Manovra, Cgil-Uil confermano sciopero. Meloni: Nessuna rivolta quando si aiutavano banche

In una mano ‘L’uomo in rivolta‘ di Albert Camus, nell’altra una calcolatrice nuova di zecca. A Palazzo Chigi, Giorgia Meloni riceve dai segretari di Cgil e Uil, Maurizio Landini e PierPaolo Bombardieri, due regali. “E te niente?” scherza con il leader della Cisl, Luigi Sbarra. Nessun gadget, risponde lui, “solo proposte”.

Al tavolo sulla legge di Bilancio ci sono 12 sigle sindacali e nove esponenti del governo. Oltre alla premier, il vice Antonio Tajani, i ministri dell’Economia Giancarlo Giorgetti, delle Imprese Adolfo Urso, del Lavoro Marina Calderone, dell’Istruzione Giuseppe Valditara, della Salute Orazio Schillaci, per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Il “passo avanti” sperato però non si fa, i margini sono troppo ristretti, gli emendamenti in scadenza (al termine delle 16 maggioranza e opposizione ne presentano in commissione 4.500) e alla fine di un confronto fiume durato sei ore Cgil e Uil confermano lo sciopero del 29 novembre. Non aderirà la Cisl, che ritiene l’incontro “importante” e apprezza la manovra. “Accoglie molte delle richieste avanzate dal nostro sindacato”, ammette Sbarra. Non mancano aspetti da migliorare nell’iter parlamentare, sottolinea, tuttavia “in particolare sul fronte del sostegno ai redditi, al lavoro, ai pensionati, alle famiglie, si danno risposte convincenti, in linea con le rivendicazioni della Cisl”. Misure che, fa presente, “orientano oltre i due terzi della cubatura finanziaria del provvedimento”.

Sostanzialmente non c’è da parte del Governo una disponibilità a ragionare” su alcuni punti, osserva Bombardieri uscendo da palazzo Chigi, primo fra tutti la riforma fiscale. “Banalmente il governo ha riconfermato che quella che ha presentato in Parlamento è la manovra, che i margini sono quelli, che gli spazi possibili di modifica sono limitati se si condivide quell’impianto e se si sta dentro a quella logica. Quindi in quella condizione lì noi confermiamo il nostro giudizio di una pessima legge di bilancio e che non affronta e non dà un futuro al nostro Paese”, fa eco Landini. In ingresso, il leader di Cgil torna sul concetto di rivolta sociale e spiega il motivo per cui ha deciso di regalare alla premier il volume di Camus: “Se hanno paura delle parole, è bene che colgano un tema, cioè di fronte a un livello di ingiustizie e di diseguaglianze come quello che si sta determinando, io credo che ci sia bisogno proprio che le persone non accettino più, che non si girino da un’altra parte”. D’altra parte, insiste Bombardieri, “non era mai successo che un governo presentasse in Parlamento una manovra già decisa, già fatta, senza alcun confronto con le organizzazioni sindacali“.

La premier però non arretra di un passo, rivendica le scelte fatte, annuncia che l’intenzione è di intervenire nuovamente sull’Irpef (“ma dipenderà dalle risorse che avremo a disposizione e che arriveranno anche alla chiusura del concordato preventivo”) e tira la stoccata a Landini: “La solidità, la credibilità e il coraggio di questo Governo hanno consentito di poter far partecipare banche e assicurazioni alla copertura della legge di bilancio. Un grande cambiamento rispetto al passato, quando invece con la legge di bilancio si trovavano le risorse per sostenere banche e assicurazioni, e nessuno invocava la rivolta sociale“. La presidente del Consiglio ringrazia anche il segretario Uil per la calcolatrice: “Così anche lui potrà fare un rapido calcolo” sulla sanità. Questa manovra, spiega, è “in continuità con le scelte che il Governo ha fatto con le due precedenti leggi finanziarie”. Le risorse sono state concentrate su alcune “priorità fondamentali”, con una “visione di medio e lungo periodo, tenendo i conti in ordine e concentrandoci su una prospettiva di crescita del Sistema Italia, pur nel contesto internazionale tutt’altro che facile nel quale operiamo”. In manovra i focus sono stati, elenca Meloni, a sostegno ai redditi medio-bassi, al lavoro, alle famiglie con figli, alla riduzione della pressione fiscale, all’aumento delle risorse nella sanità e al rinnovo dei contratti dei dipendenti pubblici. Un approccio che è “un cambio di passo” rispetto al passato, afferma, quando “si è preferito adottare misure più utili a raccogliere consenso nell’immediato che a gettare le basi per una crescita duratura, scaricando il costo di quelle misure su chi sarebbe venuto dopo“.

