Tinelli (Confagricoltura): Ingresso Ucraina in Ue avrà impatto enorme

“Le ultime due riforme della politica agricola” europea “sono state una rivoluzione copernicana e hanno visto una modifica del modello agricolo europeo. L’entrata dell’Ucraina è sicuramente un atto dovuto. D’altra parte l’impatto sull’agricoltura europea sarà enorme, quindi da questo punto di vista la Commissione dovrebbe cominciare a studiare quali saranno, prima di tutto, gli effetti dell’allargamento e verificare il budget che sarà destinato alla politica agricola”. Lo ha dichiarato a GEA Cristina Tinelli, responsabile relazioni Ue e internazionali di Confagricoltura a margine della decima edizione dell’evento ‘How can we govern Europe?’, organizzato da Withub con la direzione editoriale di Eunews e GEA, in corso a Bruxelles, presso la residenza dell’ambasciatore d’Italia in Belgio. “E’ chiaro – ha aggiunto – che non possiamo accettare una diminuzione del budget, per cui dovranno essere studiati dei meccanismi di phase in nei confronti dell’Ucraina, come è stato – d’altra parte – per l’adesione degli ex nuovi paesi dell’Est. Insomma, quindi auspichiamo che comunque le risorse a disposizione rimangano le stesse per per la politica agricola, anche se sicuramente bisognerà studiare dei meccanismi tali per cui si possa continuare in questo senso”.

Agricoltura, Cia chiede un Piano Nazionale: Da tutela filiera a gestione acque

Un Piano Nazionale per l’Agricoltura e l’Alimentazione. Lo Chiede Cia-Agricoltori italiani al governo, durante l’assemblea annuale a Roma. Accrescere peso economico e forza negoziale dell’agricoltura; incentivare ruolo e presidio ambientale del settore; mettere l’agricoltura al centro dei processi di sviluppo delle aree interne; salvaguardare servizi e attività sociali vitali per i territori rurali; consolidare la crescita dell’export agroalimentare Made in Italy. Queste le cinque mosse da cui partire.

Salvare l’agricoltura per salvare il futuro”, osserva il presidente, Cristiano Fini. Perché, precisa, “senza un’agricoltura in salute, viene compromesso il diritto a un’alimentazione sana, sostenibile e accessibile a tutti“.

Credo che quest’anno, a un anno di distanza dall’ultima assemblea, possiamo vantare un risultato, non io come ministro, ma tutti: la sinergia all’interno del governo ha permesso di rimettere al centro l’agricoltura“, rivendica dal palco il ministro Francesco Lollobrigida. Tuttavia, mette in chiaro Fini, “il settore ora vive una crisi generalizzata, tra tante emergenze che acutizzano il divario tra i prezzi pagati agli agricoltori e quelli sugli scaffali dei supermercati, con aumenti che superano anche il 400% dal campo alla tavola”. Cia si candida dunque come interlocutore delle istituzioni per definire il Piano agricolo nazionale “sempre annunciato, ma mai realizzato, in grado di invertire la rotta, collocando finalmente il settore primario tra i protagonisti della filiera agroalimentare, un colosso da circa 550 miliardi di fatturato in cui l’agricoltura prende però solo l’11%”, afferma il presidente. In questo percorso “l’Italia e, soprattutto, l’Europa devono essere dalla nostra parte, abbandonando posizioni e regolamenti ideologici anche in vista delle prossime elezioni Ue. D’altronde – chiosa Fini – se non c’è agricoltura, il Made in Italy non può esistere, scompare il presidio del territorio e le aree interne muoiono. Un rischio che il Paese non può correre”.

A Bruxelles “l’Italia gioca in difesa“, replica Lollobrigida: “Abbiamo criticato l’Europa perché i dati non ci tornavano, non riteniamo giusto pagare coltivatori per non coltivare e pescatori per non pescare. Sacrificare il mondo produttivo in nome di ideologie è stato un errore. Se smettiamo di produrre per non inquinare, i prodotti dobbiamo prenderli da filiere lunghe“, riflette. “In 30 anni abbiamo perso il 30% delle aziende agricole per scelte sbagliate – aggiunge -. All’inizio, su diversi temi, abbiamo preso posizioni isolate, ma alla fine non siamo rimasti isolati“.

Il Piano agricolo presentato da Cia è di respiro pluriennale, da sviluppare secondo cinque assi d’intervento organizzati per obiettivi chiari e relative misure.

