Meloni: “Sfida del clima non gravi sulla nostra economia, l’aumento dei tassi ricetta semplicistica”

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha parlato alla Camera in vista del Consiglio europeo di domani e venerdì, trattando tutti i temi più caldi di questo periodo, dalla guerra Ucraina-Russia al Mes, dal Piano Mattei per l’Africa alla transizione ecologica, dalla decisione della Bce di alzare ulteriormente i tassi alla dipendenza dalla Cina. Quasi 40 minuti di intervento per dettare la linea del governo italiano a Bruxelles.

LA MIA AFRICA – Meloni ha detto che “molti stati europei hanno dimostrato interesse e apprezzamento per il Piano Mattei per l’Africa”. Che non è solo una strategia energetica: “Si fa strada l’approccio che mira a superare la contrapposizione tra movimenti primari e secondari – ha precisato -. Se non si affronta a monte l’immigrazione illegale, è impossibile stabilire una politica di asilo giusta ed efficace. Una società come la nostra non può lasciare agli schiavisti dei nostri giorni il potere di decidere chi entra e chi esce dall’Europa. Un approccio che colpisce i più deboli e i più fragili. Questo cambio di passo significa mantenere alta l’attenzione ai Paesi della sponda Sud del Mediterraneo e dell’Africa, coniugando lotta ai trafficanti con politiche di sviluppo”. E ancora: “L’Italia ha presentato un documento di posizione per il rilancio del partenariato su energia, migrazione e transizione verde con il Vicinato Sud, auspichiamo che si possa tenere un vertice con i leader dei paesi interessanti sotto la presidenza spagnola”. Sulla Tunisia ha aggiunto: “Mi sono personalmente impegnata con le recenti missioni per mantenere alta l’attenzione sulla stabilità, fondamentale per la sicurezza del Mediterraneo e dell’Unione europea”.

SICUREZZA NUCLEARE – L’Ucraina continuerà ad avere il massimo sostegno da parte dell’Italia ma “dopo l’atto criminale dell’esplosione della diga di Nova Kachovka, temiamo che anche per la centrale di Zaporizhzhia possa essere usata come strumento di guerra”, è l’allarme lanciato dalla premier, precisando che il governo “sostiene pienamente gli sforzi del direttore generale dell’Aiea Rafael Grossi per garantire la sicurezza nucleare“. L’Italia, assicura Meloni, sarà “protagonista” nella ricostruzione dell’Ucraina devastata dal conflitto con la Russia.

FONDO SOVRANO E TRANSIZIONE VERDE – “Lo Step è uno strumento che è anche un primo passo per un Fondo europeo di Sovranità, fondamentale per affrontare con risorse adeguate sfide come le transizioni verde e digitale, la difesa, la salute. Sfide che ci impegneranno nei prossimi decenni”, ha evidenziato la presidente del Consiglio. La lotta al cambiamento climatico è prioritaria, però “non possiamo affrontare questa sfida gravando solo ed esclusivamente sulle nostre economia, la Cina deve essere coinvolta”, ha detto Meloni. Che proprio sulla Cina ha voluto precisare che “il disaccoppiamento tra l’economia europea e quella cinese se da un lato non è percorribile, dall’altro è necessario ridurre il rischio, sostenere con forza la competitività del nostro sistema produttivo per non cadere in deleteri legami di dipendenza”. E’ ineludibile il fatto che “la Cina è un interlocutore imprescindibile, ma il nostro rapporto vuole essere equilibrato”.

ATTACCO ALLA BCE – “L’inflazione è tornata a colpire l’economia, è un’odiosa tassa occulta che colpisce soprattutto i meno abbienti. È giusto combatterla con decisione ma la semplicistica ricetta dell’aumento dei tassi intrapresa dalla Bce non appare agli occhi di molti la strada più corretta”, ha picchiato duro Meloni. “L’aumento dei prezzi non è figlio di un’economia che cresce troppo velocemente, è figlio di fattori endogeni. Primo tra tutti la crisi energetica. Non si può non considerare il rischio che l’aumento costante dei tassi sia una cura più dannosa della malattia”, ha concluso.

Meloni: “Piano Mattei soluzione al grande problema d’Europa, l’energia”

La guerra in Ucraina ha cambiato la geopolitica energetica. L’approvvigionamento è diventato “il grande problema dell’Europa” che “non può guardare più a Est, ma deve guardare a Sud” del Mediterraneo. Nel ‘Forum in masseria’, organizzato ogni anno da Bruno Vespa, Giorgia Meloni torna a ripetere quanto fondamentale sia, non solo per l’Italia, ma per l’intero continente il suo Piano Mattei.

