Von der leyen

Von der Leyen: “Spese militari fuori dal patto di stabilità”. Crosetto: “Vittoria italiana”

Più spese per la difesa in Europa. Ursula von der Leyen propone di attivare la clausola di salvaguardia generale dal Patto di Stabilità, proprio come è accaduto negli anni del Covid, per permettere ai Paesi membri di avere più spazio di manovra per le proprie risorse. Un’autorizzazione ad aumentare il debito e sopravvivere in un momento eccezionale di crisi.

Una proposta analoga per affrontare gli investimenti green e non considerarli ai fini del debito è stata però respinta in passato. In altre parole: flessibilità concessa sulle armi, non sulla maxi-sfida della transizione. “Credo che ora siamo in un periodo di crisi che giustifica un approccio simile”, spiega la presidente della Commissione europea da Monaco di Baviera, assicurando che questo aumento di spesa dei singoli Stati sulla difesa sarà “controllato e condizionale”. Per un massiccio pacchetto, a ogni modo, servirà un “approccio europeo nel definire le nostre priorità di investimento“, sottolinea von der Leyen che, nella stessa ottica, promette un lavoro più intenso per accelerare il processo di adesione dell’Ucraina all’Unione. “Abbiamo già fatto progressi significativi, ma ora è di nuovo il momento di spostare le montagne”, chiosa.

Bene l’approccio per il governo Meloni. L’Europa dovrà “essere protagonista” nel processo di pace in Ucraina, mette in chiaro Antonio Tajani, precisando che l’Unione “dovrà fare ancora di più per quanto riguarda la difesa”. Bisognerà, per l’esecutivo di Roma, aumentare la spesa a livello comunitario, ma anche a livello italiano per rispettare gli impegni con la Nato. L’obiettivo minimo è il 2%, ma, sottolinea il ministro degli Esteri, “sappiamo bene che la Nato poi chiederà ancora di più”. Von der Leyen sta “recependo le nostre proposte”, rivendica.

Di “grande vittoria politica e diplomatica dell’Italia e del governo Meloni” parla Guido Crosetto, che confessa: “L’annuncio della presidente von der Leyen è sempre stata una mia vera ossessione, la necessità di scorporare le spese della difesa dal Patto di Stabilità che impone, alla Ue, e da decenni, rigide regole e vincoli di bilancio per gli Stati che ne sono membri”. Sin dall’inizio del suo mandato, ricorda il ministero della Difesa, Crosetto ha sostenuto la necessità di escludere dal Patto di Stabilità gli investimenti in sicurezza e impedire che possano intaccare o indebolire le spese dei singoli Stati in salute, istruzione, welfare. E’ un primo passo, ma non basta, avverte il titolare della Difesa. L’Italia è “pronta a fare la sua parte”, garantisce, per un’Europa “più sicura e autorevole, ma anche più salda nei suoi principi democratici e di benessere collettivo per i suoi cittadini, nel nostro continente come nel mondo”.

Lo scorporo degli investimenti in Difesa, indica Palazzo Chigi, dovrà essere seguito anche dall’istituzione di strumenti finanziari comuni. “Il Governo italiano è pronto a lavorare costruttivamente con le istituzioni europee e con gli altri Stati membri per raggiungere insieme questi importanti obiettivi, a partire dalla prossima presentazione del Libro bianco della difesa dell’Ue”.

Von der Leyen lancia Fondo globale su transizione verde: “Più progetti e investimenti”

Mantenere lo slancio sulla transizione verso l’energia pulita, realizzare progetti di punta e sbloccare più investimenti. Sono gli obiettivi del nuovo Forum globale per la transizione green lanciato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen insieme  al Direttore esecutivo dell’Agenzia internazionale per l’energia, Fatih Birol. “Alla COP28, il mondo si è unito dietro gli obiettivi di triplicare l’energia rinnovabile e raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. La scadenza si avvicina rapidamente”, ha spiegato dal palco del World Economic Forum in corso a Davos. In generale, per von der Leyen, sull’energia pulita “non ci stiamo muovendo abbastanza velocemente. Si tratta anche di aumentare la produzione. Ogni regione deve essere in grado di produrre le tecnologie di cui ha bisogno”. Quindi si tratta di costruire reti, o aggiornarne 25 milioni di chilometri entro il 2030, di sviluppare la capacità di tenere accese le luci se il vento non soffia o il sole non splende. “Tutto questo richiede investimenti massicci e nessuna azienda, nessun paese e nessuna regione può farlo da sola. Dobbiamo lavorare insieme e dobbiamo agire ora”. Ed è per questo che è nato il Forum globale sulla transizione energetica.

Il Forum riunisce partner da tutto il mondo, dal Brasile, Canada e Repubblica Democratica del Congo, al Kenya, Perù, Sudafrica, Emirati Arabi Uniti, Regno Unito e molti altri, nonché aziende e investitori, con 3 obiettivi principali: in primo luogo, sostenere lo slancio dell’accordo energetico globale. “Questi obiettivi energetici globali devono trovare la loro strada nella prossima ondata di contributi determinati a livello nazionale, i famosi NDC – ha spiegato von der Leyen -. Dobbiamo trasformare le promesse collettive in progressi misurabili”. In Europa, ha ricordato, è stato aumentato l’ obiettivo di energia rinnovabile per il 2030 a oltre il 42%. Oggi siamo al 23%, quindi “ci aspetta molto lavoro buono e duro”.