L.Bilancio, Cgil-Uil: “Del tutto inadeguata, sciopero il 29/11”. Meloni: “C’è pregiudizio”

La manovra del governo è “del tutto inadeguata“. Per questo, Cgil e Uil proclamano 8 ore di sciopero generale, con manifestazioni territoriali, per venerdì 29 novembre. L’annuncio, dei segretari generali Maurizio Landini e PierPaolo Bombardieri avviene in conferenza stampa, nella sede della Uil, a pochi giorni dalla convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi, martedì 5 novembre.

C’è un piccolissimo pregiudizio da parte di Cgil e Uil“, risponde la premier, Giorgia Meloni, lamentando di aver già ascoltato le loro richieste. “Volevano la diminuzione del precariato ed è diminuito, l’aumento dell’occupazione, più soldi sulla sanità e abbiamo messo più soldi sulla sanità. Se nonostante questo confermano lo sciopero non siamo più nel merito“, tuona nello studio di Bruno Vespa.

Anche la Lega reagisce: “Due sindacati italiani di estrema sinistra scioperano contro l’aumento dello stipendio per 14 milioni di lavoratori dipendenti fino a 40.000 euro di reddito? Ridicoli“, sferza il partito di Matteo Salvini, che ringrazia “quei rappresentanti dei lavoratori che, seppur a volte critici nell’interesse dei loro iscritti, fanno delle proposte e non solo proteste”.

Al tavolo della conferenza di Cgil e Uil manca il leader della Cisl, Luigi Sbarra. “Perché non è al tavolo di questa conferenza? Mi pare abbia detto che la manovra va bene, ci sono differenti valutazioni evidentemente“, la stoccata di Landini. Che il segretario di Cisl non incassa: “A Maurizio Landini consigliamo vivamente di rivestire i panni del sindacalista e di smetterla di fare da traino a un’opposizione politica che non ha davvero bisogno di collateralismi”, risponde da Firenze a margine del Consiglio Generale della Cisl Toscana.

La mobilitazione è stata indetta per chiedere di cambiare “profondamente” la manovra, rivendicare l’aumento del potere d’acquisto di salari e pensioni e il finanziamento di sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali. “Abbiamo aspettato“, spiega Bombardieri, “abbiamo studiato il testo consegnato alle Camere, le valutazioni che facciamo ci portano a proclamare lo sciopero“. Il sindacalista lamenta una convocazione tardiva a Palazzo Chigi, martedì 5 novembre, quando ci saranno ormai con pochi margini di cambiamento. Ma assicura: “Se il Governo dovesse accettare le nostre proposte, siamo pronti a rivedere lo sciopero“. Più tranchant Landini: “Il governo ci ha convocati a cose fatte, ma noi chiediamo che siano operati dei cambiamenti profondi e radicali, a partire da una profonda riforma fiscale“. Perché, osserva, far quadrare i conti “si può agire anche sulle entrare“. Cioè, appunto, con una riforma fiscale che è “il contrario di quella che sta portando avanti il governo e che non è stata discussa con nessuno“. Il segretario della Cgil ricorda che la legge di Bilancio è legata alla scelta politica che il governo ha fatto di presentare all’Europa un Piano Strutturale che “vincola il Paese a sette anni di tagli alla spesa pubblica“.

Anche il taglio del cuneo fiscale reso strutturale viene ridimensionato dai sindacalisti. “E’ la Fontana di trevi venduta da Totò: sono tre anni che lo rinnovano“, ironizza il leader della Uil. “E’ vero, è stato strutturato. Ma dobbiamo dire che il fatto che diventi strutturale non comporta l’aumento nemmeno di un euro dei salari in busta paga”, aggiunge.

Alle richieste fatte dalle parti sociali, invece, non c’è stata risposta, denunciano i segretari, né sulla detassazione degli aumenti contrattuali, né sugli aumenti per sanità, scuola, spesa sociale. E poi, ricorda Landini: “Il taglio del cuneo ce lo stiamo pagando noi con gli interessi, perché il cuneo costa 12 miliardi”.

