Turkson ecologista integrale: Grido della Terra è grido dei poveri

Peter Turkson (Ghana), 76 anni – Cancelliere della Pontificia accademia delle Scienze e della Pontificia accademia delle Scienze sociali, il cardinale ghanese originario di Wassaw Nsuta è stato prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale. E’ una delle voci più autorevoli del mondo cattolico nell’ambito della giustizia ambientale, con una visione che intreccia rispetto del creato, diritti umani e sviluppo economico sostenibile. Ha elogiato più volte gli attivisti climatici e definito Greta Thunberg “una grande testimone dell’insegnamento della Chiesa sull’ambiente”.

Figlio di madre metodista e padre cattolico, Turkson è entrato in seminario in Ghana, ha proseguito la formazione sacerdotale negli Stati Uniti, al St. Anthony-on-Hudson Seminary, e a Roma nel Pontificio Istituto Biblico. Viene ordinato sacerdote nel 1975. Dopo anni di servizio pastorale, nel 1992 Giovanni Paolo II lo nomina arcivescovo di Cape Coast e lo crea cardinale nel 2003. Dal 2009 al 2017 guida il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace. Dal 2017 al 2021 è il primo Prefetto del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, organismo che si occupa di diritti umani, giustizia sociale, ambiente e salute. Il cardinale Turkson è considerato uno dei principali promotori della Laudato si’, l’enciclica ecologica scritta da Papa Francesco nel 2015. Ha lavorato alla sua redazione, proponendo una visione integrale dell’ecologia che collega la crisi ambientale con la povertà e l’ingiustizia sociale. “La crisi ecologica è l’altra faccia della crisi sociale: un grido della terra e un grido dei poveri”, dichiara nel 2015 intervistato da Vatican News.

L’ex prefetto ha sempre sostenuto che la protezione dell’ambiente non può essere separata dalla tutela della dignità umana: “Non possiamo parlare di cambiamento climatico senza parlare di giustizia. I più poveri pagano il prezzo più alto”, spiega sempre nel 2015 in un dialogo a Parigi. Ripetutamente il cardinale ghanese ha richiamato la responsabilità collettiva di fronte al degrado ambientale. Alla Conferenza ‘Our Ocean’, nel 2017, ricorda che “la Terra ci precede e ci è stata data. Non è un bene di consumo da sfruttare, ma un dono da custodire”.

La sua visione di ecologica integrale promuove un approccio che unisce cura della natura, economia sostenibile e solidarietà tra i popoli. “Un’ecologia autentica non si limita a proteggere la natura: è un appello alla conversione dei cuori, dei comportamenti, dei sistemi economici”, ricorda nel 2019 in un’intervista al quotidiano La Croix. Turkson invita a non considerare l’ambiente come a “un tema per pochi specialisti”, ma come una questione urgente che coinvolge ogni essere umano. E si dice convinto che i giovani abbiano un ruolo cruciale nella “conversione ecologica globale”. “La terra ha bisogno delle vostre mani, delle vostre menti e dei vostri cuori. Non aspettate che siano gli altri a cambiare il mondo”, dice aprendo l’edizione virtuale di Economy of Francesco, con duemila giovani economisti e imprenditori under 35 convocati da Papa Francesco ad Assisi.

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E’ la Giornata della Terra: ecco perché si celebra il nostro Pianeta

Era il 28 gennaio 1969 quando, a largo di Santa Barbara, in California, si verificò una maxi fuoriuscita di petrolio dal pozzo della Union Oi, causando un disastro ambientale. A seguito dell’incidente, il senatore statunitense Gaylord Nelson spinse per portare le questioni ambientali all’attenzione dell’opinione pubblica e del mondo politico. “Tutte le persone, a prescindere dall’etnia, dal sesso, dal proprio reddito o provenienza geografica, hanno il diritto ad un ambiente sano, equilibrato e sostenibile”, era il suo pensiero.

Il 22 aprile 1970, ispirandosi a questo principio, 20 milioni di cittadini americani si mobilitarono per una manifestazione a difesa della Terra. I gruppi che singolarmente avevano combattuto contro l’inquinamento da combustibili fossili, contro l’inquinamento delle fabbriche e delle centrali elettriche, i rifiuti tossici, i pesticidi, la progressiva desertificazione e l’estinzione della fauna selvatica, improvvisamente compresero di condividere valori comuni. Migliaia di college e università organizzarono proteste contro il degrado ambientale: da allora il 22 aprile prese il nome di Earth Day, la Giornata della Terra.