Secondo obiettivo: trasformare tutto questo ​​progetti molto concreti. Ecco perché, sotto la guida della COP30 brasiliana, il Forum si concentrerà su iniziative di punta, ad esempio progetti che portano energia alle comunità svantaggiate o progetti che danno il via a nuove industrie pulite e aumentano l’energia pulita a livello globale. E infine, il Global Energy Transition Forum dovrebbe aiutare a sbloccare più investimenti. “Se vogliamo essere più veloci, abbiamo bisogno di più investimenti”, ha ribadito la presidente europea dicendosi “contenta” che il Regno Unito stia guidando questo cambiamento. L’Europa “intende mantenere la sua strada sull’energia pulita ed è pronta a lavorare con chi è interessato ad accelerare la transizione”. Anche perché, “è evidente che la transizione verso l’energia pulita sta avvenendo, e ci resterà”.

Solo l’anno scorso, la spesa globale per l’energia pulita ha raggiunto un record di 2 trilioni di dollari per ogni dollaro investito in combustibili fossili, mentre 2 dollari sono stati investiti in energia rinnovabile e nel settore energetico. Gli investimenti in energia pulita superano di 10 a 1 i combustibili fossili. Tutto questo non è solo una buona notizia per il pianeta, ha ricordato von der Leyen, ma “è anche una buona notizia per l’innovazione. È una buona notizia per l’indipendenza energetica”, è un bene “per la competitività economica” e, in ultimo, “riduce le bollette energetiche, quindi è un bene per le famiglie e le aziende“. Tuttavia, in questo percorso “nessuno può essere lasciato indietro“. Per questo, nel suo discorso, la presidente von der Leyen ha anche sottolineato la necessità di uno sforzo collettivo per aumentare la produzione di energia rinnovabile in Africa. “Nonostante detenga il 60% delle migliori risorse solari del mondo e punti ad aumentare la sua capacità di energia rinnovabile di cinque volte entro il 2030, il continente riceve attualmente meno del 2% degli investimenti globali in energia pulita“, ha ricordato.

La Commissione europea a gennaio lancia il dialogo strategico sull’automotive

Il Dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica in Europa – annunciato lo scorso 27 novembre dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, in un discorso durante la plenaria del Parlamento, a Strasburgo – sarà lanciato ufficialmente a gennaio 2025. “Oggi abbiamo lanciato un dialogo strategico affinché il futuro dell’industria automobilistica sia costruito in Europa. Sarò lieta di presiedere la sua prima riunione a gennaio“, ha scritto von der Leyen su Twitter. Per il vice presidente esecutivo, Stéphane Séjourné, si tratta di un “passaggio chiave” “per riportare l’industria automobilistica Ue sulla strada della crescita“.

L’esecutivo Ue ha ricordato che l’obiettivo del Dialogo è “proporre e attuare rapidamente le misure di cui il settore ha urgente bisogno“. E che si concentrerà in particolare sulla promozione dell’innovazione e della digitalizzazione basate sui dati, basate su tecnologie lungimiranti come l’intelligenza artificiale e la guida autonoma; sul sostegno alla decarbonizzazione del settore, in un approccio tecnologico aperto, dato il suo ruolo nel raggiungimento degli ambiziosi obiettivi climatici dell’Europa; sull’affrontare posti di lavoro, competenze e altri elementi sociali nel settore; sulla semplificazione e modernizzazione del quadro normativo; sull’aumento della domanda, il rafforzamento delle risorse finanziarie del settore e sulla sua resilienza e catena del valore in un ambiente internazionale sempre più competitivo.

Il Dialogo strategico riunisce le principali parti interessate di tutto il settore, tra cui aziende automobilistiche europee, fornitori di infrastrutture, sindacati e associazioni imprenditoriali, nonché parti della catena del valore automobilistica e altre parti interessate. Al lancio formale, sotto la guida di von der Leyen, seguirà una serie di riunioni tematiche, presiedute dai membri del collegio. “Queste riunioni daranno vita a una serie di raccomandazioni che aiuteranno a costruire una strategia olistica dell’Ue per il settore, per gestire le varie sfide e, ove necessario, adattare di conseguenza il quadro normativo Ue applicabile. Le riunioni al vertice, guidate dalla presidente, verificheranno i progressi compiuti e forniranno gli impulsi politici necessari per ulteriori lavori. Il Consiglio e il Parlamento europeo saranno strettamente coinvolti nel processo e saranno regolarmente informati e consultati sul Dialogo“, ha illustrato la Commissione.

L’industria automobilistica è un orgoglio europeo ed è fondamentale per la prosperità dell’Europa“, ha affermato von der Leyen oggi. “Dobbiamo sostenere questo settore nella profonda e dirompente transizione che ci attende. E dobbiamo garantire che il futuro delle auto rimanga saldamente radicato in Europa. Ecco perché ho chiesto un Dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica europea. Lanceremo questo Dialogo già a gennaio, per dare forma insieme al nostro futuro comune“, ha precisato.

