Gentiloni

Sostenibilità, Gentiloni: Non riportare indietro transizione, in gioco competitività

“Proseguire a pieno ritmo con la transizione verde e non riportarla indietro come alcuni suggeriscono”. Paolo Gentiloni detta la linea, e cerca di rimodellare una campagna elettorale costruita attorno alle elezioni europee che fin qui ha visto da più parti rimettere in discussione quel Green Deal, o quanto meno alcune sue componenti, mai così indispensabili. Il commissario per l’Economia evita scontri frontali contro specifichi gruppi, né tira in ballo partiti, anche se il riferimento è mirato.

Al Delphi Economic Forum il commissario per l’Economia ricorda quanto ci sia in gioco per l’Unione europea e i suoi Stati membri, Italia compresa. Dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina e lo shock energetico che ne è derivato “siamo riusciti a dissociarci ampiamente dal gas russo ed evitare una recessione a livello dell’Ue”, rivendica Gentiloni. Tuttavia questi eventi “hanno avuto il loro prezzo” da pagare in termini di rallentamento. “Nel 2023 la crescita è stata pari solo allo 0,4% ed è diventata negativa in 11 Stati membri”. Le ultime previsioni economiche della Commissione europea indicano che la crescita “riprenda moderatamente nella seconda metà di quest’anno e acceleri leggermente nel 2025, anche se – ammette Gentiloni – parliamo di cifre relativamente modeste: 0,8% nel 2024 e 1,5% nel 2025 per l’area euro”.

Da qui considerazione e conclusione che per Gentiloni sono le logiche conseguenze di un contesto ammantato da “punti interrogativi” per la competitività dell’Europa. Se si guarda all’industria, “il problema oggi è che il nostro settore continua a pagare in media tre volte di più per l’elettricità rispetto agli Stati Uniti”. A parità di prodotto e di quantità vuol dire costi di produzione più bassi e margini di guadagno più alto, con l’Europa che rispetto al concorrente d’oltre oceano ha tutto da perdere. “L ’unica soluzione è proseguire a pieno ritmo con la transizione verde e non riportarla indietro come alcuni suggeriscono”, insiste Gentiloni . Che paventa scenari di delocalizzazione che non gioverebbero all’Unione europea. “Se non affrontiamo il costo dell’energia le nostre aziende non aspetteranno”.

Un messaggio chiaro per la politica, a cui ricorda che la via dei combustibili fossili è preclusa perché la transizione è già stata impostata. Tornare indietro rischia di essere l’opzione più costosa. L’imperativo, oggi più che mai, è “ridurre la dipendenza dai combustibili fossili, e aumentare la diffusione delle energie rinnovabili”. Un suggerimento per quanti impegnati in campagna elettorale.

Fondirigenti e Piemonte Innova presentano il Modello ‘Digitale e Competenze per la Transizione Energetica’

Le imprese, di qualunque dimensione e settore, sono chiamate a giocare un ruolo cruciale nella transizione verso un futuro energetico sostenibile: è questo il messaggio chiave che emerge dal progetto DC4ET ‘Digitale e Competenze per la Transizione Energetica’ l’iniziativa strategica di Fondirigenti che ha affrontato il tema della doppia transizione – digitale e sostenibile – dal punto di vista delle aziende e dei loro dirigenti.

Quello della transizione energetica è, infatti, un tema di grande attualità e di importanza strategica per le imprese, come dimostra la recente approvazione del decreto attuativo del Piano Transizione 5.0 relativo agli incentivi per gli investimenti in tecnologie digitali e verdi.

Per questo, Fondirigenti ha deciso di affidare uno specifico progetto di approfondimento a Fondazione Piemonte Innova che, in collaborazione con Federmanager Torino, Unione Industriali Torino, Environment Park e Fondazione Links, ha coinvolto 20 imprese piemontesi nella sperimentazione. I manager e dirigenti nell’arco di otto mesi hanno partecipato a focus group e tavoli di lavoro, per confrontarsi su criticità, aggiornarsi su elementi normativi, condividere buone pratiche, ragionare su strumenti concreti e tecnologie digitali utili alla transizione.

