agricoltura

Nel 2022 in Europa troppo ozono su 32,5% terreni agricoli, impatto sulla salute

Nel 2022, quasi un terzo dei terreni agricoli europei era esposto a livelli di ozono superiori al valore soglia stabilito per la protezione della vegetazione dalla Direttiva sulla qualità dell’aria ambiente (AAQD) dell’Ue. L’obiettivo a lungo termine è stato raggiunto solo per l’11,2% dei terreni agricoli. A riportarlo è l’Agenzia europea dell’Ambiente che ha sottolineato che “l’inquinamento dell’aria dovuto all’ozono troposferico è una seria preoccupazione in Europa” in quanto “ha effetti negativi sulla salute umana, sulla vegetazione e sugli ecosistemi in tutta Europa”, comportando “una riduzione dei raccolti e della crescita delle foreste e una perdita di biodiversità”.

L’ozono troposferico è un inquinante secondario di origine fotochimica, le sue concentrazioni sono determinate dalle emissioni di precursori e dalla meteorologia e tendono ad essere naturalmente più elevate in alcune regioni, come l’Europa meridionale. L’Agenzia ha ricordato che la Direttiva Ue sulla qualità dell’aria ambiente mira a proteggere la vegetazione dall’ozono e stabilisce due standard: un valore target e un obiettivo a lungo termine che si basano, entrambi, sull’esposizione accumulata all’ozono superiore a una soglia di 40 ppb (parti per miliardo) (Aot40). “Aot40 è la somma della differenza tra concentrazioni orarie superiori a 80 µg/m3 (40 ppb) e 80 µg/m3 in un dato periodo utilizzando solo i valori di un’ora misurati ogni giorno tra le 08:00 e le 20:00 ora dell’Europa centrale”, ha spiegato l’Agenzia. Il periodo va da maggio a luglio per la protezione della vegetazione e delle colture. Il valore target per la protezione della vegetazione è fissato a 18.000μg/m3.ora, calcolato su cinque anni, tuttavia questo indicatore esamina il suo valore ogni singolo anno (quella che noi chiamiamo soglia del valore target). L’obiettivo a lungo termine per la protezione della vegetazione è fissato a 6.000μg/m3/ora.

La frazione di terreno agricolo nei Paesi membri del See esposta a livelli di ozono superiori alla soglia è notevole. Nel corso del tempo si sono regolarmente osservati superamenti nell’Europa centrale, meridionale e orientale. Le considerevoli variazioni di anno in anno rendono difficile l’identificazione della tendenza, in parte a causa delle diverse condizioni meteorologiche”, ha precisato l’Agenzia. La frazione di terreno esposto a livelli di ozono superiori alla soglia del valore obiettivo ha raggiunto un minimo assoluto nel 2020 pari al 5,5%, per aumentare al 18% nel 2021, raggiungendo il 32,5% nel 2022. Ciò equivale a una superficie totale di 719.442 km2 di terreni agricoli essere esposti a livelli superiori alla soglia del valore obiettivo nel 2022. “I valori relativamente più alti nel 2022 potrebbero essere collegati all’influenza meteorologica sulla formazione di ozono. Secondo Copernicus, il 2022 è stato il quinto anno più caldo a livello globale e il secondo anno più caldo mai registrato in Europa. L’estate del 2022 è stata l’estate più calda mai registrata in Europa”, ha precisato ancora l’Agenzia europea dell’Ambiente. Intanto, 12 Paesi membri del See hanno avuto tutti i loro terreni agricoli esposti a valori inferiori alla soglia del valore obiettivo nel 2022: i 5 Paesi nordici, le tre repubbliche baltiche, il Benelux e l’Irlanda.

L’obiettivo a lungo termine è in linea con il livello critico di ozono per la protezione delle colture definito dalla Convenzione della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (Unece) sull’inquinamento atmosferico transfrontaliero a lungo raggio (Clrtap o Convenzione aerea). Nel 2022, questo obiettivo a lungo termine è stato raggiunto solo per l’11,2% della superficie agricola totale dei Paesi del See. Finlandia, Islanda, Irlanda, Lettonia e Lituania sono stati gli unici Paesi del See ad avere tutti i loro terreni agricoli esposti a valori inferiori all’obiettivo a lungo termine”, ha puntualizzato l’Agenzia. Per quanto riguarda la protezione delle foreste, la Convenzione Unece definisce un livello critico di esposizione all’ozono, come Aot40 definito da aprile a settembre, pari a 10.000 μg/m3 ora. “Tra il 2005 e il 2022 sono state osservate ampie variazioni nell’esposizione delle aree forestali all’ozono. Nel 2006, quasi tutte le foreste sono state esposte a livelli superiori al livello critico e nel 2018 ciò è avvenuto per l’87,5% della superficie forestale. Al contrario, nel 2015, 2017 e 2020, oltre il 40% delle foreste era esposto a livelli inferiori al livello critico, con un valore simile del 38% nel 2022. Nel 2022, il livello critico per le foreste non è stato superato in Estonia, Finlandia, Islanda e Lituania”, ha specificato in conclusione l’Agenzia europea.

I grandi vecchi che stanno dietro l’ambientalismo estremista

Continuo a pensare che dietro l’estremismo ambientalista, ideologico ed astratto, che purtroppo ha orientato negli ultimi dieci anni anche le politiche europee contro il climate change e per il così detto green deal, ci siano anche alcuni “grandi vecchi”, sconfitti nel loro credo dalla storia, ma che hanno rivestito lo spirito e il pregiudizio anticapitalista e anti-impresa con le bandiere dei verdi.

