Siti energetici russi sotto attacco dei droni. Putin accusa l’Ucraina: “Vogliono minare le elezioni”

I siti energetici russi sono sotto attacco per il secondo giorno consecutivo. L’ultimo, in ordine di tempo, ha preso di mira una raffineria di petrolio nella zona di Ryazan, che si trova a circa 200 chilometri a sud-est di Mosca, uno dei maggiori produttori di carburante per la Russia centrale e controllata dal gigante petrolifero Rosneft. L’attacco è stato portato ancora una volta con un drone, che ha provocato feriti e un incendio, riferisce France Presse citando le dichiarazioni del governatore della regione, Pavel Malkov.

Ma sono decine i droni che hanno puntato su siti strategici anche in altre zone della Russia, come Belgorod, Bryansk, Kursk e Voronezh. La caratteristica che hanno in comune è di trovarsi geograficamente al confine con l’Ucraina. Negli attacchi, comunque, non ci sono notizie di ferimenti, stando a quanto riportano le varie autorità regionali.

Un altro drone è stato abbattuto, invece, mentre si avvicinava a una raffineria di petrolio nella regione di Leningrado, vicino a San Pietroburgo (nord-ovest)

I raid erano iniziati già martedì 12 marzo, puntando come obiettivo sempre una raffineria di petrolio, ma nella zona industriale di Kstovo (regione di Nizhny Novgorod), a 800 chilometri dal confine ucraino. Così come sempre ieri un incendio è scoppiato in un impianto di carburante nella regione di Orel. Le autorità regionali riferiscono che più di trenta droni sono stati abbattuti nella regione di Voronezh, mentre l’attacco ha causato danni non rilevanti alle infrastrutture. Il computo sale sommando gli 8 droni abbattuti nella regione di Bryansk, quattro nella regione di Kursk, sei nella regione di Belgorod, dove però i danni alle linee elettriche hanno causato diverse interruzioni di corrente.

Il presidente Russo, Vladimir Putin, punta il dito contro l’Ucraina. “Non ho dubbi che l’obiettivo principale, se non riusciranno a minare le elezioni presidenziali in Russia, è almeno quello di cercare di impedire ai cittadini di esprimere la loro volontà in qualsiasi modo”.

agricoltura biologica

Agroalimentare, per l’ingresso dell’Ucraina in Ue servirebbero 100 miliardi di euro in più alla PAC

100 miliardi per salvare la Pac. Ecco quanto servirebbe per sostenere la Politica Agricola Comune se l’Ucraina entrasse in Unione Europea. Un tema, questo, al centro dei dibattiti di questi giorni, che ha guidato anche l’evento, organizzato dalla piattaforma editoriale Withub, tenutosi oggi a Bruxelles, ‘Nuove coordinate per la sostenibilità dell’agricoltura Ue’, alla presenza delle principali associazioni di categoria – Cia, Coldiretti, Confagricotura, Eat Europe e Filiera Italia – e del Commissario Europeo per l’Agricoltura, Janusz Wojciechowski.

PAC: + 100 MILIARDI O MENO SOSTEGNO PER TUTTI. Quali sarebbero gli effetti sulla Pac dell’ingresso in Europa di un gigante agricolo come l’Ucraina? L’Europa assegna i finanziamenti ai paesi membri prevalentemente in base all’estensione in ettari della superficie agricola. Oggi, i 27 Stati dell’Ue hanno una superficie agricola di 157 milioni di ettari, la sola superficie coltivabile dell’Ucraina è di 41 milioni di ettari (dati 2020 estrazione a partire da Eurostat, Servizio Statistico Ucraino). Secondo l’elaborazione del Centro Studi GEA su una simulazione a cura del professor Angelo Frascarelli dell’Università di Perugia, basata su un calcolo effettuato sui criteri della Pac attuale, se l’Ucraina entrasse in Ue oggi, dovrebbe ricevere – in base agli ettari coltivati – fondi per oltre il 20% del budget annuale dell’intera Europa dedicato al sostegno agli agricoltori. Questa proiezione non tiene presente le future azioni correttive dell’effettivo negoziato di adesione dell’Ucraina all’Unione europea, ma calcola l’ipotesi di un’erogazione del sostegno europeo sulla base della superficie agricola per il primo pilastro della PAC, ipotizzando l’ingresso dell’Ucraina alle stesse condizioni degli attuali Paesi membri dell’Ue. Si tratta, quindi di un’importante, ma necessaria, semplificazione dello scenario secondo la quale, tuttavia, l’equilibrio degli altri Paesi Ue sarebbe sconvolto. In un’Unione Europea a 28 Stati, infatti, gli ettari coltivati salirebbero a 198 milioni e mezzo rispetto ai 157 milioni e mezzo attuali. A parità di budget, stando alla simulazione, per ogni ettaro coltivato si riceverebbero 272,34 euro anziché gli attuali 343,52. Ciò significa, facendo il calcolo sull’Italia, che il nostro Paese passerebbe da un contributo di 5,6 miliardi di euro l’anno a 4,2 miliardi. Se invece si volessero continuare a sostenere tutti gli agricoltori dei Paesi Ue con le stesse cifre di oggi e a questi si aggiungessero quelli ucraini, servirebbero appunto 98,9 miliardi di euro in più (per un settennio del quadro finanziario pluriennale), che si andrebbero a sommare ai 378,5 miliardi, il budget pluriennale della Pac attuale.