Il risultato è stato un vero e proprio percorso, fatto di indicazioni strategiche e strumenti concreti, per fare in modo che le imprese, in particolare le medio e piccole, possano integrare in azienda pratiche più sostenibili, imparando a gestire con maggior efficacia il rischio legato alle oscillazioni dei mercati; ma anche, introdurre tecnologie innovative che consentono importanti risparmi energetici, per monitorare meglio i consumi e ottimizzarli; o, ancora, per facilitare la partecipazione delle aziende alle Comunità Energetiche Rinnovabili o addirittura per costituirle.

Tuttavia, il modello non si limita a questo aspetto: delineando i passi necessari che le imprese devono intraprendere nel medio periodo per giungere al proprio posizionamento energetico ottimale, mette in luce il ruolo essenziale delle competenze e delle figure professionali coinvolte o richieste per compiere con successo ogni passo. Un elemento fondamentale per affrontare questa sfida in modo efficace è, infatti, il capitale umano e la creazione di una cultura aziendale improntata alla gestione energetica sostenibile.

I risultati del progetto DC4ET sono stati presentati in anteprima a Torino, giovedì 14 marzo alle ore 16.00, presso il Centro Congressi dell’Unione Industriali. Tutte le imprese interessate possono visionare il modello ‘Digitale e Competenze per la Transizione Energetica’ sul sito di Fondazione Piemonte Innova piemonteinnova.it/portfolio-articoli/dc4et

Il mondo economico e produttivo sta attraversando profonde trasformazioni in chiave digitale e sostenibile, che richiedono al management un deciso cambiamento nel modo di lavorare. Per questo con Fondirigenti abbiamo da tempo posto al centro della nostra azione la crescita delle competenze su questi temi – spiega il direttore generale Massimo Sabatini -. Con questa iniziativa intendiamo supportare le imprese e i dirigenti, in particolare nelle PMI, verso una maggiore consapevolezza sugli aspetti che caratterizzano la transizione energetica e ambientale, contribuendo ad individuare e, potenzialmente, a trasferire le skills necessarie ad affrontare questa sfida, tenendo conto delle crescenti difficoltà nel reperire sul mercato profili manageriali adeguati. Abbiamo presentato un vero e proprio modello di intervento, che, come sempre, viene messo a disposizione delle imprese su tutto il territorio nazionale”.

Sostenibilità sarà sempre di più sinonimo di competitività – ha dichiarato Laura Morgagni, CEO di Fondazione Piemonte Innova -. La transizione verso un futuro energetico sostenibile richiede un approccio olistico che vada oltre l’implementazione di tecnologie verdi. La creazione di una cultura aziendale improntata alla gestione sostenibile, supportata da una formazione continua e competenze specializzate, diventa fondamentale per affrontare le sfide e cogliere le opportunità future. Altrettanto cruciale sarà per le imprese saper attivare in modo creativo e flessibile competenze provenienti da diversi settori e collaborazioni con altre imprese. Saper conoscere e attivare i cosiddetti “ecosistemi di innovazione”, di cui Fondazione Piemonte Innova è un esempio, è una vera e propria “meta-competenza”, che potrà fare la differenza per le imprese tra il restare o uscire dal mercato, in un contesto in cui esse saranno scelte dai clienti anche in base agli impatti generati in termini di sostenibilità ambientale e di transizione energetica”.

Imprese, Pagliuca (Cnpr): 630 mln per competenze green con Piano 5.0

Acquisto di beni strumentali materiali o immateriali 4.0; spese per la formazione del personale in competenze per la transizione verde e acquisto di beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo da fonti rinnovabili a esclusione delle biomasse. Sono i tre pilastri su cui si fonda il decreto legge del ministero delle Imprese e del Made in Italy che contiene le coordinate del Piano 5.0 del Governo Meloni. “Il Piano 5.0 è l’evoluzione del Piano transizione 4.0 che ha permesso alle imprese manufatturiere di usufruire di diverse agevolazioni. La revisione del Pnrr ha destinato 14 miliardi alle imprese – sottolinea Luigi Pagliuca, presidente della Cnpr2,8 miliardi per le imprese agricole per l’efficientamento energetico e circa 2 miliardi per le imprese che realizzeranno la connettività”. “I tre nuovi crediti d’imposta agevolano l’acquisto di beni strumentali materiali o immateriali 4.0 per 3,78 miliardi di euro, l’acquisto di beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo da fonti rinnovabili ad esclusione delle biomasse per 1,8 miliardi di euro – prosegue Pagliuca – e le spese per la formazione del personale in competenze per la transizione verde per 630 milioni di euro”.
Le attività che beneficeranno dell’agevolazione dovranno poi produrre dei risultati misurati in termini di efficienza energetica e di risparmio di energia. Gli investimenti in beni 4.0, dovranno conseguire un risparmio energetico pari ad almeno il 5%; le attività non legate a specifici processi target, dovranno conseguire un risparmio energetico pari ad almeno il 3%.

