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Amazzonia, record deforestazione a ottobre. Ong contro Bolsonaro

La deforestazione nell’Amazzonia brasiliana ha raggiunto i 904 km2 ad ottobre, un record per questo mese dell’anno, secondo i dati ufficiali diffusi venerdì 11 novembre, a meno di due mesi dalla fine del mandato del presidente di estrema destra Jair Bolsonaro. Il sistema di osservazione satellitare Deter, in uso dal 2015, ha rilevato un aumento del 3% dell’area deforestata nella più grande foresta pluviale del pianeta rispetto a ottobre 2021. I dati sono stati raccolti dall’Istituto Nazionale per la Ricerca Spaziale (Inpe).

In soli dieci mesi, il 2022 è già l’anno peggiore di questa serie statistica per la deforestazione in Amazzonia, con 9.494 km2 di vegetazione cancellati dalla mappa, battendo il record di 9.178 km2 per tutto il 2021. La sezione brasiliana del Wwf ha spiegato che la deforestazione e gli incendi sono “esplosi” in Amazzonia dal risultato delle elezioni presidenziali, che hanno portato alla vittoria Luiz Inacio Lula da Silvia, da sempre impegnato nella lotta contro la deforestazione.

Ma perché sta accadendo proprio ora? “Ci si aspettava un aumento della deforestazione (a ottobre), ma i dati preliminari dei primi giorni di novembre fanno paura, è una vera corsa frenetica alla devastazione” prima del cambio di governo, accusa il Wwf.

Sotto la presidenza di Jair Bolsonaro, la deforestazione media annua è aumentata del 75% rispetto al decennio precedente. Il presidente eletto Lula, che inizierà il suo terzo mandato il 1° gennaio, ha confermato che parteciperà alla Cop27 in Egitto all’inizio della prossima settimana, dove dovrebbe annunciare le sue prime linee guida per la politica ambientale. “Il nuovo governo avrà molto lavoro da fare per rimettere in sesto il Paese, per porre fine alla percezione che l’Amazzonia sia una terra senza legge“, afferma Raul do Valle del Wwf.

La politica ambientale del governo Bolsonaro “farà ancora danni per un po’. Sarà una grande sfida cambiare la situazione, ma è inevitabile che il Brasile torni ad essere protagonista nel dibattito sul clima“, aggiunge André Freitas di Greenpeace.

jovanotti

Dopo il Jova Beach Party al via Ri-Party-Amo per ripulire l’Italia

Dopo la conclusione del Jova Beach Party, con l’ultima data di sabato 10 settembre a Bresso, è il momento della partenza di Ri-Party-Amo: il progetto nazionale ambientale nato dalla collaborazione tra Wwf Italia, Intesa Sanpaolo e, appunto, il Jova Beach Party e declinato in tre macroaree di intervento (Pulizie- Rinaturazione- Formazione) tutte con l’obiettivo di rendere i giovani, scuole, famiglie, aziende e intere comunità, protagonisti della salvaguardia e del restauro della natura d’Italia.

I primi otto appuntamenti nazionali si terranno domenica 18 settembre: una giornata all’insegna del volontariato impegnato nel rendere l’Italia più bella e pulita. Dal nord al sud del Paese stessa domenica i volontari si daranno appuntamento in località diverse per avviare il progetto. Le attività, dedicate al filone ‘Puliamo l’Italia’, coinvolgeranno centinaia di volontari nella pulizia di spiagge e di fondali, e saranno coordinate dal Wwf Italia, che diffonderà dati e informazioni scientifiche sul tema dell’inquinamento da plastica nei nostri mari, rendendo così le persone più consapevoli e attente sulle quantità, la composizione e le fonti dei rifiuti marini.

L’evento centrale è alle 10 a Fiumicino presso l’Oasi Wwf di Macchiagrande. Poi ci si trasferirà sulla spiaggia di Coccia di Morto dove si svolgeranno le attività di pulizia. Per partecipare alla grande mobilitazione all’insegna della tutela dell’ambiente, è possibile iscriversi agli eventi di pulizia ‘Puliamo l’Italia’ all’indirizzo: wwf.it/ripartyamo

Oltre all’appuntamento di Fiumicino, domenica 18 settembre ne sono previsti altri nel tratto di mare tra Capocotta e Torvaianica, a Molfetta, nel tatto di mare tra Grotte di Ripalta e Pantano di Bisceglie, a Policoro, a Bacoli, a Marina di Vecchiano e a Rosignano Solvay.

