Il 2024 porterà in dono ai cittadini europei il caricabatterie universale Ue

“Lasciateci districare le vostre vacanze natalizie. Dal 2024 l’Usb-C sarà la porta comune per i dispositivi elettronici portatili sul territorio dell’Unione europea”. Mancano sempre meno giorni all’anno di svolta per la tecnologia di tutti i giorni sul territorio Ue e la Commissione Europea non perde l’occasione per ricordare uno dei successi maggiori a vantaggio dei cittadini e consumatori europei arrivato quest’anno al termine del processo legislativo a Bruxelles: “Potrete utilizzare lo stesso cavo per caricare gli smartphone e i tablet vostri e della vostra famiglia, indipendentemente dal produttore”.

Entro la fine del prossimo anno l’Unione Europea avrà un caricabatterie universale per smartphone, fotocamere e tablet e – al più tardi all’inizio del 2026 – anche per i laptop. Il requisito di base sarà la porta di ricarica Usb-C, che diventerà l’unica possibile per tutti i dispositivi di piccole dimensioni che compaiono nella lista dei 15 prodotti su cui era stato trovato l’accordo tra i co-legislatori del Parlamento e del Consiglio dell’Ue nel giugno 2022. Oltre a smartphone, fotocamere e tablet sono inclusi anche consolle per videogiochi, e-reader, cuffie, auricolari, mouse, tastiere wireless, altoparlanti e navigatori portatili, ma la vera svolta ha riguardato proprio i computer portatili, che originariamente erano stati esclusi dalla proposta della Commissione Ue sul caricabatterie universale.

La data limite per i produttori per adeguarsi ai nuovi standard della revisione della direttiva sulle apparecchiature radio sarà il 28 dicembre del prossimo anno, mentre saranno concessi 16 mesi di tempo in più per i computer portatili (entro il 28 aprile 2026).

Per quanto riguarda i dispositivi che supportano la ricarica rapida, sarà armonizzata la velocità sul lato della porta Usb-C Pd (che sfrutta la stessa porta dell’Usb-C), assicurando agli utenti una ricarica rapida alla stessa velocità con qualsiasi caricatore.

All’esecutivo comunitario è stato invece affidato il compito di lavorare all’armonizzazione della ricarica wireless, per permettere a questa nuova tecnologia di diventare più diffusa e disponibile tra i vari dispositivi elettronici, con un’interoperabilità basata sui più recenti sviluppi tecnologici per il caricabatterie universale. Altra introduzione di rilievo è la possibilità per i consumatori dell’Ue di scegliere se acquistare un nuovo dispositivo elettronico con o senza il caricabatterie universale, indipendentemente dal produttore. Questo obbligo è legato sia alla volontà di far risparmiare fino a 250 milioni di euro all’anno sull’acquisto di caricabatterie non necessari, sia all’obiettivo di abbattere lo spreco di cavi e apparecchiature tecnologiche, che ogni anno è stimato sulle 11 mila tonnellate di rifiuti elettronici.

A Italian Tech Week tecnologia e intelligenza artificiale applicati alla sostenibilità

Tecnologia, innovazione, intelligenza artificiale applicate all’ambiente e alla sostenibilità: dai trasporti all’energia, dal riciclo al miglioramento delle condizioni degli allevamenti, dalla misurazione dei parametri ambientali alla piantumazione di alberi laddove c’è stato un disastro climatico. Si parlerà anche di questo all’Italian Tech Week di Torino, da oggi, 27 settembre, e fino a venerdì 29 settembre, evento annuale di Italian Tech, il content hub di Gedi, prodotto in collaborazione con Exor Ventures e Vento, interamente dedicato all’innovazione e alla tecnologia. Un’edizione ancora più ampia e ricca di ospiti internazionali, storie di innovazione e di successo, che verranno presentate nell’hub creativo di Ogr Torino.