Quanto alla gestione delle acque, per Cia è urgente un nuovo Piano di gestione di quelle a uso irriguo, secondo una logica che preveda il trattenimento quando l’acqua è disponibile e il suo utilizzo in periodi di siccità, con una programmazione oltre il 2026 e risorse dedicate all’agricoltura per la crescita del sistema dei grandi invasi (dighe) da considerarsi integrati, e non alternativi, a quello dei piccoli invasi (laghetti). Gli agricoltori trovano anche la sponda del vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Matteo Salvini. “Il mio obiettivo è arrivare a mezzo miliardo per intervenire sulla dispersione idrica“, da inserire in un emendamento nella legge di Bilancio, “così come nella rimodulazione del Pnrr abbiamo aggiunto un miliardo di euro. Sono convinto che riusciremo a spendere fino all’ultimo centesimo i fondi per il settore idrico”, garantisce.

L’appoggio arriva anche dall’opposizione. “L’agricoltura è sottoposta a uno stress profondo e gli agricoltori sono i primi a sapere che bisogna lottare contro il cambiamento climatico. Ma non possiamo permetterci di lasciarli soli. Occorre fare una conversione ecologica insieme agli agricoltori, che sono presidio dei territori. Un’agricoltura resiliente è più diversificata“, dice la segretaria del Pd, Elly Schlein. “Il cibo è vita e non c’è vita senza cibo di qualità”, scandisce la leader dem. Sul Piano di lavoro il Partito Democratico è pronto, assicura: “Siamo qui e siamo disponibili a lavorare con voi“.

Pnrr, ok Ue a quarta rata e RePowerEu. Meloni esulta: “21 miliardi, una seconda manovra”

Era nell’aria, ma ora è ufficiale. La Commissione approva le modifiche presentate dal governo al Pnrr italiano legato alla quarta rata e, contestualmente, anche il capitolo aggiuntivo del RePowerEu. Proprio il documento strategico per l’indipendenza energetica, secondo Bruxelles, “copre in modo completo i sei pilastri dello strumento” di rilancio economico, vale a dire transizione verde, trasformazione digitale, crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, coesione sociale e territoriale, sanità e resilienza economica, sociale e istituzionale e politiche per le generazioni future.

Ci sono anche altre novità legate al RePower, perché “aumenta di dimensioni” in termini di risorse, spiega il ministro titolare del dossier, Raffaele Fitto, passando dai 2,7 miliardi di euro iniziali a 2,88 miliardi grazie all’aggiunta di “una piccola unità di calcolo di altri 100 milioni di euro”; e aumenta come contenuti: “Ora esistono sette nuove riforme che si aggiungono alle cinque già previste”. Il surplus, però, non avrà effetti immediati. “Non cambia l’importo della quarta rata” da 16,5 miliardi di euro, chiarisce l’esecutivo comunitario: “Le modifiche del totale da destinare all’Italia riguardano gli importi dalla quinta rata in poi”.

La sostanza comunque non cambia, perché tirando le somme, il governo “mette a disposizione della crescita economica italiana altri 21 miliardi di euro”, in pratica “una seconda manovra economica in gran parte destinata allo sviluppo e alla competitività del tessuto produttivo italiano”, dice la premier, Giorgia Meloni, alle associazioni datoriali, convocate a Palazzo Chigi per illustrare la legge di Bilancio 2024. “Abbiamo lavorato a una manovra consapevoli che parallelamente stavamo trattando con la Commissione europea la revisione del Pnrr”, spiega ancora la presidente del Consiglio. Lasciando intendere che la strategia dell’esecutivo è sempre stata quella di viaggiare su un doppio binario: “Abbiamo verificato le criticità e le abbiamo superate, abbiamo fatto in modo che tutti i soldi del Pnrr venissero spesi nei tempi e quindi abbiamo concentrato le risorse sulla crescita e la modernizzazione della nazione e mi pare che il risultato, sul quale in pochi scommettevano, dice che non era una scelta sbagliata”, rivendica ancora Meloni. Che ringrazia Bruxelles: “La Commissione è stata sicuramente rigida per certi versi, ma molto aperta alla possibilità che queste risorse fossero spese nel migliore dei modi”.

Entrando nel concreto, ci sono “12,4 miliardi di euro assegnati al sistema delle imprese, 6,3 miliardi alla transizione 5.0, 320 milioni per il supporto alle pmi per l’autoproduzione di energia e fonti rinnovabili e 2 miliardi per i contratti di filiera in agricoltura”, elenca Fitto. E ancora: “2,5 miliardi di euro per il supporto al sistema produttivo, 850 milioni di euro per il parco agrisolare e 308 milioni per il fondo tematico per il turismo”. Inoltre, “un’altra proposta molto qualificante è quella della rimodulazione, d’intesa con la struttura commissariale, di 1,2 miliardi destinati nella gestione destinati all’alluvione in Emilia-Romagna, Marche e Toscana. Esistono poi investimenti per 5,2 miliardi sul fronte delle reti delle Infrastrutture, 1,8 miliardi per la realizzazione e il rafforzamento strategico delle reti elettriche e del gas, oltre 1 miliardo agli interventi per la perdita e la riduzione idrica, oltre 1,1 miliardi per l’acquisto di nuovi treni ad emissioni ridotte, 400 milioni per l’elettrificazione delle banchine portuali e 920 milioni per la messa in sicurezza degli edifici scolastici e la realizzazione di nuove scuole”.