Un progetto che, a suo avviso, porterà non pochi benefici anche in Africa dove, scandisce, “sanno benissimo cosa significa”. Il tema si incrocia con una nuova, incombente, emergenza migratoria, di cui la premier ha discusso ieri con il cancelliere tedesco Olaf Scholz: “Chi è intellettualmente onesto non può notare che dalle sue parole, a margine dell’incontro di ieri, in Europa c’è un cambio di schema”, che c’è la necessità di “occuparci della dimensione esterna, mentre fino a ieri il dibattito era come gestiamo i movimenti secondari”.

La questione, insiste, “non si può risolvere se non si capisce che la frontiera d’Europa è una, che l’immigrazione illegale si deve fermare prima che arrivi in Europa e non si può prescindere da accordi con i Paesi di partenza e transito, è il lavoro che stiamo facendo con quei Paesi soprattutto del Nord Africa”, con il Piano Mattei: “Stiamo mettendo in campo un progetto di cooperazione non predatoria, da pari, come faceva Enrico Mattei e i Paesi africani“.

Domenica la presidente del Consiglio tornerà in Tunisia con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e il primo ministro olandese, Mark Rutte. L’obiettivo è spingere per trovare l’accordo sugli aiuti del Fondo monetario internazionale al Paese, bloccati per le mancate riforme: “Ci sto lavorando quasi quotidianamente e se domenica ci recheremo lì è grazie a lavoro, molto prezioso, fatto dall’Italia“, rivendica. “Insieme a quella missione, si sta per concretizzare un primo pacchetto aiuti della Commissione Ue, propedeutico all’accordo con il Fmi – aggiunge -. Accordo sul quale continuo a chiedere un approccio pragmatico e non ideologico, sia alla Tunisia che al Fondo monetario internazionale“.

Rischio estinzione elefanti in Africa: persi 9 esemplari su 10

Nell’ultimo secolo il numero di elefanti in Africa è drasticamente crollato, passando dai 12 milioni stimati circa un secolo fa ai 415.000 riportati nell’ultimo censimento. L’allarme lo lancia il Wwf.

Oggi, nel continente, esistono due specie distinte: l’elefante di savana (Loxodonta africana) è classificato come “in pericolo” e l’elefante di foresta (Loxodonta cyclotis) risulta invece inserito tra le specie in “pericolo critico”, ovvero con elevato rischio di estinzione a breve termine. Il bracconaggio resta la causa principale del declino di entrambe le specie.

Si stima che ogni anno vengano uccisi circa 20mila elefanti per il commercio illegale di avorio. A questo si aggiungono le uccisioni generate dai conflitti tra gli elefanti e le comunità locali, purtroppo in crescita a causa della deforestazione (trasformazione di aree di foresta e savana in coltivazioni), carenza di cibo o di acqua.

In Kenya, proprio a causa del conflitto con le attività umane, ogni anno le autorità preposte alla tutela della fauna selvatica sparano a 50-120 elefanti problematici, mentre tra il 2010 e il 2017 circa 200 persone sono morte in conflitti uomo-elefante.

In 100 anni abbiamo già perso oltre il 95% degli elefanti africani, per questo il WWF lancia la campagna “SOS Elefante”, una raccolta fondi con sms o chiamata dall’1 al 21 maggio per la realizzazione del progetto “Una foresta per gli elefanti”.

Gli elefanti hanno un ruolo cruciale nell’ecologia delle savane e delle foreste. In alcune foreste tropicali è possibile incontrare specie di alberi che riescono a riprodursi efficacemente soltanto se i semi sono stati digeriti dallo stomaco di un elefante: i succhi gastrici svolgono un’importante funzione di attivazione della germinazione. Questi grandi pachidermi sono anche dei veri e propri “ingegneri” del loro habitat: aprono radure, camminamenti, determinano la distribuzione degli alberi e della vegetazione in generale, e creano habitat utili ad altre specie animali.

Il Progetto WWF Una foresta per gli elefanti si realizzerà nel territorio del Tridom (Gabon, Camerun, Repubblica del Congo), al cui interno si sviluppa il selvaggio e ricchissimo parco di Ntokou Pikounda, l’ultimo vero avamposto per la conservazione degli elefanti di foresta. Dal 2018 il parco è a tutti gli effetti un’area protetta gestita in collaborazione con il WWF.