La lettura di un libro-intervista importante per il peso degli autori, Noam Chomsky e Robert Pollin: ‘Climate Crisis and the Global Green New Deal’ (2020 ed. Verso Books), mi ha definitivamente convinto di ciò e mi ha fatto ancora di più comprendere che se la battaglia contro il climate change per preservare il pianeta a beneficio delle future generazioni non si libererà al più presto del furore e dell’estremismo ideologico di questi grandi vecchi è destinata a fallire, travolta dagli schematismi astratti e dalle reazioni di rigetto che tutti gli estremismi provocano.

Noam Chomsky (Philadelphia 1928) non ha bisogno di presentazioni. È il maggiore linguista vivente e uno dei punti di riferimento della sinistra radicale americana e internazionale. È professore emerito all’MIT (Massachusetts Institute of Technology).

Robert Pollin (Washington 1950) è professore di Economia e Co-direttore del Political Economy Research Institute (PERI) alla University of Massachusetts Amherst e da molti anni si occupa di green economy.

I due intellettuali americani, veri e propri maîtres à penser cui si ispirano vasti settori della sinistra ambientalista, confermano nel loro libro-intervista che vi è una corrente di pensiero vasta e influente che ha trasformato le politiche ambientali e le lotte al cambiamento climatico in una moderna religione neopagana che di fatto demonizza il progresso economico e tecnologico, e che predica per il futuro sacrifici dolorosi oppure l’Apocalisse imminente. Non a caso la traduzione italiana del loro libro reca come titolo “Minuti contati”.

La tesi di fondo è che occorre considerare la crisi climatica come il prodotto di un sistema che ha guidato l’economia da più di 500 anni. Noam Chomsky afferma senza tentennamenti che “la tendenza intrinseca del capitalismo è degradare l’ambiente da cui dipende la vita. La logica capitalistica, se priva di vincoli, è una ricetta per la distruzione”; e ancora, collegandosi e rispolverando nostalgicamente i dogmi del marxismo-leninismo, afferma nell’intervista che “gli elementi fondanti del capitalismo conducono direttamente alla distruzione delle basi della vita sociale”. E prosegue: “Il modello occidentale di industrializzazione è stato fondato sulla schiavitù (con la creazione dell’impero del cotone e degli elementi costitutivi di gran parte dell’economia moderna), sul carbone (che si trovava in abbondanza in Inghilterra e altrove) e nel ventesimo secolo sul petrolio”.

Come non cogliere, in queste affermazioni, non solo le radici di un ambientalismo fondamentalmente anticapitalista ma anche quelle della così detta “cancel culture” che bolla tutta la storia occidentale come un abominio?

Le ricette di Chomsky e Pollin, quando gli autori cercano di passare alla pars construens, sono quanto mai vaghe e confuse. Vengono scartate, come strumenti per raggiungere la decarbonizzazione dell’economia, tutte le tecnologie non rinnovabili (nucleare, carbon capture, biocombustibili ecc.): e anche in questo caso non possiamo non ricollegare tale rifiuto alla battaglia campale, ancora in corso in Europa, per negare il concetto di “neutralità tecnologica” che è stato combattuto a lungo dall’ambientalismo radicale.

Nel mio piccolo vorrei, proprio partendo dal tema delle tecnologie, fare le mie principali contestazioni al pensiero anticapitalista e antioccidentale dei due intellettuali  statunitensi.

Non si tratta tanto di fare una difesa di principio del capitalismo e dell’ideologia neo-liberista, che di fatto non ha governato adeguatamente gli effetti della globalizzazione soprattutto nei confronti di vasti strati sociali occidentali che oggi soffrono e si ribellano.

Né si tratta d’altra parte di ricordare che proprio la globalizzazione capitalista ha tolto dalla miseria miliardi di persone nel mondo, soprattutto nelle economie emergenti, ed ha allungato la speranza di vita media come mai era successo nella storia dell’umanità.

Vorrei strettamente rimanere sul tema del climate change.

Oggi in realtà i più grandi sforzi di decarbonizzazione sono condotti proprio in occidente, in Europa e negli Stati Uniti d’America, dove sono proprio le imprese capitalistiche, in moltissimi settori, che fanno ricerca e innovazione per raggiungere processi e prodotti industriali sempre più sostenibili. Come si è già detto, non mancano gravi problemi di protezione di tutti quei settori industriali e di quelle classi sociali, già indeboliti dalla globalizzazione e ancor più colpiti dalle conseguenze di processi di deindustrializzazione provocati dalla gestione ideologica e estremista di tali politiche: “Voi parlate della fine del mondo ma noi ci preoccupiamo della fine del mese. Come sopravviveremo alle vostre riforme?” è questa la domanda pressante a cui bisogna dare risposte concrete onde evitare un rigetto totale delle politiche ambientaliste.

Ma nonostante tutti i problemi e le difficoltà l’Occidente andrà avanti, correggendo magari gli approcci più astratti e insensati della decarbonizzazione, ma andrà avanti con la ricerca, l’innovazione, lo sviluppo di nuove tecnologie e la crescita necessaria per finanziare gli enormi investimenti necessari a combattere il cambiamento climatico, perché tutto ciò fa parte del corredo genetico del capitalismo. E saranno le imprese che svilupperanno questo programma, a condizione di non essere criminalizzate e contrastate fino a farle chiudere.