Sul tema è intervenuta la segretaria del Pd, Elly Schlein. A margine dei lavori del Partito socialista europeo (Pse) – che si è tenuto a Bruxelles prima del Consiglio europeo -, ha annunciato che i socialisti hanno chiesto “un fondo europeo sull’automotive, per evitare di soccombere all’auto elettrica cinese“. “Abbiamo portato questa idea” all’attenzione della vice presidente esecutiva per la Transizione, Teresa Ribera, presente al pre vertice del Pse. “La Commissione è consapevole della situazione per il settore“, ha concluso Schlein.

A Parigi l’Italia industriale mostra la sua forza e impressiona Francia e Germania

Nei giorni 21 e 22 novembre scorsi si è tenuto a Parigi l’incontro trilaterale tra MEDEF, la Confindustria franceseBDI, la Confindustria tedesca, e la nostra  Confindustria. Ho partecipato e sono intervenuto ai lavori del convegno come Consigliere del Presidente Orsini per la Competitività e l’Autonomia strategica europee.

Si è trattato di un confronto importante perché, oltre agli esponenti delle associazioni degli industriali, sono intervenuti anche la Presidente del Parlamento Europeo Roberta Metsola, il Primo Ministro francese Michel Barnier, il Vice-Primo Ministro e Ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani, il Ministro dell’Industria italiano Adolfo Urso, il Ministro dell’Industria francese Marc Ferracci, il Sottosegretario tedesco all’Economia Bernhard Klutting.

Era annunciata anche la presenza della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen che però all’ultimo momento non è potuta intervenire. Anche il Ministro dell’Economia tedesco Robert Habeck, che pure era atteso, non si è fatto vedere mostrando l’enorme difficoltà della politica tedesca in questo momento.

L’incontro trilaterale ha coinciso con un momento molto particolare e a tratti drammatico dell’economia europea: forte rallentamento della congiuntura ovunque e recessione in Germania, progressiva perdita di competitività dell’industria in generale e crisi drammatica dell’automotive, grandi incertezze geopolitiche connesse ai due conflitti in corso alle porte dell’Europa, vittoria di Trump alle presidenziali in USA e incognite relative all’annunciata politica dei dazi che verrà praticata dalla nuova Amministrazione americana e all’atteggiamento statunitense nei confronti della Nato.

Nella due giorni si è respirata un’aria di grande preoccupazione per la situazione attuale sia da parte industriale che da parte politica, e più volte sono stati richiamati i contenuti del Rapporto Draghi e il suo messaggio di fondo relativo alla necessità di agire con urgenza se si vuole evitare che il declino in atto in Europa si trasformi in una neanche troppo lenta agonia.

I dati macroeconomici sono impietosi. Nonostante condizioni al contorno molto favorevoli per l’Europa negli ultimi 20 anni (il più grande e ricco mercato del mondo, tassi di interesse bassissimi o in certi momenti nulli che avrebbero consentito investimenti in ricerca e sviluppo e innovazione che invece non sono stati fatti, energia comprata a costi bassi dalla Russia) la performance dell’economia europea ha continuato a peggiorare nei confronti delle due altre grandi aree economiche del mondo, Usa Cina.

Tale traiettoria negativa è confermata da una serie di elementi:

  • Il confronto tra l’andamento dell’economia americana e quella europea; nel 1992 i due continenti avevano una quota di PIL mondiale praticamente identica, oggi l’Europa è nettamente dietro gli Stati Uniti con un reddito medio pro capite  dei suoi cittadini che è praticamente la metà di quello americano;
  • Con riferimento alla quota di mercato dell’industria manifatturiera, a livello mondiale siamo passati dalla prima posizione del 2007 alla terza, dopo Usa e Cina, del 2022;
  • Nel ranking mondiale delle grandi imprese la prima impresa europea è solo 25esima;
  • Gli investimenti esteri in Europa, che per moltissimo tempo hanno superato di molto quelli realizzati negli Usa e in Cina, sono collassati del 44% nel periodo 2019-2023 rispetto ai dieci anni precedenti, con una riduzione di circa 150 miliardi di dollari all’anno;
  • A partire dal 2000 vi è stata una significativa caduta di produttività del lavoro rispetto a quella registrata negli Usa;
  • L’Europa rimane strutturalmente sotto gli Usa con riferimento alle spese di ReS (poco più di 2 miliardi di dollari l’anno contro i 3,5 degli USA) e negli ultimi due anni anche la Cina ha superato il nostro continente con riferimento a questo parametro;
  • Il prezzo dell’energia negli Usa è meno di un terzo di quello pagato in Europa dalle imprese industriali (se si guarda il dato italiano parliamo di 1/5).
  • E infine le tendenze demografiche europee sono drammatiche, con un progressivo invecchiamento e diminuzione della popolazione che apre prospettive fosche rispetto ai livelli di spesa sanitaria e sociale e alla loro sostenibilità.

A fronte di questa situazione che, come ho sostenuto più volte, comporta rischi esistenziali per l’Unione Europea e il suo modello sociale e politico, ed evidenzia i gravi errori di presunzione delle politiche europee dell’ultimo decennio,  afflitte da quella che ho definito “la sindrome del primo della classe”, non sembra ancora esservi una diffusa presa di coscienza.