Molto grave, tra le misure in manovra, è giudicato il taglio da 4,6 miliardi del fondo auto: “E’ una cosa che grida vendetta“, secondo Landini. Questo taglio, precisa, non è uno sgarbo a Stellantis, ma “un pugno in faccia a un settore strategico del nostro Paese“. Su questo punto i sindacati si dicono pronti a scrivere assieme alla categoria: “Serve che la presidenza del Consiglio convochi i sindacati con il gruppo e le aziende della componentistica, perché è necessario a partire da questo settore, che ci siano politiche industriali degne di questo nome“.

Rifiuti, la Tari è salita del 10% in soli 5 anni

Tra il 2018 ed il 2023, l’incremento medio della Tari è stato del 9,69%. Un aumento che ha avuto un impatto maggiore sulle famiglie meno abbienti, accentuando così le disuguaglianze socio-economiche e geografiche. E’ quanto emerge da un nuovo studio dall’Unione Italiana del Lavoro.

“Dall’analisi appare evidente come l’aumento della Tari sia stato più marcato nel Mezzogiorno rispetto al Nord Est. Nel 2022 – spiega Gianluca Buselli, consigliere d’amministrazione della Cassa di previdenza dei ragionieri e degli esperti contabili – l’incidenza della Tari sul bilancio familiare era dello 0,64% nelle regioni del Nord Est e dell’1,34% nel Mezzogiorno”. Secondo Eurostat, nel 2022, i rifiuti urbani in Europa sono diminuiti del 4% rispetto al 2021, ma con un aumento pro capite del 10%.

“Lo studio UIL – conclude Buselli – evidenzia la necessità di una revisione del sistema Tari per garantire maggiore equità e giustizia sociale, riducendo le diseguaglianze tra le diverse aree geografiche e migliorando l’efficienza dei servizi di raccolta e smaltimento dei rifiuti”.

Fil.Ros.

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Ex Ilva, arrivano altri 150 milioni. I sindacati aspettano un Piano industriale “chiaro”

Il governo aveva garantito che a stretto giro di posta sarebbero arrivate nuove risorse per l’ex Ilva e così è stato. Nel decreto Agricoltura ci sono i 150 milioni di euro promessi dal ministro delle Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, durante l’ultimo incontro con i sindacati e la struttura commissariale, della scorsa settimana a Palazzo Chigi. Per “assicurare la continuità operativa degli impianti“, si legge nel testo approvato dal Consiglio dei ministri: si tratta di risorse non impegnate per progetti di decarbonizzazione, “fino a concorrenza dell’ammontare delle spese e dei costi sostenuti per l’attuazione e la realizzazione di interventi volti ad assicurare la continuità operativa degli stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale e la tutela dell’ambiente, della salute e della sicurezza dei lavoratori addetti ai predetti stabilimenti“.

Una scelta che, però, fa saltare la mosca al naso delle opposizioni. “Sembra impossibile, ma nel 2024 ci ritroviamo davanti a un governo che continua a buttare fumo negli occhi di cittadini e lavoratori sulla vicenda ex Ilva“, attacca il vicepresidente dei Cinquestelle, Mario Turco. “Forse Giorgia Meloni e Adolfo Urso non si sono resi conto di una grande verità: Taranto non abbocca più. Quando il ministro annuncia su Il Sole 24 Ore che, per garantire la continuità del siderurgico, giungeranno 150 milioni di euro, non sa che la comunità è ben consapevole dell’origine di tale somma. L’operazione ordita in tal senso è di una disonestà clamorosa: si vogliono utilizzare le risorse sequestrate ai Riva e destinate alle bonifiche, per continuare a inquinare senza la minima idea di dove sia diretto quel rudere di fabbrica, sempre più pericoloso per chi ci lavora e per chi ne subisce i danni ambientali e sanitari“, rincara la dose. “Non c’è limite al peggio – sostiene Ubaldo Pagano (Pd) -. Il governo Meloni, completamente a corto di risorse, sta per togliere 150 milioni di euro dal cosiddetto ‘patrimonio destinato’ per tappare i buchi della nuova gestione commissariale. Che detto in soldoni vuol dire togliere le risorse sequestrate ai Riva e destinate alle bonifiche da farsi per recuperare un territorio sacrificato sull’altare di una produzione altamente dannosa per l’ambiente e la salute dei cittadini tarantini“.