Il progetto comprende azioni di studio e monitoraggio tramite foto trappole, analisi genetiche e tagging, rafforzamento del sistema antibracconaggio – vera e propria piaga in quest’area (circa 1.000 elefanti uccisi ogni anno) – aumentando le risorse disponibili per gli uffici che lavorano sul campo, le tecnologie avanzate e la formazione delle guardie. L’impegno prevede inoltre un’intensa attività finalizzata a migliorare la convivenza tra elefanti con le comunità locali, prevenendo i conflitti attraverso un nuovo approccio, denominato SAFE, che punta al raggiungimento di 5 obiettivi misurabili: sicurezza per le persone; sicurezza per la fauna selvatica; protezione dei beni; protezione dell’habitat; monitoraggio efficace. Infine, contribuire alla gestione del Parco Nazionale di Ntokou Pikoumba.

Biocarburanti, Descalzi: “Una menzogna dire che affamiamo l’Africa”

Sovranità energetica e autonomia passano da tre macrofattori: diversificazione delle fonti di approvvigionamento, infrastrutture e mix di gas e tecnologie di proprietà. La ricetta è firmata dall’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, da un anno è impegnato anche nel difficile compito di aiutare l’Italia e il governo a liberarsi dalle forniture russe (Mosca “non sta dando più nulla all’Italia e molto poco all’Europa, siamo al 5-6% rispetto alla domanda“) creando una indipendenza per il nostro Paese. Il manager ne ha parlato alla cena sociale dell’Unione cristiana imprenditori e dirigenti del Lazio per l’apertura dell’anno sociale 2023, che si è svolta la sera del 28 marzo, a Roma (qui nella foto di GEA accanto al presidente dell’Ucid regionale, Riccardo Pedrizzi).

Un ragionamento molto articolato, che parte dallo scenario in cui si trovano l’Europa e, di conseguenza, l’Italia: “Siamo un grande complesso di trasformazione industriale” ma senza “energia propria, quindi siamo in una grande macchina che però non ha energia. Come se avessimo comprato una Ferrari ma non abbiamo la benzina. Questa è la situazione”, spiega. Dunque, “quando si parla di sovranità o autonomia, vuol dire riuscire ad avere l’energia necessaria per far muovere la propria macchina, le proprie imprese”.

Per ovviare al problema, però, Descalzi richiama tutti alla realtà del momento: “Prima di tutto bisogna mettere i piedi per terra: il gas non può scomparire domani”. Anche perché, spiega, “da vent’anni le previsioni dicono che il gas in Europa sarà sempre meno presente: nel 2000 ne consumavamo 400 miliardi di metri cubi, nel 2022 abbiamo consumato 400 miliardi di metri cubi. Le stesse quantità. Nel mondo, nel 2000 si consumavano 2mila miliardi di metri cubi, oggi se ne consumano più di 4mila miliardi. Il gas, quindi, sta crescendo”.

In chiave futura, però, servono idrogeno verde e soprattutto rinnovabili, “che sono una parte fondamentale ma hanno avuto una penetrazione debole“. Dunque, serve “continuità“. Fino a quando tutto questo non sarà una realtà consolidata, però, serve il gas. Che “prima ci arrivava via tubo, via pipeline, mentre ora deve arrivare con i rigassificatori”, quindi, “oltre alla diversificazione” delle fonti di approvvigionamento “sono necessarie anche le infrastrutture”.

Fondamentale per la sovranità energetica, avvisa Descalzi, è che “il gas non deve essere di un terzo” come è accaduto con la Russia. “Dobbiamo importare gas nostro, per cui abbiamo investito e sviluppato, che nessuno può portarci via” perché questo “ci può dare continuità. E così stiamo facendo con il gas che Eni ha scoperto, trovato e che mette a disposizione”.

C’è anche il capitolo biocombustibili nel ragionamento del ceo del Cane a sei zampe. Vede il bicchiere mezzo pieno sulla battaglia del governo in Europa “vinta in parte”, ma è soprattutto sulle polemiche legate alla produzione che sente il bisogno di togliersi il sassolino dalle scarpe. “Ho sentito in televisione qualcuno che raccontava che noi di Eni stiamo affamando l’Africa perché produciamo olio vegetale. Possiamo dire che questa è una menzogna”, tuona. “Gli arbusti oleosi che coltiviamo in Africa sono in zone desertiche, quindi quasi senza acqua – spiega -. In 7 Stati africani produrremo circa 700-800mila tonnellate all’anno” creando “un totale di 2 milioni di posti di lavoro. Agricoltori. Formati, con Coldiretti, in Italia e in Ruanda”.

