Fs fissa obiettivi ‘sfidanti’ per promuovere una transizione giusta

Sviluppare un modello sostenibile è un’esigenza dettata dalle sfide globali, ma anche dal cambio di paradigma economico. In questo contesto il settore dei trasporti ricopre un ruolo cruciale, ragion per cui i grandi player hanno già indirizzato su questi ‘binari’ i propri piani industriali. E’ il caso del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, che ha puntato obiettivi “sfidanti“, come li definisce il responsabile Sostenibilità, Lorenzo Radice: “Al 2040 arrivare ad essere net zero, con obiettivi intermedi di ridurre del 50% le emissioni di Scope 1 e Scope 2 al 2030 e del 30% di Scope 3“.

Tutto questo si ritrova nel report Just Transition e Trasporti, un’iniziativa che affronta la sfida mirando a garantire inclusività, equità e sostenibilità nel lungo periodo. Fs è promotore di una crescita sostenibile del Paese, capitalizzando appieno le potenzialità offerte dal servizio ferroviario nell’ottica della sostenibilità ambientale e sociale, con un approccio olistico e partecipativo: proponendosi di guidare il settore verso un futuro più sostenibile, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche guardando alla dimensione di equità sociale ed economica collettiva. “Un grande gruppo industriale ha il dovere di ascoltare, capire cosa si muove attorno a sé e se dalla società arrivano spunti su metriche che non comprendiamo“, spiega il responsabile Affari istituzionali del Gruppo Fs, Fabrizio Dell’Orefice, durante la presentazione del documento. “Siamo in una fase di grande trasformazione del Paese – prosegue -. Per anni abbiamo sentito questa magica sigla, Pnrr, qualcosa che sembrava dovesse venire, mentre siamo già alle inaugurazioni. Lo scorso anno noi abbiamo toccato, nella voce investimenti, quota 16 miliardi, una cifra mai vista nella nostra storia, circa 1 punto di Pil. Questo significa cantieri, lavoro, appalti, realizzazioni, opere pubbliche e ricucitura del territorio“.

Una cifra record di cui, però, Ferrovie non vuole solo considerare per la realizzazione delle, ma “capire anche quello che significa per il tessuto sociale dove andiamo ad operare“, sottolinea Elisa Rinelli, del dipartimento Affari Istituzionali del Gruppo. Per affrontare la complessa sfida della transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, il Gruppo Fs ha avviato il progetto La Just Transition nel Settore Trasporti, in collaborazione con la Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile.

Questo progetto si concentra su tre aree prioritarie: la mitigazione del cambiamento climatico, la tutela ambientale e sociale e l’impatto positivo sulle comunità. I risultati di questo confronto e approfondimento si traducono in una serie di iniziative concrete e nel coinvolgimento attivo delle parti interessate. Dopo una fase preliminare di coinvolgimento degli stakeholder avvenuta tra dicembre 2023 e gennaio 2024, il progetto si propone di redigere un rapporto introduttivo che esamina gli aspetti più significativi e problematici della transizione climatica nel mondo dei trasporti. Tra le varie misure possibili, emerse da un confronto con gli stakeholder coinvolti, grande attenzione è stata posta al potenziamento del trasporto su rotaia attraverso la programmazione a medio-lungo termine, resa possibile grazie ai fondi del Pnrr. Le azioni necessarie a tal fine comprendono un’espansione e un miglioramento generale delle infrastrutture ferroviarie, il completamento dei corridoi europei Ten-T, l’incremento delle linee ad Alta Velocità, delle reti regionali e interregionali, nonché dei nodi ferroviari nelle città metropolitane. Inoltre, un generale apprezzamento si è avuto nelle attività di valorizzazione delle stazioni come centri intermodali e poli di sviluppo sostenibile, tenendo conto del loro ruolo centrale nell’ambito urbano e territoriale. Fs, inoltre, si impegna a coinvolgere attivamente le comunità locali nei processi decisionali, promuovendo una maggiore consapevolezza dei benefici derivanti dalla trasformazione infrastrutturale. Emerge così, tra i molteplici aspetti considerati, l’importanza fondamentale delle stazioni ferroviarie, non solo come nodi di transito, ma anche come veri e propri centri vitali per lo sviluppo sociale ed economico. Dal lavoro sulla Just Transition, realizzato con la Fondazione per lo Sviluppo sostenibile, emerge anche l’esigenza di creare un Osservatorio sulla povertà dei trasporti, che “proponga delle soluzioni – dice il direttore della Fss, Raimondo Orsini -, raccogliendole anche dalle buone pratiche sviluppate in tutti gli altri Paesi. Questa è l’urgenza. E abbiamo deciso di fare questo passo con il gruppo Fs, che su questo non solo ha una storia, una tradizione, ma ha anche un futuro“.