PAC IN ITALIA. LE CONSEGUENZE REGIONE PER REGIONE. Secondo le elaborazioni dell’università di Perugia su dati Eurostat registrate dal centro studi GEA, inoltre, le 10 regioni che perderebbero di più con l’entrata in Ue dell’Ucraina, immaginando di mantenere i livelli attuali di sostentamento agli agricoltori, sarebbero: la Lombardia (che perderebbe il 52%, passando da oltre 600 milioni a meno di 300); la Calabria (con -48%, quindi da quasi 400 milioni a 200), il Veneto (-47%, da quasi 500 milioni a circa 250). A seguire il Piemonte, l’Emilia Romagna, le Marche, il Friuli Venezia Giulia, la Campania e l’Umbria.

NON SOLO PAC: F2F E FERTILIZZANTI. Cosa comporterà l’applicazione delle norme sulla riduzione del 20% dei fertilizzanti chimici contenute nella Farm2Fork? Secondo un’elaborazione del Centro Studi GEA su dati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore campus di Piacenza e Cremona – Vsafe e Federchimica Assofertilizzanti, una diminuzione in produzione per le principali colture italiane: -14,5% per il frumento duro, -12,3% per il frumento tenero, -12% per il mais, -12,6% per il pomodoro, -6,6% per la soia, -9,9% per l’uva da vino. Una calo di produzione che si rifletterebbe sull’economia italiana con una perdita pari a 5,4 miliardi di euro. In questo scenario, potrebbero avere un ruolo importante i biostimolanti. Secondo un’elaborazione del Centro Studi GEA su dati dell’Università Cattolica del Sacro Cuore campus di Piacenza – ISA (Innovation for Sustainable Agriculture R&D), questi prodotti, potrebbero arginare le perdite generate dall’adeguamento richiesto dalla Farm to Fork. Dai test effettuati dall’Università Cattolica di Piacenza, infatti, è evidente come i biostimolanti compensino la riduzione di input chimici e aiutino la pianta in condizioni di stress. Nei test effettuati sulle colture di pomodoro, ad esempio, riducendo i fertilizzanti ma impiegando biostimolanti, la resa non è statisticamente diversa da quella ottenuta con fertilizzazione 100% in termini di altezza delle piante, produzione di frutti e foglie.

 

 

FILIERA ITALIA. “I 378 miliardi di PAC attuali rappresentano una risorsa fondamentale che aiuta gli agricoltori a sostenere i costi di standard produttivi di sicurezza e ambientali più elevati al mondo e rendere competitiva con la fase di produzione agricola l’intera filiera e sono tutto il contrario di un sostegno passivo al reddito degli agricoltori. Se non ci fossero, 300 miliardi sarebbero stati caricati direttamente sul carrello della spesa dei consumatori con conseguenze tutt’altro che positive soprattutto per le fasce più povere, alle quali non sarebbe permesso di accedere a un’alimentazione di qualità che caratterizza i paesi europei e l’Italia in particolare”, ha detto Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia e presidente di Eat Europe. E sull’Ucraina: “È fondamentale sostenerla in questo momento difficile ma non è accettabile che a pagare il prezzo di una possibile entrata del Paese in UE sia la filiera agroalimentare, anche considerando che sempre di più fondi speculativi internazionali stanno mettendo le mani su una parte crescente dell’agricoltura ucraina danneggiando gli stessi piccoli agricoltori ucraini, Quindi aiutare l’Ucraina (ma non certo la speculazione), tutelando anche la nostra filiera”.

CONFAGRICOLTURA. “Confagricoltura da sempre sostiene che l’attuale Pac sia inadeguata oggi e inadatta a rispondere alle prossime sfide, poiché mette a rischio non solo un settore produttivo, ma la sicurezza alimentare globale. Per rispondere alle esigenze emerse chiaramente in questi ultimi anni e in prospettiva di un futuro allargamento dell’Ue, anche il budget dedicato deve essere rivisto tenendo conto pure degli aumenti dei costi di produzione e dell’inflazione. Il tema della dimensione del bilancio agricolo Ue impone poi un approfondimento alla luce del fatto che la sicurezza alimentare dell’Europa dipende dai livelli di efficienza e competitività delle imprese, e dal reddito che gli agricoltori riescono ad ottenere dal proprio lavoro”, ha detto Cristina Tinelli, Direttrice Relazioni Ue e internazionali di Confagricoltura e Presidente del gruppo Sviluppo rurale di Copa-Cogeca.