Infine, Descalzi parla anche dell’Europa agli imprenditori cristiani del Lazio. “Ci pone degli obiettivi sacrosanti, ma i percorsi e le tecnologie per raggiungerli dobbiamo lasciarli ai singoli Paesi, perché ognuno ha un proprio sistema e una propria storia: la Francia ha il nucleare, noi il gas, le rinnovabili e anche tecnologie su economia circolare o biocarburanti, che sono di nostra proprietà”. A suo modo di vedere, infatti, “questi sono i concetti che ci portano ad avere un’autonomia e una sovranità nel campo energetico e dobbiamo difendere le nostre tecnologie e la libertà di poterle scegliere e sviluppare per le nostre industrie“.

Papa a vescovi congolesi: Siete come foreste, polmoni che danno respiro alla Chiesa

“È stato bello per me trascorrere questi giorni nella vostra terra, che con la sua grande foresta rappresenta il ‘cuore verde’ dell’Africa, un polmone per il mondo intero. L’importanza di questo patrimonio ecologico ci ricorda che siamo chiamati a custodire la bellezza del creato e a difenderla dalle ferite causate dall’egoismo rapace“. Lo ha detto Papa Francesco nel suo discorso durante l’incontro con i vescovi della Cenco (Conferenza Episcopale Nazionale del Congo), al termine del quale si recherà in Sud Sudan per proseguire il suo viaggio in Africa, che si chiuderà il 5 febbraio. “Ma questa immensa distesa verde che è la vostra foresta – ha aggiunto il pontefice – è anche un’immagine che parla alla nostra vita cristiana: come Chiesa abbiamo bisogno di respirare l’aria pura del Vangelo, di scacciare l’aria inquinata della mondanità, di custodire il cuore giovane della fede. Così immagino la Chiesa africana e così vedo questa Chiesa congolese: una Chiesa giovane, dinamica, gioiosa, animata dall’anelito missionario, dall’annuncio che Dio ci ama e che Gesù è il Signore”.

Di fronte ai vescovi, il Santo Padre, ha ricordato che la “vostra” Chiesa “è presente nella storia concreta di questo popolo, radicata in modo capillare nella realtà, protagonista di carità; una comunità capace di attrarre e contagiare con il suo entusiasmo e perciò, proprio come le vostre foreste, con tanto “ossigeno”: grazie, perché siete un polmone che dà respiro alla Chiesa universale“.

In questi quattro giorni nella Repubblica Democratica del Congo, il Papa ha ricordato più volte la piaga dello sfruttamento del continente africano. “Ampiamente depredato – aveva detto il 31 gennaio, all’arrivo a Kinshasa – non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono ‘straniero’ ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”.

E anche oggi ha parlato delle “tante forme di schiavitù e oppressione“, in un Paese in cui dunque, “sradicare le piante velenose dell’odio e dell’egoismo, del rancore e della violenza; demolire gli altari consacrati al denaro e alla corruzione; edificare una convivenza fondata sulla giustizia, sulla verità e sulla pace; e, infine, piantare semi di rinascita, perché il Congo di domani sia davvero quello che il Signore sogna: una terra benedetta e felice, mai più violentata, oppressa e insanguinata”. Ma, ha avvertito Francesco, “non si tratta di un’azione politica” perché “il compito dei vescovi e dei pastori non è questo”. Serve, invece, “annunciare la parola per risvegliare le coscienze, per denunciare il male, per rincuorare coloro che sono affranti e senza speranza”.

 

(Photo credit: Vatican News)

Papa: Giù le mani dall’Africa, non è miniera da saccheggiare

Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Nel primo giorno del suo viaggio che toccherà anche il Sud Sudan, Papa Francesco non poteva non denunciare il colonialismo economico che da secoli depreda il Continente.

Usa l’immagine del diamante, comunemente raro, ma che in Africa abbonda, dalle numerose facce “armonicamente disposte“, a simboleggiare il pluralismo, il carattere poliedrico, “ricchezza che va custodita, evitando di scivolare nel tribalismo e nella contrapposizione“; pietra che “nella sua trasparenza, rifrange in modo meraviglioso la luce che riceve“, che sorge dalla terra “genuina ma grezza, bisognosa di lavorazione“, che “dono della terra, richiama alla custodia del creato, alla protezione dell’ambiente“.

Il Continente africano, denuncia il Pontefice, soffre ancora di varie forme di sfruttamento. Dopo quello politico, quello economico, che è altrettanto schiavizzante. “Ampiamente depredato, non riesce a beneficiare a sufficienza delle sue immense risorse: si è giunti al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono ‘straniero’ ai suoi abitanti. Il veleno dell’avidità ha reso i suoi diamanti insanguinati. È un dramma davanti al quale il mondo economicamente più progredito chiude spesso gli occhi, le orecchie e la bocca”, le sue parole alle autorità nel giardino del Palais de la Nation a Kinshasa.