(Photo credits: Facebook @jovabeachparty)

Jovanotti

Il Jova Beach Party divide l’Italia e gli ambientalisti fra pro e contro

Mega eventi in spiaggia sì, mega eventi in spiaggia no. Inutile girarci intorno: la pietra dello scandalo è il Jova Beach Party. L’Italia si divide fra chi della grande festa estiva di Jovanotti non vuole farne a meno, soprattutto dopo i lunghi anni di pandemia che ci hanno privati del divertimento della musica live, e chi invece difende l’ambiente senza se e senza ma. Ma addirittura fra gli ambientalisti stessi si è creata una frattura. Già, perché se il Wwf nazionale appone il suo sigillo di garanzia sugli eventi, Marevivo, Enpa, LAV e Sea Shepherd Italia lanciano addirittura una petizione contro. Senza citare direttamente Jovanotti, certo, ma il riferimento è puramente non casuale.

‘L’ambiente urla: non nel mio nome’ è il titolo della petizione che parla di “spiagge prese d’assalto da decine di migliaia di persone durante i grandi eventi musicali estivi”. E cita l’impatto “sull’equilibrio degli ecosistemi, causando gravi danni a carico di diverse specie selvatiche e, in generale, all’ambiente marino”. Nulla di neanche vagamente sostenibile, secondo le associazioni.

Il Wwf, invece, da parte sua, continua a difendere la scelta di sostenere il Jova Beach Party. Anche in prospettiva, considerando tutti i progetti e le iniziative collegate che permetteranno di ripulire le spiagge e investire sull’ambiente. L’ultimo caso è quello di Fermo, dove le polemiche sono state più aspre rispetto alle altre tappe. Soprattutto per la nidificazione in loco del fratino. E il Wwf spiega, in sintesi, il suo ruolo: non organizzatore del concerto, ma supporto per “favorire la trasformazione di un evento che comunque si sarebbe tenuto al fine di ridurne al massimo gli impatti”. Senza contare che, all’interno del progetto, c’è anche spazio per il futuro: “Wwf Italia e Comune realizzeranno un intervento naturalistico più a sud su un’area costiera in località Marina Palmense, ben più estesa di quella di Casabianca. L’intervento avrà la funzione di rafforzare la rete ecologica oltre che di favorire attività di didattiche tramite la realizzazione di un percorso natura. Una concessione delocalizzata e un tratto di spiaggia che viene ripristinato con specifica finalità di tutela del Fratino, un’ampia zona costiera naturalizzata per finalità di tutele e didattiche: il WWF Italia ritiene di avere ottenuto qualcosa di concreto per la tutela della costa di Fermo. Le polemiche più o meno strumentali sono poi altra cosa”, spiega il Wwf.

Insomma, fra i contendenti è difficile capire chi abbia ragione e stia combattendo la battaglia giusta. Ma sarà l’ambiente stesso, prima o dopo, a dare la sua risposta.

Rifiuti

Il metano nemico numero 2: è il più inquinante dopo l’anidride carbonica

Secondo l’ultimo rapporto del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi, ossia la limitazione del riscaldamento a non più di 1,5°C, “le emissioni globali di gas serra dovrebbero raggiungere il picco entro il 2025 e ridursi del 43% entro il 2030, mentre le emissioni di metano dovrebbero ridursi di circa un terzo rispetto ai livelli attuali entro il 2030 e di circa il 45% entro il 2040”. A spiegarlo è Domenico Gaudioso (Ispra) nel corso del webinar di Wwf ‘Le emissioni di metano in Italia. Stime e priorità di intervento’.

Affinché questo traguardo venga raggiunto occorre prendere in considerazione tutte le sorgenti responsabili dell’inquinamento da gas metano e non focalizzarsi solo su una parte di esse. Anche perché, per esempio, “la decarbonizzazione delle economie influirà sulle emissioni, ma non garantisce una riduzione oltre il 30%”, chiarisce Gaudioso.