Più di 160 ospiti da più di 10 Paesi, oltre 80 incontri, circa 50 tra workshop e 29 masterclass, oltre alla presenza di 4 importanti premi rivolti a startup e giovani imprenditori. Tra gli ospiti più attesi: Brian Chesky, fondatore di Airbnb e, in collegamento, Sam Altman, fondatore e ceo di OpenAI. Ci saranno, inoltre: l’esperto di robotica e docente dell’Università di Osaka Hiroshi Ishiguro, Matilde Giglio, co-founder di Even, Francesca Gargaglia, co-founder e coo di Amity, Caroline Yap, Managing Director Global AI Business Google Cloud, Anthea Comellini, Ingegnere presso Thales Alenia Space e Astronauta dell’Agenzia Spaziale Europea, Massimo Banzi, co-fondatore di Arduino, Mattia Barbarossa, ceo, founder e cto di Sidereus Space Dynamics, Maddalena Adorno, co-founder e ceo di Dorian Therapeutics, Marco Formento, Global Innovation & Esg Director Dolce & Gabbana, Federico Marchetti, fondatore di Yoox, Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia, Bruce Sterling, scrittore di fantascienza.

Corposo il pacchetto di appuntamenti dedicato alla sostenibilità. A 5 anni dalla tempesta Vaia che alla fine di ottobre 2018 ha messo in ginocchio le Dolomiti, abbattendo in poche ore 42 milioni di alberi dalle sferzate di un vento inarrestabile e di una pioggia devastante, quei tronchi hanno una nuova vita: l’azienda Vaia realizza altoparlanti per telefonini a forma di cubo e pianta un nuovo albero per ogni cubo venduto. A Torino sarà presente Federico Stefani, uno dei fondatori dell’azienda. Cura del verde e politiche sociali al centro dell’attività di Lorenzo Di Ciaccio di Ridaje; progetto romano esportato in altre parti d’Italia, che assegna ai cittadini (associazioni, consorzi, aziende) la cura delle aree verdi abbandonate.

Le aree sono poi curate da homeless ai quali viene insegnato giardinaggio e fornito supporto psicologico. Il progetto prevede anche un crowdfunding, per ospitare i “neogiardinieri”. Ambra Milani, invece, Ido & Co-founder Cynomys, è specializzata nel monitoraggio ambientale e nelle analisi dei consumi in allevamento, e lavorano per rendere gli allevamenti più sostenibili. A Itw sarà presente anche Daniel Ramot, co-founder di Via che fa smart mobility e ottimizza percorsi e itinerari per ridurre il traffico e l’inquinamento, e Fabrizio Martini, co fondatore di Electra Vehicles, startup italiana che ha trovato il modo di rendere le batterie delle auto più efficienti e ha già varie sedi nel mondo e centinaia di dipendenti.

Augusto Raggi e Mario Magaldi - Enel

Rinnovabili, da Enel X-Magaldi batterie a sabbia: ad alte temperature si risparmia gas

Un accumulo per energie rinnovabili che con sabbia e acciaio restituisce calore ad alte temperature, fino a 400 gradi. Così il gruppo Magaldi, con il supporto di Enel X, punta a decarbonizzare i processi industriali nel mondo, risparmiando il consumo di gas.

Il sistema si chiama Mgtes (Magaldi Green Thermal Energy Storage), realizzato nello stabilimento di Magaldi Power nell’Area di Sviluppo Industriale (ASI) di Buccino, in provincia di Salerno.
L’innovazione e la sostenibilità sono leve strategiche della decarbonizzazione”, spiega Francesco Venturini, responsabile di Enel X. Una conferma, osserva, arriva proprio dal sistema Mgtes, che “fa compiere un passo in avanti al settore degli accumuli, potendo garantire grande efficienza anche per i processi industriali che richiedono temperature elevate; il tutto grazie a una tecnologia italiana, a sua volta sostenuta da una filiera italiana, i cui eccezionali risultati aprono la strada a promettenti opportunità di sviluppo anche all’estero”.