Nella rimodulazione ci sono anche “1,380 miliardi destinati alle famiglie a basso reddito per l’efficientamento energetico e l’edilizia abitativa”. Fitto assicura che “nei prossimi giorni definiremo gli ultimi aspetti per giungere alla definizione del pagamento della quarta rata del Pnrr entro il 31 dicembre”, stessa data entro cui il governo è convinto di poter “raggiungere i target della quinta rata” e quindi “fare la richiesta di pagamento”.

A esultare è tutta la squadra di Meloni. “Con la riprogrammazione del Pnrr sono ulteriori 12,4 i miliardi per le imprese, di cui quasi 10 miliardi sui progetti del Mimit”, dice il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che vede lievitare al 30% la quota di fondi per il suo dicastero. “Quasi 10 miliardi che si aggiungono ai 19 miliardi già assegnati e agli 8 del fondo complementare, per un totale di 37 miliardi in dotazione al Mimit – riepiloga Urso -. Risorse decisive per sostenere la competitività del sistema produttivo. Destineremo così altri 6.4 miliardi a transizione 5.0 per un totale di 13,3 miliardi per l’innovazione tecnologica tra fondi Pnrr e nazionali (6.8 miliardi) già in Bilancio nel biennio 2024/2025“.

agricoltura

Eventi estremi, aumento prezzi e ritardo politiche: 2023 anno nero per l’agricoltura

Strada in salita per l’agricoltura italiana, segnata sempre più dagli impatti della crisi climatica, dall’aumento dei prezzi e dai ritardi sul fronte delle politiche agricole. Nei primi dieci mesi del 2023 sono stati ben 41 gli eventi meteorologici estremi, una media di 4 al mese, che hanno causato danni all’agricoltura con pesanti ripercussioni economiche. Emilia-Romagna con 10 casi, Veneto (6), Toscana (4) e Piemonte (4) le regioni più colpite. Inoltre, ad aggravare il quadro si inserisce il ritardo italiano rispetto agli obiettivi europei fissati al 2030 dalle direttive From farm to fork e Biodiversity – che prevedono la riduzione del 50% dei pesticidi, del 20% dei fertilizzanti, del 50% degli antibiotici utilizzati negli allevamenti, il raggiungimento del 10% di aree dedicate a biodiversità e corridoi ecologici nei terreni agricoli e del 25 % di biologico a livello europeo. E’ la fotografia che emerge dal V Forum nazionale Agroecologia Circolare di Legambiente. Secondo i dati sugli eventi meteorologici estremi elaborati dal suo Osservatorio Città Clima, il 2023 può essere considerato un anno nero per l’agricoltura: se si guarda indietro negli anni, su un totale di 114 eventi estremi che hanno avuto impatti sull’agricoltura dal 2010 ad oggi, ben 80 (il 70%) sono avvenuti negli ultimi 4 anni (2020/2023). Nord e Sud Italia le zone più colpite in questi quattro anni con Emilia-Romagna 15 casi, Piemonte 14, Puglia 11, Veneto 10, Lombardia e Sicilia 7, in sofferenza.

Di fronte a questo quadro, a preoccupare è anche l’aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e il fatto che l’Italia sia in ritardo anche sull’attuazione del Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, il PAN, la cui ultima stesura risale al 2014 e la cui scadenza era fissata per il 2019. Oltre all’emanazione dei decreti attuativi della legge sull’agricoltura biologica approvata nel marzo 2022. “Preoccupante anche sul fronte europeo il ritardo e le incertezze sull’approvazione del SUR, il regolamento europeo sull’uso dei pesticidi, e la posizione favorevole dell’Italia sulla proroga all’utilizzo per altri dieci anni del glifosato in Europa, su cui è necessario un deciso cambio di rotta”, segnala Legambiente rilanciando la necessità di seguire la via maestra tracciata dall’agroecologia, dall’innalzamento dell’asticella dell’agricoltura integrata, dall’agricoltura bio e dalle tante esperienze virtuose, i cosiddetti ‘Ambasciatori dell’Agroecologia’. Sono questi per l’associazione ambientalista i tre pilastri su cui l’Italia deve accelerare il passo, recuperando anche i tanti ritardi accumulati fino ad ora e dicendo no all’utilizzo del glifosato in Europa.