Noam Chomsky e Robert Pollin guardano con diffidenza a tutto ciò. È talmente grande il pregiudizio anticapitalistico che si ha la sensazione che leggano la maggior parte di questi processi come “greenwashing”.

Ma c’è un’altra critica ancora più sostanziale al loro ragionamento: non vi è in esso alcuna seria considerazione di ciò che sta effettivamente avvenendo nel mondo.

I dati sui consumi energetici del 2023 a livello mondiale ci dicono infatti due cose: la prima è che le fonti rinnovabili crescono in tutto il mondo a doppia cifra; ma la seconda è che parallelamente cresce anche il consumo di combustibili fossili, petrolio, gas e carbone.

La spiegazione di tutto ciò è semplice. I consumi totali di energia crescono soprattutto perché trainati dalle economie emergenti, come Cina e India, e le rinnovabili non riescono neanche a coprire l’aumento della domanda. Così i combustibili fossili continuano a soddisfare più dell’80% (!) del consumo totale di energia a livello mondiale: esattamente quanto succedeva 20 anni fa in termini percentuali, ma con il piccolo problema che i valori assoluti si sono più che raddoppiati, con le conseguenze facilmente immaginabili sulle emissioni totali di CO2.

Ciò naturalmente è dovuto anche al fatto che non basta solo l’elettricità prodotta dalle rinnovabili, perché ci sono settori come quelli del trasporto aereo, del trasporto marittimo, di quello su gomma oppure di taluni processi industriali non elettrificabili e del riscaldamento domestico che continuano ad avere bisogno del petrolio e/o dei suoi derivati.

Risultato: le emissioni totali continuano ad aumentare e hanno registrato il loro picco storico proprio nel 2023.

Intere aree del mondo, Asia e Africa in primis, hanno un’enorme fame di energia, una fame di energia che non può essere soddisfatta solo dal sole e dal vento, che sono fonti non programmabili, ed hanno bisogno di altre fonti capaci di coprirne la temporanea assenza (cioè quando non c’è il sole e quando non c’è il vento). Ed è questa una delle ragioni per le quali ci si torna ad occupare intensamente, in molte nazioni del mondo compresa l’Italia, di nucleare e delle sue nuove tecnologie di quarta generazione con gli SMR (small reactor) e con i microreactor, molto più sicuri e meno costosi.

I “grandi vecchi” sembrano non accorgersi di questa contraddizione e, forse in omaggio ad un terzomondismo duro a morire, pongono con forza il tema della decarbonizzazione dei paesi occidentali, ed omettono di fare altrettanto con riferimento a quei Paesi che sono già i colossi economici di oggi come Cina, India, Indonesia, Brasile, Turchia e Russia, cioè tutti quei paesi che rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale, la stragrande maggioranza delle emissioni di CO2 nell’atmosfera e che esplicitamente si pongono come un’alternativa all’occidente.

Se oggi per un colpo di bacchetta magica tutta l’industria europea chiudesse facendo sparire le sue emissioni di CO2, che son più o meno il 3,5% di tutte le emissioni mondiali (!), ciò non servirebbe a nulla perché le stesse aumentano nel globo annualmente della stessa quantità.

Infine, Chomsky e Pollin fanno sorridere quando scartano per l’Occidente il nucleare civile, per la sua presunta vicinanza a questioni militari, e nulla si sentono di dire del continuo arricchimento dell’uranio fatto in Iran e in altri stati canaglia per arrivare alla bomba.

Al via la presidenza ungherese del Consiglio dell’Ue, le priorità su clima e ambiente

Promuovere la transizione verso un’economia circolare, verde e climaticamente neutra, facendo in modo che abbia il favore dei cittadini: è la direzione su cui lavorerà la presidenza ungherese dell’Ue – da oggi a fine anno – cercando di puntare anche su competitività e giusta transizione. Nel suo programma per i prossimi sei mesi in cui guiderà il Consiglio dell’Ue, al capitolo ‘Un’Europa sostenibile, sana e competitiva’ si legge che la priorità di Budapest sarà “discutere l’attuazione degli obiettivi definiti nel Green deal europeo e nel pacchetto Fit for 55, nonché promuovere la transizione verso un’economia circolare, verde e climaticamente neutra” contribuendo alla triplice sfida di ridurre l’inquinamento, mitigare il cambiamento climatico e preservare la biodiversità. Sul fronte della politica climatica, per il Paese magiaro lo scopo è contribuire sia al mantenimento del ruolo guida dell’Ue sulla scena globale che al processo di definizione di un obiettivo climatico intermedio entro il 2040, “ambizioso ma raggiungibile, che garantisca che nessun cittadino o Stato membro venga lasciato indietro, assicurando insieme la competitività e la sicurezza dell’approvvigionamento energetico dell’Ue”.

Allo stesso tempo, la presidenza ungherese mira a monitorare da vicino l’attuazione del pacchetto ‘Fit for 55’ del 2030come pietra angolare” per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e, in questo contesto, “si impegna a discutere le sfide e condividere le buone pratiche dei vari Stati membri: siamo fermamente convinti che una transizione verde di successo possa essere raggiunta solo se sostenuta dai cittadini”.

Nel suo semestre di presidenza, l’Ungheria lavorerà “a promuovere una più agevole cooperazione tra gli Stati membri e la Commissione europea sui piani nazionali per l’energia e il clima” mentre alla 29a Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop29) “si sforzerà di porre la massima enfasi possibile sull’incoraggiamento dell’azione per il clima da parte dei Paesi terzi, nonché di tenere conto degli aspetti di sicurezza del cambiamento climatico”.