Fondo per il sostegno alla transizione industriale, al via le domande

Al via le domande per richiedere i contributi a fondo perduto del Fondo per il sostegno alla transizione industriale.

Il Fondo, si rivolge alle imprese che investono nella tutela ambientale ed ha l’obiettivo di favorire l’adeguamento del sistema produttivo italiano alle politiche UE sulla lotta ai cambiamenti climatici.

La dotazione iniziale è di 300 milioni di euro, destinata esclusivamente agli investimenti, di grande entità, volti a migliorare l’efficienza energetica e la tutela ambientale della produzione.

“I programmi d’investimento devono essere volti al perseguimento, in via esclusiva – spiega Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – di un miglioramento in termini di tutela ambientale dei processi aziendali. Non sono ammessi interventi che determinano un aumento della capacità produttiva, fatti salvi gli aumenti derivanti da esigenze tecniche, qualora non superiori al 2% rispetto alla situazione precedente all’intervento”.

Le imprese possono presentare la domanda esclusivamente online sul sito di Invitalia.

Le imprese pronte a investire nella transizione green. La Bce avverte: “Fare presto o costo sociale sarà altissimo”

La transizione green non è più procrastinabile, perché altrimenti “rischia di aumentare il conto che finiremo per dover pagare”. A lanciare l’allarme è Christine Lagarde, presidente della Bce, durante il suo intervento di apertura alla conferenza internazionale congiunta Aie-Bce-Bei sul tema ‘Garantire una transizione energetica ordinata: competitività e stabilità finanziaria dell’Europa in un periodo di trasformazione energetica globale’. In uno scenario di transizione tardiva, spiega, “le banche più vulnerabili si troverebbero ad affrontare perdite del portafoglio prestiti due volte superiori alla mediana. E respingere gli obiettivi non ci farà guadagnare più tempo per gli investimenti richiesti”. Ma non solo. “In altre parole – precisa Lagarde – procrastinare significherà correre il rischio di finire in una casa di accoglienza in cui stiamo gradualmente eliminando le fonti energetiche inquinanti prima di poterle sostituire con altre pulite”. Con la conseguenza di aumentare la volatilità dei prezzi.

La numero uno della Bce punta sul concetto di ‘ordine’ e sulla necessità di “non sbagliare” la transizione green, perché altrimenti “ci saranno costi sociali elevati”. E se è vero che “il percorso verso il successo” è “complesso”, bisogna “portare a termine la transizione comprendendo le sfide che comporta e garantendo che i costi siano condivisi equamente”.

I timori sulle conseguenze del cambiamento climatico nei prossimi cinque anni sono alquanto diffusi tra le imprese dell’area dell’euro. Secondo un’indagine svolta dalla Bce tra il 25 maggio e il 26 giugno 2023 sull’accesso delle imprese al finanziamento (Survey on the Access to Finance of Enterprises, SAFE)- che per la prima volta ha incluso domande specifiche sull’impatto del cambiamento climatico – 6 aziende su 10 temono i rischi di collegati a normative e standard più rigorosi in materia di clima. Inoltre, il 39% è fortemente preoccupato dalle calamità naturali e il 48% dal degrado ambientale.

Le imprese intervistate hanno indicato “diversi ostacoli che rendono difficoltoso l’accesso al finanziamento necessario per gli investimenti volti a mitigare i rischi derivanti da calamità naturali o a rispettare standard più rigorosi in materia di clima”. Oltre la metà delle imprese ha segnalato “tassi di interesse o costi di finanziamento troppo elevati e sovvenzioni pubbliche insufficienti come ostacoli molto importanti all’attuazione di investimenti collegati al rischio climatico”. Dall’indagine emerge che per le Pmi, tutti gli ostacoli al finanziamento degli investimenti rappresentano una preoccupazione più forte rispetto alle imprese di grandi dimensioni. Insomma, dice Lagarde, “le imprese sono pronte a spendere”, ma “bisogna promuovere il mercato della finanza verde in Europa, il che ridurrebbe il premio per il rischio e abbasserebbe i costi di finanziamento”. Chiaramente, questo “richiede uno sforzo politico combinato che coinvolga più istituzioni pubbliche. Come istituzioni pubbliche, dobbiamo quindi chiederci come possiamo contribuire nell’ambito dei nostri mandati. Anche questa è una parte fondamentale per comprendere la sfida. Per la Bce, il contributo più importante che possiamo dare è mantenere la stabilità dei prezzi”.