IL GAS METANO

Secondo gas-serra di origine antropica, il più abbondante dopo l’anidride carbonica, il metano rappresenta attualmente circa il 20% delle emissioni globali, influendo sulla temperatura terrestre e sul sistema climatico in maniera incisiva. Il report del Wwf ‘Le emissioni di metano in Italia’ illustra come le concentrazioni atmosferiche del gas siano aumentate del 47% dall’epoca preindustriale ad oggi, e raggiungano attualmente i livelli più elevati degli ultimi 800.000 anni. “Sebbene il metano sia molto meno abbondante nell’atmosfera rispetto alla CO2, assorbe però la radiazione infrarossa termica in modo molto più efficiente e, di conseguenza, ha un potenziale di riscaldamento globale circa 80 volte più forte per unità di massa della CO2 su una scala temporale di 20 anni e circa 30 volte più potente su una scala temporale di 100 anni“, sottolinea il Wwf.

IN ITALIA

Per quanto riguarda l’Italia, l’esperto dell’Ispra snocciola alcuni dati esplicativi: “Nel 2019, le emissioni di metano in Italia sono state pari a 1.718,69 kt, corrispondenti a 48.123,32 ktCO2 equivalenti, il 12,9% in meno del valore registrato nel 1990. In termini di CO2 equivalente, il metano ha rappresentato il 10,3% del totale dei gas-serra“. Aggiungendo in seguito che “i settori che forniscono il contributo più rilevante alle emissioni di metano sono l’agricoltura, con il 44,2%, la gestione dei rifiuti, con il 37,9% e l’energia con il 17,9%(di cui 11,0% dalle emissioni fuggitive e il 6,9% dai processi di combustione)“.

Dalle percentuali sopraindicate emerge la necessità urgente per l’Italia di predisporre una strategia per il metano allineata a quella europea e integrata con il Pniec (Piano nazionale integrato per l’energia e il clima), che prevede misure come il sostegno alla produzione di biogas di origine agricola, la gestione dei reflui zootecnici e la produzione di biometano.

Ricapitolando, Gaudioso traccia le sue conclusioni: nel Paese “è essenziale procedere alla definizione di un quadro programmatico adeguato per la riduzione delle emissioni di metano, in particolare prevedendo un sistema di monitoraggio delle emissioni affidabile ed efficiente“. Inoltre, per l’esperto è fondamentale “sensibilizzare e diffondere le buone pratiche che sono già patrimonio delle aziende italiane e introdurre le misure previste dalla proposta di regolamento sulle emissioni di metano di origine energetica”. Senza dimenticare “l’integrazione delle misure per il settore agricolo con interventi mirati alla diffusione dell’agricoltura biologica e di altri sistemi a basso input che enfatizzano l’uso circolare dei nutrienti e interventi di riduzione della domanda di prodotti ad alta intensità di emissione (in particolare quelli legati all’allevamento bovino), attraverso il cambiamento delle diete umane, alimentazioni alternative per il bestiame e la riduzione degli sprechi alimentari“.

(Photo credits: TED ALJIBE / AFP)

Giornata mondiale dello squalo, nel Mediterraneo il 50% delle specie è a rischio

Dalla salute degli squali – in molti casi predatori all’apice della catena alimentare – dipende il benessere degli ecosistemi marini, ma più del 50% delle loro specie nel Mediterraneo è minacciato di estinzione. L’allarme lo lancia il Wwf nella giornata mondiale dedicata agli squali, diffondendo i dati dei progetti SafeSharks e Medbycatch.

Il report è pubblicato nell’ambito della campagna #GenerAzioneMare, che raccoglie anche raccomandazioni per istituzioni e consumatori sull’importanza di salvaguardare squali e razze per la tutela del Mediterraneo.

Nel mondo, la percentuale di squali e razze a rischio è del 37,5%, dato che schizza oltre al 50% se riferito alle specie del Mediterraneo, con gravi conseguenze su tutto l’ecosistema marino. Questa situazione è provocata dalla pesca eccessiva, sia diretta (tra cui anche molta pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, per finalità sia alimentari che cosmetiche), sia indiretta a causa delle catture accidentali (bycatch) per cui queste specie finiscono vittime involontarie delle attività di pesca.

squalo

SafeSharks e Medbycatch sono due progetti internazionali, portati avanti in Italia insieme a Coispa Tecnologia & Ricerca, nati per migliorare le conoscenze sui tassi di cattura accidentale di specie vulnerabili in Mediterraneo e ingaggiare pescatori e autorità per garantire buone pratiche di gestione e mitigazione delle catture accidentali. I due progetti hanno coinvolto i pescatori di Monopoli, che praticano la pesca con palangaro (lunga lenza di grosso diametro con inseriti a intervalli regolari spezzoni di lenza più sottile portanti ognuno un amo) al pesce spada nell’Adriatico meridionale, rendendoli attori fondamentali nelle fasi di ricerca e raccolta dei dati. La raccolta dati ha rivelato che le verdesche (Prionace glauca) rappresentano, in media, il 15% del pesce sbarcato: ogni sette pesci spada – in media- viene sbarcata una verdesca.