Credito d’imposta per investimenti transizione 5.0: procedura per la richiesta

Nonostante gli investimenti innovativi con crediti di imposta, il legislatore fiscale sta introducendo adempimenti preventivi complessi per verificarne l’effettività.

Per accedere ad esempio al credito d’imposta per investimenti in transizione 5.0, le imprese devono presentare al GSE le certificazioni tecniche, una descrizione del progetto d’investimento ed il suo costo.

“L’impresa dovrà poi comunicare periodicamente al GSE l’avanzamento dell’investimento e, pena la decadenza – sostiene Rosa Santoriello, consigliera d’amministrazione della Cassa dei ragionieri e degli esperti contabili – dovrà poi comunicare il completamento dell’investimento, corredato dalla relativa certificazione”.

“La spettanza del beneficio – aggiunge Santoriello – è subordinata alla presentazione di certificazioni rilasciate da un valutatore indipendente, che ne attesterà la riduzione dei consumi energetici conseguibili tramite gli investimenti e l’effettiva realizzazione degli stessi”.

I requisiti dei soggetti autorizzati al rilascio delle certificazioni saranno individuati dal decreto ministeriale di attuazione.

Gentiloni

Sostenibilità, Gentiloni: Non riportare indietro transizione, in gioco competitività

“Proseguire a pieno ritmo con la transizione verde e non riportarla indietro come alcuni suggeriscono”. Paolo Gentiloni detta la linea, e cerca di rimodellare una campagna elettorale costruita attorno alle elezioni europee che fin qui ha visto da più parti rimettere in discussione quel Green Deal, o quanto meno alcune sue componenti, mai così indispensabili. Il commissario per l’Economia evita scontri frontali contro specifichi gruppi, né tira in ballo partiti, anche se il riferimento è mirato.

Al Delphi Economic Forum il commissario per l’Economia ricorda quanto ci sia in gioco per l’Unione europea e i suoi Stati membri, Italia compresa. Dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina e lo shock energetico che ne è derivato “siamo riusciti a dissociarci ampiamente dal gas russo ed evitare una recessione a livello dell’Ue”, rivendica Gentiloni. Tuttavia questi eventi “hanno avuto il loro prezzo” da pagare in termini di rallentamento. “Nel 2023 la crescita è stata pari solo allo 0,4% ed è diventata negativa in 11 Stati membri”. Le ultime previsioni economiche della Commissione europea indicano che la crescita “riprenda moderatamente nella seconda metà di quest’anno e acceleri leggermente nel 2025, anche se – ammette Gentiloni – parliamo di cifre relativamente modeste: 0,8% nel 2024 e 1,5% nel 2025 per l’area euro”.