I prestiti agevolati da fonti pubbliche sono considerati dalle imprese uno strumento importante per ridurre il costo degli investimenti verdi e più di un terzo delle aziende ha affermato che li utilizzerebbe in futuro. Tuttavia, circa la metà delle aziende intervistate ritiene che le garanzie pubbliche siano insufficienti.

auto e furgoni

Appello del settore auto all’Ue: “Sì a transizione green ma bisogna investire sulla competitività”

Un appello urgente “per stimolare la trasformazione dell’industria automobilistica europea e migliorare la competitività”. A lanciarlo è stata l’Acea – l’associazione europea dei costruttori di automobili – insieme ad altri sette rappresentanti della catena del valore automobilistica, compresi i rappresentanti dei sindacati e dei datori di lavoro. In una lettera indirizzata alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, i firmatari hanno invitato la Commissione europea a dare priorità a sei azioni chiave prima della fine dell’attuale mandato nel 2024: sviluppare una solida strategia industriale, ampliare un mercato europeo a emissioni zero e una catena del valore delle batterie, garantire un contesto normativo stabile e coerente per il settore, migliorare l’agenda per le competenze e il quadro per una transizione giusta, migliorare l’accessibilità dei trasporti e garantire condizioni di parità a livello globale.

I firmatari hanno sottolineato il loro impegno per la decarbonizzazione dei trasporti, sottolineando al contempo che “l’inerzia dei legislatori minerà la trasformazione e la competitività dell’industria automobilistica europea” e “metterà inoltre a rischio l’occupazione in un settore che genera più di 13 milioni di posti di lavoro nell’Ue”.

La Cina fornisce un esempio significativo di strategia industriale mirata a sostegno dell’industria automobilistica nazionale competitiva a livello globale nel settore dell’elettromobilità. Il Reduction Act americano mostra anche che è possibile innescare centinaia di miliardi di investimenti un solido quadro di politica industriale”, si legge nelle prime righe della lettera-appello.

L’invito all’Ue è, quindi, quello di sviluppare “una solida strategia industriale” capace di garantire “condizioni di parità” sia dentro sia fuori l’Unione, ma anche di prevedere “un contesto stabile per gli investimenti” e la promozione di un’industria automobilistica davvero “competitiva”. Passando, naturalmente, da “un pilastro cruciale”, rappresentato dalla garanzia di fonti energetiche “affidabili e competitive, che riducano i costi per cittadini e imprese”.

Lo stop alla produzione di auto a benzina e diesel voluto dall’Unione europea a partire dal 2035 preoccupa l’intero settore, che chiede, quindi, di “ridurre la dipendenza dai paesi terzi su parti critiche della catena del valore”. A cominciare dalla Cina. La trasformazione verde e digitale, dicono i firmatari, “devono andare di pari passo con una transizione giusta. L’Unione Europea – si legge ancora nel testo – deve sostenere una tabella di marcia di trasformazione, soprattutto per le regioni che dipendono da essa”. Si chiedono perciò “inventivi” per “sostenere pienamente gli investimenti verdi e la riparabilità della catena del mercato post-vendita”, ad esempio nell’acquisizione di veicoli nei mercati nuovi e usati.

Il Green Deal non si può fare senza Cina: lo studio dell’Europarlamento

Il Green Deal europeo non può fare a meno della Cina. Il cambio di paradigma operato dalla Commissione von der Leyen produce una dipendenza, tutta nuova, da cui sottrarsi non appare possibile. Perché la repubblica popolare è troppo presente in quei settori e in quei mercati di cui l’Ue è povera eppur tanto, troppo bisognosa. Per fare della transizione verde servono terre rare, ma pure metalli quali niobio e tantalio, “essenziali per l’industria della difesa e l’energia rinnovabile in tutto il mondo”, rileva un’analisi del centro studi e ricerche del Parlamento europeo. Queste risorse sono tutte in mano cinese.