Ma ridurre un tale impatto è possibile. All’interno del progetto infatti, il monitoraggio mediante tag satellitari, applicati sulle verdesche accidentalmente pescate e poi successivamente liberate con il supporto dei pescatori, ha permesso di verificare che il 90% delle verdesche rilasciate sopravvive. Il rilascio in mare può quindi essere una valida misura gestionale per migliore lo stato delle popolazioni di verdesca. L’utilizzo degli ami circolari, testati al posto dei tradizionali ami a forma di J, sembra inoltre influire sulle condizioni degli animali alla cattura e potrebbe contribuire a migliorare la probabilità di sopravvivenza nel caso siano liberati. Grazie ai dati raccolti dai tag è anche emerso che le verdesche durante il giorno preferiscono nuotare in acque anche molto profonde fino oltre i 600 metri, mentre durante la notte cacciano in superficie, anche a pelo d’acqua.

Queste informazioni sono state la chiave per ideare una strategia di mitigazione basata sull’inversione notte-giorno delle operazioni di pesca. Importantissimo risultato del progetto, è stato infatti verificare che per le giornate di pesca in cui l’inversione delle attività di pesca è stata messa in atto, il bycatch di verdesche è stato ridotto a 0. Sebbene siano necessari ulteriori test per valutare i risultati di questa strategia in altre stagioni e gli effetti sulla cattura di pesce spada (i primi dati indicano una riduzione di cattura di circa il 30%), questo è un primo passo importante verso l’identificazione di misure gestionali adeguate.

I progetti SafeSharks e Medbycatch ci hanno permesso di dimostrare che il tasso di cattura accidentale di verdesche in alcune attività di pesca è considerevole e non può essere ignorato, e che misure gestionali efficaci possono essere identificate insieme a ricercatori e pescatori. L’Italia deve implementare quanto prima un monitoraggio adeguato su scala nazionale insieme a concrete misure di mitigazione delle catture accidentali di elasmobranchi, come richiesto dalla Raccomandazione della Commissione Generale per la Pesca in Mediterraneo e Mar Nero del 2021 (GFCM 44/2021/16). Deve anche dotarsi quanto prima di un Piano d’Azione Nazionale sugli Elasmobranchi secondo le linee guida FAO e UE” afferma Giulia Prato, Responsabile Mare del WWF Italia. Per proteggere queste specie nel Mediterraneo e nel mondo, secondo il WWF, è anche necessario poi cambiare le proprie abitudini di consumo, evitandone l’acquisto.

(Photo credits: Joost Van Uffelen | Wwf)

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Gli italiani dicono ‘no’ a gas fossile e nucleare ‘verdi’

Gas fossile e energia nucleare sono ‘verdi’? Per la maggioranza dei cittadini italiani no. Un nuovo sondaggio del Wwf mostra che solo il 29% della popolazione pensa che l’Unione Europea dovrebbe classificare l’energia nucleare come sostenibile dal punto di vista ambientale. Per quanto riguarda il gas fossile, solo il 35% ritiene che l’Ue dovrebbe assegnare a questa fonte energetica un’etichetta verde. Plebiscitario invece il sì all’energia solare (92%) e a quella eolica (88%). In particolare, in Italia, solo il 26% degli intervistati ritiene che l’energia nucleare dovrebbe essere classificata come energia ambientalmente sostenibile, mentre il 96% dei cittadini è d’accordo che l’etichetta verde sia assegnata all’energia solare e il 91% pensa altrettanto per l’eolico. Solo il 38% degli intervistati pensa che l’Unione Europea dovrebbe ritenere il gas fossile una fonte sostenibile.