Da qui considerazione e conclusione che per Gentiloni sono le logiche conseguenze di un contesto ammantato da “punti interrogativi” per la competitività dell’Europa. Se si guarda all’industria, “il problema oggi è che il nostro settore continua a pagare in media tre volte di più per l’elettricità rispetto agli Stati Uniti”. A parità di prodotto e di quantità vuol dire costi di produzione più bassi e margini di guadagno più alto, con l’Europa che rispetto al concorrente d’oltre oceano ha tutto da perdere. “L ’unica soluzione è proseguire a pieno ritmo con la transizione verde e non riportarla indietro come alcuni suggeriscono”, insiste Gentiloni . Che paventa scenari di delocalizzazione che non gioverebbero all’Unione europea. “Se non affrontiamo il costo dell’energia le nostre aziende non aspetteranno”.

Un messaggio chiaro per la politica, a cui ricorda che la via dei combustibili fossili è preclusa perché la transizione è già stata impostata. Tornare indietro rischia di essere l’opzione più costosa. L’imperativo, oggi più che mai, è “ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, e aumentare la diffusione delle energie rinnovabili”. Un suggerimento per quanti impegnati in campagna elettorale.

Fondirigenti e Piemonte Innova presentano il Modello ‘Digitale e Competenze per la Transizione Energetica’

Le imprese, di qualunque dimensione e settore, sono chiamate a giocare un ruolo cruciale nella transizione verso un futuro energetico sostenibile: è questo il messaggio chiave che emerge dal progetto DC4ET ‘Digitale e Competenze per la Transizione Energetica’ l’iniziativa strategica di Fondirigenti che ha affrontato il tema della doppia transizione – digitale e sostenibile – dal punto di vista delle aziende e dei loro dirigenti.

Quello della transizione energetica è, infatti, un tema di grande attualità e di importanza strategica per le imprese, come dimostra la recente approvazione del decreto attuativo del Piano Transizione 5.0 relativo agli incentivi per gli investimenti in tecnologie digitali e verdi.

Per questo, Fondirigenti ha deciso di affidare uno specifico progetto di approfondimento a Fondazione Piemonte Innova che, in collaborazione con Federmanager Torino, Unione Industriali Torino, Environment Park e Fondazione Links, ha coinvolto 20 imprese piemontesi nella sperimentazione. I manager e dirigenti nell’arco di otto mesi hanno partecipato a focus group e tavoli di lavoro, per confrontarsi su criticità, aggiornarsi su elementi normativi, condividere buone pratiche, ragionare su strumenti concreti e tecnologie digitali utili alla transizione.

Il risultato è stato un vero e proprio percorso, fatto di indicazioni strategiche e strumenti concreti, per fare in modo che le imprese, in particolare le medio e piccole, possano integrare in azienda pratiche più sostenibili, imparando a gestire con maggior efficacia il rischio legato alle oscillazioni dei mercati; ma anche, introdurre tecnologie innovative che consentono importanti risparmi energetici, per monitorare meglio i consumi e ottimizzarli; o, ancora, per facilitare la partecipazione delle aziende alle Comunità Energetiche Rinnovabili o addirittura per costituirle.

Tuttavia, il modello non si limita a questo aspetto: delineando i passi necessari che le imprese devono intraprendere nel medio periodo per giungere al proprio posizionamento energetico ottimale, mette in luce il ruolo essenziale delle competenze e delle figure professionali coinvolte o richieste per compiere con successo ogni passo. Un elemento fondamentale per affrontare questa sfida in modo efficace è, infatti, il capitale umano e la creazione di una cultura aziendale improntata alla gestione energetica sostenibile.

I risultati del progetto DC4ET sono stati presentati in anteprima a Torino, giovedì 14 marzo alle ore 16.00, presso il Centro Congressi dell’Unione Industriali. Tutte le imprese interessate possono visionare il modello ‘Digitale e Competenze per la Transizione Energetica’ sul sito di Fondazione Piemonte Innova piemonteinnova.it/portfolio-articoli/dc4et