CIA. “Serve un cambio di rotta deciso da parte dell’Ue per costruire un futuro che consenta la sopravvivenza della produzione europea, redditi dignitosi, mantenimento e crescita delle aree rurali, sostenibilità economica, ambientale e sociale”, ha dichiarato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Cristiano Fini. “Questo significa ragionare su una nuova Pac, con meno burocrazia e regole semplificate per facilitare i pagamenti, a partire dagli ecoschemi, cancellando l’obbligo del 4% per l’incolto. Abbiamo già subito una drastica riduzione delle rese a causa della crisi climatica, è assurdo che la Ue ci dica di tenere dei terreni a riposo. In più, la Pac non può più essere l’unica politica a rispondere alle sfide della transizione verde. Poi c’è lo scenario politico internazionale: considerato il ruolo strategico dell’Europa sul fronte della sicurezza alimentare, nonché il potenziale ingresso dell’Ucraina nell’Unione, il prossimo quadro finanziario pluriennale dovrà essere in linea con tali ambizioni, richiedendo maggiori risorse e tutele sul mercato. Per tutto questo, è importante lavorare affinché il futuro Commissario europeo all’Agricoltura abbia un peso politico importante e sia in grado di creare consenso sui dossier più caldi, come le TEA, e favorire l’intesa tra tutti gli Stati membri”.

COLDIRETTI. “Abbiamo bisogno di tempi certi e urgenti per la maggiore flessibilità sugli aiuti di Stato e sulle semplificazioni della Pac annunciate dalla Commissione europea per gli agricoltori. Serve una risposta sulla moratoria dei debiti per le aziende agricole, in risposta all’aumento dei tassi di interesse. Molte delle nostre proposte sono state accolte dal Commissario europeo all’agricoltura, ma non basta se non si capisce una volta per tutte che i tempi dei nostri agricoltori non sono quelli della burocrazia europea. Ci aspettiamo che nel Consiglio europeo di marzo ci sia la svolta necessaria e anche in prospettiva chiediamo una Pac più vicina alle imprese”, ha detto Ettore Prandini, presidente di Coldiretti.

Ucraina, dalle macerie della guerra la ricostruzione per un futuro green

Riutilizzare le macerie della guerra per ricostruire un futuro green. Avvolti nella leggera foschia di un cantiere nel sud dell’Ucraina, operai con caschi rossi lavorano tra i resti di una scuola distrutta da un bombardamento russo. Quello che attualmente è solo un cumulo di macerie sarà riciclato per riparare i danni causati dal conflitto. Per farlo, il grande cumulo di detriti deve essere pazientemente smistato dai dipendenti, ex soldati ucraini smobilitati soprattutto per motivi di salute e reclutati dalla società francese Neo-Eco, specializzata nella procedura, a Lyubomyrivka, nella regione di Mykolaïv. “L’idea è di sbarazzarsi dei rifiuti, senza gettarli in discarica, e di riutilizzarli”, spiega Artem Soumara, che gestisce il progetto.

Basta dare un’occhiata alle macerie per immaginare l’aula che si trovava lì prima di essere distrutta durante i primi mesi della guerra del 2022. Un libro di fisica giace ancora tra i mattoni danneggiati, accanto ad alcuni quaderni strappati. Una volta completato il processo, alcune delle rovine della scuola potranno essere utilizzate per costruire strade, produrre cemento e fondamenta.

Tutto questo “non è facile”, ammette Soumara, e “riciclare è più difficile che comprare nuovo”. Ad esempio, i materiali troppo contaminati dall’amianto, molto diffuso in Ucraina, non possono essere riutilizzati così come sono. In ogni caso, il responsabile del progetto spera di riciclare almeno il 70% dei detriti.

Secondo Neo-Eco, il processo è meno inquinante rispetto all’utilizzo di nuovi materiali, poiché il settore edile è uno dei principali responsabili delle emissioni di CO2. I materiali prodotti in questo modo “costano meno di quelli nuovi”, assicura inoltre Soumara.

Questi aspetti sono cruciali per l’Ucraina, che vuole già iniziare la ricostruzione anche se i combattimenti continuano. La guerra ha causato danni immensi, soprattutto nella parte orientale e meridionale. Secondo la Banca Mondiale, circa il 10% del patrimonio abitativo del Paese è stato danneggiato o distrutto e Kiev stima che alla fine dello scorso anno la guerra avesse già generato 450 milioni di tonnellate di detriti. Un quantitativo decisamente eccessivo per la capacità delle discariche del Paese, che già faticava a riciclare prima dell’invasione. Se abbandonati, questi detriti potrebbero contaminare i campi e le foreste circostanti.

Neo-Eco ha utilizzato questa tecnica dopo l’esplosione del porto di Beirut nel 2020. Ma applicarla in una zona di guerra molto più difficile. Essere circondati da questa distruzione permette agli ex soldati che lavorano nel sito di sentire che “stanno aiutando la loro patria nel confronto con l’aggressore”, anche dopo aver deposto le armi, dice Nelli Iarovenko, la cui ong Mission East è partner del progetto.