Eppure l’Africa, scandisce, merita spazio e attenzione: “Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L’Africa sia protagonista del suo destino!”, tuona Bergoglio.

La Repubblica Democratica del Congo, ricorda, ospita uno dei più grandi polmoni verdi del mondo, che va preservato. Francesco richiama il mondo alla collaborazione “ampia e proficua“, che permetta di intervenire efficacemente, senza però imporre modelli esterni “più utili a chi aiuta che a chi viene aiutato“: “Tanti hanno chiesto all’Africa impegno e hanno offerto aiuti per contrastare i cambiamenti climatici e il coronavirus. Sono certamente opportunità da cogliere – afferma -, però c’è soprattutto bisogno di modelli sanitari e sociali che rispondano non solo alle urgenze del momento, ma contribuiscano a una effettiva crescita sociale: di strutture solide e di personale onesto e competente, per superare i gravi problemi che bloccano sul nascere lo sviluppo, come la fame e la malaria”.

Accanto a lui, il presidente della Repubblica democratica del Congo, Felix Tshisekedi Tshilombo, denuncia le potenze straniere, “avide di minerali“, che agiscono nell’Est del Paese con “l’appoggio diretto e vigliacco del Rwanda” e nel “silenzio della comunità internazionale“.

 

Photo credit: Vatican Media

Papa

Il Papa vola in Congo e Sud Sudan: sullo sfondo lo spettro delle carestie e dell’ambiente

Papa Francesco mantiene la promessa e vola in Africa. Un viaggio che era previsto dal 2 al 7 luglio scorsi, poi saltato a causa del ginocchio, all’epoca ancora troppo dolorante. Il Pontefice, che si sposta ancora spesso in sedia a rotelle e ha compiuto 86 anni il 17 dicembre, fa tappa in Repubblica democratica del Congo e Sud Sudan da oggi al 5 febbraio.

Sullo sfondo, gli scontri armati, le violenze, gli sfruttamenti, ma anche il tema ambientale. Soprattutto in Repubblica democratica del Congo, Paese piegato da enormi problemi legati all’inquinamento e allo smaltimento della plastica. Sull’intero continente incombono poi la piaga della fame e lo spettro di nuove carestie, legate ai continui rinnovi dell’accordo con la Russia sulle esportazioni di cereali e fertilizzanti dai porti ucraini. Un tema che lo stesso Bergoglio ha tenuto a sottolineare nell’udienza annuale al corpo diplomatico. In quell’occasione, ha rinnovato l’appello per il cessate il fuoco di un conflitto “insensato, i cui effetti interessano intere regioni, anche fuori dall’Europa a causa delle ripercussioni che esso ha in campo energetico e nell’ambito della produzione alimentare, soprattutto in Africa ed in Medio Oriente”.

Francesco sarà a Kinshasa da oggi, 31 gennaio, al 3 febbraio, poi a Giuba dal 3 al 5 febbraio. Non sono pochi i rischi per la sicurezza. La tappa a Goma, capitale della provincia del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, preda di gruppi armati per più di 25 anni, viene eliminata.

Afflitto da un’instabilità cronica, anche il Sud Sudan presenta problemi di sicurezza, sprofondato in una sanguinosa guerra civile tra il 2013 e il 2018, che ha causato la morte di quasi 400mila persone. Nonostante un accordo di pace che prevede la condivisione del potere in un governo di unità nazionale, le faide tra i gruppi rivali continuano, seminando violenza. La Santa Sede ha giocato un ruolo di mediazione nei negoziati di pace: nel 2019, Francesco ha invitato Salva Kiir e Riek Machar in Vaticano, inginocchiandosi davanti a loro e implorandoli per la pace. Nel Sud Sudan il viaggio sarà fortemente ecumenico, perché con Francesco ci saranno anche l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, e il moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields.

Ci sono due aspetti che caratterizzano la visita, sottolinea il segretario di Stato, Pietro Parolin ai media vaticani: “Uno è pastorale, di vicinanza alle Chiese locali e a queste comunità che sono comunità vive, attive, l’altro è socio-politico, e da questo punto di vista ci si aspetta che la presenza del Santo Padre, la sua parola, la sua testimonianza, possa aiutare a promuovere la cessazione delle violenze in atto e rafforzare i processi di pace e di riconciliazione in corso”.

Dalla sua elezione nel 2013, Francesco è stato in Africa quattro volte, visitando Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, Egitto e Marocco. Il suo ultimo viaggio in Africa risale al 2019, in Mozambico, Madagascar e Mauritius.

