Vavassori (Anfia): “Trattare per dazi reciproci Usa-Ue, Italia può avere ruolo importante”

Nella prima riunione del suo gabinetto alla Casa Bianca, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che i prodotti europei saranno soggetti a dazi doganali del 25% “a breve”. “Abbiamo preso la decisione e la annunceremo presto, sarà del 25%”, ha spiegato Trump, ovvero il livello al quale anche i prodotti canadesi e messicani dovrebbero essere tassati a partire dall’inizio di aprile. Nel mirino ci sono soprattutto le auto. Nell’Unione Europea “non accettano le nostre auto”, ha spiegato. Ma quale sarà l’impatto?

In una intervista a GEA, Roberto Vavassori, presidente di Anfia, l’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, non dà numeri, ma evidenzia subito che “ha fatto bene il Commissario Ue per l’Economia, Valdis Dombrovskis, ad andare a Washington qualche settimana fa per proporre di ridurre reciprocamente i dazi. Oggi dagli Usa il principale esportatore di autoveicoli non è un americano, ma Bwm. E’ chiaro che nella globalizzazione i produttori e la componentistica si sono posizionati in varie parti del mondo per servire certi mercati… quindi l’idea di fondo non dovrebbe essere portare i dazi al 25%, che non avrebbe senso, ma di portare dal 10% attuale il dazio sui veicoli importati dagli Usa al 2,5%, che è la tassa che si paga dall’Europa per esportare in America”.

Si può trattare dunque?
“Quelli di Trump non sono come i dazi europei verso la Cina, perequativi per rispondere a sussidi sbilanciati, e non sono nemmeno i dazi di Biden del 102% sulle auto cinesi. Quelli di Trump sono di un terzo tipo: dazi invocati su certi settori per invocarne altri. Bisogna però stare attenti, lo dico per Trump: se alla fine invochi troppe volte la parola dazi senza poi procedere, i risultati potrebbero non essere quelli desiderati. Fu così all’inizio con Canada e Messico, dopo la revisione del Nafta che non ha cambiato i giochi, anzi il Messico è diventato più importante.

Qual è la capacità produttiva americana?
“Gli Usa producono solo 5 milioni di auto, poi altri 5 milioni vengono realizzati tra Canada e Messico. Il resto è importato a vario titolo”.

La mossa di Trump potrebbe spingere ad aumentare la produzione Usa a scapito di quella europea?
“Questo è il tema strategico a cui guardare. Trump sta cercando di attirare produzione, ricerca e filiere, penso alla chimica e alla farmaceutica, promettendo energia a basso costo e promettendo basse imposte. Su questi temi la Ue deve essere vigile. Dobbiamo essere consapevoli che una fabbrica che chiude qua non riaprirà mai più, se non in Asia o negli Usa. Questo è il rischio che noi europei dobbiamo sventare. Che poi andare a produrre negli Usa non è facile: lo shale gas non è eterno, la manodopera scarseggia, mancano truck driver nella logistica nonostante siano pagati 110 mila dollari all’anno”.

La risposta italiana ed europea allora quale dovrebbe essere alla minaccia di dazi?
“Se la nostra premier ha il compito di fare da elemento di congiunzione e ricucitura, ruolo storico dell’Italia, lasciamo pure agli altri Paesi altri ruoli, ma serve una strategia a carte coperte. E poi serve il coraggio di metterci in piedi noi. Tu Trump ci minacci? Noi rispondiamo con fatti concreti. Anche perché siamo un mercato di 400 milioni di consumatori. Terza risposta: mentre mostriamo i muscoli dovremo cercare il calumet della pace e di sotterrare l’ascia di guerra”.

Intanto però il mercato italiano è in contrazione, non solo nell’elettrico: quali soluzioni deve prendere il governo e la Ue per ripartire?
“C’è una domanda stagnante in Europa e in Italia, un 20% in meno rispetto al pre-Covid che forse non tornerà più. Quindi siamo in presenza di una sovracapacità europea che va adeguata. Mi spiego: dobbiamo convivere con costi elevati, energetici e non solo, una competizione cinese arrembante che stiamo cercando di addomesticare. Poi la regolamentazione e ora i dazi. Il tema è come mantenere vitale un settore fondamentale in Europa. Ecco, serve un piano europeo privato che svegli i capitali dormienti nei conti corrente, come dice Draghi, che investano nella ripresa. E’ una necessità”.