In particolare il confronto di Parigi ha evidenziato da un lato titubanze e paure anche di parte degli industriali francesi e tedeschi e dei loro governi ad esprimere una critica troppo radicale dell’eccesso regolatorio dell’Europa e del green deal così come è stato concepito, dall’altro una posizione rigida e ideologica della burocrazia europea che nei suoi esponenti di punta ha confermato l’approccio iper regolatorio (che costituisce la fonte del suo potere) e il sostegno incondizionato alle politiche di decarbonizzazione estremiste e ideologiche dell’era Timmermans.

Emblematico al riguardo è stato l’intervento della tedesca Kerstin Jorna, Direttore Generale per il Mercato interno, l’industria, l’imprenditoria e le PMI della DG Crescita della Commissione. Discutendo e polemizzando con me in un panel dal titolo “Quali urgenti azioni sono necessarie per prevenire il declino e la debolezza dell’industria europea” Jorna, nello sconcerto generale della sala, ha affermato che l’unico modo per abbassare il prezzo dell’energia è continuare a investire esclusivamente in rinnovabili e non nel nucleare, che è troppo caro: alla faccia del principio di neutralità tecnologica.

Rispetto a questo quadro  e a tutte le sue incertezze la vera novità è stata la forza e la compattezza  della posizione italiana espressa chiaramente non solo dai rappresentanti di Confindustria ma anche dai Ministri Tajani e Urso. Le nostre posizioni sono state in gran parte recepite nella Dichiarazione finale firmata dai tre presidenti delle organizzazioni imprenditoriali di cui riportiamo il testo integrale in allegato. (leggi qui)

La sensazione che abbiamo avuto è che l’Italia industriale, anche per la profonda crisi in atto dell’economia e delle industrie tedesche e francesi, abbia un ruolo centrale e di traino  e che questo ruolo sia percepito come tale dagli altri partner europei.

Il primo Ministro francese Barnier ha riconosciuto che il modello industriale italiano, così diversificato in una molteplicità di filiere, così intrecciato con i territori e i distretti di specializzazione, così creativo alla ricerca della qualità, del design, dell’innovazione, così performante in termini di esportazioni (siamo i quarti del mondo avendo superato Giappone e Corea del Sud), così inclusivo anche dal punto di vista sociale, rappresenta un modello importante per la ricerca di competitività. E l’attenzione di Barnier per l’Italia è stata confermata dal fatto che la prima visita di Stato nel nuovo primo Ministro francese non sarà a Berlino ma a Roma.

L’industria italiana oggi resiste meglio alla tempesta per le caratteristiche sopra richiamate, e forse anche per l’attitudine degli italiani ad adattarsi e a gestire le situazioni di crisi in cui permanentemente abbiamo vissuto. Viene sempre alla mente la considerazione di Darwin “nel lungo periodo non vinceranno e sopravviveranno né i più forti, né i più intelligenti ma i più adattivi”.

Oggi noi italiani possiamo svolgere in Europa, senza presunzioni e arroganze, ma con autorevolezza, un importante ruolo di guida. Dobbiamo esserne coscienti per la responsabilità e la fatica che ci toccheranno ma anche con la consapevolezza di essere un grande Paese.

Parte la nuova Commissione Ue. Von der Leyen: “Con Fitto le regioni tornano centrali”

La maggioranza più piccola di sempre e il primo caso in cui la squadra riceve un supporto minore di quello dato a chi la presiede. E’ questa la spinta che il Parlamento europeo, con il voto di oggi in plenaria, dà alla seconda Commissione europea targata Ursula von der Leyen: il Collegio dei 26 commissari è stato approvato con 370 voti a favore, 282 contrari e 36 astenuti. Un risultato che riporta 31 consensi in meno rispetto ai 401 che a luglio avevano fatto rieleggere la politica tedesca alla guida di Palazzo Berlaymont e che segna la più bassa fiducia incassata da un esecutivo Ue dal 1995, cioè da quando l’Eurocamera elegge il Collegio.

Ma la squadra è approvata e a farne parte, nel ruolo di vice presidente esecutivo a Riforme e Coesione, c’è Raffaele Fitto. Dopo il voto ha ricordato che è “fondamentale lavorare tutti insieme e dare prova di unità” per vincere le sfide. “Ogni mia energia e tutto il mio impegno dei prossimi cinque anni saranno dedicati a questo scopo, nel pieno rispetto dei Trattati ed a difesa dell’interesse comune europeo“, ha ribadito. Ma proprio sul suo nome si è consumata, in queste settimane, una frattura nella maggioranza tradizionale e in quella possibile con i Verdi. E, nonostante in aula la presidente oggi abbia promesso di lavorare “sempre dal centro” e con tutte le “forze democratiche pro-Ue”, le reazioni e il voto dei gruppi hanno fatto capire quanto il sostegno esca lesionato dall’affidamento di una vice presidenza esecutiva un membro, Fitto, della famiglia dei conservatori e riformisti europei (Ecr) considerata sovranista.