Per quanto riguarda la tutela della biodiversità – definita “uno dei pilastri ambientali dell’Ue” – la presidenza ricorda gli eventi internazionali che si terranno sul tema nei prossimi mesi, dove il suo compito sarà preparare, organizzare e garantire la rappresentanza dell’Ue e dei suoi Stati membri. Rispetto all’inquinamento, la presidenza intende “compiere ulteriori passi verso l’obiettivo dell’inquinamento zero entro il 2050, promuovendo i negoziati in corso sulle proposte legislative presentate durante l’attuale mandato della Commissione al fine di ridurre al minimo l’inquinamento”.

L’obiettivo per Budapest è compiere progressi significativi, ad esempio, sulle proposte legislative sul monitoraggio del suolo e sul pacchetto One Substance One Assessment (Osoa). Altra priorità dell’Ungheria per il suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Ue è l’economia circolare e nel suo programma ha messo nero su bianco che “farà tutto quanto in suo potere per sostenere l’aumento della competitività e la protezione della natura nell’Unione europea nel suo insieme, incoraggiando il riutilizzo e sviluppando un sistema di raccolta e utilizzo dei rifiuti di qualità basato su soluzioni nuove e innovative”, senza che questo riduca la competitività globale delle imprese europee. Inoltre, la presidenza ungherese lavorerà per “promuovere un accordo sulla regolamentazione dei veicoli fuori uso per creare un quadro giuridico sostenibile e completo per l’industria automobilistica” e per “ottenere i maggiori progressi possibili nei negoziati sulla direttiva Green Claims”, contro il greenwashing.

Infine, per quanto riguarda il capitolo agricoltura e pesca, il programma sottolinea le pressioni sul settore date dal contesto geopolitico e dagli effetti del cambiamento climatico così come dai requisiti di produzione e dagli oneri amministrativi. “La presidenza ungherese faciliterà le discussioni su come creare un sistema alimentare europeo competitivo, a prova di crisi, sostenibile, favorevole agli agricoltori e basato sulla conoscenza”, si legge. Nel campo della pesca, “la presidenza ungherese dedicherà particolare attenzione allo sviluppo di un settore dell’acquacoltura europeo sostenibile e competitivo” e alla promozione di “una pesca europea sostenibile dal punto di vista ambientale, economico e sociale, fissando le catture annuali ammissibili per gli stock ittici in modo prevedibile e basato sulla scienza”.

Le spugne ‘magiche’ cancella-tutto rilasciano microplastiche

Se possedete un paio di scarpe bianche o avete mai provato a rimuovere una macchia di pastello da un muro, probabilmente siete grati alle spugne di melamina. La buona notizia è che questi prodotti cancellano praticamente le macchie e i graffi più difficili grazie alla loro particolare abrasività e senza l’uso di altri prodotti per la pulizia. La cattiva è che pur essendo “magiche” rilasciano fibre di microplastica quando si consumano. Lo rivela una ricerca pubblicata su ACS’ Environmental Science & Technology, secondo la quale a livello mondiale, le spugne di melamina potrebbero rilasciare oltre mille miliardi di fibre microplastiche ogni mese.

La schiuma di melamina è fatta di polimero di poli(melamina-formaldeide), una rete di fili di plastica dura assemblati in una schiuma morbida e leggera, sorprendentemente abrasiva, che la rende il materiale perfetto per ‘cancellare’ (quasi) tutto. Tuttavia, quando le spugne si consumano con l’uso, la schiuma si rompe in pezzi più piccoli che possono rilasciare fibre di microplastica che si riversano nei sistemi fognari. Una volta rilasciate nell’ambiente, le fibre possono essere consumate dalla fauna selvatica ed entrare nella catena alimentare.

Il team di ricerca ha acquistato diverse spugne di tre marche popolari, poi le ha strofinate ripetutamente contro superfici metalliche strutturate, provocando l’usura della schiuma. Hanno scoperto che le spugne fatte di schiuma più densa si consumavano più lentamente e producevano meno fibre di microplastica rispetto a quelle meno dense. Il team ha poi determinato che una singola spugna rilascia circa 6,5 milioni di fibre per grammo usurato e ha ipotizzato che tutte le spugne vendute, in media, siano usurate del 10%. Per avere un’idea approssimativa di quante fibre potrebbero essere rilasciate al mese, hanno esaminato le vendite mensili di Amazon per l’agosto 2023. Supponendo che questi numeri rimangano costanti, il team ha calcolato che ogni mese potrebbero essere rilasciati 1,55 trilioni di fibre dalle spugne di melamina. Tuttavia, questo numero tiene conto di un solo rivenditore online, quindi la quantità reale potrebbe essere ancora più alta.

Per ridurre al minimo l’emissione di fibre di microplastica, i ricercatori raccomandano ai produttori di creare spugne più dense e resistenti all’usura. Inoltre, suggeriscono ai consumatori di optare per prodotti per la pulizia naturali che non utilizzano plastica e raccomandano l’installazione di sistemi di filtraggio per catturare le fibre di microplastica rimosse in casa o negli impianti di trattamento delle acque reflue.