Sei le proposte, di cui tre tecniche, che Legambiente indirizza oggi al Governo Meloni e in primis al ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e che mettono al centro l’agroecologia, “capace di unire innovazione e sostenibilità rispondendo in maniera resiliente alla crisi climatica in atto, e l’agricoltura biologica che può fare da apripista all’intero settore agroalimentare. Per raggiungere questo obiettivo occorre prima di tutto superare il gap tra domanda e offerta, riducendo i costi per i produttori e per i consumatori”. Per questo Legambiente propone l’IVA al 2%per tutti i prodotti biologici certificati, bonus fiscali (dedicati alle donne in gravidanza, ai bambini e alle categorie più fragili) e credito d’imposta per le aziende agricole che decidono di convertirsi al biologico per ridurre i costi della certificazione oggi totalmente a carico degli agricoltori. Non va dimenticato che l’Italia è leader sul biologico con 90.000 operatori, più di 2 milioni di ettari coltivati a biologico e ha raggiunto il 18,7% della SAU (Nomisma 2023).

“Il nostro Paese – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambienteè pronto alla transizione ecologica delle filiere agroalimentari, chiede un cibo sempre più sano e giusto e vuole poter contare su un prodotto sostenibile dal campo alla tavola. Per andare in questa direzione serve rimettere al centro i tre pilastri della sostenibilità – ambientale, sociale ed economica – garantendo reddito e maggiore sicurezza agli operatori del settore. Favorire il made in Italy, sostenere le nostre filiere, fornendo supporto tecnico di fronte alle incertezze legate alla crisi climatica e all’aumento dei prezzi, è l’unica via dicendo allo stesso tempo no alla proroga per l’utilizzo del glifosato in Europa. L’agricoltura è in transizione, lavoriamo insieme affinché lo sia anche il Paese”.

“Il modello agroalimentare che vogliamo promuovere – spiega Angelo Gentili, responsabile nazionale agricoltura Legambientedeve essere capace di ridurre gli input negativi della chimica di sintesi, ma anche quelli idrici ed energetici, e diminuire fortemente le emissioni climalteranti, innalzando l’asticella dell’agricoltura integrata, promuovendo senza indugi il biologico, cambiando l’intero sistema a 360° e favorendo l’innovazione tecnologica. Deve poi scommettere sull’economia circolare, come già stanno facendo numerose aziende virtuose, sull’efficienza energetica; sul rinnovo del parco macchine; sul biogas e biometano fatto bene; sul fotovoltaico sui tetti dei capannoni, andando oltre l’autoconsumo e favorendo le comunità energetiche; sull’agrivoltaico, che unisce all’innovazione tecnologica dei pannelli fotovoltaici, le pratiche agricole realizzate in modo complementare, evitando consumo di suolo con una sinergia positiva fra produzione agricola ed energetica. È questa la ricetta vincente”.

La Commissione europea rinnova l’autorizzazione al glifosato per altri dieci anni

Nessuna maggioranza per sostenere o bocciare il rinnovo per altri dieci anni all’uso del glifosato in Unione europea. Il voto si è tenuto oggi in un Comitato d’appello, a cui era stata rimessa la decisione dopo che in una precedente votazione del 13 ottobre nel comitato permanente per le piante, gli animali, gli alimenti e i mangimi (SCOPAFF) gli Stati membri non avevano raggiunto la maggioranza necessaria per rinnovare (o respingere) la proposta. In assenza di una maggioranza qualificata pro o contro, come prevedono le norme Ue sulla comitologia, la Commissione europea può decidere di rinnovare l’uso del glifosato anche senza un reale via libera da parte dei governi.

Una decisione formale arriverà entro il 15 dicembre, quando scadrà l’attuale periodo di autorizzazione. L’Italia, apprende GEA da fonti diplomatiche, se nella votazione di metà ottobre ha votato a favore della proposta, nel voto di oggi ha invece deciso di astenersi perché la Commissione non ha accolto la sua richiesta di impedirne l’uso nell’ambito della pre-raccolta.

La maggioranza qualificata si ottiene quando a votare a favore di una proposta è il 55% degli Stati membri (ovvero, 15 Stati su 27), che rappresentino almeno il 65% della popolazione dell’Ue. Ai fini del raggiungimento della maggioranza qualificata, astensione o voto contrario si equivalgono. La proposta di rinnovo è arrivata lo scorso 20 settembre nelle mani dei ventisette governi, che hanno iniziato già il mese scorso a discuterne a livello di rappresentanti permanenti presso l’Ue.

L’uso del contestato erbicida era stato rinnovato per l’ultima volta nel 2017 per soli cinque anni e, in scadenza a dicembre di un anno fa, la licenza è stata rinnovata per ulteriori dodici mesi fino al 15 dicembre di quest’anno. L’erbicida, il più diffuso al mondo, è al centro di una disputa scientifica a livello internazionale a causa della sua presunta cancerogenicità, classificata come ‘probabile’ nel 2015 dall‘Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità.