Per Mario Magaldi, Cavaliere del lavoro e Presidente Gruppo Magaldi, la partnership con Enel X è “un passo importante, coerente al percorso dell’azienda, da più di 90 anni costantemente orientata all’innovazione e allo sviluppo di soluzioni affidabili e sostenibili per le industrie”. La tecnologia Mgtes, in particolare, offre una risposta immediata all’esigenza di sostituzione del gas. “L’Italia ha risorse e competenze per svolgere un ruolo di rilievo nella filiera delle batterie nello stoccaggio energetico, fattore abilitante nella produzione di energie rinnovabili in continuo, contribuendo così a rendere stabile e sicuro l’intero sistema”, assicura.

Tecnicamente, la tecnologia è basata su un letto di sabbia fluidizzato (“batterie di sabbia”) che permette di immagazzinare energia da fonti rinnovabili e rilasciarla sotto forma di vapore ad alta temperatura (tra 120° e 400°), ma in futuro potrà arrivare anche a mille. È coperta da brevetto mondiale, consentirà a Enel X di fornire energia termica in forma di vapore alle temperature e pressioni desiderate ai propri clienti industriali, riducendo il consumo di gas e stabilizzando il prezzo dell’energia termica. Il primo caso applicativo vedrà la fornitura di energia termica verde per soddisfare i bisogni energetici dell’industria alimentare IGI, fornitore del Gruppo Ferrero, con sede nell’ASI di Buccino. Il progetto prevede la costruzione di un impianto fotovoltaico da 5 Megawatt e di un impianto Mgtes da 125 tonnellate con capacità di accumulo pari a 13 MWh termici giornalieri. L’impianto entrerà in funzione nella seconda parte del 2024, e si prevede che porterà a una riduzione dei consumi pari al 20% dei consumi totali di IGI e risparmi di Co2 fino a 1.000 tonnellate all’anno, sostituiti da energia rinnovabile disponibile tutto il giorno.

“Risolve il problema dell’intermittenza facendo accumulo. Consente di trasformare energia elettrica verde e rilasciare vapore di notte”, scandisce Massimiliano Masi (General Managel di Magaldi Middle East). “L’aspetto del costo – riflette – è fondamentale, ma se guardiamo al costo ambientale di chi produce energia a carbone, è altissimo. Negli ultimi due anni abbiamo capito di poter fare a meno del gas, sostituendolo man mano con le energie rinnovabili, costruendo macchine intelligenti, per prendere energia quando costa poco e rilasciarla quando serve”, spiega. Per Augusto Raggi, responsabile di Enel X Italia, Magaldi “sta facendo la storia”: “Enel non si muove se la soluzione tecnologica non è di assoluta eccellenza e questa lo è perché cambia il paradigma – sostiene -. Noi lavoriamo su processi industriali dove le temperature sono più basse, fino a 85 gradi. Ma sui settori dove la temperatura è oltre 100 gradi, serve il vapore: mancava qualcosa. Oggi grazie a questo sistema si può fare a meno del gas lavorando sulle rinnovabili”.

Quello che fa Enel X è valutare quali sono le necessità del cliente, fa sapere Fabio Tentori (capo dell’Innovazione di Enel X): “In questo momento il cliente vuole energia termica, a minor costo, efficiente e pulita. Poi individuiamo trend, azienda e facciamo il match. Tutto quello che facciamo deve chiaramente essere sostenibile”.

Ursula von der Leyen

Von der Leyen: “Entro il 2030 il 40% della tecnologia Ue sarà green”

L’obiettivo del Net-Zero Industry Act, che la Commissione Europea presenterà domani, è quello di produrre entro il 2030 almeno il 40% della tecnologia pulita in Europa. Lo ha annunciato la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, intervenendo in plenaria a Strasburgo nel dibattito sulla preparazione al Consiglio europeo del 23 e 24 marzo. “Stiamo facilitando le autorizzazioni e creando regimi di aiuti di Stato più semplici, consentendo agevolazioni fiscali e un uso flessibile dei fondi Ue”, ha spiegato. Secondo von der Leyen, “l’anno scorso gli investimenti globali nella transizione pulita hanno superato i mille miliardi di dollari. Si tratta del 30% in più rispetto all’anno precedente. E questo mercato globale per le tecnologie a zero emissioni è destinato a triplicare entro il 2030, la corsa è iniziata. Dobbiamo darci da fare se vogliamo rimanere all’avanguardia. Dobbiamo coltivare la nostra base industriale di tecnologie pulite, sia per creare nuovi posti di lavoro qui in Europa sia per garantire l’accesso alle soluzioni pulite di cui abbiamo urgentemente bisogno. È questo il senso del Piano industriale per il Green Deal”.

