sciopero indetto per il 25 e 26 gennaio, il ministro sentenzia: “Le proteste dei benzinai sono un legittimo diritto”.

Anche la ministra Daniela Santanchè, intervenendo a 24 Mattino su Radio24, reputa che l’operazione trasparenza sia opportuna, per fare in modo che “nessuno se ne approfitti”. Di diverso avviso Luca Squeri, deputato e responsabile Energia di Forza Italia, in un’intervista alla Stampa: “Esporre cartelli con la media dei prezzi è uno strumento inefficace e soprattutto di dubbia fattibilità. Non si può risolvere la questione dei prezzi con un cartello nel piazzale delle stazioni di servizio”. Perché “l’Antitrust potrebbe fare delle obiezioni, perché indicare i prezzi medi, comunicati dal ministero, potrebbe essere in contraddizione con il mercato libero. La diversificazione dei prezzi però non è speculazione”, dichiara il deputato in un’intervista rilasciata alla Stampa. Appoggia le scelte del governo – “la Meloni è stata realista, per fare uno sconto così importante servono risorse, che sono state giustamente destinate ad altre misure. Reintrodurlo ora, poco dopo l’approvazione della manovra, mi sembrerebbe un errore” – e sottolinea con vigore il proprio punto di vista rispetto alle speculazioni delle quali sono stati accusati i gestori delle pompe. Il deputato afferma infatti che “la speculazione non esiste! E lo dimostrano i dati del ministero dell’Ambiente. Chi lo ha detto ha disinformato l’opinione pubblica, una cosa gravissima. Finché si è trattato di una frase, di una dichiarazione buttata lì, amen. Ma questa falsa narrazione è servita da base per l’azione di governo”.

Anche Luca Ciriani, intervenendo a Radio anch’io, difende la categoria: “Quando si parla di speculazioni sul prezzo della benzina – dichiara il ministro dei Rapporti con il Parlamento – naturalmente non si parla del povero gestore delle pompe, che ha un introito minimo perché si parla di pochi centesimi al litro. La speculazione è legata al prezzo generale della benzina e del gas. Noi cerchiamo di aiutare il consumatore con scelta di trasparenza. Non ce l’abbiamo sicuramente con chi fa un lavoro duro guadagnando pochi denaro. Fortunatamente il prezzo alla pompa è in linea con quelli dell’anno scorso’‘.

Le reazioni alla comunicazione dello sciopero per il 25 e 26 gennaio non arrivano solo dal mondo politico. È il caso di Codacons, che dichiara: “La decisione dei benzinai di proclamare due giorni di sciopero equivale a un atto di guerra contro i consumatori, una protesta assurda e immotivata che ci porta oggi a presentare un’istanza urgente al Garante per gli scioperi affinché blocchi la mobilitazione dei gestori. Con tale sciopero i benzinai sembrano dimostrare di non gradire la trasparenza sui prezzi dei carburanti decisa dal Governo attraverso il decreto approvato dal Consiglio dei ministri, e di voler difendere ombre e ambiguità che investono il settore – afferma il Codacons –. Uno sciopero che danneggia solo i consumatori, già vittime di listini alla pompa eccessivi e del rialzo delle accise scattato lo scorso primo gennaio”. Attraverso l’istanza, il coordinamento chiede inoltre di di sanzionare qualsiasi mobilitazione lesiva dei diritti degli utenti

 

 

 

 

 

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Carburanti, il Governo contro le speculazioni: distributori dovranno esporre prezzo medio nazionale

Il caro benzina entra di prepotenza nel Consiglio dei ministri dedicato al Dl Ricostruzione e alla proroga del termine del payback sanitario al 30 aprile. Tutto era iniziato con l’incontro, nel pomeriggio di martedì, fra la premier Giorgia Meloni e il ministro Giorgetti e il comandante generale della Guardia di finanza, il generale Giuseppe Zafarana. L’obiettivo era fare il punto e valutare ogni possibile ulteriore azione di contrasto alle speculazioni in atto sui prezzi dei carburanti. Detto, fatto: in serata il Cdm ha dato il via libera ad un decreto legge che introduce disposizioni urgenti in materia di trasparenza dei prezzi dei carburanti e di rafforzamento dei poteri di controllo e sanzionatori del Garante prezzi.