La proposta di rinnovo arriva, ha motivato Bruxelles, dopo che a inizio luglio una relazione dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) ha concluso di non aver individuato alcuna “area critica di preoccupazione” per l’uomo, gli animali o l’ambiente che possa impedirne l’uso come erbicida. Il rinnovo questa volta sarà lungo il doppio rispetto all’ultima volta ma impone alcune condizioni per il suo utilizzo. Ad esempio, ne è stato vietato l’uso per il disseccamento (ovvero quando viene utilizzato per asciugare una coltura prima del raccolto), l’impiego dovrà essere accompagnato da “misure di mitigazione del rischio” per l’area circostante, attraverso “zone tampone” di cinque e fino a dieci metri.

Questa volta però la proposta di rinnovo lascia molto spazio di manovra agli Stati membri per il rilascio delle autorizzazioni nazionali e della definizione delle condizioni d’uso, oltre al compito di “prestare particolare attenzione” agli effetti sull’ambiente. Contro la decisione della Commissione si scaglia preventivamente l’eurodeputato liberale Pascal Canfin, secondo cui la presidente della Commissione europea “Ursula von der Leyen ha deciso oggi di riautorizzare l’uso del glifosato per 10 anni senza reali restrizioni. Questa proposta non ha il sostegno dei tre maggiori paesi agricoli del nostro continente, Francia, Germania e Italia. Non è l’Europa che mi piace”.

Dall’Italia invece esulta il consigliere delegato di Filiera Italia, Luigi Scordamaglia, che a GEA sottolinea che “l’astensione dell’Italia è un elemento positivo rispetto a precedenti votazioni, in cui era stato espresso parere favorevole”. “L’Italia aveva chiesto che la Commissione europea modificasse la proposta e vietasse l’utilizzo dei glifosati per qualsiasi uso in fase di pre-raccolta, quella in cui si concentra il maggior quantitativo residuo, che poi dietro anche in altre fasi della lavorazione”. “La Commissione non ha recepito l’indicazione italiana e il nostro Paese non ha votato a favore ma si è astenuto, come hanno fatto anche Francia e Germania”. 

Piano Mattei, in Cdm arriva il decreto sulla governance con cabina di regia e struttura di missione

di Dario Borriello

La partita entra nella fase caldissima. Domani, 3 novembre, alle ore 11, in Consiglio dei ministri arriverà il decreto legge che definisce la governance del Piano Mattei, il progetto su cui il governo, e la premier Giorgia Meloni, puntano per ampliare la cooperazione con l’Africa e fare dell’Italia l’hub energetico d’Europa, favorendo lo sviluppo delle popolazioni locali per frenare i flussi migratori dal sud del Mediterraneo. Gli obiettivi del Piano, infatti, sono quelli di costruire un “nuovo partenariato tra Italia e Stati del continente africano, volto a promuovere uno sviluppo comune, sostenibile e duraturo, nella dimensione politica, economica, sociale, culturale e di sicurezza“.

Sono diversi anche gli ambiti di intervento. Dalla cooperazione allo sviluppo alla promozione delle esportazioni e degli investimenti, l’istruzione e formazione professionale, la ricerca e innovazione, la salute, l’agricoltura e sicurezza alimentare, l’approvvigionamento e sfruttamento sostenibile delle risorse naturali, incluse quelle idriche ed energetiche, ma anche la tutela dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici, l’ammodernamento e potenziamento delle infrastrutture, anche digitali, nonché la valorizzazione e sviluppo del partenariato energetico anche nell’ambito delle fonti rinnovabili, il sostegno all’imprenditoria, in particolare a quella giovanile e femminile. Il governo, però, allo stesso tempo intende promuovere l’occupazione sul territorio africano, anche per prevenire e contrastare l’immigrazione irregolare.

Il Piano Mattei prevede, poi, “strategie territoriali riferite a specifiche aree del continente africano, anche differenziate a seconda dei settori di azione“, e avrà una durata quadriennale, con possibilità di rinnovo e aggiornamento “anche prima della scadenza“.

Per portare avanti il progetto sarà istituita una cabina di regia, guidata dal presidente del Consiglio e composta dal ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, con funzioni di vicepresidente, e dagli altri ministri, oltre al presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dal direttore dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, dai presidenti dell’Ice-Agenzia italiana per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, di Cassa depositi e prestiti e Sace. Inoltre, ne faranno parte i rappresentanti di imprese a partecipazione pubblica, del sistema dell’università e della ricerca, della società civile e del terzo settore, rappresentanti di enti pubblici o privati, esperti nelle materie trattate, individuati con un Dpcm che sarà varato entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto.

Per assicurare “supporto al presidente del Consiglio dei ministri per l’esercizio delle funzioni di indirizzo e coordinamento dell’azione strategica del governo” sul Piano Mattei verrà istituita, sempre presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, anche una struttura di missione, alla quale è preposto un coordinatore, articolata in due uffici di livello dirigenziale generale, compreso quello del coordinatore, e in due uffici di livello dirigenziale non generale, il cui coordinatore sarà individuato tra gli appartenenti alla carriera diplomatica. Alla sdm è assegnato pure un contingente di esperti e avrà a disposizione risorse annue per 500mila euro.