Considerando l’agenda politica europea e il contesto geopolitico internazionale, “gli impegni di neutralità climatica dell’Ue e le risposte degli Stati membri ai rischi sollevati dall’invasione russa dell’Ucraina hanno contribuito a una crescente domanda di tali metalli che dovrebbe continuare a medio termine”. Nel 2020, si ricorda nel documento, la Commissione europea ha stimato che la domanda di elementi di terre rare utilizzati nei magneti permanenti aumenterebbe di dieci volte entro il 2050. Con la Cina e le sue industrie a farla da padrone per una politica ponderata che ha permesso di conquistare vantaggio.

La Cina beneficia di un controllo schiacciante dell’estrazione e della lavorazione delle terre rare, un’industria considerata di grande importanza strategica”. Per l’Unione europea “evitare ogni cooperazione con aziende legate alla Cina potrebbe rivelarsi impossibile in un settore dominato in modo schiacciante dalla Cina”. L’unica strada percorribile, per non ritrovarsi tra le braccia del Dragone, è scegliere con cura gli investimenti e i partner. Si tratterebbe di procedere ad uno ‘screening’ delle imprese, della loro partecipazione azionaria asiatica e i lori rapporti con la Repubblica popolare cinese, presente anche nell’unico polo di lavorazione delle terre rare su suolo europeo.

L’Ue è in ritardo. Ha avviato una transizione senza essere pronta. “Gli Stati membri dell’Ue non dispongono di miniere di terre rare attive, mentre allo stesso tempo importanti progetti di estrazione di terre rare al di fuori della Cina, come quelli in Groenlandia, non sono ancora diventati operativi”. Inoltre, “anche la capacità di trasformazione europea è limitata, poiché è in gran parte concentrata in un unico impianto, vale a dire lo stabilimento Silmet in Estonia”. Ma di proprietà extra-Ue. Silmet a è di proprietà della Neo Performance Materials Corp (Npm), azienda canadese con sede a Toronto. Principale azionista di Npm è l’azienda australiana Hastings Technology Metals Ltd, attiva nel settore delle terre rare. “Wyloo Metals, di proprietà del fondo di investimento Tattarang, ha finanziato Hastings per l’acquisizione di Npm”. In questo gioco di acquisizioni e partecipazioni, “Tattarang è ancora di proprietà della famiglia dell’imprenditore minerario australiano Andrew Forrest, i cui legami con la Cina sono particolarmente estesi”. In particolare “la sua attività principale, Fortescue Metals Group, estrae ed esporta minerale di ferro in Cina, che è il mercato principale dell’azienda per questo prodotto. Forrest è stato ripetutamente collegato ai tentativi del partito-stato cinese di influenzare la politica del suo paese d’origine”.

Il dominio cinese su terre rare, niobio e tantalio si spiega anche con una politica avviata con largo anticipo, mirata e finalizzata a conquistare vantaggi. In aggiunta al suo controllo sulle risorse di terre rare, ricorda il documento, “ la Cina ha ripetutamente cercato di ottenere il controllo di importanti giacimenti all’estero, una strategia coerente con il desiderio di mantenere la leva finanziaria che la Cina ha sfruttato per fini politici controversi”. Oltre al pieno controllo della catena di approvvigionamento della Cina, il predominio del mercato globale delle terre rare “significa che il Paese può scegliere di assumere una posizione ostile nel raggiungimento degli obiettivi politici”, come dimostrato dagli eventi del 2010, quando il governo cinese ha imposto quote di esportazione al Giappone e ha interrotto le esportazioni poiché ha chiesto il rilascio di un capitano cinese detenuto per aver pescato in acque che la Cina rivendica come proprie. Se è vero che “nel 2023 i resoconti dei media hanno affermato che il governo stava prendendo in considerazione un divieto di esportazione di terre rare”, Green Deal e transizione verde europea passano per la Cina.

Nuovo parco eolico Boujdour: così il Marocco accelera la transizione

L’Office national de l’électricité et de l’eau potable (ONEE) ha annunciato l’entrata in funzione commerciale del parco eolico di Boujdour da 300 MW e il passaggio della rete meridionale a 400 kV. Il Marocco ha compiuto un altro passo importante nel suo impegno ad accelerare la transizione energetica mettendo in funzione tutte le turbine eoliche del parco eolico di Boujdour, l’ottavo progetto eolico completato nelle province meridionali del Marocco e il 14° a livello nazionale, contemporaneamente alla messa in funzione della più grande sottostazione di trasformazione Boujdour II “400/225 kV”, ha dichiarato l’ONEE in un comunicato stampa.