La seconda iniziativa legislativa è la legge sulle materie prime critiche, “che il collegio adotterà domani. Si tratta di garantire l’approvvigionamento di materiali critici, estremamente necessari per la transizione digitale e verde. Questi minerali alimentano i telefoni e veicoli elettrici, chip e batterie, pannelli solari e turbine eoliche”. Von der Leyen ha ricordato che l’Ue “dipende fortemente da alcuni Paesi terzi per queste materie prime strategiche. Il 98% delle nostre forniture di terre rare e il 93% del nostro magnesio provengono dalla Cina. La pandemia e la guerra ci hanno insegnato una lezione sulle dipendenze. Se vogliamo essere indipendenti, dobbiamo urgentemente rafforzare e diversificare le nostre catene di approvvigionamento con partner affini”. La legge sulle materie prime critiche sosterrà gli sforzi delle aziende europee. “Vogliamo estrarre più minerali critici in Europa. Vogliamo aumentare la nostra capacità di lavorazione fino a raggiungere almeno il 40% del consumo annuale“. Prioritario per la Commissione “riciclare di più“, ha detto von der Leyen citando il Canada – dove si è recata la scorsa settimana – dove ha “visitato un’azienda che è in grado di riciclare il 95% di litio, cobalto e nichel dalle batterie. Il 95% riciclato. Questo è il futuro”, ha concluso.

Taiwan

I-Phone, Playstation, Htc: se si spegne Taiwan, va in tilt il mondo

Sui siti si legge “Taiwan, Cina supera linea che divide lo stretto con 68 caccia e 13 navi. Usa convocano ambasciatore cinese”. Tutto deriva dal viaggio di Nancy Pelosi, speaker democratica della Camera a Washington, nell’isola che una volta era chiamata Cina nazionalista, poi Formosa, ora Taiwan. Un Paese grande come la Lombardia, riconosciuto da una decina di Stati (fra cui il Vaticano) ma non dai grandi della Terra, in primis gli stessi Stati Uniti. Tuttavia Pechino vuole replicare alla visita “non gradita” della paladina Dem, così interromperà la cooperazione con Washington in aree quali le relazioni militari e il cambiamento climatico, imponendo sanzioni contro la stessa presidente della Camera statunitense.

Ma di chi è Taiwan? Nessuno lo sa. Quello che invece sappiamo è che è importante conoscere cosa succede nell’isola. Anche perché l’ex Formosa vale due terzi del mercato dei chip, cioè la base ormai della nostra vita iper-digitalizzata, senza scordare la sua posizione geopoliticamente determinante, a sud est della Cina Popolare. Controlla il 10% dei traffici commerciali mondiali attraverso i porti di Kao-hsiung e della capitale Taipei.

Se diciamo chip parliamo di Tsmc, Taiwan Semiconductor Manufactoring Company, il gigante che ha in mano l’84% dei micro-processori. Se si ferma Tsmc, si blocca il mondo. Taiwan però non è solo semiconduttori. Basta citare alcuni marchi famosi per rimanere a bocca aperta: Acer (notebook), Asus (notebook), Htc (cellulari), Giant (biciclette), Garmin (navigatori).

E poi c’è Foxconn che ha stabilimenti in tutto il mondo ma il suo quartier generale è a Taipei. L’azienda produce gli iPad, gli iPhone, i Kindle, le Playstation e qualsiasi altro prodotto elettronico di successo. Stiamo parlando del più grande ‘assemblatore/produttore’ del mondo con un fatturato di 5.990 miliardi di dollari taiwanesi (circa 200 miliardi di dollari Usa).