Nel decreto c’è anche il rafforzamento della prevenzione del rischio incendi, che contemperando le esigenze di sicurezza con quelle di continuità degli impianti – sottolinea il Mimit -, dispone un rinvio di 48 mesi per la definitiva trasmissione del rapporto di sicurezza. Vengono introdotte norme che supportano l’operatività dei Vigili del fuoco, anche tramite una più rapida immissione in servizio delle figure professionali essenziali alle attività di coordinamento delle squadre di intervento.

Intanto i sindacati tornano a far sentire la propria voce alla vigilia dell’incontro che si terrà oggi, 7 maggio, in Confindustria, con i commissari straordinari dell’ex Ilva. “Le lavoratrici e i lavoratori da troppo tempo pagano gli effetti della malagestione dell’ex Ilva con la cassa integrazione e i mancati investimenti che interessano tutti gli stabilimenti, da Taranto a Genova, passando per Novi Ligure, Racconigi e gli altri siti della Lombardia, del Veneto e della Campania“, dice il coordinatore nazionale siderurgia per la Fiom-Cgil, Loris Scarpa. “Ci aspettiamo che finalmente vengano forniti dati certi sugli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e sui tempi delle iniziative di rilancio della produzione e della decarbonizzazione, che non possono più essere rinviati“. Per il segretario nazionale della Uilm, Guglielmo Gambardella, “senza un chiaro piano di rilancio della produzione di tutti gli stabilimenti e la garanzia dell’intera occupazione, compresa quella dell’indotto e dei lavoratori in Ilva Aa, è difficile proseguire un vero confronto“. Perché “nell’ultimo incontro a Palazzo Chigi abbiamo già dichiarato la nostra insoddisfazione sulle linee guida del piano industriale e domani ci attendiamo un incontro concreto per conoscere tempi, modalità e risorse per la ripartenza degli impianti e il ritorno al lavoro dei tremila attualmente in cassa integrazione“.

Sulla stessa lunghezza d’onda si sintonizza anche la Fim Cisl: “Non ci aspettiamo promesse mirabolanti per il prossimo decennio, saremmo ipocriti, ci attendiamo concretezza su quelli che sono i temi urgenti che riguardano i lavoratori e la fabbrica e che sono stati lasciati in sospeso per troppo tempo“, dichiara il segretario nazionale, Valerio D’Alò. Che aggiunge: “Chiediamo di far chiarezza su cose semplici ma fondamentali nell’immediato, a partire da un piano chiaro e dettagliato di quali manutenzioni dovranno essere svolte nelle prossime settimane, su quali impianti e quali ricadute avranno sulla produzione e il riavvio degli stessi una volta messi in condizione di lavorare“.

Stellantis, Pd-Avs-M5S per entrata dello Stato, c.destra e Iv frenano. Sindacati: Serve tavolo

La bomba Stellantis deflagra nel dibattito politico italiano. A far detonare la polemica è il botta e risposta dai toni decisamente duri tra l’ad del gruppo, Carlos Tavares, e il ministro Adolfo Urso. Al manager che, in sintesi, attribuisce ai governi lo scarso appeal del mercato delle auto elettriche per la scarsità degli incentivi, il responsabile del Mimit replica in maniera puntuta: “Se chiede che l’Italia faccia come la Francia, che ha cambiato la sua partecipazione statale, ce lo chieda e possiamo ragionare insieme”. Da qui parte, o per meglio dire riparte, il fuoco di fila delle dichiarazioni.

Carlo Calenda, che da tempo cavalca il tema, potendo mettere sul tavolo anche la sua esperienza al Mise, ingrana la marcia: “Oramai è chiaro che Stellantis è francese e che tratterà l’Italia come un qualsiasi altro mercato. Elkann rimane chiuso in uno sprezzante silenzio, parla Tavares perché comanda solo lui”. Il segretario di Azione ha un’idea chiara sul da farsi: “La risposta del governo al ricatto di Stellantis non deve essere quella di farsi trascinare in un’asta annuale a rialzo sui sussidi pubblici”, piuttosto serve un “Piano competitività nazionale per tutte le aziende articolato su tre punti: industria 4.0 allargata ad ambiente ed energia, formazione 4.0, messa a terra degli Its su cui si sta andando lentissimi e diminuzione del costo dell’energia attraverso la redistribuzione dei proventi delle aste Ets come fanno in Germania”.