Le Nazioni Unite celebrano l’Earth Day ogni anno, un mese e due giorni dopo l’equinozio di primavera, il 22 aprile. La copertura mediatica della prima Giornata Mondiale della Terra venne realizzata da Walter Cronkite della CBS News con un servizio intitolato “Giornata della Terra: una questione di sopravvivenza”. Fra i protagonisti della manifestazione anche alcuni grandi nomi dello spettacolo statunitense tra cui Pete Seeger, Paul Newman e Ali McGraw. La Giornata della Terra diede una spinta determinante alle iniziative ambientali in tutto il mondo e contribuì a spianare la strada al vertice delle Nazioni Unite del 1992 a Rio de Janeiro. Nel 2000, grazie alla diffusione di internet, lo spirito fondante dell’Earth Day e in generale la celebrazione dell’evento vennero promosse a livello globale, coinvolgendo oltre 5.000 gruppi ambientalisti al di fuori degli Stati Uniti, raggiungendo centinaia di milioni di persone, e molti noti personaggi dello spettacolo come l’attore Leonardo di Caprio. Nel corso degli anni la partecipazione internazionale all’Earth Day è cresciuta superando oltre il miliardo di persone in tutto il mondo.

Inondazioni, 335 vittime e caldo record: 2024 anno nero per il clima europeo

Il Danubio impetuoso che devasta tutto ciò che incontra sul suo cammino, centinaia di morti a Valencia travolti da torrenti di acqua e fango: nel 2024, l’Europa ha vissuto un caldo record ma anche le peggiori alluvioni degli ultimi dieci anni, rivelando il duplice volto estremo del cambiamento climatico. Quasi un terzo della rete fluviale europea ha registrato inondazioni l’anno scorso, uno dei 10 anni più umidi del continente dal 1950, colpendo circa 413.000 persone e causando 335 vittime, oltre a 18 miliardi di euro di danni. E’ quanto emerge dal rapporto ‘Stato Europeo del Clima 2024’ pubblicato oggi dal Servizio per il Cambiamento Climatico di Copernicus (Copernicus Climate Change Service – C3S) e dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (Omm), che ha coinvolto circa 100 collaboratori scientifici. Si tratta delle “inondazioni più estese” che l’Europa abbia sperimentato “dal 2013”, ha sottolineato durante una conferenza stampa Samantha Burgess del Centro europeo per le previsioni meteorologiche a medio termine (ECMWF), che fornisce il servizio climatico Copernicus.

Questi disastri si sono verificati durante l’anno più caldo mai registrato a livello globale e dimostrano che un pianeta più caldo, assorbendo più acqua dall’atmosfera, provoca precipitazioni e inondazioni più violente, una minaccia che grava in particolar modo sull’Europa. A settembre, in soli cinque giorni, la tempesta Boris ha scaricato a terra la pioggia di tre mesi, provocando inondazioni e danni massicci in otto Paesi dell’Europa centrale e orientale. Un mese dopo, potenti tempeste, alimentate dall’aria calda e umida proveniente dal Mediterraneo, hanno causato piogge torrenziali sulla Spagna, provocando inondazioni che hanno devastato la provincia orientale di Valencia, uccidendo 232 persone.

Secondo il rapporto, all’inizio del 2024 si sono verificate inondazioni di notevole entità in tutto il continente ogni mese: gennaio nel Regno Unito, febbraio nella Spagna settentrionale, marzo e maggio nella Francia settentrionale e giugno in Germania e Svizzera. E le portate dei fiumi sono state particolarmente elevate: in alcuni, come il Tamigi nel Regno Unito e la Loira in Francia, si sono registrati i livelli più alti degli ultimi 33 anni in primavera e in autunno. La causa? Piogge particolarmente intense nella parte occidentale dell’Europa, mentre le regioni orientali sono state, al contrario, mediamente più secche e calde. Secondo Burgess, questo “straordinario contrasto” non è direttamente correlato al cambiamento climatico, bensì ai sistemi di pressione opposti che influenzano la copertura nuvolosa e il trasporto dell’umidità. Ma le tempeste del 2024 sono state “probabilmente più violente a causa di un’atmosfera più calda e umida”, ha spiegato. “Con il riscaldamento globale, stiamo assistendo a eventi estremi sempre più frequenti”.