Nel presentare il lavoro del meloniano, von der Leyen evidenzia la necessità per l’Ue di impegnarsi “per affrontare i problemi che le regioni hanno davanti“. E “questo è il compito di coesione e riforme che ho affidato come vice presidente esecutivo a Raffaele Fitto: è una scelta che ho fatto anche perché so quanto sia fondamentale dare alle regioni l’importanza politica che meritano”, puntualizza. Una scelta divisiva, però. Si inizia con l’Spd tedesco (nel gruppo S&D), che annuncia l’astensione dal voto sulla nuova Commissione. I Verdi – spaccati, ma con una leggera maggioranza a favore – confermano di essere “dell’opinione che sia un errore fare Fitto vice presidente esecutivo di questa Commissione europea“.

Alla fine, comunque, il von der Leyen 2 incassa un appoggio frastagliato dai liberali di Renew Europe (67 sì e 6 astensioni), dal Ppe, che però conta 25 franchi tiratori – la delegazione del Partido Popular spagnolo, delusi dalla presenza della connazionale Teresa Ribera, e tre eurodeputati sloveni -, dai socialisti, che registrano 25 contrari e 18 astenuti. Spaccati sono i Verdi (27 a favore, 19 contro e 6 astensioni) e l’Ecr (33 a favore, 39 contro e 4 astenuti). Contrari La Sinistra, i Patrioti per l’Europa e l’Europa per le Nazioni Sovrane. Usando la lente d’ingrandimento sull’Italia: hanno votato compattamente Fratelli d’Italia e Forza Italia a favore, Lega, Alleanza Verdi e Sinistra e Movimento 5 Stelle contro. Tra i 21 deputati del Partito Democratico nel gruppo S&D, si registrano 19 sì e i voti contrari di Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Dunque, gruppi politici divisi e una maggioranza flebile: ma dal primo dicembre l’esecutivo Ue entra in carica.

 

Scatta l’ora X per il von der Leyen 2: il voto tra le divisioni nei gruppi

Scocca alle 12 di mercoledì l’ora X per la Commissione europea: la plenaria del Parlamento europeo voterà il collegio dei 26 commissari del secondo esecutivo guidato dalla tedesca Ursula von der Leyen. A poche ore dal verdetto, quello che appare chiaro è che la maggioranza centrista – Popolari (Ppe), Socialisti (S&D) e Liberali (Renew Europe) – terrà, ma riportando le ferite di alcune defezioni non insignificanti. E spaccati appaiono anche i Verdi e i Conservatori e riformisti (Ecr), dove i meloniani sosterranno il nuovo Collegio. No netto, invece, dalle opposizioni di estrema destra e sinistra radicale.

È arrivato il momento di iniziare a lavorare, per questo il Ppe sosterrà il Collegio e voterà a favore”, ha dichiarato Manfred Weber, presidente del Ppe. Ma il suo partito – che esprime von der Leyen e Metsola e che conta 13 commissari nel collegio – dovrebbe veder una trentina di voti contrari al nuovo collegio: i 22 eletti col Partido popular spagnolo, i cinque sloveni dell’Sds e, forse, anche i sei Républicains francesi. Schierati per il sì i 9 deputati di Forza Italia. Fibrillazione in casa S&D che deciderà stasera la posizione definitiva ma che sa già di non avere i 13 deputati francesi. In bilico sono i 14 dell’Spd tedesca, così come indecisi sono belgi e olandesi. Della delegazione italiana di 21 deputati, al momento sembra che possano esserci dei contrari tra gli indipendenti. Malumori si registrano anche tra le fila di Renew che potrebbe vedersi dimagrire nell’appoggio a von der Leyen di una decina di astensioni. Spaccati quasi a metà sono i Verdi. Il co-capogruppo Bas Eickhout ha detto di aspettarsi che “una piccola maggioranza” a sostegno a von der Leyen bis, come già a luglio. Contro saranno gli altri, compresi i 4 italiani, che non hanno digerito la vice presidenza esecutiva della Commissione in mano a Raffaele Fitto dell’Ecr. E proprio dalle fila dei Conservatori arriverà il sì dai deputati di Fratelli d’Italia – che con 24 deputati è la delegazione più nutrita del gruppo – insieme ai fiamminghi di N-Va e i cechi di Ods (3 seggi ciascuno). A opporsi saranno invece i 20 eletti polacchi del PiS. All’opposizione ci saranno invece il gruppo della sinistra radicale (The Left), che ospita i due eletti di Sinistra italiana in quota Avs e gli otto del M5s, e quelli dell’estrema destra, i Patrioti per l’Europa (PfE), dove siedono gli otto leghisti, e i sovranisti dell’Esn.