Altro punto importante del decreto è la relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano Mattei, che il governo dovrà trasmettere alle Camere (con l’ok della cabina di regia) entro il 30 giugno di ogni anno.

Imprese, Colonna (Cassa Ragionieri): “Flat tax incrementale anche per agricoltori”

In materia di Flat Tax un importante principio è stato espresso dall’Agenzia delle Entrate durante l’incontro di Telefisco 2023. Secondo l’Agenzia possono rientrare nel regime della flat tax incrementale anche gli imprenditori agricoli individuali che svolgono attività produttive di reddito di impresa determinato forfettariamente (agriturismo, oleoturismo, enoturismo). “I tecnici delle Entrate hanno ricordato che la Legge di bilancio 2023 – evidenzia Felice Colonna, consigliere d’amministrazione della Cassa dei Ragionieri e degli esperti contabili – ha introdotto un regime agevolativo opzionale, la ‘tassa piatta incrementale’ o ‘flat tax incrementale’, limitatamente all’anno d’imposta 2023, sostitutivo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) e delle relative addizionali regionale e comunale”. “La norma prevede l’applicazione di un’imposta ad aliquota fissa del 15%, sostitutiva dell’Irpef e delle relative addizionali regionale e comunale. Il calcolo – prosegue Colonna – viene effettuato sull’incremento di reddito dell’anno oggetto di dichiarazione rispetto a quello più elevato nell’ambito del triennio precedente”.

L’agricoltura coltiva il sale: coordinamento Confagricoltura-Saline di mare

Il governo si impegna a valorizzare il settore della salicoltura. Lo garantisce Patrizio La Pietra, sottosegretario al Masaf, dal palco di Confagricoltura. Il comparto, infatti, ha molto a che fare con l’agricoltura. I cento chilometri di saline, in tutta Italia, sono campi coltivati a tutti gli effetti: il sale sciolto nel mare ha bisogno di circa cinque anni per formarsi nelle vasche, una volta essiccato.
Per dimostrare che anche la coltivazione del sale marino è attività agricola, nasce il coordinamento tra gli imprenditori agricoli e della produzione del sale marino italiani. Confagricoltura e le società di gestione delle Saline di mare dell’Italia formalizzano a Palazzo della Valle, a Roma, la loro collaborazione.

L’intesa prevede anche la realizzazione di iniziative nei territori delle saline e attività di valorizzazione di tutti gli aspetti legati alla salicoltura e alla multifunzionalità delle saline, che sono attrattiva anche turistica nelle rispettive regioni. Il progetto culminerà con gli Stati generali della salicoltura italiana, il prossimo anno.

Insieme a Confagricoltura, cinque partner: Atisale Spa che, con le saline di Margherita di Savoia (Puglia), tra le più grandi di Europa con 4.500 ettari in produzione, e di Sant’Antioco (Sardegna), si configura come il maggior produttore di sale marino italiano; Saline Luigi Conti Vecchi, nella Laguna di Santa Gilla a due passi da Cagliari, con quasi 2.800 ettari in produzione; Sosalt Spa con le saline nella fascia costiera tra Trapani e Marsala, circa 1.000 ettari in produzione e maggior produttore di sale marino in Sicilia; il Parco della Salina di Cervia, oltre 800 ettari di estensione, fulcro dell’economia del Ravennate e della Romagna per oltre 150 anni, che tanto ha fatto per la valorizzazione del sale marino italiano; Isola Longa, la maggiore salina di mare del Trapanese, situata nell’omonima isola dell’arcipelago dello Stagnone, che produce oltre 23.000 tonnellate di sale ogni anno. Ai soggetti firmatari si aggiungono inoltre, come sostenitori, le saline di Trapani Oro di Sicilia, Ettore e Infersa ed Isola di Calcara.

Dal 2019 anche la Francia ha inserito la “saliculture” nelle attività agricole nazionali attraverso la modifica del Codice rurale e della pesca marittima.

Il sale può essere sale marino, ottenuto nelle saline tramite l’evaporazione dell’acqua e coltivato e prodotto in modo totalmente naturale, oppure salgemma, estratto nelle miniere sotterranee. Questo si presenta in forma solida, e viene tritato, pulito e preparato per le varie applicazioni.