La qualità del prodotto made in Taiwan è unica grazie al fatto che il Paese investe il 3,5% del proprio Pil in ricerca e sviluppo ogni anno, ma anche grazie alla capacità lavorativa impressionante dei taiwanesi: la produttività è a livelli top, duemile ore lavorate nel solo 2020. Qualità che incidono sulla bilancia commerciale: importazioni per 287 miliardi di dollari, esportazioni per 347 miliardi.

(Photo credits: Hector RETAMAL / AFP)

offshore

L’evoluzione dell’eolico offshore ha al centro droni subacquei

In una vasca all’interno di un laboratorio di Edimburgo, gli ingegneri osservano concentrati la risalita in superficie di un drone subacqueo. Presto il dispositivo sarà in grado di andare in mare per lavorare alla manutenzione dei parchi eolici, una piccola rivoluzione per un settore in rapida espansione. Per il team di scienziati che ha sviluppato il ‘veicolo subacqueo a comando remoto’ (ROV) presso l’Università scozzese Heriot-Watt, il dispositivo rivoluzionerà il settore. Sarà in grado di effettuare operazioni di ispezione e manutenzione sui parchi eolici offshore, che finora erano attività rischiose e costose che richiedevano l’impiego di sommozzatori.

Il governo britannico ha piani molto ambiziosi per sviluppare l’energia eolica e ridurre le emissioni di CO2. Il potenziale di questo tipo di energia sembra essere ulteriormente rafforzato dall’impennata dei prezzi degli idrocarburi dovuta all’invasione russa dell’Ucraina. “Dobbiamo immaginare che tra 10 o 15 anni ci saranno centinaia di parchi eolici offshore, il che significa migliaia di turbine lungo la costa britannica“, racconta all’AfpYvan Petillot, professore di robotica alla Heriot-Watt University. “E c’è anche l’idrogeno che viene sviluppato” e spesso prodotto offshore, aggiunge. “Stiamo sviluppando tecnologie a distanza” con le quali “le persone possano ispezionare e mantenere queste fattorie dalla costa, senza mettere in pericolo nessuno“, spiega.

A maggio, il drone dotato di sensori ha condotto quella che si ritiene essere la prima ispezione autonoma di un parco eolico offshore. Il velivolo è stato impiegato nell’ambito di una sperimentazione presso il parco eolico EDF di Blyth, nel nord-est dell’Inghilterra, e ciò che ha filmato ha permesso agli scienziati di studiare le condizioni delle fondamenta delle turbine e dei cavi sommersi. Inoltre, il drone ha modellato una ricostruzione 3D della parte sommersa del parco, registrando l’accumulo di microrganismi, piante e alghe sulle turbine.

Se viene rilevato un problema, il ROV può essere utilizzato anche per effettuare le riparazioni. “Il sistema effettuerà prima un’ispezione autonoma del fondale marino e della sua struttura, e costruirà un modello 3D che qualcuno da terra potrà studiare per dire quale sia il guasto“, spiega Petillot. “In generale, se c’è corrosione, forse è necessario girare una valvola, collegare un cavo, cambiare un anodo o pulire la superficie“, spiega.

Maxime Duchet, ingegnere di EDF, ha dichiarato in un comunicato dopo la prova in mare che le immagini e i modelli raccolti dal drone miglioreranno notevolmente la conduzione delle operazioni di manutenzione sul sito. Anche se sono necessari ulteriori test, in particolare per stimare il tempo necessario per ispezionare l’intero parco, “è chiaro da questi risultati iniziali che questa tecnologia può garantire operazioni più sicure e veloci e ridurre l’impronta di carbonio” della manutenzione del parco, ha detto.