Questo conferma le proiezioni degli esperti climatici dell’Ipcc, secondo cui l’Europa sarà una delle regioni in cui si prevede un maggiore aumento del rischio di inondazioni a causa del riscaldamento globale. A partire dagli anni ’80, l’Europa si è riscaldata a un ritmo doppio rispetto alla media mondiale. È il “continente che si sta riscaldando di più” ed è diventato uno dei “punti caldi” del cambiamento climatico, sottolinea Florence Rabier, direttrice dell’ECMWF. Nel 2024 la temperatura sulla superficie del continente non è mai stata così elevata. Questo ha contribuito al riscaldamento dei mari e degli oceani, che lo scorso anno ha raggiunto livelli record, e allo scioglimento dei ghiacciai europei a un ritmo senza precedenti. “È necessario intervenire con urgenza, poiché si prevede che la gravità del rischio raggiungerà livelli critici o catastrofici entro la metà o la fine di questo secolo”, ha affermato Andrew Ferrone, coordinatore scientifico dell’Ue presso l’Ufficio delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici, sottolineando che ogni decimo di grado evitato è importante.

Solo la metà delle città europee dispone di piani di adattamento per far fronte a eventi climatici estremi, come alluvioni e caldo estremo. “Si tratta di un progresso incoraggiante rispetto al 26% del 2018”, si legge nel rapporto. “Ma alcuni Paesi dell’Europa sudorientale e del Caucaso meridionale sono in ritardo. Dobbiamo quindi procedere più rapidamente, più lontano e insieme”, ha sottolineato Celeste Saulo, segretaria generale dell’Omm.

GEA festeggia il terzo compleanno Pronta alle nuove sfide del 2025

Il terzo compleanno, che festeggiamo oggi, segna una svolta nella traiettoria di GEA e nel suo processo di crescita. Il 2024 è stato molto importante ma il 2025 – per come è cominciato – dovrebbe esserlo ancora di più in capo a una serie di dinamiche che, poco alla volta, si stanno accomodando. Non c’erano dubbi sulla bontà del progetto, però pochi pensavano che ce l’avremmo fatta così e così in fretta. Una media di oltre 400 takes al giorno, 15 tra focus, schede e interviste, il supporto della data visualization, il canale video dei GeaTalk: noi siamo questi. Semplicemente e onestamente questi.

Prima di qualsiasi considerazione è doveroso ringraziare chi si è adoperato in azienda per fare crescere l’agenzia che nel 2022 era un’ardita scommessa e che adesso è una felice realtà. Dunque, grazie alle splendide redazioni di Torino, Roma, Milano, Verona e Bruxelles, grazie agli infografisti, grazie alla divisione video, grazie al reparto IT, grazie ai Pm, grazie al reparto commerciale. E grazie, ovviamente, all’editore che continua a credere in un progetto capace di generarne altri, altrettanto ambiziosi. Grazie, infine, alle istituzioni e alle aziende che non smettono di darci fiducia: cercheremo, con umiltà e dedizione al lavoro, di non deludere nessuno.

Il ‘chi si loda si imbroda’ è un antico adagio che suggerisce di rimanere sempre imbullonati alla realtà. E’ un concetto molto sabaudo, il ‘low profile’ come scelta, quasi come vocazione. Ed è proprio per questo che non va rimarcato cosa abbiamo fatto di buono negli ultimi 12 mesi ma è necessario soffermarsi su cosa ci aspetta nei prossimi dodici. Ci facciamo un’unica concessione: abbiamo imparato a volerci bene perché ce lo meritiamo. Ma colleghe e colleghi sanno che ci sarà da pedalare, spesso non in pianura, quasi mai in discesa; che ci attendono appuntamenti ineludibili in un contesto geopolitico delicatissimo e che l’agenzia è solo all’inizio di un lungo cammino; che sarà determinante il consolidamento dei rapporti con il mondo politico e istituzionale; che diventerà decisivo il gemellaggio sempre più stretto con la ‘costola’ Connact nell’ambito di una convegnistica interconnessa tra Roma e Bruxelles.

Insomma, c’è massima convergenza sul fatto che arriverà il momento in cui ognuno avrà quel che si merita, ma per raggiungere quella meta manca ancora un miglio e nessuno di GEA culla illusioni e/o spera in qualche sponda. Come sempre, faremo tutto e lo faremo da soli.

In questi tre anni abbiamo parlato di ambiente, sostenibilità, green deal, energia, economia circolare con passione e obiettività: continueremo a farlo senza sovrastrutture, preservando la nostra verticalità che resta un unicum nel panorama delle agenzie nazionali. Ma lo faremo anche in ambiti che nel recente passato non appartenevano al nostro dna e che hanno allargato il perimetro delle nostre competenze: dalla difesa allo spazio, dalle tlc al pharma, dal turismo alle politiche sociali, fino alla sicurezza e al lavoro, alle guerre in Ucraina e nel Mar Rosso, ai dazi e alle loro ricadute sull’economia.