Idris Elba a Davos per l’Africa e contro il cambiamento climatico

La prima volta che Idris Elba ha partecipato a un incontro del World Economic Forum di Davos è stato nel 2014, come DJ a un party con la star dell’R&B Mary J. Blige. “Nel mio pubblico c’erano persone molto interessanti, ma non era niente in confronto a oggi“, racconta a Afp l’attore britannico. Questa volta, però, Elba è tornato a Davos con la moglie, la modella Sabrina Dhowre Elba, con una missione ben diversa, che l’attore definisce “una grande responsabilità“: convincere gli imprenditori occidentali che si possono fare affari con i piccoli agricoltori locali in Africa.

Le persone stanno ascoltando, i governi si stanno impegnando, ma non abbastanza. Per questo siamo qui a bussare alle porte e a dire a quante più persone possibile che dobbiamo impegnarci due, tre, quattro, cinque volte di più, perché ce n’è bisogno“, spiega Sabrina Dhowre Elba. “Il cambiamento climatico è alle porte dell’Africa. Sta già accadendo. Le persone devono adattarsi per sopravvivere“, insiste. Gli Elba sono Ambasciatori di buona volontà delle Nazioni Unite dal 2020 e collaborano con il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo (Ifad) in azioni legate alla sicurezza alimentare e al cambiamento climatico.

Credo che la prossima sfida sia quella di coinvolgere il settore privato“, afferma Idris Elba. Il presidente della Ifad, Alvaro Lario, che accompagna la coppia nella località sciistica svizzera, insiste sull’importanza di coinvolgere le imprese occidentali “non solo come sostegno o aiuto“, ma con veri e propri investimenti. “In realtà, ci sono opportunità di fare affari” nell’agricoltura, nella silvicoltura e nella pesca, che secondo lui è il secondo settore più promettente dopo la tecnologia. “Questo è il tipo di conversazione che vogliamo avere”.

L’impegno delle due celebrità a è valso loro un Crystal Award da parte del World Economic Forum, e intendono proseguire attraverso la propria fondazione (Elba Hope Foundation) creata alla fine dello scorso anno e finalizzata a sostenere iniziative legate alle stesse tematiche, ma anche rivolte alle donne e ai giovani. Lontano dai personaggi spesso spietati che ha interpretato nelle serie ‘The Wire’ o ‘Luther’, o nel film ‘Beasts of no Nation’, Idris Elba dice di essere motivato dalla “ingiustizia di avere metà del mondo che mangia e metà del mondo che non mangia. La metà del mondo che sta facendo danni enormi al nostro pianeta e l’altra metà che (…) sta morendo di fame e soffre di più per questi danni“. “Quando penso alla dialettica sul clima, e quando penso alle discussioni sul continente africano, mi sembra che ci stiamo dimenticando delle persone reali“, osserva anche la moglie. Ma i piccoli agricoltori hanno un ruolo cruciale “quando parliamo di sicurezza alimentare e anche di clima“. Perché le soluzioni basate sulla natura di cui tutti parlano, sono le persone stesse che le attuano: i conservatori del nostro pianeta.

Meloni: “L’Italia deve diventare la porta d’ingresso in Europa per le forniture di gas dall’Africa”

“Con risorse spese bene dall’Europa, si può ragionare prevalentemente con il Nord Africa per produrre l’energia che serve, diversificando e l’Italia può diventare la porta d’ingresso in Europa dell’energia prodotta in Africa”. La premier Giorgia Meloni, durante la conferenza stampa di fine anno, tocca la questione energetica e ritorna sulla definizione di ‘Piano Mattei per l’Africa’: “Ho citato Enrico Mattei non solo perché si parla di energia, ma perché l’atteggiamento che deve avere l’Italia nei confronti dell’Africa deve essere non predatorio. Noi non andiamo di solito in un’altra nazione per portare via qualcosa, ma per lasciare qualcosa e per costruire rapporti in cui c’è pariteticità. Il tema dell’energia offre l’occasione all’Italia e all’Europa di tornare a essere presente in Africa, in passato abbiamo indietreggiato. Ora abbiamo la possibilità di fare da Nazione capofila di questo nuovo approccio all’Africa, che ha interesse a investire in alta tecnologia in termini di approvvigionamento  energetico”. Rispetto a questo, la premier evidenzia che “il Sud Italia ha un potenziale enorme di produzione di rinnovabili, un pannello fotovoltaico può produrre il 30% di energia in più rispetto a uno puntato nel Nord” e ricorda che l’Italia sta “lavorando per risolvere i colli di bottiglia nelle forniture di gas nei nostri gasdotti all’altezza del centro Italia, azione che permetterebbe di valorizzare anche il Meridione”, senza dimenticare il procedimento – avviato dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica – autorizzativo per la nuova interconnessione elettrica di Terna tra l’Italia e la Tunisia, il ponte energetico sottomarino da 600 MW in corrente continua che collegherà Europa e Africa. Non ci sono sviluppi, invece, rispetto all’investimento “importante e strategico” che la Intel potrebbe fare in Italia per un impianto di assemblaggio di semiconduttori in Italia: “Si tratta di un dossier che devo ancora concretizzare parlandone con le persone interessate. Stiamo seguendo, conosciamo il lavoro pregresso sul potenziale investimento strategico di Intel in Europa e in Italia. Da parte nostra c’è la massima disponibilità. Sto cercando di calendarizzare un incontro con i rappresentanti dell’azienda per capire come facilitare la decisione e favorire l’investimento. Tutto il resto dipende da questo. Bisogna capire se è confermata la volontà e quali sono i presupposti. Sarà una delle prime cose su cui lavorerò nei prossimi giorni”.