Uno di loro, Volodymyr Vinokour, che è stato ferito da schegge sul fronte orientale, lo vede come un “ponte verso la vita civile”. “Ogni giorno avanziamo un po’ alla volta e trasformiamo l’edificio distrutto in qualcosa di nuovo. Stiamo cancellando le conseguenze della guerra”, afferma il 52enne.

Il compito sarà titanico. Il governatore della regione di Mykolaïv, Vitaly Kim, stima che solo il 30% delle migliaia di edifici danneggiati nella zona sia stato riparato, mentre i bombardamenti continuano a causare danni. Con i fondi pubblici ucraini “reindirizzati alle priorità della difesa”, “dipendiamo dall’aiuto dei nostri partner americani ed europei”, spiega. Il progetto Neo-Eco, ad esempio, riceve finanziamenti dalla Danimarca.

Con un budget limitato, i progetti di riutilizzo dei detriti sono “molto utili” perché “rispettosi dell’ambiente e meno costosi”, afferma il governatore, che in passato ha lavorato nel settore immobiliare. Ma è ben consapevole che questo approccio da solo non sarà sufficiente a “salvare la situazione”. Per il governatore, la ricostruzione deve iniziare senza aspettare la fine della guerra, perché molti progetti non saranno completati prima di anni. “Non abbiamo scelta – afferma – dobbiamo farlo ora”.

Il cliclo virtuoso degli investimenti tra scelte pubbliche e private

Gli investimenti sono determinanti per la crescita economica e lo sono anche per il consumo di acciaio. Il consumo di acciaio è considerato un indicatore di ciclo. Analisti, studiosi, banchieri quando ragionano sul ciclo economico e cercano di fare previsioni al riguardo guardano i consumi di acciaio perché gli stessi anticipano sempre gli andamenti della congiuntura.

Così avviene che se la congiuntura volge verso il bello e il ciclo economico è nella fase ascendente i volumi di consumo di acciaio crescono e con essi i prezzi di vendita. Se le cose vanno male succede il contrario. Ma cosa in particolare ‘tira’ la domanda di acciaio?

Gli esperti dicono che il driver principale di questa domanda è rappresentato dal così detto ‘fixed assets investments ratio’. Questo indice segnala la proporzione degli investimenti fissi sul totale degli investimenti di un’azienda, dell’economia di un Paese, o addirittura del Pil mondiale (poiché quello dell’acciaio è un mercato regionale ma anche mondiale).

In questo mercato globale la Cina, negli ultimi venti anni, ha fatto la parte del leone con una crescita della sua produzione e dei suoi consumi di acciaio impressionante. La Cina con il suo miliardo di tonnellate anno di produzione e consumo di acciaio rappresenta più del 50% del mercato mondiale.

Costruzioni, strade, ponti, fabbriche, treni e ferrovie, navi, macchine movimento terra, centrali elettriche di ogni tipo, torri eoliche, campi fotovoltaici ecc. sono gli investimenti fissi (i fixed assets) che costituiscono quasi il 70% della domanda mondiale di acciaio. Automobili, elettrodomestici e gli altri beni di consumo rappresentano più o meno il 30% della domanda di questo prodotto.

Ho usato questo riferimento al mondo dell’acciaio che è quello che conosco meglio perché mi interessa ragionare, come detto in premessa, sul tema degli investimenti, sulla loro natura in continua evoluzione, su quanto gli investimenti siano fondamentali per la crescita, l’occupazione e il lavoro e su come dovrebbe imporsi una cultura atta a favorirli in ogni modo e non il contrario (la cultura del NO sempre e comunque, la decrescita felice ecc.).

Gli investimenti inoltre danno dignità e onore al capitalismo e ai capitalisti perché sono coessenziali alla vita delle imprese e alla loro capacità di progresso e inclusione sociale. Un’impresa che non investe è un’impresa morta.

Gli economisti ci insegnano che la domanda è fatta di consumi, investimenti, esportazioni nette (la differenza tra esportazioni e importazioni).

Le economie che crescono hanno un’incidenza significativa degli investimenti sul PIL. In Cina fino a qualche anno fa gli investimenti rappresentavano più del 50% del PIL, grazie anche ai mastodontici investimenti nell’immobiliare e in tutti i sistemi infrastrutturali. Negli Usa tale incidenza è intorno al 16-17%, in Europa intorno al 12% (a proposito di minor crescita dell’UE ).

Come detto gli investimenti sono importantissimi per la crescita. Perché?

Perché gli economisti, in particolare negli anni ’30 del secolo scorso l’economista inglese R.F. Kahn seguito da John Maynard Keynes, hanno scoperto e sintetizzato in una formula matematica il fatto che una variazione della componente autonoma degli investimenti produce una variazione più che proporzionale del reddito.

Si tratta del così detto moltiplicatore degli investimenti che parte da una constatazione molto semplice.