Gli ingegneri, che pilotano il drone con un joystick, affermano che il dispositivo è in grado di operare autonomamente per la maggior parte del tempo. Se si blocca o si concentra troppo su un aspetto dell’ambiente che sta studiando, uno scienziato può intervenire e reindirizzarlo. Per Petillot, l’uso di un drone potrebbe consentire a un maggior numero di scienziati di lavorare alla manutenzione remota dei parchi quando non sarebbero stati pronti a lavorare in mare. La manutenzione in mare è estremamente difficile e rischiosa. È complicato trovare sommozzatori o piloti qualificati. D’altra parte, invece, dice Petillot, è più facile trovare qualcuno che controlli un sistema come se stesse giocando a un videogioco.

vaticano

Vaticano, super-tech e impianti a goccia: acqua a spreco zero

Nello Stato Città del Vaticano guidato da Francesco, l’acqua è a spreco zero. L’impianto che serve i 15 ettari di giardino e che dà vita alle 100 fontane dislocate sul territorio è preziosa più dell’oro. Lo dimostra l’incredibile impianto installato di recente, che ha sostituito quello degli anni ’30 del Novecento, già all’avanguardia per l’epoca. “Per noi l’acqua è davvero una risorsa, la nostra linea guida è la Laudato Si’, è l’enciclica che ci dà le linee“, spiega a GEA Rafael Tornini, responsabile del Servizio giardini e ambiente, nella direzione infrastrutture e servizi del governatorato. “È un concetto basilare, che va al di là delle buone pratiche, l’acqua è una risorsa esauribile“, osserva.

In queste settimane di siccità, molte sono state spente e i prati sono tenuti al limite della sete, è una questione etica. “Li vede quei punti di giallo? È solo perché non è il momento degli sprechi“, insiste il funzionario. Un altro ‘trucco’ per utilizzare meno acqua sui prati è mantenerli alti di almeno sei centimetri: “Più è alto il prato, meno acqua serve, perché si abbassa temperatura del terreno“. Ma il vero segreto dell’efficientamento è la scienza. “L’impianto precedente aveva particolarità uniche per i tempi – ricorda Tornini -. Novanta anni dopo, abbiamo utilizzato il massimo della tecnologia per avere un risparmio notevole, il 60%“.

Trenta chilometri di tubature a goccia circondano siepi e arbustive, sul modello israeliano, mentre le parti a prato utilizzano irrigatori dinamici o statici, ma sempre con ampio risparmio. La gestione di tutto è completamente informatizzata. Due stazioni meteo, trentatre armadi, sette elettrovalvole e una centralina comunicano con software tramite un ponte radio. L’acqua è programmata in funzione del periodo, poi tramite le centraline meteo si può sapere se ci sono piogge in arrivo, quindi non servirà innaffiare. Non c’è una maglia di sensori di umidità sul terreno perché la collina ha diversità enormi: “Facciamo prelievi a campione e ci muoviamo in funzione di quello“. Durante gli scavi per l’impianto, sono stati prelevati campioni di terreno “molto focalizzati“, per conoscerne la qualità in ogni zona. “Già sapendolo, riusciamo a capire la quantità di acqua di cui il prato ha bisogno. Il software comunica con l’impianto che ne fornisce più o meno a seconda delle necessità“. Tutto si può controllare da remoto: “Se c’è un problema a una tubatura o si rompe un irrigatore perché qualcuno ci è passato sopra, il sistema lancia un allarme e noi chiudiamo quella elettrovalvola che ci dice che c’è un’anomalia“. Questo consente di avere non solo una gestione ordinata della risorsa, ma anche delle piante in salute, perché “il risparmio idrico non è solo risparmio su risorse esauribili, ma è anche benessere del giardino“.

rifiuti elettronica

Cresce l’impatto dei rifiuti elettronici: riciclato solo il 17%

La tecnologia risolve la vita, ma non è esente da controindicazioni; e nello specifico la produzione di rifiuti (Raee, acronimo per rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche). Il fenomeno dell’E-waste è preso in seria considerazione anche dall’Unione europea dal momento che le case produttrici di apparecchi elettronici ed elettrodomestici corrono sempre più veloci e immettono sul mercato con sempre più frequenza nuovi modelli più performanti e aggiornati. Non produrre rifiuti è impossibile, la soluzione rimane il riciclo che però resta ancora troppo limitato.