In Italia la produzione di sale marino corrisponde a poco meno del 30% della produzione totale: mediamente quasi 1,2 milioni di tonnellate/anno su un totale di oltre 4 milioni di tonnellate.
Anche in Europa la produzione di sale marino è circa il 10% della produzione di sale totale. I principali Paesi produttori di sale marino nella UE sono la Francia e l’Italia, seguiti da Spagna e Grecia.
Il sale, oltreché per uso alimentare, viene impiegato nell’industria metallifera, vetraria, chimica, cartaria, farmaceutica, nell’edilizia, nel settore tessile, nella cosmetica e nei detersivi, come antighiaccio nel disgelo stradale. Nell’ambito alimentare vale la pena ricordare che il sale è elemento intrinseco e necessario nei prodotti di alta qualità, quali prosciutti e formaggi.
Oggi abbiamo presentato al governo ed al Parlamento una realtà economica importante, rilevante anche per la tutela dell’ambiente, ma poco conosciuta”, spiega il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, nel corso del convegno ‘L’agricoltura coltiva il sale’, organizzato a Roma. La salicoltura, ha ricordato il presidente, è “un‘attività anche di coltivazione e questo ne fa un’attività agricola: su questo lavoreremo”, aggiunge ricordando come si tratti di “un percorso dovuto e per questo presentiamo una richiesta al governo” affinché venga riconosciuta come attività agricola.

Impatto sull’ambiente dell’ammoniaca green sotto la lente di un team di ricerca

Quale impatto può avere l’ammoniaca ‘green’ sull’ambiente e sui cambiamenti climatici? Se lo sono chiesto la U.S. National Science Foundation, la UK Research and Innovation e il Natural Sciences and Engineering Research Council of Canada che hanno finanziato congiuntamente un nuovo centro globale per affrontare l’opportunità e la sfida emergente di questa sostanza per fornire energia pulita e sostenere la produzione alimentare, mitigando al contempo il cambiamento climatico. Il Centro globale per l’innovazione sull’azoto per l’energia pulita e l’ambiente (NICCEE), fornirà approfondimenti tempestivi e cruciali perché, spiega il direttore Xin Zhang “speriamo di poter sfruttare l’innovazione tecnologica della produzione di ammoniaca verde per sostenere le iniziative di energia pulita, combattere il cambiamento climatico e garantire le forniture alimentari per il futuro, riducendo al minimo i rischi di conseguenze indesiderate”.

L’attuale produzione industriale di ammoniaca è ad alta intensità energetica e dipende principalmente dai combustibili fossili, contribuendo all’1-2% delle emissioni globali di gas serra. Nel settore agricolo, la tecnologia dell’ammoniaca verde potrebbe portare al decentramento della produzione di fertilizzanti, migliorandone l’uso e rafforzando la produzione alimentare nei Paesi in cui l’accessibilità a quelli azotati (N) è stata limitata, migliorando così la produzione di colture, la prosperità economica, la nutrizione e la sicurezza alimentare. Tuttavia, una maggiore disponibilità di questi prodotti potrebbe anche esacerbare gli attuali gravi problemi ambientali legati alle perdite di azoto nell’aria e nell’acqua dovute a un uso eccessivo e inefficiente dei fertilizzanti.

Nel settore dei trasporti, in particolare in quello navale, l’ammoniaca verde è un’opzione valida e promettente per sostituire i tradizionali combustibili fossili, ma in questo modo è probabile che si triplichi la quantità di azoto reattivo che l’uomo introduce nella biosfera, si aggravi l’inquinamento costiero e si aumentino le emissioni di N2O, che è il terzo più importante gas a effetto serra.

Insomma, ora la scienza si interroga sul rapporto tra i benefici e i danni che potrebbe causare questo sviluppo. “Il cambiamento climatico e l’inquinamento da azoto sono due delle minacce più significative per l’umanità e sono inestricabilmente collegate”, spiega David Kanter, professore della New York University e presidente dell’Iniziativa internazionale sull’azoto.

Il NICCEE fungerà da centro di informazione con una cyberinfrastruttura all’avanguardia per monitorare il ciclo di vita e gli effetti dell’azoto nei sistemi agricolo-alimentare-energetico. “L’avvento dell’ammoniaca verde, a seconda di come si svilupperà, potrebbe contribuire alla soluzione o aggravare il problema dell’uso inefficiente dei fertilizzanti N e della perdita di azoto nell’ambiente. Dobbiamo anticipare questa imminente trasformazione tecnologica in modo che gli impatti dell’ammoniaca verde siano guidati da un’eccellente ricerca agronomica e socio-economica”, dice il professore dell’UMCES Eric Davidson.

L’impegno internazionale coinvolge collaboratori di otto Paesi, provenienti da università, Ong, organizzazioni internazionali, governo e aziende private, e riunisce competenze in biogeochimica e scienze agronomiche, ingegneria chimica, modellazione di sistemi complessi, sociologia ambientale, economia, statistica e scienza dei dati, ecologia costiera ed equità nelle geoscienze, impegno e valutazione scientifica, telerilevamento, diritto e politica ambientale, modellazione atmosferica, scienza della sostenibilità, valutazione del ciclo di vita e scienza traslazionale.