Il mondo economico e produttivo sta attraversando profonde trasformazioni in chiave digitale e sostenibile, che richiedono al management un deciso cambiamento nel modo di lavorare. Per questo con Fondirigenti abbiamo da tempo posto al centro della nostra azione la crescita delle competenze su questi temi – spiega il direttore generale Massimo Sabatini -. Con questa iniziativa intendiamo supportare le imprese e i dirigenti, in particolare nelle PMI, verso una maggiore consapevolezza sugli aspetti che caratterizzano la transizione energetica e ambientale, contribuendo ad individuare e, potenzialmente, a trasferire le skills necessarie ad affrontare questa sfida, tenendo conto delle crescenti difficoltà nel reperire sul mercato profili manageriali adeguati. Abbiamo presentato un vero e proprio modello di intervento, che, come sempre, viene messo a disposizione delle imprese su tutto il territorio nazionale”.

Sostenibilità sarà sempre di più sinonimo di competitività – ha dichiarato Laura Morgagni, CEO di Fondazione Piemonte Innova -. La transizione verso un futuro energetico sostenibile richiede un approccio olistico che vada oltre l’implementazione di tecnologie verdi. La creazione di una cultura aziendale improntata alla gestione sostenibile, supportata da una formazione continua e competenze specializzate, diventa fondamentale per affrontare le sfide e cogliere le opportunità future. Altrettanto cruciale sarà per le imprese saper attivare in modo creativo e flessibile competenze provenienti da diversi settori e collaborazioni con altre imprese. Saper conoscere e attivare i cosiddetti “ecosistemi di innovazione”, di cui Fondazione Piemonte Innova è un esempio, è una vera e propria “meta-competenza”, che potrà fare la differenza per le imprese tra il restare o uscire dal mercato, in un contesto in cui esse saranno scelte dai clienti anche in base agli impatti generati in termini di sostenibilità ambientale e di transizione energetica”.

Imprese, Pagliuca (Cnpr): 630 mln per competenze green con Piano 5.0

Acquisto di beni strumentali materiali o immateriali 4.0; spese per la formazione del personale in competenze per la transizione verde e acquisto di beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo da fonti rinnovabili a esclusione delle biomasse. Sono i tre pilastri su cui si fonda il decreto legge del ministero delle Imprese e del Made in Italy che contiene le coordinate del Piano 5.0 del Governo Meloni. “Il Piano 5.0 è l’evoluzione del Piano transizione 4.0 che ha permesso alle imprese manufatturiere di usufruire di diverse agevolazioni. La revisione del Pnrr ha destinato 14 miliardi alle imprese – sottolinea Luigi Pagliuca, presidente della Cnpr2,8 miliardi per le imprese agricole per l’efficientamento energetico e circa 2 miliardi per le imprese che realizzeranno la connettività”. “I tre nuovi crediti d’imposta agevolano l’acquisto di beni strumentali materiali o immateriali 4.0 per 3,78 miliardi di euro, l’acquisto di beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo da fonti rinnovabili ad esclusione delle biomasse per 1,8 miliardi di euro – prosegue Pagliuca – e le spese per la formazione del personale in competenze per la transizione verde per 630 milioni di euro”.
Le attività che beneficeranno dell’agevolazione dovranno poi produrre dei risultati misurati in termini di efficienza energetica e di risparmio di energia. Gli investimenti in beni 4.0, dovranno conseguire un risparmio energetico pari ad almeno il 5%; le attività non legate a specifici processi target, dovranno conseguire un risparmio energetico pari ad almeno il 3%.

Fondo per il sostegno alla transizione industriale, al via le domande

Al via le domande per richiedere i contributi a fondo perduto del Fondo per il sostegno alla transizione industriale.

Il Fondo, si rivolge alle imprese che investono nella tutela ambientale ed ha l’obiettivo di favorire l’adeguamento del sistema produttivo italiano alle politiche UE sulla lotta ai cambiamenti climatici.

La dotazione iniziale è di 300 milioni di euro, destinata esclusivamente agli investimenti, di grande entità, volti a migliorare l’efficienza energetica e la tutela ambientale della produzione.