Non c’è assolutamente alcun consenso pubblico per il piano della Commissione di considerare come ’sostenibili’ il gas fossile e gli impianti nucleari. Ciò che i cittadini considerano ‘verdi’ sono l’energia solare ed eolica, non i combustibili sporchi e obsoleti”, ha dichiarato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del WWF Italia, lanciando un appello agli eurodeputati, ovvero quello di ascoltare il loro elettorato e di bloccare questa proposta. L’Ue sta per approvare, infatti, l’elenco di fonti di energia ‘verdi’ come parte della sua nuova guida agli investimenti, la Tassonomia Ue. Di conseguenza, c’è il forte rischio che miliardi di euro siano dirottati dall’eolico, dal solare e da altre tecnologie verdi verso il gas fossile e l’energia nucleare, di fatto rallentando ancora la transizione e con essa la sicurezza e l’indipendenza energetica. Se gli eurodeputati non respingeranno l’Atto sulla tassonomia verde, questa diventerà legge dell’Ue.

bormio

Giochi 2026, le (tante) perplessità del fronte ambientalista

I Giochi olimpici più sostenibili di sempre? Non proprio, secondo le tante obiezioni che si sono levate dal mondo ambientalista negli ultimi tempi riguardo la realizzazione delle opere necessarie per Milano Cortina 2026. Perplessità che a metà aprile sono state messe nero su bianco dai presidenti nazionali di otto associazioni (Cai, Federazione Nazionale Pro Natura, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness Italia, Touring Club Italiano, Wwf) che in una dichiarazione congiunta hanno espresso “la loro forte preoccupazione per il grave impatto ambientale che rischia di essere provocato dalle opere previste per le Olimpiadi invernali Milano-Cortina del 2026“. Le associazioni, scrivono, “non possono che denunciare il fatto che non sia stata avviata una VAS (Valutazione Ambientale Strategica, nda) nazionale e che manchi un percorso pubblico sulla questione Olimpiadi“. E sottolineano: “La percezione è che, ad oggi, si punti al commissariamento straordinario degli interventi per recuperare l’evidente ritardo sulla tabella di marcia dei lavori, tutto ciò a scapito degli impatti ambientali che le opere in corso e in progetto avranno sui territori“. Insomma, la galassia ambientalista pretende maggior trasparenza dalle istituzioni per evitare che il grande evento si trasformi in un’occasione sprecata, se non dannosa, per la montagna.

L’attenzione è rivolta in particolare al cluster di Cortina, la “perla delle Dolomiti” situata al centro di un territorio dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Non è un caso che il Cai abbia deciso di tenere il 10 luglio proprio a Cortina il suo Consiglio centrale. “È un modo per testimoniare in maniera concreta il nostro impegno per la tutela dell’ambiente montano – ha spiegato il nuovo presidente Antonio Montani in questo particolare caso legato alle prossime Olimpiadi invernali, e per uno sviluppo che sia davvero attento alla sostenibilità“.

Grosse critiche riguardano l’impianto per il bob che prenderà il posto della storica pista Eugenio Monti, oggi inservibile e destinata a essere smantellata e ricostruita da zero. Il costo stimato dei lavori dovrebbe essere di 61 milioni di euro per quello che “diventerà un punto di riferimento per gli sport invernali”, ha assicurato il presidente del Veneto Luca Zaia. Italia Nostra, Mountain Wilderness e i Comitati ambientalisti del Cadore la pensano in modo diametralmente opposto e parlano del rischio di costruire una “cattedrale del deserto” dai costi futuri insostenibili, simile alla pista di Cesana per Torino 2006: costata 110 milioni di euro, è stata completamente abbandonata al proprio destino a causa dei costi di gestione troppo elevati. A tal proposito, qualche settimana fa la consigliera regionale di Europa Verde, Cristina Guarda, ha evidenziato come, nel carteggio tra Cio e Regione Veneto, il Comitato Olimpico Internazionale avesse da subito espresso l’opportunità di non costruire un nuovo impianto e di puntare su strutture già esistenti, raccomandazione questa contenuta anche nell’Olympic Agenda 2020, documento che fissa le linee guida per le candidature a cinque cerchi. La soluzione? Far disputare le gare di bob, slittino e skeleton a Innsbruck, in Austria, dove esiste una pista con costi nettamente inferiori per l’adeguamento ai parametri olimpici. Altre perplessità riguardano il progetto del Villaggio olimpico (realizzazione temporanea da rimuovere dopo i Giochi) in località Fiames, a nord di Cortina. “L’area fra un corso d’acqua a rischio idraulico e un pendio con rischio geologico in località Fiames, non risponde ai criteri di sicurezza e tradisce la natura speculativa del progetto“, hanno scritto i rappresentanti di Italia Nostra, Peraltrestrade Dolomiti, Comitato Civico Cortina e Gruppo Parco del Cadore in una lettera rivolta al numero uno del Cio, Thomas Bach. Infine, tra i tanti nodi che rischiano di venire al pettine, ci sono i cantieri per l’adeguamento della statale 51 Alemagna, principale porta d’accesso a Cortina attualmente insufficiente a reggere i volumi di traffico previsti per i Giochi. Da più parti si sollevano allarmi per i ritardi nei due interventi principali, le varianti di Longarone e Cortina.