Secondo il Global E-waste monitor nel 2020, a livello mondiale, sono state prodotte 53,6 milioni di tonnellate di Raee con un incremento del 21% rispetto al 2018. Di questa massa di vecchie lavatrici, pc, frigoriferi, cellulari o semplici cavi, solo il 17,4% è stato riciclato. Il 38% dei rifiuti totali è prodotto da tre sole nazioni: Cina (10,1 milioni di tonnellate), Usa (6,9 milioni) e India (3,2). Il più alto tasso di recupero di materiale spetta invece all’Europa, che ricicla il 42% dei suoi rifiuti elettronici; segue l’Asia con l’11,7%, mentre America e Oceania si assestano intorno al 9%. Ma cosa succede a quell’82,6% di Raee che non viene recuperato? Il destino di questa massa di materiale è incerto, non si sa dove venga smaltita. Nei Paesi ad alto reddito, in genere, sono presenti impianti per il riciclaggio dei rifiuti: infatti, l’8% dei rifiuti è conferito in discarica o avviato a incenerimento, soprattutto i piccoli pezzi. In altri casi, invece, questi prodotti vengono resi nuovamente funzionanti e riusati. Spesso accade che vengano spediti in Paesi meno ricchi dove sono destinati al mercato dell’usato, anche se non sempre le esportazione sono legali.

Nell’analisi del Global E-waste monitor viene evidenziato anche il fatto che i rifiuti elettronici contengono al loro interno sostanze nocive per l’ambiente e per l’uomo, come ad esempio il mercurio, e che 98 milioni di tonnellate di equivalenti di anidride carbonica sono stati rilasciati nell’atmosfera a causa del riciclaggio non conforme di frigoriferi e condizionatori d’aria, contribuendo al riscaldamento climatico. Oltre a un danno ambientale, il mancato recupero dei materiali rappresenta anche uno spreco economico, dal momento che vengono dispersi, abbandonati o bruciati preziosi materiali come oro, argento e rame che compongono, ad esempio, ‘l’anima’ degli smartphone.

Venendo alla situazione italiana, il 14° rapporto annuale del centro di coordinamento Raee ha registrato un incremento del 5,3% di raccolta di rifiuti nel 2021 rispetto all’anno precedente. In numeri assoluti significa 385.258 tonnellate di Raee che non sono finite in discarica. La raccolta pro capite si assesta intorno a 6,4 kg per abitante, in crescita del 5,5% rispetto all’anno prima. Prima di entrare nel dettaglio delle tipologie raccolte, è bene chiarire come vengono definiti i rifiuti, in base alla sigla R da 1 a 5. R1 sono gli apparecchi refrigeranti, come frigoriferi condizionatori; gli R2 sono i grandi bianchi, vale a dire lavatrici, lavastoviglie, microonde etc; gli R3 sono tv e monitor dei pc; R4 sono le lampade, gli aspirapolvere, i frullatori, i pc, le stampanti, i cellulari etc; infine gli R5 sono le sorgenti luminose come lampadine e neon.

Nel 2021 in Italia sono stati effettuati 18.000 ritiri sull’intero territorio pari a 598 missioni al giorno, l’8,5% in più rispetto al 2020. Un incremento significativo legato soprattutto all’aumento di richieste di ritiro dei vecchi televisori (R3) a seguito dell’introduzione del Bonus TV: sono infatti quasi 7mila in più rispetto all’anno precedente. Gli R3 hanno infatti fatto la parte del leone, rappresentando quasi i due terzi del totale delle tonnellate raccolte. Seguono a distanza i grandi bianchi (R2) che si attestano a +3,1%. Cresce anche la raccolta delle sorgenti luminose (R5), che raggiungono le 2.713 tonnellate (+2,9%) e quella degli apparecchi di freddo e clima (R1) che arrivano a pesare 99.595 tonnellate in forza di un incremento del 2,7%. In calo invece i piccoli elettrodomestici e l’elettronica di consumo (R4) che a seguito di una contrazione dell’1,4% si ferma a 77.308 tonnellate, mettendo così fine al trend di crescita avviato negli ultimi anni.