Nel voto di mercoledì, la presidente della Commissione dovrà ottenere la maggioranza semplice dei voti espressi: se tutti e 720 i deputati saranno presenti, il numero sarà fissato a 361. Al momento attuale, sembra che von der Leyen non riuscirà a ripetere il risultato di luglio, quando aveva raccolto 401 consensi. In quell’occasione, la sua rielezione era stata assicurata dal sostegno di buona parte dei Verdi, che avevano compensato le defezioni nei tre gruppi centristi, e dal no di altre delegazioni che domani voteranno “sì”, come quella di FdI. Nel luglio del 2019, von der Leyen fu eletta presidente con 383 voti, appena nove in più della maggioranza assoluta dell’epoca: salvata da tre partiti nazionalisti e populisti, il PiS polacco, il Fidesz ungherese e il M5s italiano, che domani si esprimeranno contro al bis. Per l’intero collegio, a novembre 2019, i voti a favore furono 461, i contrari 157 e gli astenuti 89.

Ue, il Parlamento europeo rinvia la legge sulla deforestazione: maggioranza Ursula in crisi

Cade la ‘maggioranza Ursula’, si conferma quella ‘Venezuela’, e si compattano gli schieramenti delle forze politiche italiane: da un lato Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia; dall’altro Partito democratico, Alleanza Verdi-Sinistra, Movimento 5 Stelle. Il tema è il regolamento Ue sulla deforestazione importata, uno dei testi più importanti del Green deal, già approvato e in vigore. Ora il rinvio di un anno dell’attuazione di questa legge, proposto dalla Commissione europea, e gli emendamenti al testo – avanzati a sorpresa dal Partito popolare europeo al Parlamento e passati col sostegno dell’estrema destra – sembrano tracciare uno spartiacque dei due blocchi politici, ma anche delle due legislature targate von der Leyen: se la prima ha cercato di portare sul tavolo la questione ambientale, la seconda si preannuncia quella del freno, o addirittura della retromarcia. E, alla fine, la partita di oggi l’hanno vinta il Ppe e le forze di estrema destra dell’Aula, “dimostrando ancora una volta – come ha commentato la Lega – non solo che un’altra maggioranza è possibile: è già realtà”. La ‘maggioranza Venezuela’, come è stata ribattezzata dal voto di settembre sulla condanna al regime di Maduro che ha sancito l’esistenza di una maggioranza alternativa a destra.

Secondo il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, il rinvio “rappresenta una grande vittoria per l’Italia che, insieme a molti altri Governi di matrice politica diversa, aveva proposto di rinviarne l’applicazione poiché avrebbe causato effetti devastanti sulla produzione e trasformazione agricola”. Per Nicola Procaccini, co-presidente del gruppo dei Conservatori al Parlamento europeo (Ecr), “si è raggiunto il giusto compromesso tra tutela della natura e sostenibilità economica e sociale”. Di “doppia vittoria del Ppe e di Forza Italia”, parla Flavio Tosi, europarlamentare di Forza Italia-Ppe: “Giusto proteggere l’ambiente, ma la transizione verde deve avvenire nei tempi giusti e non deve danneggiare le nostre aziende”, evidenzia.

Secondo la delegazione del Pd a Bruxelles, invece, “il Ppe ha deciso di stracciare gli accordi con la maggioranza europeista” e “questa volta a farne le spese è l’ambiente, protetto dal regolamento deforestazione che mira a garantire la produzione di una serie di beni chiave immessi sul mercato dell’Ue non contribuisca più alla deforestazione e al degrado forestale nell’Ue e nel resto del mondo”. Il M5S, con Valentina Palmisano, lega il voto di oggi agli eventi estremi. “Il mondo è flagellato da eventi climatici estremi come alluvioni, bombe d’acqua e siccità che causano morte e distruzione ma la priorità della destra è quella di annacquare la legge europea che lotta contro la deforestazione approvata nella scorsa legislatura”, sottolinea. Mentre i Verdi chiedono a von der Leyen “di ritirare la proposta di rinvio”, così da “evitare una completa violazione della legge e ulteriore incertezza per le aziende”.

Alla fine, il rinvio è stato approvato con 371 voti favorevoli, 240 contrari e 30 astenuti. A dire ‘no’ sono stati socialisti, verdi e sinistra, con la stessa compattezza con cui i popolari e l’estrema destra hanno sostenuto il testo. Si sono spaccati i liberali: 20 no, 24 astensioni e 29 sì. Una delle modifiche più rilevanti introdotte è la creazione di una quarta categoria di Paesi: a fianco a quelli a basso, medio e alto rischio, arrivano gli Stati “senza rischio”, quelli da cui poter continuare a importare prodotti senza nuovi obblighi. E ad approvarla è stata la stessa formazione: Ppe, Ecr, Patrioti (PfE) e Sovranisti (Esn).

A tutte le unità: arriva un autunno caldo, a cominciare dal Commissario Ue

Con il videomessaggio della ripresa di possesso di Palazzo Chigi, il vertice di maggioranza e il Cdm fissato per il fine settimana, Giorgia Meloni ha aperto l’autunno (caldissimo) della politica e chiuso la parentesi (torrida) delle vacanze. “A tutte le unità” il messaggio è chiaro: ci attendono mesi delicati, dalla nomina del commissario Ue alla grana non da poco dei balneari, via via fino ad arrivare alla legge di Bilancio, che è la madre (e il padre) di tutti i provvedimenti. Sullo sfondo lo ius scholae, l’autonomia e le tensioni internazionali suddivise tra Russia-Ucraina e il Medioriente, le divergenze di vedute tra Forza Italia e Lega. Un mappazzone, direbbe qualcuno.