“I programmi d’investimento devono essere volti al perseguimento, in via esclusiva – spiega Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – di un miglioramento in termini di tutela ambientale dei processi aziendali. Non sono ammessi interventi che determinano un aumento della capacità produttiva, fatti salvi gli aumenti derivanti da esigenze tecniche, qualora non superiori al 2% rispetto alla situazione precedente all’intervento”.

Le imprese possono presentare la domanda esclusivamente online sul sito di Invitalia.

Le imprese pronte a investire nella transizione green. La Bce avverte: “Fare presto o costo sociale sarà altissimo”

La transizione green non è più procrastinabile, perché altrimenti “rischia di aumentare il conto che finiremo per dover pagare”. A lanciare l’allarme è Christine Lagarde, presidente della Bce, durante il suo intervento di apertura alla conferenza internazionale congiunta Aie-Bce-Bei sul tema ‘Garantire una transizione energetica ordinata: competitività e stabilità finanziaria dell’Europa in un periodo di trasformazione energetica globale’. In uno scenario di transizione tardiva, spiega, “le banche più vulnerabili si troverebbero ad affrontare perdite del portafoglio prestiti due volte superiori alla mediana. E respingere gli obiettivi non ci farà guadagnare più tempo per gli investimenti richiesti”. Ma non solo. “In altre parole – precisa Lagarde – procrastinare significherà correre il rischio di finire in una casa di accoglienza in cui stiamo gradualmente eliminando le fonti energetiche inquinanti prima di poterle sostituire con altre pulite”. Con la conseguenza di aumentare la volatilità dei prezzi.

La numero uno della Bce punta sul concetto di ‘ordine’ e sulla necessità di “non sbagliare” la transizione green, perché altrimenti “ci saranno costi sociali elevati”. E se è vero che “il percorso verso il successo” è “complesso”, bisogna “portare a termine la transizione comprendendo le sfide che comporta e garantendo che i costi siano condivisi equamente”.

I timori sulle conseguenze del cambiamento climatico nei prossimi cinque anni sono alquanto diffusi tra le imprese dell’area dell’euro. Secondo un’indagine svolta dalla Bce tra il 25 maggio e il 26 giugno 2023 sull’accesso delle imprese al finanziamento (Survey on the Access to Finance of Enterprises, SAFE)- che per la prima volta ha incluso domande specifiche sull’impatto del cambiamento climatico – 6 aziende su 10 temono i rischi di collegati a normative e standard più rigorosi in materia di clima. Inoltre, il 39% è fortemente preoccupato dalle calamità naturali e il 48% dal degrado ambientale.

Le imprese intervistate hanno indicato “diversi ostacoli che rendono difficoltoso l’accesso al finanziamento necessario per gli investimenti volti a mitigare i rischi derivanti da calamità naturali o a rispettare standard più rigorosi in materia di clima”. Oltre la metà delle imprese ha segnalato “tassi di interesse o costi di finanziamento troppo elevati e sovvenzioni pubbliche insufficienti come ostacoli molto importanti all’attuazione di investimenti collegati al rischio climatico”. Dall’indagine emerge che per le Pmi, tutti gli ostacoli al finanziamento degli investimenti rappresentano una preoccupazione più forte rispetto alle imprese di grandi dimensioni. Insomma, dice Lagarde, “le imprese sono pronte a spendere”, ma “bisogna promuovere il mercato della finanza verde in Europa, il che ridurrebbe il premio per il rischio e abbasserebbe i costi di finanziamento”. Chiaramente, questo “richiede uno sforzo politico combinato che coinvolga più istituzioni pubbliche. Come istituzioni pubbliche, dobbiamo quindi chiederci come possiamo contribuire nell’ambito dei nostri mandati. Anche questa è una parte fondamentale per comprendere la sfida. Per la Bce, il contributo più importante che possiamo dare è mantenere la stabilità dei prezzi”.