Questi risultati dimostrano la determinazione dell’ONEE e dei suoi partner a continuare a lavorare in stretta collaborazione per promuovere il modello marocchino di transizione energetica sostenibile e confermare ulteriormente la posizione internazionale del Marocco come uno dei Paesi modello leader nella lotta al cambiamento climatico, ha sottolineato la stessa fonte.

Il rafforzamento della rete meridionale attraverso la messa in funzione dell’intera sottostazione Boujdour II “400/225 kV”, in particolare attraverso il passaggio a 400 kV di tutti i nuovi impianti costruiti in loco (linee a 225 e 400 kV, autotrasformatori, ecc.) rappresenta un nuovo punto di svolta nel significativo miglioramento dell’infrastruttura elettrica del Marocco e delle sue province meridionali.

“Grazie a questo potenziamento, la capacità di trasmissione di energia elettrica della rete nel sud del Marocco sarà aumentata, consentendo così un servizio di trasmissione e distribuzione di energia elettrica migliore, più efficiente e affidabile sulle lunghe distanze”, continua l’ONEE, sottolineando che questo nuovo miglioramento svolgerà un ruolo cruciale nella creazione di una rete elettrica resiliente, garantendo una fornitura stabile e di alta qualità per i residenti e gli industriali della regione meridionale.

La messa in funzione del parco eolico di Boujdour da 300 MW segna anche un passo importante verso il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi che il Marocco si è posto per il 2023 in termini di quota di energie rinnovabili nel mix elettrico.

Sviluppato nell’ambito della produzione privata di energia elettrica, a seguito dell’aggiudicazione dell’importante gara d’appalto internazionale per il programma eolico integrato da 850 MW, e con un investimento totale di circa 3,9 miliardi di dirham (MMDH) e una produzione annua di oltre 1. L’energia elettrica prodotta sarà fornita dalla rete elettrica marocchina. L’elettricità prodotta sarà fornita dalla società di progetto Boujdour Wind Fram e sarà interamente fatturata all’ONEE in base al contratto PPA in vigore, a una delle tariffe più basse al mondo. Questo nuovo parco eolico si posiziona come un importante impianto di produzione di energia pulita, in grado di soddisfare il fabbisogno energetico di migliaia di famiglie marocchine e di ridurre significativamente le emissioni di gas serra (circa 1.145.000 tCO2/anno). Questi risultati confermano la posizione del Marocco come leader regionale nella promozione dell’energia pulita e sostenibile.

Commentando questi risultati, il direttore generale dell’ONEE, Abderrahim El Hafidi, citato nel comunicato stampa, ha dichiarato che “la messa in funzione del parco eolico di Boujdour e il passaggio a 400 kV per la rete meridionale sono pietre miliari del nostro costante impegno per un futuro energetico più sostenibile, Questi progetti riflettono la nostra determinazione a contribuire a ridurre l’impronta di carbonio del nostro Paese e a costruire un futuro sostenibile per il Marocco”, ha detto.

Il Marocco continua a svolgere un ruolo pionieristico nel Nord Africa in termini di sviluppo sostenibile e di energie rinnovabili. Questi risultati segnano l’inizio di una nuova era per il settore energetico marocchino, contribuendo alla prosperità economica e preservando l’ambiente.

Finanza e risparmio a sostegno della transizione: al via l’evento Withub

Per arrivare all’obiettivo di emissioni zero entro il 2050 servono circa 100 trilioni di dollari. Nel dettaglio, secondo un rapporto di BloombergNef (Bnef), l’Europa dovrà investire più di 32 trilioni di dollari (29 trilioni di euro) nell’energia e nelle tecnologie correlate per passare a un’economia, appunto, net zero. In pratica 3 miliardi di euro al giorno. Di questi 32mila miliardi di biglietti verdi (attualmente i fondi Ue non arrivano nemmeno a mille) ben 21 trilioni di dollari nel periodo 2022-2050 saranno necessari per i veicoli elettrici, mentre 1.400 miliardi dovranno essere investiti in nuove pompe di calore.