Molto attivo è anche l’ex ministro del Lavoro, Andrea Orlando. “E’ importante stabilire una linea, magari prendendo per buona la sfida di Tavares ed entrando nel capitale e nel Consiglio di amministrazione, ma mettendo condizionalità sugli incentivi e sui trasferimenti”. Dura anche la segretaria dem, Elly Schlein: “Il governo non può tacere di fronte alle minacce dell’ad, gli incentivi siano condizionati in modo vincolante alla tutela dei posti di lavoro e alla riduzione delle emissioni”. Inoltre, è il momento di “studiare concretamente la strada della partecipazione pubblica per incidere sulla strategia aziendale”. A Schlein, però, replica Calenda. “No Elly, Tavares non ha lanciato una sfida, ha lanciato una minaccia e un ricatto incentivi contro posti di lavoro sulla pelle di 40mila lavoratori. E’ ora che il Pd si faccia sentire”.

Anche Avs apre all’entrata dello Stato. “Con le condizioni di un piano industriale verso l’elettrico, sarebbe un’ipotesi da prendere in considerazione”, spiega Angelo Bonelli. Per il M5Ssenza uno straccio di politica industriale, il governo Meloni non può che fare la figura dello zimbello degli Elkann e dello Stato francese”, sostiene il vicepresidente pentastellato, Mario Turco, secondo il quale “una presenza dello Stato nel capitale della società si rende necessario, a patto che si sia in grado di impostare una politica industriale”.

Non la pensano così in maggioranza. Di sicuro non in Forza Italia: “D’accordo tutelare l’occupazione ma noi siamo per liberalizzazioni e privatizzazioni. Adesso che cosa facciamo, entriamo nel capitale delle aziende private?”, mette in chiaro il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, intervistato da Affaritaliani.it. Fratelli d’Italia se la prende con Tavares: “Continua a lamentarsi della mancanza di incentivi all’elettrico, ormai sembra un disco rotto”, dice il senatore Gianpietro Maffoni. La Lega non si esprime sulla partecipazione pubblica, ma fa sapere che sarà attenta alla difesa dei diritti di tutti i lavoratori: “Le aziende che per anni hanno incassato miliardi non si permettano di minacciare o ricattare”. Voce fuori dal coro delle opposizioni è quella di Italia viva: “Appartengo a quella sparuta minoranza che ritiene piuttosto che lo Stato sia stato più spesso un problema che una soluzione“, sostiene il deputato ed economista, Luigi Marattin.

Oltre alla politica ci sono anche i sindacati. Fiom e Cgil non sarebbero contrari a una partecipazione pubblica in Stellantis, ma chiedono che Meloniconvochi un incontro con Tavares e sindacati per parlare di quello che conta veramente: livelli di produzione e occupazione negli stabilimenti italiani”. Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra, chiede all’esecutivo di farsi “garante di un patto tra istituzioni, impresa e sindacati sul rilancio del settore auto nel nostro Paese”. Va più sul pratico il leader della Uil, Pierpaolo Bombardieri: “La nostra prima preoccupazione è sui livelli occupazionali, ma continuiamo a ritenere che questo governo abbia poche idee e confuse. Come si fa a dire che vendiamo pezzi di Eni e Poste ma compriamo un pezzo di Stellantis? – si domanda -. Si parla di incentivi, ma per cosa: per comprare auto che vengono dalla Cina? Incentivi alla produzione o agli investimenti? Occorre avviare un confronto con sindacati, azienda e governo chiarendo le linee di politiche industriali per i prossimi anni”. La partita, comunque, resta aperta e il triplice fischio decisamente molto lontano.