Ogni aumento nell’acquisto di nuovi strumenti di produzione dà vita a una catena di relazioni causa-effetto:

  • Aumenta l’occupazione nel settore in cui si producono tali beni o il salario nel caso in cui gli occupati prestino ore di lavoro straordinario;
  • Cresce il reddito dei nuovi o maggiori occupati (e conseguentemente quello nazionale);
  • Cresce di conseguenza la domanda di beni di consumo (si tratta normalmente di beni di consumo durevoli come automobili, elettrodomestici, telefonini, personal computer ecc.);
  • Ne consegue una maggiore attività delle imprese che producono i beni di cui la domanda è aumentata. Tali imprese nello spirito dell’aumento della domanda richiedono nuovi e più grandi strumenti di produzione;
  • Le industrie fornitrici di questi strumenti di produzione a loro volta concedono aumenti salariali agli occupati ecc.

Il reddito addizionale dovuto all’originario investimento in strumenti di produzione genera la nascita di una serie di industrie produttrici di beni di consumo e strumentali e aumenti di occupazione e di reddito. In altri termini un aumento degli investimenti netti provoca un aumento sempre maggiore del reddito nazionale.

Ma cosa è che determina la domanda di investimenti?

Sono gli imprenditori che decidono di farli e gli imprenditori sono mossi fondamentalmente da due fattori nelle loro scelte di fare o non fare investimenti:

  • Il primo fattore è la fiducia. Ecco perché in economia sono così importanti le aspettative psicologiche. Gli imprenditori scrutano l’orizzonte e sono influenzati dall’andamento dell’economia, dalla domanda specifica del proprio settore, dalla stabilità politica, dall’efficienza o inefficienza della Pubblica Amministrazione ecc.
  • Il secondo fattore sono i tassi di interesse. Per fare investimenti è necessario il capitale e questo può essere proprio o preso a prestito. In entrambi i casi ha un costo. Nel caso di capitale proprio un costo/opportunità e cioè la rinuncia al rendimento apportato da un investimento alternativo produttivo o finanziario, nel caso di capitale preso a prestito (debito) gli interessi passivi pagati al soggetto finanziatore.

In una situazione come l’attuale, di forte rallentamento economico, specie in Europa, di turbolenze geopolitiche rappresentate da due gravi crisi e guerre internazionali quali quelle in Ucraina e in Medio-Oriente, di inflazione con conseguente rialzo dei tassi di interesse il clima percepito, almeno da noi Italia Unione Europea, non è favorevolissimo agli investimenti.

In fondo la scelta dell’UE di finanziare un gigantesco piano di investimenti pubblici (il Next generation fund che ha dato vita al nostro PNRR) nata nella crisi pandemica si può rivelare oggi uno straordinario strumento anticiclico promuovendo attraverso la domanda pubblica (perché la domanda di beni e servizi è anche pubblica) la tenuta degli investimenti globali e la ripresa economica.

Anche nelle altre grandi aree economiche del mondo (USA e Cina) lo Stato sta intervenendo con giganteschi investimenti là dove la semplice iniziativa privata non ce la fa, in particolare nel campo della transizione e energetica e digitale.

L’investimento pubblico ha senso se si applica in quei settori, tipico quello delle infrastrutture, in cui la redditività è differita in tempi lunghi che i privati non sono in grado di attendere.

La sfida in questo caso è tutta nella capacità della Pubblica Amministrazione di fare presto e bene. Anche per l’Italia il PNRR è uno straordinario banco di prova.

Il rumore dei trattori e l’Europa che non può restare sorda

Nel corso di GeaTalk, il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti ha manifestato con garbo la paura che le proteste di questi giorni con baricentro Roma possano degenerare, come se – usando una metafora – gli agricoltori sbandassero e perdessero il controllo dei loro trattori. Che fanno molto rumore e che si portano appresso una serie di rivendicazioni di buonsenso tipicamente contadino. Sempre Giansanti, con un filo in meno di garbo, ha sottolineato che se si è arrivati a questo punto la colpa è (anche) dell’Europa, incapace di ascoltare, chiusa nella sua bolla dell’irrealtà. Dunque: il fracasso dei trattori e l’orecchio duro di Bruxelles. Perché il punto è sempre lo stesso, e non vale solo per l’agricoltura ma per tanti altri settori: decarbonizzare, cioè essere virtuosamente green, senza per forza mettere in ginocchio comparti cruciali per la sopravvivenza dell’Europa stessa. L’incastro è complicato ma qualcuno comunque è ‘tuned’ in questa Ue sorda: prova ne sia che proprio oggi la Commissione ha fatto retromarcia sui pesticidi, allentando in parte la tensione. Eppure non basta.