Ecologisti prendono di mira l’aereo privato di Taylor Swift: “Inquina troppo”

Dopo il sito preistorico di Stonehenge, giovedì il controverso gruppo ambientalista Just Stop Oil ha preso di mira i jet privati sulla pista dell’aeroporto internazionale di Stansted, vicino a Londra, nella speranza di trovare l’aereo di Taylor Swift. Intorno alle 5 del mattino (4 GMT), due attivisti, di 22 e 28 anni, hanno sfondato la recinzione dello scalo, che si trova nel nord-est della capitale britannica, per entrare nell’area in cui sono parcheggiati molti jet privati. Una volta entrati, gli attivisti hanno spruzzato due aerei con bombolette di vernice arancione prima di essere arrestati. Just Stop Oil ha affermato che uno degli aerei parcheggiati nell’area era quello della star americana Taylor Swift, che si esibirà a Londra venerdì e questo fine settimana e che è già stata criticata per aver viaggiato con un jet privato.

Secondo l’associazione, il suo aereo era arrivato all’aeroporto qualche ora prima, ma la star non era presente al momento dell’intrusione, ha dichiarato la polizia. Due anni fa, ancora prima dell’inizio del suo monumentale tour ‘Eras’, l’agenzia di marketing Yard l’aveva classificata come la “celebrità più inquinante dell’anno”, con 170 voli in sette mesi. La polizia dell’Essex ha dichiarato che gli attivisti sono stati arrestati pochi minuti dopo essere entrati nel sito. “L’aeroporto e i voli stanno operando normalmente”. I due sono sospettati di “danni criminali e di aver ostacolato l’uso o il funzionamento di un’infrastruttura nazionale”, si legge nel comunicato.

In una dichiarazione rilasciata da Just Stop Oil, uno degli attivisti arrestati ha criticato “i miliardari che vivono nel lusso e hanno i mezzi per volare in jet privati, senza preoccuparsi delle condizioni di vita” di milioni di persone colpite dalle conseguenze della crisi climatica. “I passeggeri che utilizzano jet privati sono responsabili di una quantità di emissioni di CO2 14 volte superiore a quella dei passeggeri di un volo commerciale”, ha aggiunto il gruppo ambientalista. Just Stop Oil chiede la fine dello sfruttamento dei combustibili fossili entro il 2030. Le sue azioni spettacolari e controverse, in particolare nei musei, nelle competizioni sportive o durante gli spettacoli, valgono regolarmente ai suoi attivisti pene detentive.

Giovedì, due donne ottantenni dovranno comparire davanti a un tribunale di Londra per aver danneggiato la teca di vetro che protegge una copia della Magna Carta, il testo fondante della democrazia moderna, esposto alla British Library di Londra. Sono stati accusati di “danneggiamento criminale” e rilasciati su cauzione in attesa dell’udienza. Mercoledì scorso, gli attivisti hanno spruzzato vernice a base di amido di mais sui monoliti del sito preistorico di Stonehenge, noto per le sue pietre erette che formano una serie di cerchi misteriosi.

La polizia del Wiltshire ha arrestato due persone “per il sospetto di aver danneggiato il monumento” e l’azione è stata condannata da tutti i politici britannici, compresi il primo ministro Rishi Sunak e il suo rivale laburista Keir Starmer.

G7, la società civile chiede giustizia climatica e alimentare. Cosa dice il Civil 7

Giustizia. Climatica, alimentare. E poi pace, sicurezza comune e disarmo nucleare. Sono alcuni dei punti richiesti dal Civil Seven, il gruppo di ingaggio ufficiale della società civile internazionale nel processo G7.

Circa 700 organizzazioni provenienti da 70 Paesi, divise in sette gruppi di lavoro sui diversi temi quali clima, finanza, giustizia economica, pace, human mobility e migrazioni, in preparazione del Summit C7 che si è svolto a Roma, presso la sede della Fao, il 14 e 15 maggio 2024. In quell’occasione è stato prodotto il ‘Civil 7 Communiqué’, il comunicato contenente le proposte sviluppate dai Gruppi di Lavoro che è stato presentato alla Presidenza del G7. “Chiediamo che venga rispettato il diritto internazionale umanitario e quindi che vengano garantiti, anche nei paesi colpiti da guerre, i diritti umani e l’accesso umanitario. E chiediamo che ci sia un approccio alle migrazioni più rivolto alla mobilità umana”, ha spiegato Valeria Emmi, sherpa del Civil Seven. Inoltre, “chiediamo che ci sia una giustizia alimentare e quindi una trasformazione dei sistemi alimentari che possano consentire davvero un futuro sostenibile”.

In questo senso, il Civil 7 torna a ribadire la necessità di interventi ‘urgenti’ di risposta alla crisi climatica, con uno sguardo “di lungo periodo”, che davvero possa raggiungere gli obiettivi che la comunità internazionale si è data entro il 2030. “Quindi uno sviluppo sostenibile davvero per tutti”, continua Emmi.

In generale, il Civil 7 fornisce una piattaforma alle organizzazioni della società civile (OSC) per presentare proposte e richieste volte a proteggere l’ambiente e promuovere lo sviluppo sociale ed economico e il benessere per tutti, garantendo una vita sana, l’uguaglianza di genere, i diritti umani e il principio di non lasciare nessuno in dietro, stimolando in questo un dialogo costruttivo con il G7.

Per tutti i temi sollevati, “il G7 può essere parte del problema o parte della soluzione”. Su questo, ribadisce il Civil 7 “devono decidere i leader attraverso azioni ambiziose e audaci e veramente urgenti. Perché non possiamo più aspettare, siamo ad un punto di non ritorno”.
Nel documento presentato alla Presidenza italiana del G7, si ricorda infatti come “molteplici crisi prolungate e spesso dimenticate, gli attacchi palesi contro i civili e le infrastrutture civili, dimostrano chiare violazioni e mancanza di rispetto del diritto internazionale umanitario e dei principi umanitari”.