Riavvolgendo il nastro a quell’ormai lontano 4 aprile 2022, GEA è nata e si sviluppata sulla base di due concetti: la cultura del lavoro e l’indipendenza che determina da sempre la possibilità di esprimersi liberamente. Il resto sono la professionalità e il trasporto di chi si sbatte e combatte tutti i giorni, con l’orgoglio di crescere un prodotto nuovo in un frangente non certo favorevole per l’editoria. Ed è per questo che il nostro compleanno – permettetecelo – vale (un poco) di più.

Clima, appello capi indigeni dopo pellegrinaggio intorno al mondo: Salvate la Terra

Photo credit: AFP

 

I capi di 22 popoli indigeni dei cinque continenti hanno lanciato, dal Cile, un appello all’azione per proteggere il Pianeta, al termine di un pellegrinaggio di 46 giorni intorno al mondo. “La Terra urla, ma nessuno la ascolta. La giungla urla; non è rispettata dagli esseri umani. Proteggiamo la vita, salviamo la vita qui sul pianeta”, tuona il capo del popolo brasiliano Noke Koi, Yama Nomanawa, 37 anni, durante una cerimonia a Graneros. Chiede di porre fine alla “distruzione della Terra”, in particolare nel bacino amazzonico, dove una parte significativa della foresta potrebbe raggiungere un “punto di non ritorno” entro il 2050 a causa della siccità, degli incendi e della deforestazione, secondo uno studio pubblicato nel 2024 sulla rivista Nature.

La cerimonia ha riunito per la prima volta i capi indigeni dei cinque continenti. Ha concluso un pellegrinaggio di 46 giorni iniziato in Italia, con tappe in India, Australia e Zimbabwe, e conclusosi in Cile. Durante il pellegrinaggio, i rappresentanti dei popoli Khalkha della Mongolia, Noke Koi del Brasile e Kallawaya della Bolivia, tra gli altri, hanno cantato, ballato e pregato al ritmo dei tamburi intorno a un altare dove hanno acceso un fuoco.

Le piume rappresentano i continenti e oggi, per la prima volta, abbiamo i cinque continenti”, spiega Heriberto Villasenor, direttore di Raices de la Tierra, una ONG dedicata alla conservazione delle culture indigene. Al termine della cerimonia, i capi delle popolazioni indigene hanno lanciato un appello congiunto a favore di una maggiore protezione della natura. “Facciamo parte della natura. Non siamo separati da essa. Siamo in un momento cruciale in cui tante cose sono state distrutte, in gran parte dall’uomo”, comunica all’AFP Rutendo Ngara, 49 anni, rappresentante del gruppo sudafricano Oba Umbuntu. Ognuno ha anche fatto da portavoce delle preoccupazioni che agitano la propria regione. “Purtroppo, si sta cercando di estrarre l’uranio in Mongolia. È un elemento importante che dovrebbe rimanere sottoterra”, commenta Tsegi Batmunkh.

Nel gennaio 2025, il gruppo nucleare francese Orano ha firmato un accordo con Ulan Bator per lo sfruttamento di un importante giacimento di uranio nel sud-ovest del paese.

Trump cancella Biden: adesso negli Stati Uniti inquinare si può

Mercoledì il governo del presidente Donald Trump ha annunciato la revoca di una serie di misure ambientali adottate dall’amministrazione democratica di Joe Biden, che miravano in particolare a ridurre le emissioni delle automobili e delle centrali a carbone.

Il capo dell’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (Epa), Lee Zeldin, ha parlato del “giorno di deregolamentazione più importante e più significativo nella storia degli Stati Uniti”, promettendo di “liberare l’energia americana” e di “rivitalizzare l’industria automobilistica” del suo Paese.
Tra le circa trenta misure annunciate, il governo americano intende in particolare annullare una norma del 2024 che imponeva alle centrali a carbone di eliminare quasi tutte le loro emissioni di CO2, pena la chiusura, grazie alle tecnologie di cattura del carbonio, una pietra miliare della politica climatica di Joe Biden.

Salutata dalle organizzazioni ambientaliste come “una decisione colossale”, questa regola – che riguardava anche le centrali a gas da costruire in futuro – doveva essere applicata a partire dal 2032. Il governo precedente riteneva che avrebbe permesso di evitare l’emissione di quasi 1,4 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2047, l’equivalente delle emissioni annuali di 328 milioni di automobili.