Diverse le misure messe in campo. Innanzitutto un cambio importante nel monitoraggio dei prezzi, che non sarà più settimanale ma giornaliero. Poi, introdotto l’obbligo per i distributori di carburante di esporre il prezzo alla pompa praticato insieme a quello medio nazionale comunicato sul sito del ministero delle Imprese, pena possibili sanzioni. In caso di recidiva, la sanzione può giungere alla sospensione dell’attività per un periodo da sette a novanta giorni. E ancora, si rafforzano i collegamenti tra il Garante prezzi e l’Antitrust, per sorvegliare e reprimere sul nascere condotte speculative. Allo stesso fine, si irrobustisce la collaborazione tra Garante e Guardia di Finanza e viene istituita una Commissione di allerta rapida per la sorveglianza dei prezzi finalizzata ad analizzare le ragioni dei turbamenti e definire le iniziative di intervento urgenti. Sul fronte aiuti ai consumatori, invece, prevista l’erogazione di buoni benzina per un valore massimo di 200 euro per i lavoratori dipendenti nel periodo gennaio-marzo 2023.

Intanto, nelle ore precedenti al Consiglio dei ministri, era stato l’Antitrust a muoversi contro eventuali speculazioni. Con il presidente Roberto Rustichelli che ha chiesto alla guardia di finanza la collaborazione al fine di acquisire la documentazione “inerente ai recenti controlli effettuati sui prezzi dei carburanti, con particolare riferimento alle violazioni accertate“. Documentazione richiesta “per valutare pratiche commerciali scorrette nei confronti dei consumatori e violazioni della concorrenza“.

Carburanti impazziti, è colpa della raffinazione. L’Italia in controtendenza

Pare che un problema – o il problema – legato all’aumento dei carburanti, in particolar modo del gasolio, dipenda dalla raffinazione. Detto in poche parole: si raffina poco e male. Non solo in Italia ma in tutto il mondo. Poi, ma solo poi, entrano in gioco la speculazione e il taglio dello sconto sulle accise. Che, detto tra parentesi, da noi sono tra le più alte d’Europa.

Sostiene il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovambattista Fazzolari, che quei dieci miliardi di euro recuperati togliendo il risparmio a famiglie e imprese sono soldi che “verranno impiegati meglio” e che quel bonus alla pompa del carburante era a vantaggio essenzialmente “dei ceti più abbienti”. Al netto del fatto che si tratta di affermazioni da verificare – e ne scopriremo la veridicità nei prossimi mesi – resta in piedi un tema cogente: spendere di più per benzina e diesel significa mettere in ginocchio l’intera filiera di produzione nazionale. Però è altrettanto vero che salvaguardare le accise equivale a incamerare un gruzzolo di denaro che – verosimilmente – a marzo servirà per rimettere un freno al caro bollette. In sostanza, la coperta è corta.

Torniamo alla mancata raffinazione. Esiste una vera e propria geopolitica della raffinazione, che è mutata con la pandemia e con gli scenari che sono scaturiti da due anni vissuti al di fuori della normalità. Sintetizzando: benino l’Asia, male l’Europa, senza futuro l’Africa. Con certe prospettive, lanciarsi in previsioni diventa quanto mai azzardato. Ma riavvolgiamo il nastro. Il prezzo del greggio è tendenzialmente in calo perché viene determinato da domanda e offerta. L’inverno che stiamo attraversando, con temperature molto miti, aiuta a contenere le richieste, quindi a calmierare i prezzi perché c’è meno necessità. Eppure, sempre accise e speculazione a parte, i prezzi non scendono. Al contrario, salgono. La ragione di questo strano andamento è determinata appunto dalla mancata raffinazione del petrolio che viene estratto nel nostro pianeta. Solo una parte è sottoposto ai passaggi di raffinazione e questo determina il fatto che molte domande non possano essere evase.

È un deficit generalizzato, che va dagli Usa all’Africa, con la presa di coscienza che in Europa da anni è cominciata una lenta agonia del sistema, colpa di impianti desueti e di regolamenti sulle emissioni di Co2 in continua evoluzione. La Russia, poi, ha dato il colpo di grazia. Il Cremlino ha rallentato la sua raffinazione di fronte alle sanzioni imposte dalla Ue nonostante abbia dirottato il greggio verso la Cina e la Turchia. Putin che per parecchio tempo ha rappresentato una soluzione ai problemi di raffinazione di molti Paesi: si acquistavano prodotti già pronti all’uso, bypassando il disagio. Ora non funziona più così. In Italia sono 10 le raffinerie attive, dal caso particolare di Priolo in su e in giù. Sempre a meno di ulteriori dismissioni. Rimane un dato, nostro, cioè che ci riguarda direttamente ed è in controtendenza: nei primi nove mesi del 2022 le lavorazioni delle raffinerie italiane sono cresciute del 10,5%, ovvero 5 milioni di tonnellate in più rispetto al 2021. Ma non basta, a quanto pare…