I prestiti agevolati da fonti pubbliche sono considerati dalle imprese uno strumento importante per ridurre il costo degli investimenti verdi e più di un terzo delle aziende ha affermato che li utilizzerebbe in futuro. Tuttavia, circa la metà delle aziende intervistate ritiene che le garanzie pubbliche siano insufficienti.

auto e furgoni

Appello del settore auto all’Ue: “Sì a transizione green ma bisogna investire sulla competitività”

Un appello urgente “per stimolare la trasformazione dell’industria automobilistica europea e migliorare la competitività”. A lanciarlo è stata l’Acea – l’associazione europea dei costruttori di automobili – insieme ad altri sette rappresentanti della catena del valore automobilistica, compresi i rappresentanti dei sindacati e dei datori di lavoro. In una lettera indirizzata alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, i firmatari hanno invitato la Commissione europea a dare priorità a sei azioni chiave prima della fine dell’attuale mandato nel 2024: sviluppare una solida strategia industriale, ampliare un mercato europeo a emissioni zero e una catena del valore delle batterie, garantire un contesto normativo stabile e coerente per il settore, migliorare l’agenda per le competenze e il quadro per una transizione giusta, migliorare l’accessibilità dei trasporti e garantire condizioni di parità a livello globale.

I firmatari hanno sottolineato il loro impegno per la decarbonizzazione dei trasporti, sottolineando al contempo che “l’inerzia dei legislatori minerà la trasformazione e la competitività dell’industria automobilistica europea” e “metterà inoltre a rischio l’occupazione in un settore che genera più di 13 milioni di posti di lavoro nell’Ue”.

La Cina fornisce un esempio significativo di strategia industriale mirata a sostegno dell’industria automobilistica nazionale competitiva a livello globale nel settore dell’elettromobilità. Il Reduction Act americano mostra anche che è possibile innescare centinaia di miliardi di investimenti un solido quadro di politica industriale”, si legge nelle prime righe della lettera-appello.

L’invito all’Ue è, quindi, quello di sviluppare “una solida strategia industriale” capace di garantire “condizioni di parità” sia dentro sia fuori l’Unione, ma anche di prevedere “un contesto stabile per gli investimenti” e la promozione di un’industria automobilistica davvero “competitiva”. Passando, naturalmente, da “un pilastro cruciale”, rappresentato dalla garanzia di fonti energetiche “affidabili e competitive, che riducano i costi per cittadini e imprese”.

Lo stop alla produzione di auto a benzina e diesel voluto dall’Unione europea a partire dal 2035 preoccupa l’intero settore, che chiede, quindi, di “ridurre la dipendenza dai paesi terzi su parti critiche della catena del valore”. A cominciare dalla Cina. La trasformazione verde e digitale, dicono i firmatari, “devono andare di pari passo con una transizione giusta. L’Unione Europea – si legge ancora nel testo – deve sostenere una tabella di marcia di trasformazione, soprattutto per le regioni che dipendono da essa”. Si chiedono perciò “inventivi” per “sostenere pienamente gli investimenti verdi e la riparabilità della catena del mercato post-vendita”, ad esempio nell’acquisizione di veicoli nei mercati nuovi e usati.

Il Green Deal non si può fare senza Cina: lo studio dell’Europarlamento

Il Green Deal europeo non può fare a meno della Cina. Il cambio di paradigma operato dalla Commissione von der Leyen produce una dipendenza, tutta nuova, da cui sottrarsi non appare possibile. Perché la repubblica popolare è troppo presente in quei settori e in quei mercati di cui l’Ue è povera eppur tanto, troppo bisognosa. Per fare della transizione verde servono terre rare, ma pure metalli quali niobio e tantalio, “essenziali per l’industria della difesa e l’energia rinnovabile in tutto il mondo”, rileva un’analisi del centro studi e ricerche del Parlamento europeo. Queste risorse sono tutte in mano cinese.