Le aziende inquinanti sono ora felici perché l’Epa di Trump ha appena autorizzato loro a emettere inquinamento climatico illimitato, senza preoccuparsi delle conseguenze”, ha reagito Charles Harper, dell’associazione ambientalista Evergreen. Donald Trump, noto scettico del clima, definisce regolarmente ‘una truffa’ la transizione energetica. Il suo governo ha licenziato centinaia di dipendenti dell’Agenzia americana per l’osservazione degli oceani e dell’atmosfera (Noaa), che svolge un ruolo di primo piano nella ricerca sul clima negli Stati Uniti. Sono attesi anche licenziamenti di massa all’Epa, il cui budget dovrebbe essere ridotto del 65%.

Mercoledì l’agenzia ha dichiarato la sua volontà di rivedere gli standard relativi alle emissioni inquinanti delle automobili che dovevano entrare in vigore nel 2027 e che Donald Trump aveva criticato. Intende inoltre ridefinire il perimetro del Clean Water Act, che vieta di scaricare inquinanti nei “corpi idrici navigabili degli Stati Uniti”, pena una multa.
L’agenzia ritiene che l’amministrazione di Joe Biden non abbia tenuto conto di una decisione del 2023 della Corte Suprema, secondo la quale solo le “masse d’acqua relativamente permanenti, stagnanti o a flusso continuo”, come torrenti, fiumi, laghi e oceani, dovevano essere protette da questa legge.

L’associazione ambientalista Earthjustice ha avvertito che ciò esclude milioni di ettari di zone umide, ecosistemi vitali che filtrano l’acqua e forniscono protezione contro le inondazioni, nonché milioni di chilometri di piccoli corsi d’acqua che forniscono, tra le altre cose, acqua potabile. Lee Zeldin ha anche confermato la decisione di chiudere i servizi responsabili delle missioni di giustizia ambientale all’interno dell’agenzia, ponendo fine a decenni di sforzi federali per combattere l’inquinamento che colpisce le popolazioni svantaggiate negli Stati Uniti. “Il presidente Trump vuole che contribuiamo a inaugurare un’età dell’oro in America per tutti gli americani, indipendentemente dalla razza, dal sesso e dall’origine”, ha dichiarato Zeldin ai giornalisti.
Per Matthew Tejada, dell’ONG Natural Resources Defense Council, “l’Epa di Trump ci riporta a un’epoca di inquinamento senza restrizioni nel paese, esponendo ogni americano a sostanze chimiche tossiche, aria sporca e acqua contaminata”.

Gucci apre Milano Fashion Week. Proteste contro uso pelli rettile

Gucci apre la Milano Fashion Week senza il direttore creativo, dopo l’addio di Sabato De Sarno all’inizio di febbraio. Dalla Casa non una parola sulla nomina del successore, non sembra esserci fretta. Per ora, le collezioni che sfilano in passerella sono disegnate dal team creativo interno. Verde Gucci la passerella, forma di G intrecciata per il 50esimo anniversario, tributo al fondatore Guccio Gucci. Verdi gli abiti che indossano i modelli a fine défilé. “Continuum“, spiega la maison, per evidenziare come la collezione Autunno-Inverno 2025 si sviluppi con una sinergia di passato, presente e futuro. La sfilata è accompagnata da un’orchestra dal vivo, con una colonna sonora originale del compositore e direttore d’orchestra Justin Hurwitz.

La Milano Fashion Week, come sempre, inizia tra le polemiche. In Piazza Mercanti un’attivista di Peta (people for the ethical treatment of animals) si traveste da enorme ‘pitone’, per esortare lakermesse a vietare l’uso delle pelli di rettile. L’abito è lungo oltre tre metri, il tavolo su cui siede è “insanguinato” e un cartonato a forma dell’iconica Kelly di Hermes recita ‘Le pelli esotiche uccidono’. “Chiediamo alla settimana della moda di Milano di restare al passo con le tendenze, tenendo questa crudeltà estrema lontana dalle passerelle, come ha fatto il British Fashion Council alla settimana della moda di Londra, e sollecitando le persone compassionevoli di tutto il mondo ad abbracciare l’utilizzo di materiali vegani di lusso che lascino gli animali in pace“, scrive Mimi Bekhechi, vicepresidente di Peta per l’Europa. L’associazione elenca le case di moda di fascia alta, tra cui Altuzarra, Burberry, Chanel, Diane von Furstenberg, Jean Paul Gaultier, Paco Rabanne, Victoria Beckham e Vivienne Westwood, che hanno già vietato l’uso di pelle di rettili e di altri animali selvatici nelle loro collezioni. “Molti altri stanno offrendo opzioni di pelle vegana realizzata con ananas, funghi, mele, cactus e altri materiali innovativi“, ricorda Peta.