Qualcosa d’altro deve ancora succedere affinché si smorzino i malumori, qualcosa di grande e di grosso. Perché si stanno per giocare partite importanti: quella dell’Ucraina, che nel momento in cui entrerà nella Ue sarà di difficile gestione (“uno spaccaghiaccio”, per citare sempre Giansanti); quella del Mercosur, che rappresenta una minaccia non tanto per la quantità e la qualità dei prodotti quanto per i parametri diversi che appartengono a mercati produttivi diversi. In un contesto di libera concorrenza è indispensabile che le regole siano uguali per tutti. In buona sostanza, se la Ue vuole aprire ai sudamericani bisogna che i sudamericani siano allineati con l’Europa. Più facile da dirsi che da farsi.

Il 26 febbraio si discuterà a Bruxelles della semplificazione della Pac, ma in queste tre settimane scarse sarà indispensabile un riallineamento anche in Italia, là dove i maggior fondi scaturiti dal Pnrr (da 5 a 8 miliardi) evidentemente non sono sufficienti, anche perché nella legge di Bilancio i fondi sono meno rispetto a quelli percepiti in precedenza. Si aspettano, gli agricoltori, di essere convocati dal governo, dal ministro Francesco Lollobrigida e dalla premier Giorgia Meloni. Si aspettano che vengano messe a terra provvedimenti concreti e non chiacchiere. Con una paura, esternata sempre da Giansanti: che la questione agricola diventi solo una faccenda elettorale.

Ue, Giansanti: Ingresso Ucraina sarà come rompighiaccio per agricoltura

L’ingresso dell’Ucraina in Ue “sarà come quando arriva una spaccaghiaccio: spacca, appunto, il ghiaccio e si aprono ovviamente delle crepe”. Così il presidente di Confragricoltura, Massimiliamo Giansanti, intervenendo al #geatalk format videogiornalistico di GEA. Se il suo ingresso “non verrà compensato con un aumento significativo del budget a sostegno degli agricoltori degli altri 27 Stati membri”, avverte, si rischia di “mettere in forte difficoltà tanti settori dell’economia agricola dei diversi Paesi”.

Mattarella: “Giovani disorientati da mondo debole nel contrastare crisi ambientale sempre più minacciosa”

Guerre, ascolto, pace, lavoro, diritti, unità. Sono alcune delle parole chiave utilizzate dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel messaggio consegnato agli italiani nell’ultimo giorno dell’anno, il nono tra il primo mandato e l’inizio del secondo. Dallo studio della sala della Vetrata, al Quirinale, con alle spalle l’albero di Natale e le bandiere italiana, europea e della Repubblica, il capo dello Stato guarda al 2024 ricordando che “non possiamo distogliere il pensiero da quanto avviene intorno a noi. Nella nostra Italia, nel mondo”.

Perché “sappiamo di trovarci in una stagione che presenta tanti motivi di allarme. E, insieme, nuove opportunità”. Ma allo stesso tempo il presidente sottolinea: “Avvertiamo angoscia per la violenza cui, sovente, assistiamo: tra gli Stati, nella società, nelle strade, nelle scene di vita quotidiana. La violenza. Anzitutto, la violenza delle guerre. Di quelle in corso; e di quelle evocate e minacciate”.

Il pensiero corre alle “devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla e annetterla”. E alla “orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele. Ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità. La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”.

Il monito di Mattarella è chiaro: “La guerra, ogni guerra, genera odio. E l’odio durerà, moltiplicato, per molto tempo, dopo la fine dei conflitti”.

Il presidente della Repubblica lancia un messaggio semplice, ma potente. “È indispensabile – dice – fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace”. Mattarella aggiunge: “Parlare di pace, oggi, non è astratto buonismo. Al contrario, è il più urgente e concreto esercizio di realismo, se si vuole cercare una via d’uscita a una crisi che può essere devastante per il futuro dell’umanità”. Ma “sappiamo che, per porre fine alle guerre in corso, non basta invocare la pace”. E “per conseguire la pace non è sufficiente far tacere le armi. Costruirla significa, prima di tutto, educare alla pace. Coltivarne la cultura nel sentimento delle nuove generazioni. Nei gesti della vita di ogni giorno. Nel linguaggio che si adopera. Dipende, anche, da ciascuno di noi”.

Il capo dello Stato si rivolge, poi, come spesso accade, direttamente ai giovani, con i quali costruisce fin dal suo primo mandato un filo diretto. “L’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore, quello vero, è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. Penso alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano, sovente, nella rete”.

Mattarella mette in luce che “rispetto allo scenario in cui ci muoviamo, i giovani si sentono fuori posto. Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere; e di cui non condividono andamento e comportamenti. Un disorientamento – continua – che nasce dal vedere un mondo che disconosce le loro attese. Debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa. Incapace di unirsi nel nome di uno sviluppo globale”. Ma “in una società così dinamica, come quella di oggi, vi è ancor più bisogno dei giovani. Delle loro speranze. Della loro capacità di cogliere il nuovo”.