Per questo, la società civile internazionale riunita nel Civil 7 ritiene necessario riconoscere la rilevanza critica del momento presente e la responsabilità di tutti gli attori, compreso il G7 e la sua Presidenza, di affrontare la situazione attuale con la massima importanza. “Le minacce alla salute del pianeta e dell’umanità necessitano di iniziativa politica, ambizione e responsabilità – continua – La fragilità della pace globale, la povertà, le disuguaglianze, l’ingiustizia, i loro fattori trainanti e le cause profonde, oltre alla violenza viene perpetrato impunemente su scala catastrofica, richiedono la massima urgenza e un’azione concreta e coraggiosa”

Al centro di tutto, la pace. “Una pace positiva – precisa Emmi – quindi non solo una risposta alle guerre, ma la costruzione di una sicurezza comune, un investimento non tanto in riarmo ma destinato a uno sviluppo sostenibile, per politiche che siano coerenti a livello globale e che davvero possano perseguire i diritti umani e garantire un futuro sostenibile”.

Il guardaroba di Vivienne Westwood va all’asta per il clima e i diritti umani

Il guardaroba personale della stilista britannica Vivienne Westwood sta per essere messo all’asta a Londra, a favore di cause vicine al cuore della ‘regina del punk’. La vendita da Christie’s comprende più di 250 capi e accessori, la maggior parte dei quali sono stati indossati in passerella prima di tornare negli armadi della stilista.

La collezione comprende alcuni dei pezzi più iconici, con corsetti, tartan, abiti di taffetà fluttuanti, tacchi a spillo e T-shirt con messaggi a sfondo politico. La vendita online apre il 14 giugno e durerà fino al 28 giugno, mentre la vendita interna è prevista per il 25 giugno.

Tra gli oggetti messi all’asta ci sono carte da gioco progettate per attirare l’attenzione su questioni come il riscaldamento globale, la disuguaglianza sociale e i diritti umani. Dieci sono state firmate dalla designer, morto nel 2022 all’età di 81 anni, per raccogliere fondi per Greenpeace.

Il ricavato della vendita andrà anche ad associazioni come Amnesty International, Medici senza frontiere e alla fondazione della stilista, che collabora con le Ong per “creare una società migliore e fermare il cambiamento climatico”.

La responsabile del catalogo e coordinatrice della collezione Clementine Swallow spiega che le carte da gioco di Vivienne sono il catalizzatore di un’asta più ampia. Sebbene Vivienne Westwood “sapesse che non sarebbe stata in grado di vedere il progetto”, “voleva che il suo guardaroba personale fosse venduto per sostenere altri enti di beneficenza che erano importanti per lei”, aggiunge.

Il vedovo della stilista, Andreas Kronthaler, 58 anni, è stato molto coinvolto. “Ha assemblato personalmente tutti i lotti in abiti che lei avrebbe indossato”, dice Swallow. “Questi erano gli oggetti che lei aveva scelto, tra le migliaia di cose che aveva disegnato in 40 anni”, spiega, “e li considerava la quintessenza dei suoi disegni”.

La collezione comprende una serie di pezzi chiave che illustrano l’impatto culturale di Vivienne Westwood e l’ampia gamma di influenze che ha avuto nei quattro decenni della sua carriera. Il primo pezzo è un set di gonna e giacca della collezione autunno-inverno 1983, intitolata ‘Witches’, quando la stilista lavorava ancora con il suo primo marito e manager dei Sex Pistols, Malcolm McLaren.

Secondo Swallow, Westwood è stata influenzata dalla storia britannica ma ha dato ai modelli classici un tocco provocatorio, evocando un abito da ballo in taffetà con “fasce nere in stile bondage”. Molti capi presentano motivi politici e slogan che riflettono la sua attenzione per la giustizia sociale.

“Una parte importante dell’identità di Vivienne è l’attivismo”, “è davvero una di quelle stiliste che ha preso i suoi abiti e li ha usati come megafono per esprimere le sue idee e opinioni politiche”, secondo la direttrice del catalogo.

Tra gli altri pezzi scelti, il modello in tartan rosa di Vivienne Westwood e una giacca blu simile a quella indossata da Naomi Campbell quando, nel 1993, cadde in passerella mentre indossava tacchi alti 30 centimetri. Ci sono anche i primi esempi di corsetti elasticizzati della stilista, che sottolineano la sua abitudine di unire comfort e bellezza.

Anche la sostenibilità e la moda etica sono temi chiave. Forse il pezzo più costoso è un abito cucito a mano con intricate perline e pannelli d’oro, creato con artigiani del Kenya.
Tutti i materiali utilizzati per esporre gli articoli sono riciclati o riciclabili, compresi i cartelli di cartone e gli stand di compensato.

“È stata una grande lezione per noi”, dice Clementine Swallow, e dimostra che “è possibile realizzare collezioni che possono essere riciclate”.