A livello internazionale, Giorgia Meloni afferma che il piano contro l’inflazione varato dal governo statunitense, l’Inflation Reduction Act (Ira), “rischia di produrre assenza di competitività per le nostre imprese. Di fronte a questi strumenti e a una concorrenza con Stati Uniti e Cina, non possiamo continuare con le norme che abbiamo oggi anche a livello europeo, ad esempio in termini di aiuti di stato”, ricordando che il dibattito a livello europeo su una risposta all’Ira statunitense è stata avviato all’ultimo Vertice Ue che si è svolto a Bruxelles il 15 dicembre “e deve continuare”. Sarà sul tavolo dei capi di stato e governo al prossimo Consiglio europeo del 9-10 febbraio. Per Meloni la situazione in cui l’Europa si trova “costringe a un cambio di passo, all’accelerazione e a una visione totalmente diversa, anche sul tema aiuti di stato”, dal momento che “siamo in un’Europa nella quale non abbiamo il controllo di niente”.

Rispondendo alle domande dei giornalisti, Giorgia Meloni fa riferimento anche al price cap: “Siamo in una situazione di grande emergenza. Oggi siamo in una realtà nella quale i provvedimenti a sostegno dell’energia costano 5 miliardi al mese. Con il price cap e con altre misure cambia il quadro, se dovesse effettivamente cambiare parte delle risorse potrebbe liberarsi per altri provvedimenti. Lavoreremo sempre – aggiunge – sulla priorità del saldo di bilancio. Mettere risorse da una parte significa toglierle da altre parti. Noi abbiamo scelto spostare il grosso delle risorse sul futuro: sui giovani, sulla nuova occupazione e sulle imprese, sulla capacità di produrre nuova ricchezza e occupazione. E abbiamo scelto da dove prendere: dall’indicizzazione delle pensioni molto alte, per spostarlo su famiglie, giovani e natalità. È una scelta politica che io considero di visione”.

Risorse che, per l’importo maggiore della legge di bilancio, sono state destinate alla priorità del caro bollette energia, con oltre 20 milioni, “ma siamo riusciti a mantenere gli impegni che avevamo preso; abbiamo messo tutte le risorse sulle grandi misure alle quali volevamo dedicarci e abbiamo fatto una manovra che è stata approvata con un giorno di anticipo rispetto agli ultimi anni”.  E fa un affondo sul mondo imprenditoriale: “Penso che gli industriali lo abbiano pienamente compreso, mi pare ci sia la piena consapevolezza di un governo amico di chi produce e delle aziende. Per quanto riguarda Carlo Bonomi, è portatore di un interesse legittimo e particolare, ma noi dobbiamo tenere insieme il quadro. Vogliamo spostare i soldi dell’energia dall’energia al cuneo fiscale? Sono disposta a parlarne, ma a me pare che a condizioni date certo non si possa dire che in questa manovra non ci sia niente per le imprese”. A proposito di risorse, un milione e mezzo di euro è invece stato destinato alla famiglia, in un’ottica di sostegno alla genitorialità e alla natalità.

Nel corso della conferenza, c’è spazio anche per affrontare il tema del PNRR“I 55 obiettivi raggiunti e previsti – dichiara Giorgia Meloni – dovranno tradursi in cantieri. Ora si entra nel vivo del piano, arriva la parte molto complessa e questo però comporta delle difficoltà dettate dal caro materie prime e dal caro energia, oltre al fatto che il Piano era stato scritto prima del conflitto ucraino per cui le priorità erano diverse”. E sottolinea con soddisfazione che “quando siamo arrivati al Governo gli obiettivi raggiunti erano 25, la staffetta con il Governo Draghi ha funzionato e il traguardo per richiedere la tranche di 19 miliardi di euro è stato raggiunto”.