Un passaggio importante del suo discorso, il presidente della Repubblica lo dedica all’importanza di “ascoltare”, a cui attribuisce anche il significato di “saper leggere la direzione e la rapidità dei mutamenti che stiamo vivendo. Mutamenti che possono recare effetti positivi sulle nostre vite. La tecnologia ha sempre cambiato gli assetti economici e sociali. Adesso, con l’intelligenza artificiale che si autoalimenta, sta generando un progresso inarrestabile. Destinato a modificare profondamente le nostre abitudini professionali, sociali, relazionali”.

Mattarella afferma: “Ci troviamo nel mezzo di quello che verrà ricordato come il grande balzo storico dell’inizio del terzo millennio. Dobbiamo fare in modo che la rivoluzione che stiamo vivendo resti umana. Cioè, iscritta dentro quella tradizione di civiltà che vede, nella persona – e nella sua dignità – il pilastro irrinunziabile”. Per il capo dello Stato “viviamo un passaggio epocale. Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci. Con la partecipazione attiva alla vita civile. A partire dall’esercizio del diritto di voto” per “definire la strada da percorrere, è il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social”. Perché “la democrazia è fatta di esercizio di libertà” che “quanti esercitano pubbliche funzioni, a tutti i livelli, sono chiamati a garantire” e che sia “indipendente da abusivi controlli di chi, gestori di intelligenza artificiale o di potere, possa pretendere di orientare il pubblico sentimento”.

Mattarella, infine, ricorda, a tutti, che “la forza della Repubblica è la sua unità”, ma “non come risultato di un potere che si impone”. L’unità della Repubblica “è un modo di essere. Di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna; perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace”. Valori che ha incontrato “nella composta pietà della gente di Cutro”, nella “operosa solidarietà dei ragazzi di tutta Italia che, sui luoghi devastati dall’alluvione, spalavano il fango; e cantavano Romagna mia” o “negli occhi e nei sorrisi, dei ragazzi con autismo che lavorano con entusiasmo a Pizza aut. Promossa da un gruppo di sognatori. Che cambiano la realtà”.

Il presidente della Repubblica, prima di augurare buon anno alle italiane e agli italiani, lascia un ultimo messaggio: “Uniti siamo forti”.

 

 

Photo credit: sito Presidenza della Repubblica

Tinelli (Confagricoltura): Ingresso Ucraina in Ue avrà impatto enorme

“Le ultime due riforme della politica agricola” europea “sono state una rivoluzione copernicana e hanno visto una modifica del modello agricolo europeo. L’entrata dell’Ucraina è sicuramente un atto dovuto. D’altra parte l’impatto sull’agricoltura europea sarà enorme, quindi da questo punto di vista la Commissione dovrebbe cominciare a studiare quali saranno, prima di tutto, gli effetti dell’allargamento e verificare il budget che sarà destinato alla politica agricola”. Lo ha dichiarato a GEA Cristina Tinelli, responsabile relazioni Ue e internazionali di Confagricoltura a margine della decima edizione dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di Eunews e GEA, in corso a Bruxelles, presso la residenza dell’ambasciatore d’Italia in Belgio. “E’ chiaro – ha aggiunto – che non possiamo accettare una diminuzione del budget, per cui dovranno essere studiati dei meccanismi di phase in nei confronti dell’Ucraina, come è stato – d’altra parte – per l’adesione degli ex nuovi paesi dell’Est. Insomma, quindi auspichiamo che comunque le risorse a disposizione rimangano le stesse per per la politica agricola, anche se sicuramente bisognerà studiare dei meccanismi tali per cui si possa continuare in questo senso”.

In Ucraina guerra anche contro l’ambiente: danni per 56 miliardi di dollari

Foreste devastate, città allagate… Dall’inizio dell’invasione russa e dopo quasi due anni di guerra, la distruzione dell’ambiente in Ucraina è una “tragedia” di rara portata, che colpirà “diverse generazioni”. Sebbene “tutti i conflitti” siano dannosi per la natura, la guerra in Ucraina lo è “in modo particolare”, secondo Doug Weir, direttore della ricerca dell’Ong britannica Conflict and Environment Observatory. A differenza dei conflitti limitati a un’area ristretta, questa volta la linea del fronte è “incredibilmente lunga”, coprendo centinaia di chilometri, e i combattimenti si trascinano, moltiplicando i danni.

All’intenso fuoco di artiglieria si aggiunge l’inquinamento causato dai frequenti attacchi alle infrastrutture energetiche e le tonnellate di detriti generati dai bombardamenti nelle aree urbane, afferma l’esperto, per il quale la natura è “una vittima massiccia della guerra in Ucraina”. Il costo dei danni ambientali è stato stimato all’inizio di novembre in 56 miliardi di dollari, “una somma impressionante”, afferma Jaco Cilliers, rappresentante del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) in Ucraina.
Quasi il 30% delle aree forestali ucraine e circa il 20% dei parchi naturali nazionali sono stati colpiti dalla guerra, spiega Ruslan Strilets, ministro ucraino della Protezione ambientale e delle Risorse naturali. Gli alberi distrutti durante i combattimenti “erano cresciuti per decenni, a volte per secoli, e in pochi giorni (i russi) hanno bruciato questi preziosi ecosistemi”, dove vivevano molte specie animali.