La Milano Fashion Week si dice intanto sempre più sostenibile. In risposta all’impegno crescente dei consumatori verso scelte più etiche, i brand cercano ridurre l’impatto ecologico. Energia verde, migliore gestione dei rifiuti tessili e materiali eco-compatibili sono solo alcuni dei progressi che il comparto sta compiendo. La sostenibilità è “uno dei pillar” della nostra strategia che, fin dal 2010, si è impegnata nel porla come valore fondante del sistema moda italiano, viene spiegato sul sito della Camera Nazionale della Moda Italiana. La sfida è ripensare il futuro del pianeta e della moda attraverso un percorso che conduca al raggiungimento degli standard di sostenibilità, tenendo conto dei fattori produttivi, ambientali e sociali. Per l’Italia, primo produttore di moda del lusso al mondo, la sostenibilità è una leva competitiva che permette di consolidare la sua leadership.

Cannucce, lampadine e soffioni della doccia: la crociata di Trump per tornare al passato

Fornelli a gas, manopole per doccia, lampadine a incandescenza, cannucce di plastica… Da quando è tornato alla Casa Bianca, Donald Trump ha nel mirino le norme ambientali che riguardano molti oggetti di uso quotidiano, con il leitmotiv: “Era meglio prima”. Martedì, ad esempio, ha ordinato al suo governo di “tornare immediatamente” alle norme del suo primo mandato su “lavandini, docce, servizi igienici, lavatrici, lavastoviglie”. Il miliardario 78enne si lamenta da molti anni dei soffioni doccia che, secondo lui, hanno una portata d’acqua troppo bassa. “Se siete come me, non potete lavare bene i vostri bei capelli”, aveva detto nel 2020.

Durante il suo primo mandato, la sua amministrazione aveva emanato norme per consentire ai soffioni doccia di utilizzare più acqua, poi revocate dal suo successore Joe Biden. Negli ultimi anni, Donald Trump ha anche fatto campagna sull’idea che i democratici volessero vietare i fornelli a gas o le auto a combustione interna, e ne aveva fatto una questione di libertà di scelta per gli americani. Si oppone spesso anche alle lampadine a LED, che hanno gradualmente sostituito quelle a incandescenza nell’ultimo decennio. “Non sono una persona vanitosa”, aveva dichiarato nel 2019, “ma ho un aspetto migliore sotto una lampada a incandescenza invece che sotto queste luci da pazzi”. Con le nuove lampadine, “sembro sempre arancione”, aveva scherzato il presidente americano. Da qui l’annuncio di martedì di voler firmare un decreto per tornare agli “standard di buon senso sulle lampadine”.

Per Andrew deLaski dell’associazione Asap, le preoccupazioni di Donald Trump “sembrano obsolete”. “Oggi esiste una vasta gamma di prodotti moderni ed efficienti che sono tra quelli che funzionano meglio”, ha dichiarato il responsabile esecutivo di questa organizzazione che si batte per gli standard di efficienza energetica dei prodotti di uso quotidiano. Asap sottolinea, ad esempio, che le lampadine a LED “limitano i costi energetici per le famiglie e le imprese e riducono l’inquinamento”. Allo stesso modo, “gli standard sui soffioni doccia fanno risparmiare denaro ai consumatori sulle bollette dell’acqua e dell’elettricità e aiutano a proteggere l’ambiente”.

Ma la crociata del settantenne presidente, noto scettico del clima, sembra meno legata a ragionamenti ecologici o economici che a un attaccamento malinconico agli oggetti del passato. Dal suo clamoroso ingresso sulla scena politica americana nel 2015, il miliardario usa la nostalgia come una potente arma elettorale. “Donald Trump sembra capire – e forse è lui stesso sensibile a – queste spinte nostalgiche”, ritiene Spencer Goidel, professore di scienze politiche all’Università di Auburn (Alabama). Il ricercatore, che ha studiato la questione della nostalgia in politica, fa un parallelo con i gusti musicali. “La maggior parte degli americani pensa che il periodo migliore nella musica sia stato quello in cui erano giovani adulti”, dice, ricordando le canzoni migliori e dimenticando quelle cattive. “Nella società è la stessa cosa: i grandi uomini e le grandi donne della storia sono immortalati; gli uomini e le donne mediocri (a volte corrotti o incompetenti) sono dimenticati”. Non sorprende quindi che i responsabili politici si approprino del sentimento nostalgico, perché “elaborare un messaggio orientato al futuro è difficile”, sottolinea Spencer Goidel. “È molto più facile invocare un ritorno” alle cose di un tempo, aggiunge il ricercatore.