Perplessità simili investono anche un altro cluster olimpico montano, quello della Lombardia dove Bormio sarà teatro delle gare di sci alpino maschile e sci alpinismo e Livigno di quelle di snowboard e freestyle. Qui gli impianti sono già esistenti, ma poche settimane fa l’Aci di Sondrio ha diffuso un dossier sulle opere di viabilità in programma in Valtellina che lascia poco spazio all’ottimismo. Secondo il documento, solo il 50% dei lavori ferroviari e il 25% di quelli stradali saranno portati a compimento prima dell’inizio delle Olimpiadi. Tra gli interventi stradali che rischiano di non essere completati in tempo utile ci sono la tangenziale sud di Sondrio e la “tangenzialina” di Bormio. L’Aci di Sondrio poi sottolinea come non sia stato previsto un sistema di interscambio ferro-gomma per raggiungere Bormio e Livigno senza dover ricorrere all’utilizzo dell’auto.

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Giornata tartarughe marine, Wwf: “Minacciate da plastica e pesca”

Oggi si celebra la Giornata mondiale delle tartarughe marine, animali che nidificano nelle coste italiane e vivono nei nostri mari. Il Wwf, per questa occasione, ha pubblicato il nuovo report ‘Italia, penisola delle tartarughe’, che racconta vita e minacce di questa specie, ma anche tutti i progetti che l’organizzazione porta avanti e i risultati ottenuti per la loro tutela.

Il Mediterraneo, che ospita tre specie di tartaruga marina: la tartaruga comune (Caretta caretta), la tartaruga verde (Chelonia mydas) e, sebbene più rara, la tartaruga liuto (Dermochelys coriacea), è zona chiave per questi rettili e hotspot di biodiversità, ma anche di minacce antropiche. Infatti, il mare si sta scaldando sempre più velocemente ed è invaso dai rifiuti: ogni anno, 570 mila tonnellate di plastica finiscono in mare. Un altro pericolo è rappresentato dalla pesca. Sono oltre 150.000, le tartarughe che ogni anno vengono catturate accidentalmente da ami, lenze e reti e oltre 40.000 muoiono. Solo in Italia, ogni anno ne vengono catturate 25.000 da reti a strascico.

Il Wwf Italia si occupa della conservazione delle tartarughe marine da oltre 25 anni, lo fa attraverso un’ampia attività di ricerca, monitoraggio, tutela dei nidi, recupero e riabilitazione di tartarughe grazie a specifici progetti approvati ed autorizzati dal Ministero dell’Ambiente, oggi Mite (Ministero della Transizione Ecologica).

Le attività di monitoraggio sono cresciute negli ultimi anni grazie anche al progetto Life Euroturtles e, ogni estate, coinvolgono centinaia di volontari che, affiancati da operatori esperti, hanno non solo collaborato nella ricerca delle tracce lasciate sulle spiagge dalle tartarughe marine, ma anche nella successiva tutela dei nidi. Queste operazioni hanno coinvolto più di 100 volontari che ogni anno percorrono a piedi circa 5.000 km di spiagge. I risultati raggiunti grazie a questi sforzi di monitoraggio sono stati notevoli. Si pensi che in tutt’Italia, solo nel 2020, gli operatori e volontari del Wwf Italia sono intervenuti su 108 nidi da cui sono emersi più di 5.000 piccoli che hanno raggiunto il mare. La maggior parte dei nidi sono stati identificati in Sicilia, ben 81, seguita dalla Calabria con 26 e dalla Basilicata con 1 nido. Il risultato è da considerarsi particolarmente significativo se si pensa che nel 2019 i nidi ritrovati erano stati 46, 26 nel 2018.

L’organizzazione di protezione ambientale, nel corso degli anni, ha organizzato anche numerosi eventi di sensibilizzazione, liberazioni di tartarughe e incontri di educazione ambientale che hanno coinvolto centinaia di appassionati e curiosi, creando molteplici opportunità di dialogo sulla conservazione della Caretta caretta.