Simona Bonafé

Bonafé (Pd): “Riposizionamento economia e tech per transizione verde”

Il Parlamento europeo non riesce a far progredire, per ora, le proposte di riforma del mercato di certificati di emissioni (Ets) e l’introduzione di un meccanismo che possa far pagare per l’inquinamento prodotto nei processi industriali di prodotti realizzati fuori dall’Ue e poi venduti nel mercato interno. Niente è perduto, ma bisogna fare in fretta. Su questi dossier come su tutta l’agenda verde europea vanno evitati ripensamenti. “Non c’è solo la questione di voler contrastare i cambiamenti climatici, che è un’altra grande emergenza e di cui peraltro si parla troppo poco, ma c’è in gioco la competitività” dell’Europa, ricorda Simona Bonafé. Nell’intervista concessa a GEA l’europarlamentare del Pd e del gruppo S&D membro della commissione Ambiente, ricorda che la transizione verde riguarda “nuove tecnologie” e quindi “il riposizionamento” di imprese ed economia a dodici stelle, quindi torna sul voto dell’Aula su i dossier chiave dell’agenda sostenibile del’Ue.

Quanto accaduto in Parlamento dimostra che il Green Deal è più facile a dirsi che a farsi?
“Noi in Parlamento ci siamo assunti un impegno, approvato a larga maggioranza, di ridurre le emissioni del 55% entro il 2030, a cui si aggiunge l’impegno della presidente della Commissione europea di fare dell’Europa un continente carbon neutral nel 2050. Fin qui tutti ad applaudire, ma poi ahimé abbiamo visto che su due provvedimenti importanti come il meccanismo Ets, che è quello per cui chi inquina paga volendo ridurlo in estrema sintesi, e quello per l’aggiustamento del carbonio alle frontiere c’è stato un asse delle forze conservatrici di destra per abbassare l’ambizione delle proposte”.

Non c’era altra alternativa che votare contro a quel punto, giusto?
“Ricordiamo che quello che si votava era la posizione negoziale del Parlamento, in vista poi del negoziato con il Consiglio. Se si arriva a negoziare con ambizioni al ribasso, poi il risultato finale quale possiamo attenderci che sia?”

Su Ets e Cbam l’Europa ha fatto una brutta figura?
“Intanto ricordiamo che il Cbam non è stato votato. Diciamo che c’è stata la volontà di chi non ha mai creduto nel Green Deal di non far progredire questi file, adducendo motivazioni strumentali al Green deal come la guerra in Ucraina, l’inflazione. Io dico il contrario. Proprio per queste situazioni dobbiamo spingere sulle rinnovabili se vogliamo sottrarci dalla dipendenza energetica della Russia”.

L’UE può permettersi ritardi sul Green Deal? E in tal senso, è fiduciosa che ora in commissione Ambiente queste legislazioni possano trovare un’intesa politica?
“La commissione Ambiente ha già convocato i lavori per la settimana prossima, e credo che i file siano già previsti per la prossima plenaria di luglio, quindi parliamo di 15 giorni. Facendo parte della commissione mi impegnerà affinché non si perda tempo. Mi auguro che si trovi una soluzione. Come detto, mi auguro che non si annacqui il pacchetto e che non si abbassi l’ambizione delle proposte”.

Su auto e furgoni invece tutto bene. Avete già qualche indicazione sugli orientamenti del Consiglio, in vista del negoziato inter-istituzionale?
“Ecco, è vero che c’è stato un voto negativo su Ets, ma al voto c’era un altro dossier importante che era quello sulle auto e i furgoni alimentati da motori a combustione, quindi a benzina e diesel, e qui siamo riusciti a imporre lo stop dal 2035. Qui mi sembra che in Consiglio anche Stati che hanno peraltro un’industria automobilistica molto forte, e mi riferisco alla Germania, si sono attenuti a questo obiettivo. Quindi ritengo che sulle auto la posizione dell’Europa possa essere ambiziosa”.