Pnrr, per Meloni priorità è non perdere soldi. Fitto prepara richiesta terza rata

Repetita iuvant. Per chi lo avesse dimenticato, Giorgia Meloni ha un’unica, grande “priorità” sul Pnrr:Non perdere soldi“. La presidente del Consiglio, al ‘Foglio’, ribadisce la sua linea sui fondi europei del Next Generation Eu, assicurando che riporterà “le cose alla loro dimensione di progettazione e fattibilità”. Pur senza rinunciare all’obiettivo politico che si è prefissata: ottenere alcune modifiche al piano. Perché è il ‘suo’ da soli sei mesi, da quando cioè è arrivata a Palazzo Chigi. Dunque, sebbene “il Pnrr è una sfida per tutti, alcune cose vanno dette: lo abbiamo ereditato dai precedenti governi e il tentativo di mettere sulle spalle del mio esecutivo il peso di scelte sbagliate e ritardi ha il fiato corto”. Poi ribadisce: “Stiamo lavorando con la Commissione europea e intendiamo avvalerci di tutti i mezzi a nostra disposizione per realizzare le opere e fare le riforme necessarie”. Ma il Piano nazionale di ripresa e resilienza “soffre degli stessi problemi di altri strumenti concepiti prima del cambio dello scenario geopolitico – aggiunge Meloni -. Siamo in un’economia di inflazione alta, rialzo dei tassi e guerra, non più di emergenza post pandemia”.

La premier ripete che il Pnrr “ha problemi di costi delle opere, aumentati a causa del rialzo dei prezzi dei materiali da costruzione, non solo dell’energia” e “un approccio ideologico di cui risente una certa transizione green calata dall’alto che ha bisogno di una correzione di rotta: difetta di pragmatismo e per calarlo nella realtà italiana (come in quella di altri Stati) servono determinazione e calma, velocità e ponderazione. Una cosa è scriverlo (in qualche parte, male) a tavolino, un’altra è realizzare i progetti“. Ogni parola, però, alimenta il dibattito politico, nel bene e nel male. I Cinquestelle, ad esempio, continuano a tendere la mano alla maggioranza per aprire un tavolo di concertazione con le opposizioni, ma non rinunciano a punzecchiare il centrodestra: “La presidente del Consiglio smentisce seccamente la Lega, quando dice che l’obiettivo è non perdere soldi“, attacca il deputato pentastellato e questore della Camera, Filippo Scerra.

L’esecutivo, però, va avanti. Dopo aver incontrato le parti sociali, e in attesa dell’informativa di mercoledì prossimo alle Camere, il ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto, incontra alcuni dei colleghi di governo per fare il punto sullo stato dell’arte dei progetti e preparare la richiesta della terza rata di fondi europei. Con il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei trasporti, Matteo Salvini, illustra i contenuti delle linee guida necessarie a completare il raggiungimento della milestone relativa alle concessioni portuali, obiettivo necessario al completamento delle verifiche degli adempimenti connessi all’erogazione della terza rata. Dal Mit arriva la rassicurazione che il tema è stato chiuso “positivamente”. Con il responsabile del Mef, Giancarlo Giorgetti, poi, Fitto discute a livello complessivo su tutti gli adempimenti necessari ad assicurare la positiva valutazione da parte della Commissione degli obiettivi al 31 dicembre 2022, oltre a fare una prima valutazione sui prossimi passi per gli obiettivi in scadenza a giugno e l’avvio della fase di riprogrammazione del Pnrr contestuale all’inserimento del capitolo RePowerEu. Nella mattinata di incontri, inoltre, vede anche i ministri Matteo Piantedosi (Interno), Giuseppe Valditara (Istruzione e Merito). Tutti concordano sulla necessità di “rafforzare il monitoraggio” di tutti gli obiettivi.

Sul tema arriva anche un suggerimento dal Rapporto ‘Il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la Legge di Bilancio 2023 e lo sviluppo sostenibile’, realizzato dall’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile. Secondo lo studio, “in primo luogo, serve un più accurato, tempestivo e trasparente monitoraggio su modi e sui tempi con cui si realizzano gli investimenti e le riforme, accompagnato da una valutazione della coerenza sistemica delle varie azioni intraprese in relazione ai 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, specialmente quando gli investimenti del Piano verranno integrati con quelli finanziati dai Fondi di coesione europei e nazionali 2021-2027″. E, avverte ancora l’Asvis, “l’attuazione del Pnrr, nonostante i molteplici segnali di avanzamento, e la definizione del RePowerEu, richiedono decisioni urgenti per accelerare la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile“.