(Photo credits: © Michel Gunther_WWF)

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No a gas e nucleare in tassonomia, Wwf: “Priorità alle rinnovabili”

‘No’ all’inclusione del gas e del nucleare tra le attività economiche sostenibili con cui finanziare il Green Deal europeo. Le commissioni riunite degli Affari economici (Econ) e dell’Ambiente (Envi) del Parlamento europeo hanno approvato un’obiezione sull’atto delegato con cui la Commissione europea vuole considerare gas e nucleare tra gli investimenti sostenibili dal punto di vista climatico. Se l’obiezione sarà approvata anche dalla maggioranza assoluta dei deputati in seduta plenaria a luglio, la Commissione Ue sarà costretta a rivedere la sua idea di tassonomia.

La tassonomia ‘verde’ è il sistema europeo di classificazione degli investimenti economici sostenibili con cui Bruxelles vuole fissare criteri comuni per assicurarsi che grandi somme di capitale (soprattutto privato) vadano nella direzione del Green Deal e della transizione. I deputati “riconoscono il ruolo del gas nucleare e fossile nel garantire un approvvigionamento energetico stabile durante la transizione verso un’economia sostenibile”, ma “ritengono che gli standard di screening tecnico proposti dalla Commissione non rispettino i criteri per le attività economiche ecosostenibili”, si legge in una nota dell’Eurocamera pubblicata dopo il voto.

Nel congratularsi con gli eurodeputati per aver scelto la strada giusta per proteggere la credibilità della tassonomia dell’Ue Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del Wwf Italia, ha ribadito che “non c’è nulla di sostenibile nei combustibili fossili e nelle scorie nucleari”. Per questo, ha proseguito, “etichettarli come ecologici nella tassonomia europea potrebbe sottrarre miliardi di euro di investimenti alle energie rinnovabili e alle tecnologie verdi”.

Inoltre, il gas è ormai diventato una fonte di insicurezza energetica e di rischio geopolitico in Europa. “L’energia nucleare è costosa, lenta da costruire e crea scorie altamente radioattive che ancora non sappiamo come gestire”, ha avvertito Midulla. Ora come ora le rinnovabili sono la nostra energia di ‘libertà’ e quindi la chiave per la sicurezza energetica. L’etichettatura del gas come investimento sostenibile porterebbe l’Europa a utilizzarne ancora di più. Il che, ha spiegato, “significa continuare la dipendenza e bollette più elevate per i cittadini europei“.

Anche Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, ha voluto dire la sua in merito alla bocciatura da parte delle commissioni sul nucleare e il gas nella tassonomia verde: “Si tratta di un primo importante risultato – ha dichiarato – che apre la strada alla bocciatura della proposta di considerare gas fossile e nucleare come fonti energetiche sostenibili, in base al regolamento sulla tassonomia che classifica gli investimenti verdi. Una decisione importante che può scongiurare, rigettando la proposta della Commissione, un duro colpo al Green Deal Europeo e a un’ambiziosa politica in grado di fronteggiare l’emergenza climatica”.

L’Europarlamento – ha concluso Mauro Albrizio, responsabile dell’ufficio europeo Legambiente – ora può e deve rigettare la proposta della Commissione ed evitare così che centinaia di miliardi di euro, anziché essere investiti in rinnovabili ed efficienza energetica, vadano sprecati con il nucleare e il gas fossile aggravando la duplice crisi climatica ed energetica”.

Energia, scintille tra ambientalisti e Cingolani sulle rinnovabili

L’ambiente è come sempre il terreno di scontro tra associazioni e istituzioni. Anche questa fase storica dell’Italia non fa eccezione. Ad accendere la miccia, stavolta, sono le rinnovabili: l’Italia è impegnata nella strategia di diversificazione del proprio mix energetico, abbandonando per sempre il gas russo per sostituirlo con nuovi accordi sottoscritti con diversi Paesi fornitori dell’Africa, ma nel piano c’è anche l’accelerazione verso le energie alternative. Solo che su tempi e modalità si innesca il corto circuito tra il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, e i rappresentanti delle associazioni che si occupano di tutela ambientale. Il campo da gioco lo offre ‘Repubblica‘, con il palco del Festival ‘Green & Blue‘, che ospita in rapida sequenza prima il responsabile del Mite, poi Legambiente, Greenpeace, Wwf, Asvis, Kyoto Club, Italia Nostra, LifeGate, e Fondazione sviluppo sostenibile.