Lo slogan preferito di Donald Trump, “Make America Great Again”, vuole essere un richiamo al passato, volendo “restituire la grandezza all’America”. Se, secondo Spencer Goidel, “la nostalgia non è intrinsecamente democratica o repubblicana”, il suo lavoro condotto con altri ricercatori mostra che il sentimento è più “associato ad atteggiamenti razzisti e sessisti, a uno stato d’animo autoritario e a un voto repubblicano”. E secondo la sua ricerca, le persone che mostrano forti sentimenti nostalgici tendono maggiormente a “sostenere un uomo forte che infrange le leggi e disgrega le istituzioni”.

In Groenlandia le correnti di ghiaccio si muovono a causa dei terremoti

Un team internazionale di ricerca, guidato dall’ETH di Zurigo, ha scoperto che all’interno dei ghiacciai della Groenlandia si verificano tante piccole scosse sismiche, che si innescano a vicenda e si propagano per centinaia di metri. I risultati dello studio, pubblicati su Science, migliorano la comprensione sullo scorrimento delle correnti di ghiaccio in Groenlandia e in Antartide, che, secondo gli esperti del clima, contribuiranno in modo significativo all’innalzamento del livello degli oceani.

Per stimare la portata del fenomeno, gli scienziati si affidano in genere a simulazioni al computer, basate sull’ipotesi che questi flussi – che trasportano il ghiaccio dalle aree interne al mare – si muovano in modo lento e costante, come il miele. Tuttavia, il confronto con dati satellitari ha rilevato imprecisioni in questo metodo, che rischiano di generare incertezze nelle previsioni elaborate. La nuova scoperta, secondo gli autori, aiuta a spiegare queste discrepanze.

L’ipotesi che le correnti di ghiaccio scorrano come miele viscoso non è più sostenibile – afferma Andreas Fichtner, che ha guidato lo studio -. Si muovono anche con un costante movimento a scatti”, dovuto proprio alle scosse sismiche. Per studiare i terremoti glaciali, i ricercatori svizzeri, in collaborazione con l’East Greenland Ice-core Project (EastGRIP), l’Istituto Niels Bohr e l’Istituto Alfred Wegener, hanno inserito un cavo in fibra ottica in un pozzo profondo 2.700 metri, registrando per la prima volta i dati sismici dall’interno della corrente di ghiaccio nord-orientale della Groenlandia (NEGIS), a circa 400 chilometri dalla costa. Il NEGIS è il più grande flusso glaciale dell’isola e il suo ritiro – che procede a una velocità di circa 50 metri all’anno – contribuisce in larga misura all’attuale innalzamento del livello del mare.

I terremoti hanno origine da tracce di solfati intrappolate nel ghiaccio, residui di eruzioni vulcaniche che, entrati in atmosfera, hanno fatto il giro del mondo prima di depositarsi sulla calotta glaciale della Groenlandia sotto forma di nevicate. Queste impurità riducono la stabilità del ghiaccio e favoriscono la formazione di microfessure.

Le scosse non erano mai state registrate prima d’ora a causa di uno strato di particelle vulcaniche localizzato a 900 metri di profondità, proveniente dall’eruzione del Monte Mazama, in Oregon, circa 7.700 anni fa, che impedisce la propagazione delle onde sismiche verso la superficie. “Siamo rimasti sbalorditi da questa relazione, fino ad allora sconosciuta, tra la dinamica di un flusso di ghiaccio e le eruzioni vulcaniche”, ha aggiunto Fichtner.

I terremoti, inoltre, spiegano l’origine di numerosi piani di faglia tra i cristalli di ghiaccio presenti nelle carote prelevate a grandi profondità, riconducibili a spostamenti tettonici e noti agli scienziati da decenni, ma rimasti fino ad oggi senza un perché. Come sottolinea Olaf Eisen, professore all’Istituto Alfred Wegener e coautore dello studio, “il fatto che ora abbiamo scoperto questi terremoti glaciali è un passo fondamentale verso una migliore comprensione della deformazione dei flussi di ghiaccio su piccola scala”. I ricercatori ipotizzano che gli eventi sismici si verifichino costantemente in tutti i flussi di ghiaccio. Per dimostrarlo, tuttavia, sono necessarie ulteriori misurazioni.