Considerando l’agenda politica europea e il contesto geopolitico internazionale, “gli impegni di neutralità climatica dell’Ue e le risposte degli Stati membri ai rischi sollevati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno contribuito a una crescente domanda di tali metalli che dovrebbe continuare a medio termine”. Nel 2020, si ricorda nel documento, la Commissione europea ha stimato che la domanda di elementi di terre rare utilizzati nei magneti permanenti aumenterebbe di dieci volte entro il 2050. Con la Cina e le sue industrie a farla da padrone per una politica ponderata che ha permesso di conquistare vantaggio.

La Cina beneficia di un controllo schiacciante dell’estrazione e della lavorazione delle terre rare, un’industria considerata di grande importanza strategica”. Per l’Unione europea “evitare ogni cooperazione con aziende legate alla Cina potrebbe rivelarsi impossibile in un settore dominato in modo schiacciante dalla Cina”. L’unica strada percorribile, per non ritrovarsi tra le braccia del Dragone, è scegliere con cura gli investimenti e i partner. Si tratterebbe di procedere ad uno ‘screening’ delle imprese, della loro partecipazione azionaria asiatica e i lori rapporti con la Repubblica popolare cinese, presente anche nell’unico polo di lavorazione delle terre rare su suolo europeo.

L’Ue è in ritardo. Ha avviato una transizione senza essere pronta. “Gli Stati membri dell’Ue non dispongono di miniere di terre rare attive, mentre allo stesso tempo importanti progetti di estrazione di terre rare al di fuori della Cina, come quelli in Groenlandia, non sono ancora diventati operativi”. Inoltre, “anche la capacità di trasformazione europea è limitata, poiché è in gran parte concentrata in un unico impianto, vale a dire lo stabilimento Silmet in Estonia”. Ma di proprietà extra-Ue. Silmet a è di proprietà della Neo Performance Materials Corp (Npm), azienda canadese con sede a Toronto. Principale azionista di Npm è l’azienda australiana Hastings Technology Metals Ltd, attiva nel settore delle terre rare. “Wyloo Metals, di proprietà del fondo di investimento Tattarang, ha finanziato Hastings per l’acquisizione di Npm”. In questo gioco di acquisizioni e partecipazioni, “Tattarang è ancora di proprietà della famiglia dell’imprenditore minerario australiano Andrew Forrest, i cui legami con la Cina sono particolarmente estesi”. In particolare “la sua attività principale, Fortescue Metals Group, estrae ed esporta minerale di ferro in Cina, che è il mercato principale dell’azienda per questo prodotto. Forrest è stato ripetutamente collegato ai tentativi del partito-stato cinese di influenzare la politica del suo paese d’origine”.

Il dominio cinese su terre rare, niobio e tantalio si spiega anche con una politica avviata con largo anticipo, mirata e finalizzata a conquistare vantaggi. In aggiunta al suo controllo sulle risorse di terre rare, ricorda il documento, “ la Cina ha ripetutamente cercato di ottenere il controllo di importanti giacimenti all’estero, una strategia coerente con il desiderio di mantenere la leva finanziaria che la Cina ha sfruttato per fini politici controversi”. Oltre al pieno controllo della catena di approvvigionamento della Cina, il predominio del mercato globale delle terre rare “significa che il Paese può scegliere di assumere una posizione ostile nel raggiungimento degli obiettivi politici”, come dimostrato dagli eventi del 2010, quando il governo cinese ha imposto quote di esportazione al Giappone e ha interrotto le esportazioni poiché ha chiesto il rilascio di un capitano cinese detenuto per aver pescato in acque che la Cina rivendica come proprie. Se è vero che “nel 2023 i resoconti dei media hanno affermato che il governo stava prendendo in considerazione un divieto di esportazione di terre rare”, Green Deal e transizione verde europea passano per la Cina.