Nell’est del Paese, dove i combattimenti sono stati particolarmente feroci, una foresta di querce di oltre 300 anni è stata “completamente distrutta dalla guerra”, secondo Bohdan Vykhor, direttore del Wwwf Ucraina, che non vede come potrebbe “essere ricostituita nel prossimo futuro”. Per quanto riguarda lo sminamento del 30% circa del territorio che è stato o potrebbe essere stato minato, ci vorranno probabilmente “decenni”, aggiunge Strilets.

Gran parte del territorio ucraino è inaccessibile, a causa dell’occupazione russa o della vicinanza della linea del fronte. Da lontano, gli esperti devono procedere per tentativi, spesso affidandosi alle immagini satellitari o a quelle pubblicate sui social network. “La visione che abbiamo al momento è quindi ancora incompleta”, si rammarica Doug Weir.

È impossibile, ad esempio, sapere quanti delfini siano stati uccisi nel Mar Nero, diventato anch’esso una zona di guerra. “Abbiamo registrato ufficialmente un migliaio di animali morti”, alcuni dei quali disorientati dal rumore delle attività militari, spiega Strilets, ma “gli scienziati parlano di decine di migliaia”.
Iegor Hrynyk, esperto del Gruppo ucraino per la conservazione della natura (UNCG), teme che il conflitto stia avendo anche effetti meno visibili, come quello di spingere il Paese a “sfruttare maggiormente le risorse naturali”, in particolare abbattendo più alberi, per far fronte ai costi della guerra. “Non dimentichiamo che le battaglie si vincono con gli eserciti e le guerre si vincono con le economie”, risponde Strilets, che tuttavia promette che la ripresa economica non avverrà “a spese del nostro ambiente”.

Al via a Bruxelles il Vertice Ue: i leader spingono per il picco delle emissioni entro il 2025

Sostegno umanitario in Medioriente e militare all’Ucraina, ma non solo. Si apre oggi e proseguirà fino a venerdì a Bruxelles il Vertice dei capi di stato e governo dell’Ue, con una agenda totalmente stravolta dalle conseguenze del conflitto tra Hamas e Israele, che ancora una volta ha restituito l’immagine di un’Unione europea poco unita di fronte alla politica estera e di sicurezza. Non più solo guerra in Ucraina, competitività dell’industria europea e EuroSummit. “Il nostro incontro avviene in un momento di grande instabilità e insicurezza globale, esacerbata più recentemente dagli sviluppi in Medioriente”, ammette il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella tradizionale lettera di invito ai capi di stato e governo dell’Ue pubblicata ieri mattina. E non è difficile da immaginare che le tensioni in Medioriente saranno dominanti nelle discussioni tra i leader, anche se non è l’unico dossier caldo sul tavolo.

Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, sarà connesso in video-collegamento con i leader Ue nel corso delle discussioni sul sostegno all’Ucraina, in cui i leader dovrebbero riaffermare il pieno sostegno militare, finanziario, umanitario a Kiev di fronte all’aggressione dell’Ucraina. In agenda per la prima giornata di Vertice europeo anche la revisione del bilancio pluriennale (2021-2027). Più di una fonte vede nel vertice un Consiglio prettamente di transizione, per cercare di arrivare a un accordo il “prima possibile”, possibilmente al Vertice europeo di dicembre, l’ultimo prima della fine dell’anno. Sarà l’occasione per i leader di mettere a fuoco quali e quante dovranno essere le priorità per la revisione intermedia del bilancio comunitario, sulla base della proposta della Commissione che ha dato priorità a Ucraina (50 miliardi), migrazione (15 miliardi) e competitività industriale.

Proprio sul tema della competitività dell’industria europea, a quanto si apprende, l’Italia starebbe insistendo per includere nel testo delle conclusioni un riferimento al ‘level playing field’, ovvero alla necessità di garantire parità di condizioni economiche non solo nel rapporto con Stati terzi (in particolare, spiegano fonti, la concorrenza con i sussidi a pioggia della Cina sulle tecnologie verdi e degli Stati Uniti attraverso l’Inflation Reduction Act) ma anche internamente, a causa del rilassamento delle regole sugli aiuti di stato.

In vista della 28esima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre, i leader inseriranno all’interno delle conclusioni anche un riferimento alla necessità di raggiungere il picco delle emissioni “al più tardi entro il 2025” per limitare il riscaldamento a circa 1,5 C°, come si legge nell’ultima versione della bozza di conclusioni domani sul tavolo dei leader. Fissando la data per il picco di emissioni nel 2025 i leader Ue si spingono oltre rispetto al mandato dell’Unione europea adottato lo scorso 16 ottobre dai ministri europei dell’ambiente che si sono limitati a dire che il picco massimo nel consumo di combustibili fossili sia registrato “in questo decennio”.