La presidente del Consiglio ha detto di voler infondere il massimo delle energie nei suoi impegni interni e internazionali dopo essersi ricaricata in Puglia. Venerdì c’è la scadenza del commissario Ue, che è un nodo delicatissimo da sciogliere: potrebbe/dovrebbe essere Raffele Fitto il prescelto, però solo se Ursula von der Leyen ci concederà un ruolo di peso, cioè un commissario con competenze economiche. Nel caso non sarà facile sostituire Fitto, che in questi due anni ha preso per mano il Pnrr e ne ha gestito la delicatissima applicazione. Pnrr significa il piano indispensabile di rilancio del Paese, una chance da non sprecare mentre il traguardo del 2026 si avvicina. ‘Dum differtur vita transcurrit’, raccontavano i latini e tempo da perdere non ce n’è. Perché poi, dietro la scelta del Commissario, ci sono le scelte della Nuova Europa che entra davvero in funzione a novembre e che si porta appresso l’eredità non sempre comoda del Green Deal. Sul quale l’Italia ha dato e, salvo cambiamenti abbastanza netti, vuole dare battaglia. Le auto a motore endotermico, le case green, il packaging, la Pac: ce n’è per tutti i gusti. E se il Commissario fosse di secondo piano? Allora probabilmente Fitto rimarrebbe al suo posto e verrebbe chiamato in causa qualcun altro, ma di secondo livello. Ipotesi, ques’utlima, che non vuole essere presa in considerazione. Comunque, è questione di poco e si saprà.

Sul fronte nazionale, l’agenda è ricca di impegni per il governo. A cominciare dalle molte partite che si giocano nelle sale del Mimit, il ministero dell’Impresa e del Made in Italy. Una a caso? La questione delle auto con Stellantis, l’apertura a un fabbricante cinese, la gigafactory di Termoli… Tutto ruota intorno all‘auto elettrica che, al momento, non ha molto appeal in assoluto e non viene quasi considerata dagli italiani. Ma poi c’è la sistemazione definitiva dell’ex Ilva e altri casi. In totale i tavoli di crisi al Mimit sono 32, non proprio bruscolini.

 

Von der Leyen rieletta presidente della Commissione europea: “Manteniamo rotta su Green Deal”

Lo ha citato due volte nel suo discorso, durato quasi 50 minuti, e 4 nelle trenta pagine di linee programmatiche per i prossimi 5 anni di mandato: per von der Leyen il Green deal resta – non è rinnegato – ma cambia il modo con cui leggerlo, cioè “con pragmatismo, neutralità tecnologica e innovazione”. L’accento dunque si sposta su un nuovo Patto per l’industria pulita che la presidente riconfermata al bis (con con 401 voti a favore, 284 contrari, 15 astensioni e 7 schede vuote) presenterà nei suoi primi 100 giorni di mandato. “La nostra massima attenzione sarà rivolta al sostegno e alla creazione delle giuste condizioni affinché le aziende possano raggiungere i nostri obiettivi comuni. Ciò significa semplificare, investire e garantire l’accesso a forniture energetiche e materie prime a basso costo, sostenibili e sicure. Ciò preparerà la strada verso l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 90% per il 2040 che proporremo di sancire nella nostra Legge europea sul clima. In ogni fase lavoreremo in collaborazione con l’industria, le parti sociali e tutte le parti interessate. Presenteremo una legge sull’acceleratore della decarbonizzazione industriale per sostenere le industrie e le aziende durante la transizione”, ha puntualizzato von der Leyen.

Un nuovo piano per la prosperità sostenibile e la competitività dell’Europa; una nuova era per la difesa e la sicurezza europea; sostenere le persone, rafforzare le nostre società e il nostro modello sociale; sostenere la qualità della nostra vita: sicurezza alimentare, acqua e natura; proteggere la nostra democrazia, sostenere i nostri valori; un’Europa globale: sfruttare il nostro potere e i nostri partenariati; realizzare insieme e preparare la nostra Unione per il futuro. Sono questi i sette capitoli in cui è declinato il documento contenente le linee guida di Ursula von der Leyen per la Commissione europea dei prossimi 5 anni. In 30 pagine, von der Leyen ha cercato di trovare la mediazione in modo tale che “il centro democratico in Europa regga” e sia “all’altezza delle preoccupazioni e delle sfide che i cittadini devono affrontare nella loro vita”.

Oltre a rafforzare l’Unione dell’Energia, la presidente nominata intende proporre una nuova legge sull’economia circolare, “che contribuirà a creare una domanda di mercato per materiali secondari e un mercato unico per i rifiuti, in particolare in relazione alle materie prime critiche” e un nuovo pacchetto per l’industria chimica, con l’obiettivo di semplificare Reach (regolamento sulla registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizione delle sostanze chimiche) e fornire chiarezza sui ‘prodotti chimici per sempre’ (Pfas).