Nuovo parco eolico Boujdour: così il Marocco accelera la transizione

L’Office national de l’électricité et de l’eau potable (ONEE) ha annunciato l’entrata in funzione commerciale del parco eolico di Boujdour da 300 MW e il passaggio della rete meridionale a 400 kV. Il Marocco ha compiuto un altro passo importante nel suo impegno ad accelerare la transizione energetica mettendo in funzione tutte le turbine eoliche del parco eolico di Boujdour, l’ottavo progetto eolico completato nelle province meridionali del Marocco e il 14° a livello nazionale, contemporaneamente alla messa in funzione della più grande sottostazione di trasformazione Boujdour II “400/225 kV”, ha dichiarato l’ONEE in un comunicato stampa.

Questi risultati dimostrano la determinazione dell’ONEE e dei suoi partner a continuare a lavorare in stretta collaborazione per promuovere il modello marocchino di transizione energetica sostenibile e confermare ulteriormente la posizione internazionale del Marocco come uno dei Paesi modello leader nella lotta al cambiamento climatico, ha sottolineato la stessa fonte.

Il rafforzamento della rete meridionale attraverso la messa in funzione dell’intera sottostazione Boujdour II “400/225 kV”, in particolare attraverso il passaggio a 400 kV di tutti i nuovi impianti costruiti in loco (linee a 225 e 400 kV, autotrasformatori, ecc.) rappresenta un nuovo punto di svolta nel significativo miglioramento dell’infrastruttura elettrica del Marocco e delle sue province meridionali.

“Grazie a questo potenziamento, la capacità di trasmissione di energia elettrica della rete nel sud del Marocco sarà aumentata, consentendo così un servizio di trasmissione e distribuzione di energia elettrica migliore, più efficiente e affidabile sulle lunghe distanze”, continua l’ONEE, sottolineando che questo nuovo miglioramento svolgerà un ruolo cruciale nella creazione di una rete elettrica resiliente, garantendo una fornitura stabile e di alta qualità per i residenti e gli industriali della regione meridionale.

La messa in funzione del parco eolico di Boujdour da 300 MW segna anche un passo importante verso il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che il Marocco si è posto per il 2023 in termini di quota di energie rinnovabili nel mix elettrico.

Sviluppato nell’ambito della produzione privata di energia elettrica, a seguito dell’aggiudicazione dell’importante gara d’appalto internazionale per il programma eolico integrato da 850 MW, e con un investimento totale di circa 3,9 miliardi di dirham (MMDH) e una produzione annua di oltre 1. L’energia elettrica prodotta sarà fornita dalla rete elettrica marocchina. L’elettricità prodotta sarà fornita dalla società di progetto Boujdour Wind Fram e sarà interamente fatturata all’ONEE in base al contratto PPA in vigore, a una delle tariffe più basse al mondo. Questo nuovo parco eolico si posiziona come un importante impianto di produzione di energia pulita, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di migliaia di famiglie marocchine e di ridurre significativamente le emissioni di gas serra (circa 1.145.000 tCO2/anno). Questi risultati confermano la posizione del Marocco come leader regionale nella promozione dell’energia pulita e sostenibile.

Commentando questi risultati, il direttore generale dell’ONEE, Abderrahim El Hafidi, citato nel comunicato stampa, ha dichiarato che “la messa in funzione del parco eolico di Boujdour e il passaggio a 400 kV per la rete meridionale sono pietre miliari del nostro costante impegno per un futuro energetico più sostenibile, Questi progetti riflettono la nostra determinazione a contribuire a ridurre l’impronta di carbonio del nostro Paese e a costruire un futuro sostenibile per il Marocco”, ha detto.

Il Marocco continua a svolgere un ruolo pionieristico nel Nord Africa in termini di sviluppo sostenibile e di energie rinnovabili. Questi risultati segnano l’inizio di una nuova era per il settore energetico marocchino, contribuendo alla prosperità economica e preservando l’ambiente.