Gli oggetti sono valutati tra le 200 e le 7.000 sterline, ma ci si aspetta che vengano venduti a un prezzo molto più alto.

foresta

INFOGRAFICA INTERATTIVA Ambiente, i comportamenti eco-compatibili degli italiani

Nell’infografica INTERATTIVA di GEA, i comportamenti eco-compatibili, ovvero maggiormente rispettosi per l’ambiente, degli italiani. Secondo Istat nel 2023 aumenta la consapevolezza per la sostenibilità e i cittadini “sono sempre più attenti alla conservazione delle risorse naturali”. La quota di quanti fanno abitualmente attenzione a non sprecare energia arriva al 72,8%, mentre il 69,8% presta attenzione a non sprecare l’acqua e il 50% a non adottare mai comportamenti di guida rumorosa al fine di limitare l’inquinamento acustico. Mostra attenzione ai temi della sostenibilità ambientale anche il 35,8% della popolazione che legge le etichette degli ingredienti e il 23,5% che acquista prodotti a chilometro zero.

L’ingegnera energetica Claudia Sheinbaum sarà la prima presidente donna del Messico

L’ex sindaca di Città del Messico, la candidata di sinistra Claudia Sheinbaum, è stata scelta come prima donna presidente nella storia del Messico. Laureata in ingegneria energetica, nata il 24 giugno 1962 a Città del Messico da genitori politicamente impegnati, ha fatto suo lo slogan del presidente uscente, “prima i poveri”, rivolto tra l’altro alle comunità indigene discriminate. Negli anni ’80, Claudia Sheinbaum era una brillante studentessa che combinava un master in ingegneria energetica all’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) con il suo coinvolgimento nel Consiglio degli studenti universitari (CEU) per opporsi alla riforma universitaria.

Claudia Sheinbaum è entrata in politica con l’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador, che è stato sindaco di Città del Messico tra il 2000 e il 2006. Le ha affidato il portafoglio dell’ambiente, che è di importanza strategica in questa megalopoli di nove milioni di abitanti. La giovane eletta ha contribuito alla costruzione della seconda fase della “circonvallazione” per decongestionare una delle autostrade urbane che attraversano Città del Messico. Sheinbaum ha anche lanciato corsie per gli autobus e piste ciclabili.

Già all’università nel 2006, la scienziata messicana ha contribuito al lavoro del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), che ha ricevuto il Premio Nobel per la pace nel 2007. La sua area di competenza? La mitigazione dei cambiamenti climatici.

Fedele al suo mentore Lopez Obrador, la 61enne ha promesso di portare avanti il “salvataggio” della compagnia petrolifera (pubblica) Pemex, che porta con sé un debito di circa 100 miliardi di dollari. E si è impegnata a investire 13,6 miliardi di dollari nelle energie rinnovabili entro il 2030. “Daremo impulso alla transizione energetica”, ha dichiarato l’ex membro del panel del Gruppo internazionale di esperti climatici (IPCC).

Nasce ‘School of Sustainability’, un nuovo modello educativo che parte dai banchi di scuola

Photo Credit: School of Sustainability

 

La risposta educativa alla questione ambientale della scuola ha un nome e una mission specifica: School of Sustainability, la nuova iniziativa promossa da Bolton Hope Foundation e Future Education Modena che mira a trasformare l’apprendimento partendo dal tema più importante per il futuro dei giovani, l’ambiente e la sostenibilità. In un’Europa sempre più orientata alla transizione ecologica indicata dal Green Deal, School of Sustainability non si propone soltanto come modello didattico innovativo ma offre una cornice per dare alla nuova generazione di studentesse e studenti gli strumenti e le competenze per generare cambiamento.

Lo sviluppo di questa iniziativa avviene a seguito della pubblicazione del nuovo Quadro di competenze per l’educazione alla sostenibilità dell’Unione europea, il “GreenComp”, diventato il punto di riferimento per le traiettorie di lavoro in ambito educativo finalizzate a sviluppare le abilità e le attitudini più importanti per chi trascorrerà la maggior parte della vita all’interno di un mondo che si muove verso la direzione della transizione ecologica. Appropriazione dei valori legati alla sostenibilità ambientale, sviluppo del pensiero critico e sistemico, “capacità di immaginare futuri possibili” (future thinking) e capacità di azione multilivello (dal singolo alla collettività): sono queste le competenze di una educazione all’ambiente moderna ed efficace.

D’altra parte, è indubbio che le sfide ambientali di oggi richiedono competenze elevate, e quindi nuovi cittadini capaci di affrontare la complessità del contesto socio-economico contemporaneo caratterizzato da una sempre maggiore ricerca della sostenibilità all’interno dei contesti domestici, sociali e produttivi. Proprio per questo il sistema educativo deve favorire lo sviluppo di forti capacità analitiche e la propensione a cercare soluzioni: queste competenze sono al centro dell’iniziativa School of Sustainability. Future Education Modena, con il supporto di Bolton Hope Foundation, ha messo a punto un modello educativo innovativo che si poggia su 3 pilastri: il rigore scientifico e metodologico, l’intelligenza collettiva e uno scenario di riflessione basato sulle opportunità di cambiamento e sulla ricerca di soluzioni possibili.

Questo nuovo modello educativo vuole stimolare la scoperta dei principali temi ambientali e al contempo favorire la propensione all’azione da parte delle ragazze e dei ragazzi. Partendo dalla condivisione del sapere scientifico, i giovani possono appropriarsi della tematica affrontata esplorandola all’interno del contesto territoriale della propria scuola e della propria città, interagendo con esso e progettando soluzioni creative ai problemi individuati. Se il tema è la qualità dell’aria, ad esempio, l’azione degli studenti può partire dall’analisi del proprio contesto di vita, esaminando i dati disponibili, intervistando tecnici ed esperti, ragionando collettivamente e sviluppando idee per migliorare la situazione esistente.