Rispetto invece allo stop alla vendita di diesel e benzina entro il 2023, Giorgia Meloni lo etichetta come “irragionevole, lo considero profondamente lesivo del nostro sistema produttivo. E’ una materia su cui vedo che c’è una convergenza trasversale e intendo utilizzare questa convergenza per porre la questione con forza”.

Tra le altre tematiche affrontate durante l’incontro – durato tre ore – con i giornalisti, il conflitto in Ucraina, dove la premier ha intenzione di andare prima del 24 febbraio, il punto sulla situazione sanitaria relativa al Covid, “sotto controllo”, e il tema dei condoni “che non ci sono nella legge di bilancio; abbiamo invece fatto una norma che chiede a tutti di pagare il debito, maggiorato, dando la possibilità di rateizzarlo. Le uniche cartelle  che saranno stralciate sono quelle vecchie di oltre 7 anni e non superiori ai mille euro, perché allo Stato conviene di più rispetto alla riscossione” e l’aver mantenuto l’ergastolo ostativo.
Giorgia Meloni, infine, sostiene che tra le priorità di questa legislatura – “che mantiene l’obiettivo temporale dei cinque anni” – ci sarà la riforma delle istituzioni per “garantire ai cittadini servizi più efficienti e politici che siano davvero l’espressione della volontà popolare”.

 

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Tricicli a energia solare di Mobility for Africa per la svolta rurale dello Zimbabwe

Per anni, il modesto allevamento di pollame di Danai Bvochora in Zimbabwe è stato un fallimento. Quasi tutto il denaro guadagnato dalla vendita delle uova serviva a pagare il taxi collettivo per il mercato. Fino a quando un triciclo elettrico color ruggine, simile a un ciclomotore alloggiato in un rimorchio aperto, alimentato a energia solare, ha cambiato tutto questo. “Abbiamo un grande peso sulla testa. Il triciclo alleggerisce il peso“, sorride il 47enne agricoltore di Domboshava, vicino alla capitale Harare, prima di un percorso accidentato di otto chilometri sul mezzo.

Lo usiamo persino per andare a messa“, spiega entusiasta Danai, ricordando che un viaggio per andare a prendere il grano per i suoi polli costava l’equivalente di 12 dollari. Ora caricare il suo triciclo ogni quindici giorni costa l’equivalente di 2,5 dollari. “Adesso le mie galline mi fanno guadagnare“, dice la madre, che fa parte di un gruppo di donne di questa zona, nota per le sue colline panoramiche e le sue rocce giganti, che l’anno scorso ha ricevuto un triciclo finanziato dall’Unione Europea per aiutare i piccoli agricoltori.

Assemblati ad Harare dall’impresa sociale Mobility for Africa, i tre ruote esistono in Zimbabwe da tre anni, dice la fondatrice Shantha Bloemen. “All’inizio eravamo molto soli“, racconta, “e il team ha dovuto convincere gli investitori che il progetto era fattibile. All’epoca nessuno parlava di mobilità elettrica in Africa e ancor meno di aiutare le donne nelle campagne“, spiega.
Oggi punta a triplicare rapidamente la flotta di 88 veicoli e le tre stazioni a energia solare. Qui i conducenti possono sostituire la batteria al litio con una completamente carica e far riparare gratuitamente i tricicli in caso di rottura.

Alcuni dei veicoli, soprannominati Hamba o “andare avanti” nella lingua locale Ndebele, sono stati acquistati dall’Ue e poi dati alla popolazione, mentre altri vengono noleggiati per cinque dollari al giorno. Phyllis Chifamba, 37 anni, usa il suo ‘vas-y’ noleggiato come taxi. Accompagna i malati alla clinica, le donne incinte agli appuntamenti di controllo e i contadini a fare la spesa. “In questo modo posso sfamare la mia famiglia e pagare la scuola ai miei quattro figli”.

Mobility for Africa sogna di trasferirsi in altre zone del Paese. “Se riuscissimo a risolvere il problema dei trasporti, le economie rurali funzionerebbero. I piccoli agricoltori potrebbero andare sul mercato con più prodotti“, dice Shantha Boemen. L’economia dello Zimbabwe, gravemente depressa negli ultimi due decenni, soprattutto nelle aree rurali, è trainata principalmente dal settore informale, come queste contadine di Domboshava.

(Photo credits: Jekesai NJIKIZANA / AFP)