Terra dei Fuochi, Bonelli: “Ispra delegittimata, così precipitiamo nel baratro”

Dobbiamo constatare che c’è l’ennesima condanna della Cedu nei confronti dell’Italia, in particolar modo sulle questioni ambientali che attengono i diritti dei cittadini“. Il leader di Avs, Angelo Bonelli non sembra sorpreso della condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dell’Italia, per non aver protetto i suoi cittadini dallo scarico di rifiuti tossici da parte di gruppi criminali nella ‘Terra dei Fuochi‘. Condanne di questo tipo erano già avvenute in passato, osserva intercettato da Gea alla Camera dei Deputati. Il deputato ecologista si riferisce, in particolare, all’Ilva: “L’inquinamento di Taranto è la conferma che purtroppo, non solo con questo governo, la questione degli interventi per bonificare le aree, per garantire il diritto alla salute e all’ambiente è estremamente dimenticato e non è un elemento centrale nell’azione politica del governo“, rileva.

La Cedu ha concesso due anni per mettere in atto una strategia correttiva. Basteranno?

Non lo so se si riuscirà a fare in due anni quello che non si è riuscito a fare in decenni. Il punto però è che lì c’è una situazione cronica, strutturale, di malaffare, di comportamenti illegali. I fuochi hanno continuato ad esserci, sappiamo da dove vengono: da un sottobosco di attività commerciali illegali, gestite da gruppi anche illegali e criminali e su questo non si è mai intervenuto alla radice del problema. C’è tutto un sistema economico e commerciale che ruota intorno alle illegalità. Penso che debba esserci la capacità di affrontarle con nettezza e con radicalità per estirpare queste attività e consegnarle a quell’economia sana che rispetta le regole. E’ chiaro che ci sono le bonifiche da fare, ma se si bonifica e poi i fuochi continuano a esserci avremo sempre quella diossina che si sviluppa e poi ricade sui terreni.

Sarebbe il caso di fare un’operazione sul modello Caivano, con lo Stato presente sul territorio e un monitoraggio sistematico?

Sì, ma anche Caivano ha rappresentato uno spot propagandistico, tranne il fatto che, per esempio, una palestra è stata riconsegnata alla collettività. Detto questo però lì c’è un problema che è proprio insito nel malfunzionamento della prevenzione nel nostro Paese. Sono stati depotenziati gli istituti di controllo e di prevenzione dell’inquinamento e dei controlli ambientali. L’Ispra, che è l’organismo che dovrebbe anche svolgere questa funzione e che coadiuva le agenzie regionali di protezione dell’ambiente è stato delegittimato dal punto di vista scientifico e ha continue bordate da parte di questo governo. Tutti quegli organismi che dovrebbero controllare e assicurare poi conseguentemente alla giustizia chi compie atti illegali sono stati delegittimati. In questo modo non si vince nessuna sfida, ecco perché il problema è capire che oggi noi abbiamo necessità di potenziali istituti di controllo e prevenzione, anche di repressione, e di avviare quelle bonifiche, ma solo se non c’è una sistematicità. Se invece tutto diventa solo il comunicato stampa del ministro di turno, la terra di fuochi sarà sempre sotto il controllo di organizzazioni più o meno criminali che pensano che inquinare sia del tutto lecito perché poi tanto ne traggono profitto.

L’ultima bordata agli organismi scientifici è stata data non tenendo conto del parere sul rischio sismico del Ponte sullo Stretto di Messina?

Noi stiamo vivendo una fase molto delicata nel nostro Paese per quanto attiene le politiche ambientali. La delegittimazione degli organismi scientifici significa il via libera allo sfondamento, al deturpamento dell’ambiente, al degrado. I pareri espressi dall’Ispra sulla questione del Ponte non sono stati minimamente considerati, a partire da quello sismico ma anche da quello delle zone di incidenza ambientale, dei siti di importanza comunitaria. Ma penso anche ad esempio a quello che sta accadendo con la modifica sulla legge dell’attività venatoria della deputata Bruzzone, che sta mettendo all’angolo l’Ispra perché non è gradita, i suoi pareri non sono graditi. E’ come quando noi andiamo dal medico che ci dice che dobbiamo fare delle analisi, non ci piace quello che ci dice e poi dopo ci ammaliamo. Non può funzionare così, così rischiamo di andare nel baratro molto rapidamente.