Se invece l’argomento da affrontare è il processo di transizione energetica, l’attività può basarsi sulla valutazione dello stato di fatto all’interno dell’edificio scolastico oppure ragionando sulla scala della singola abitazione o del quartiere. Lo studio delle buone pratiche sempre più diffuse nell’ambito delle riqualificazioni energetiche degli edifici e delle comunità energetiche diventa il punto di partenza per proporre soluzioni concrete, sviluppate attraverso incontri mirati e lavori di gruppo, con un output che potrà essere messo a disposizione dei decisori pubblici e privati attivi nel contesto locale. Studentesse e studenti diventano quindi attori protagonisti del processo di transizione ecologica: è nelle sue ambizioni, un cambio di paradigma che finalmente pone al centro della transizione le generazioni più giovani, che possono passare dalla richiesta di risposte alla crisi ambientale alla proposta di soluzioni applicabili per il proprio territorio.

L’iniziativa è rivolta principalmente alle scuole secondarie di I grado. L’approccio pratico e partecipato in modo collettivo consente inoltre di contrastare la climate change anxiety, di sviluppare un senso di responsabilità personale e collettiva verso l’ambiente e la consapevolezza del proprio ruolo per tutelare la salute della società e del pianeta. School of Sustainability coinvolge gli insegnanti in un percorso di formazione che si declina attraverso una delle 4 traiettorie tematiche offerte: per ciascuna, si propone un percorso didattico che parte dalle conoscenze scientifiche necessarie per comprendere l’argomento, fino ad arrivare all’azione progettuale finalizzata al miglioramento del contesto locale in cui le scuole si trovano a vivere. L’iniziativa favorisce così la nascita di una community nazionale di scuole per lo scambio di esperienze, il supporto reciproco e la condivisione dei risultati ottenuti dalle diverse classi.

All’interno di School of Sustainability le comunità (dei docenti e delle scuole partecipanti), diventano il luogo in cui si sviluppano analisi e si generano proposte per trasformare concretamente il rispettivo contesto di vita. I numeri: 4 Track tematiche, traiettorie strategiche relative ai principali temi della transizione ecologica, transizione energetica degli edifici, città verdi e valorizzazione degli ecosistemi urbani, pianificazione e clima locale, per riprogettare gli spazi urbani con interventi naturalistici, miglioramento della qualità dell’aria; 20 Unità Didattiche, per declinare in modo approfondito le basi scientifiche necessarie al processo di transizione; 4 Challenge, sfide progettuali legate alle track tematiche che le scuole utilizzano come traccia per generare impatto: Progetti Attivi sui territori, con una visione di sistema del contesto locale e una modalità partecipativa finalizzata a coinvolgere decisori pubblici e privati, a partire dalle Amministrazioni Pubbliche Locali; 70 classi coinvolte, 60 workshop in presenza in alcuni contesti specifici del territorio nazionale (Piemonte, Emilia-Romagna, Campania e Puglia) per stimolare la discussione nella classe e promuovere l’approccio concreto e positivo alla risoluzione dei problemi ambientali.

Coinvolte le scuole di città e comuni delle province di Bari, Bergamo, Brescia, Caserta, Cuneo, Foggia, Genova, Lecce, Modena, Napoli, Padova, Parma, Reggio Emilia, Torino, Trento; 4 incontri con esperti di settore capaci di condividere esperienze personali e progetti di rilevanza nazionale sui temi affrontati, trasmettere determinazione e passione per ispirare l’azione degli studenti e orientarli nella scelta del loro percorso formativo; 2 modelli di valutazione: dello sviluppo della professionalità dei docenti e della crescita degli studenti in termini di consapevolezza e competenze; 181 insegnanti coinvolti nel processo formativo, nelle unità didattiche complete o nei percorsi brevi, di ispirazione.

L’iniziativa si sviluppa su tutto il territorio nazionale, con libera adesione delle scuole interessate a partecipare. School of Sustainability intende affrontare la sostenibilità in modo interdisciplinare, approcciare i temi partendo dallo studio analitico delle principali questioni ambientali del nostro tempo, arrivando allo svolgimento di attività di gruppo per lo sviluppo di soluzioni per il proprio territorio. All’interno di questo percorso ci si occupa dello studio del contesto locale, dell’analisi del territorio e della specifica problematica, e si arriva allo sviluppo di progetti proposti dagli studenti stessi. Questo approccio favorisce il coinvolgimento di tutti, la condivisione, l’apprendimento e lo sviluppo di un’intelligenza collettiva che stimola un processo di crescita collettiva e individuale. L’altro aspetto determinante è lo sviluppo di competenze specifiche in ambito scientifico, attraverso l’analisi dei dati, lo studio sul campo della situazione esistente, l’adozione di un metodo di lavoro pratico e collettivo.

Sviluppo di competenze e creazione di impatto sociale sono i due obiettivi centrali di School of Sustainability. Da una parte l’iniziativa si propone di coniugare l’acquisizione di conoscenze e competenze connesse alla dimensione della sostenibilità con lo svolgimento di “compiti di realtà” che simulano le attività svolte dai tecnici del settore (adattate in ogni ordine di scuola). Dall’altra si creano sinergie all’interno dei territori favorendo il contatto e la collaborazione tra la scuola e gli enti locali, i decisori privati e la cittadinanza, a vari livelli. Per questo, alla fine del percorso non saranno solo le studentesse e gli studenti ad aver acquisito capacità e a essere cresciuti, ma anche la società stessa.