L’atmosfera si scalda praticamente subito, quando Cingolani, stimolato dal direttore di ‘Repubblica‘, Maurizio Molinari, offre una risposta ai cosiddetti ‘rinnovabilisti‘. Per il ministro “non sono un ostacolo”, ma “ci sono alcuni gruppi che prendono delle posizioni tecnicamente indifendibili”. Ad esempio, Cingolani cita l’ipotesi più recente “secondo la quale in 3 anni si potrebbero installare 60 gigawatt di potenza rinnovabile, prevalentemente solare ed eolico, peraltro, perché su altre forme gli stessi ‘rinnovabilisti’ dicono che ci vuole tempo”. L’esperto si ‘limita ad osservare’ che è possibile accelerare, “addirittura si voleva un commissario con pieni poteri che saltasse tutte le regole organizzative”, ma “la realtà è che non basta mettere un impianto”, soprattutto perché esistono delle aree del Paese dove c’è vento e sole e “lì si concentrano tutte le proposte di impianti”. Il problema è che “se ci sono, mettiamo caso, 10 proposte di impianti, se ne può accettare uno, poi lo spazio sarebbe occupato”, dunque non le altre nove no. Ecco perché, ragiona Cingolani, “è inutile fare la somma di tutte le proposte che ci sono in giro, bisogna anche essere realisti nei calcoli che si fanno”.

Questa non è l’unica ragione portata nella discussione dal responsabile del Mite. Che ricorda: “Solare ed eolico producono energia dalle 1.500 alle 2mila ore l’anno, e l’anno ne ha 8.600 in totale”. Quindi se viene prodotta energia per 2mila ore “non è detto che qualcuno la chieda, allora andrebbe accumulata, dunque avremmo bisogno di batterie”. Ergo, daresufficiente accumulo per gestire 60 gigawatt, che sono 80 di terawattora, richiede miliardi di euro per l’infrastruttura“. Ecco perché – questa è la stoccata del ministro – “non si può raccontare che si fa in tre anni, non è vero”.

La risposta degli ambientalisti non si fa attendere. “Cingolani non ha detto nulla di nuovo – rintuzza Stefano Ciafani (Legambiente) -. Dobbiamo fare la transizione ecologica bene e velocemente, ma il governo procede con velocità in tema di gas e rigassificatori, un po’ più lentamente sul fronte delle semplificazioni per le rinnovabili”. A rincarare la dose ci pensa Giuseppe Onufrio di Greenpeace: “La proposta di accelerare in 3 anni anziché 10 sulle rinnovabili viene dagli industriali. Inaccettabile che ci tacci di essere una di lobby rinnovabilisti. Cingolani è il ministro della ‘finzione ecologica’. Trovo assurdo quello che ha detto, su questo tema servirebbe un dibattito politico”. Si accoda al coro anche Pierluigi Stefanini (Asvis), che si dice “urtato da certe affermazioni del ministro. Lui è in grado di gestire la complessità: certo che ci sono difficoltà tecnologiche, ma ci sono anche le soluzioni. Ad esempio per un impianto a biometano servono sei anni per le autorizzazioni, si potrebbe partire dallo sveltire le pratiche”.

Non abbassa i toni nemmeno l’ex ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, responsabile della Fondazione sviluppo sostenibile: “Sulla sostenibilità e la Transizione ecologica scontiamo ritardi evidenti”. Ma soprattutto “in questo campo conta molto la visione”. Ronchi porta come esempio il ministro tedesco dello Sviluppo economico, Robert Habeck, secondo cui “nelle regioni avanzate del mondo la politica della transizione ecologica sarà quella che regolerà la competitività del futuro e noi vogliamo essere i più competitivi”. Quindi “le politiche climatiche avanzate guidano il futuro”, mentre “al ministro Cingolani e al governo italiano manca una visione del Green deal”.

Lo scontro non è di certo un ‘inedito’, ma nella situazione che vive in questi mesi l’Italia si avverte la necessità di trovare un punto di contatto con tutti gli attori della filiera ambientale. Per accorciare le distanze ci sarà tempo, forse. Nel frattempo la crepa c’è, ma le emergenze impongono di evitare il ‘ring’. Per il confronto ci sarà modo e luogo, una volta che l’Italia sarà avviata verso la sicurezza energetica.