Sul fronte dell’agricoltura, von der Leyen in aula richiama alla necessità di “superare le differenze e sviluppare buone soluzioni insieme a tutte le parti interessate” e scandisce alcuni impegni. Come ad assicurare “che gli agricoltori ricevano un reddito giusto” e che nessuno sia obbligato “a vendere il buon cibo al di sotto dei costi di produzione” e a fare in modo che ci siano “incentivi più intelligenti” affinché “chiunque gestisca la natura e la biodiversità in modo sostenibile e contribuisca a bilanciare il bilancio del carbonio deve essere adeguatamente ricompensato”. Per tutte queste ragioni, von der Leyen presenterà un piano per l’agricoltura per affrontare la necessità di adattamento ai cambiamenti climatici e, parallelamente, una strategia per la gestione sostenibile della preziosa risorsa acqua. “Da ciò dipende non solo la nostra sicurezza alimentare, ma anche la nostra competitività complessiva”, ha sottolineato.

 

Green Deal trascurato e inevitabile tra fondi Ue e sponde capitalistiche

Secondo un parere della Commissione Politica di coesione territoriale e bilancio dell’Ue (Coter) del Comitato europeo delle regioni (Cdr), adottato mercoledì 3 luglio, l’Unione europea dovrebbe sostenere tutte le regioni nella realizzazione di una transizione giusta ed equa, in particolare quelle fortemente dipendenti da un unico settore economico o da industrie ad alta intensità energetica. Come sostiene la Coter, le difficoltà incontrate nell’approvazione dei piani di transizione e la riduzione dei fondi alla fine del periodo di programmazione evidenziano la necessità di prorogare il termine per l’utilizzo delle risorse del “Fondo per la transizione” nell’ambito del piano di ripresa dell’Ue di prossima generazione. Il parere invita la Commissione europea a semplificare i finanziamenti e a migliorare la trasparenza nel prossimo quadro finanziario pluriennale (Qfp) dell’Ue post-2027. Presa a prestito da Agence Europe, uno dei punti di riferimento dell’informazione da Bruxelles e su Bruxelles, questa notizia offre lo spunto per rivisitare il Green Deal nell’ottica della Commissione che sarà.

E intanto… Manfred Weber, nominato presidente del Ppe, ha ribadito in un recente intervista che dal Green Deal non si torna indietro. Weber è stato seguito a ruota da Ursula von der Leyen che, nel delicato tentativo di mettere insieme una maggioranza non traballante, ha posto sempre il Green Deal tra le cinque priorità dei prossimi cinque anni di governo. Ovviamente ammesso che, come accade spesso nei Conclave, chi entra Papa non esca cardinale. Green Deal, per la verità, che è stato sorpassato a sinistra da altre tematiche cogenti come la competitività, la Difesa, le questioni sociali e la semplificazione normativa. Sintetizzando: la transizione verde è indispensabile ma non così indispensabile come nel 2019. Ora: cosa sia cambiato in meglio o in peggio dopo un lustro di propositi più o meno buoni è difficile da stabilire con determinazione matematica, ma che siano indispensabili delle correzioni ‘in corsa’ questo è ineluttabile.

Con o senza i Verdi, oppure anche solo con l’appoggio esterno, il Green Deal continuerà a esserci. Giusto. Ma qui si torna al punto di partenza: più delle ideologie e di certe rigide ottusità saranno i denari da investire nella transizione verde a fare la differenza. E di denari ne serviranno davvero tanti: in fondo, più le pratiche sono virtuose più i costi aumentano. Saranno determinanti i fondi privati e il buonsenso collettivo, sarà determinante coinvolgere sempre di più Cina, India e Stati Uniti in un percorso che abbia cura del Pianeta senza creare ulteriori diseguaglianze non solo tra Paesi ma tra blocchi di Paesi, come ad esempio la Ue e i Brics.

Il presidente di Federacciai, Antonio Gozzi, scrive in un suo intervento che “dietro l’estremismo ambientalista, ideologico ed astratto, che purtroppo ha orientato negli ultimi dieci anni anche le politiche europee contro il climate change e per il così detto green deal, ci siano anche alcuni ‘grandi vecchi’, sconfitti nel loro credo dalla storia, ma che hanno rivestito lo spirito e il pregiudizio anticapitalista e anti-impresa con le bandiere dei verdi”. Cita Noam Chomsky e Robert Pollin e giunge a sostenere che Occidente e Stati Uniti andranno avanti ma dovranno fare i conti con il popolo. “’Voi parlate della fine del mondo ma noi ci preoccupiamo della fine del mese. Come sopravviveremo alle vostre riforme?, è questa la domanda pressante a cui bisogna dare risposte concrete onde evitare un rigetto totale delle politiche ambientaliste”, sottolinea Gozzi.

Non è indispensabile essere d’accordo, è fondamentale riflettere. E fornire risposte concrete. Il cambiamento climatico è sotto i nostri occhi, “non ci sono più le stagioni di una volta” direbbe qualcuno, ed è una evidenza che si abbatte sulle economie, sul turismo, sull’agricoltura. Come se ne esce? E’ chiaro che ricerca, innovazione, nuove tecnologie, rinnovabili, nucleare sono gli ingredienti indispensabili di una ricetta che, comunque, dovrà avere il sostegno economico di Stati e di industrie. Finanziare il futuro delle generazioni future: non è uno slogan ma una necessità. Insomma, adelante ma con juicio.