“Il processo di ammoniaca verde consiste nello sfruttare l’energia solare o altre fonti di energia rinnovabili per produrre ammoniaca senza emissioni di anidride carbonica. Ad esempio, la luce solare può guidare la conversione dell’azoto e dell’acqua in ammoniaca”, precisa Nianqiang (Nick) Wu, Co-PI e Armstrong-Siadat Endowed Chair Professor presso l’Università del Massachusetts Amherst.

Frutta e verdura sempre più care: la risposta potrebbe arrivare dagli agromercati

Il cibo costa troppo e nel carrello finisce sempre meno. Causa caro-prezzi, gli italiani devono rivedere le proprie scelte nutrizionali quotidiane, e la risposta, in Italia come in Europa, sembra essere nei mercati agricoli all’ingrosso. Perché è qui che si determina il prezzo di ciò che poi finisce sugli scaffali, ed è qui che si può ad avere un prezzo ‘giusto’, a riprova di inflazione. Il ragionamento è stato lanciato in Parlamento europeo, con un evento apposito – ‘Mercati all’ingrosso, centro dell’agroalimentare europeo’ – organizzato dal capo delegazione di Forza Italia, Salvatore De Meo. “I mercati all’ingrosso sono il luogo fisico dove i prodotti acquisiscono un valore aggiunto nel confezionamento, nel controllo della qualità, nella tracciabilità e nella formazione trasparente del prezzo nell’interesse dei produttori e del consumatore finale”.
A dare una prima idea del problema è Herbert Dorfmann (Svp/Ppe), membro della commissione Agricoltura. “Soprattutto nel settore dell’ortofrutta la situazione sta diventando allarmante”, denuncia. “Se vado al supermercato, sulla mela che pago 2,99 euro, se va bene l’agricoltore prende 30 centesimi. Questo margine non è soddisfacente”. In pratica c’è una situazione per cui “da una parte c’è un consumatore che mangia meno, perché il prodotto costa troppo, e dall’altra parte c’è un produttore in difficoltà perché guadagna poco”.

In Italia il caro-prezzi intanto incide. “Il 22% degli italiani non compra prodotti di ortofrutta perché non ce la fa. Vuol dire che 2,6 milioni di italiani non mangiano”, denuncia Luigi Scordamaglia, presidente di Filiera Italia – Coldiretti. Anche lui, come De Meo, chiede maggiore attenzione e coinvolgimento per i mercati agroalimentari all’ingrosso. “Senza di essi non si riesce a capire il prezzo di produzione. Vogliamo quindi un prezzo più equo e più trasparente”. Scordamaglia chiede però l’intervento della politica per cambiare un modello che penalizza il ‘made in’. “Sull’ortofrutta pesa il costo della logistica”, sottolinea. “Abbiamo il costo più elevato in Europa: 1,12 euro a chilometro”. Il suggerimento del presidente di Filiera Italia – Coldiretti è dunque quello di fare uso de i fondi del Piano per la ripresa (Pnrr) per interventi sulla logistica, oltre che per favorire “contratti di filiera che includano i mercati all’ingrosso”.

Anche perché, dati alla mano, questi mercati tornano utili come ‘ammortizzatori’ dell’inflazione all’interno della filiera. Secondo un’analisi Ambrosetti diffusa per l’occasione , “a fronte di una crescente pressione sui costi operativi, i mercati hanno ammortizzato l’inflazione il 53,1% delle volte nell’ultimo anno”, tra febbraio 2022 e febbraio 2023. Più nello specifico i mercati agroalimentari all’ingrosso hanno contrastato il rialzo dell’inflazione “per almeno un mese in tutti i prodotti”. Indicazioni chiare, dunque.

Un impegno alla politica, italiana ed europea, arriva anche da Massimiliano Giansanti, presidente di Confagricoltura. Nel settore primario, quello agricolo, “ci attendono sfide epocali, non impossibili ma difficili”. Nello specifico “per i produttori si tratta di produrre di più senza compromettere la biodiversità e la natura, senza influire sui costi”. Un compito che spetterà a chi deve prendere le decisioni per il funzionamento di sistema produttivo ed economico. Che passa anche per il rispetto del Green Deal. “La produzione di energia da fonti rinnovabili nella aziende agricole diventa fondamentale. Il mio modello di distribuzione dovrà avvenire con il minor impatto ambientale” possibile. Vuol dire permessi semplici e veloci, poca burocrazia, normativa a misura di azienda.

In tema di agenda verde e sostenibile europea, Matteo Bartolini, vicepresidente della Cia-Confederazione italiana agricoltori, un’idea ce l’ha. “Il tema della logistica dovrebbe aiutarci a comunicare la volontà di raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo, invogliando e incentivare i consumatori a consumare a livello locale”. In questo modo “si tiene vivo e aperto il negozietto di prossimità”. E si tiene basso il prezzo di prodotti alimentari, soprattutto frutta e verdura, sempre meno a portata di famiglie.