Sono stati compiuti progressi, in particolare nel settore energetico, dove le rinnovabili rappresentano il 40% della produzione di energia installata a livello globale, contribuendo a un aumento senza precedenti dell’83% di energia globale nel 2022. Ma per mantenere in vita 1,5°C – sottolinea Irena, International Renewable Energy Agency – “i livelli di implementazione devono crescere da circa 3.000 gigawatt di oggi a oltre 10.000 GW nel 2030, una media di 1.000 GW all’anno. La distribuzione è inoltre limitata a determinate parti del mondo. La Cina, l’Unione Europea e gli Stati Uniti hanno rappresentato i due terzi di tutte le aggiunte lo scorso anno, lasciando più indietro le nazioni in via di sviluppo”. Solo entro il 2030 servirebbero, sempre secondo Irena, 35 trilioni di investimenti. Risorse che non si vedono al lavoro, per questo Francesco La Camera, direttore generale di Irena, ha sottolineato che per ora la transizione energetica globale è fuori strada.
I fondi pubblici messi in campo – tra Europa, Usa e Cina – rappresentano circa 3mila miliardi. Gli altri 97mila miliardi chi li mette? Solo la finanza, con tutte le sue potenzialità, può accelerare la svolta. Di questo si parlerà a ‘Green Economy Finance, il ruolo della finanza e del risparmio a sostegno della transizione ecologica’, il prossimo 22 giugno a Esperienza Europa a Roma. L’evento, prima edizione, è organizzato da Gea, Eunews e Fondazione Articolo 49, tutte facenti parte del gruppo Withub, in collaborazione col Parlamento europeo e col patrocinio della Commissione Europea.

Durante l’incontro interverranno esponenti della politica europea e nazionale, rappresentanti delle istituzioni finanziarie italiane, primari operatori del settore e delle aziende. La finanza necessita di regole chiare per impostare prodotti remunerativi, così da convincere i risparmiatori ad investire in prodotti sostenibili. La stessa finanza si trova ad affrontare una propria transizione, alle prese con norme sempre in evoluzione, clienti quasi da educare a un nuovo approccio di investimenti, e imprese che hanno bisogno di pianificare strategie con risorse economiche stabili.

Al termine dell’evento, per la prima volta in Italia, sarà conferito un riconoscimento ai fondi di investimento più green, meno volatili e più remunerativi: queste le caratteristiche fondanti dei GEA Finance Awards che andrà a una top ten di fondi articolo 9, aventi come obiettivo esclusivamente l’investimento sostenibile, e che negli ultimi anni hanno garantito i migliori rendimenti ai risparmiatori-sottoscrittori, il tutto in un contesto di sicurezza dell’investimento stesso. Withub e Fida, gruppo specializzato nello sviluppo di applicazioni software per i servizi finanziari e nella raccolta e analisi di dati nel risparmio gestito, hanno prodotto una short list che non vuole essere solo premio virtuoso, bensì un incentivo all’intero mondo della gestione del risparmio per incrementare gli investimenti nella transizione

PMI del Sud: 400 milioni per la transizione green e digitale in manifattura e servizi

Firmato dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il decreto che istituisce un nuovo bando per rafforzare la crescita sostenibile e la competitività delle PMI dei territori delle regioni del Mezzogiorno (Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna).

Con una dotazione di 400 milioni, la misura potrà coprire fino al 75% delle spese ritenute ammissibili con un’agevolazione articolata in un contributo e in un finanziamento agevolato.

L’obiettivo del provvedimento è quello di sostenere il processo di transizione delle piccole e medie imprese nelle regioni del Mezzogiorno – afferma Fedele Santomauro, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – mediante l’incentivazione di investimenti imprenditoriali innovativi, che facciano ampio ricorso alle tecnologie digitali secondo il Piano Transizione 4.0”.

Per ottenere l’accesso, i progetti presentati devono prevedere l’utilizzo di tecnologie abilitanti (come cloud, realtà virtuale) destinati all’ampliamento della capacità produttiva, alla diversificazione della produzione, alla realizzazione di nuovi prodotti, o alla modifica del processo di produzione già esistente o alla realizzazione una nuova unità produttiva.

Nel calcolo del punteggio – prosegue Santomauro – sono riconosciuti significativi anche i punteggi premiali per i progetti aventi ad oggetto l’efficientamento energetico dell’impresa, che consentano un risparmio energetico almeno pari al 5%, nonché per quelli finalizzati a introdurre nel processo produttivo soluzioni legate all’economia circolare”.