Dazi Usa da una parte e auto cinesi low cost dall’altra: la transizione verso l’elettrico finirà in crisi?
“La dobbiamo rimodulare. Anche la politica europea ha capito che la nostra industria sta in piedi se vendiamo 17-18 milioni con i rispettivi componenti, elettrici o ibridi. Va disegnata la transizione con questo livello di vendite in testa. Anche guardandoci in casa. Nei prossimi 10 anni dovremo mettere mano, con l’aiuto di soldi pubblici, per rinnovare il parco circolante. L’età media delle auto è di 12,5 anni nella Ue… se vogliamo decarbonizzare dobbiamo partire cambiando, con sussidi calibrati a livello europeo, il nostro parco circolante vecchiotto, poco sicuro e inquinante. Questo aiuterebbe l’industria e la componentistica ad andare avanti. La Cina ci ha tagliato fuori alcuni mercati di sbocco importanti, passando da 1 a 5 milioni di veicoli esportati. Serve una european way”.

In poche parole, che percorso avrebbe l’european way che dice lei?
“In sostanza va finanziata la ricerca per trovare un modello europeo di elettrificazione. Nel giro di una o due generazioni di auto il 90% del lavoro sarà fatto, passando per ibrido plug-in a modelli range extender evoluti”.

In Europa le batterie costano il 48% in più che in Cina. Anfia: “Pechino è elefante nella stanza”

Il 2024 segna una tappa significativa per l’industria delle batterie, con i prezzi dei pacchi batteria agli ioni di litio che hanno registrato il calo annuale più grande dal 2017. Secondo l’analisi di BloombergNEF, i prezzi sono scesi del 20% rispetto al 2023, raggiungendo un minimo storico di 115 dollari per kilowattora. Questo declino è il risultato di diversi fattori, tra cui la sovracapacità nella produzione di celle, le economie di scala, i bassi prezzi dei metalli e dei componenti, e l’adozione di batterie al litio-ferro-fosfato (LFP), un’alternativa più economica. A ciò si aggiunge anche un rallentamento nella crescita delle vendite di veicoli elettrici, che hanno visto una domanda più moderata rispetto agli ultimi anni.

Negli ultimi due anni, infatti, i produttori di batterie hanno espanso la capacità produttiva con l’aspettativa di una crescente domanda, soprattutto nel settore dei veicoli elettrici e degli accumulatori fissi. Tuttavia, l’offerta ha superato la domanda, con 3,1 terawattora di capacità di produzione di celle di batteria a livello globale, ben oltre la domanda prevista per il 2024. Sebbene la domanda sia cresciuta annualmente in vari settori, quella dei veicoli elettrici – principale motore della domanda di batterie – è aumentata meno rapidamente, mentre il mercato degli accumulatori fissi, in particolare in Cina, ha visto una forte espansione.

Nel dettaglio, il prezzo delle batterie per veicoli elettrici ha raggiunto i 97 dollari/kWh, scendendo per la prima volta sotto la soglia dei 100 dollari/kWh, e anche se in Cina i veicoli elettrici hanno ormai raggiunto la parità di prezzo con quelli a combustione, in molti altri mercati, le auto elettriche sono ancora più costose. BloombergNEF prevede che nei prossimi anni altre categorie di veicoli raggiungeranno la parità di prezzo grazie alla crescente disponibilità di batterie a basso costo, un fenomeno che inizialmente è stato più evidente in Cina, dove i prezzi medi dei pacchi batteria sono scesi a 94 dollari/kWh, rispetto ai 31% e 48% più alti negli Stati Uniti e in Europa, rispettivamente. Le ragioni di questa disparità vanno ricercate nell’immaturità di questi mercati, nei costi di produzione più elevati e nei volumi più bassi, con la Cina che ha beneficiato di una concorrenza molto forte che ha spinto i prezzi al ribasso. BNEF prevede una ulteriore diminuzione globale dei prezzi di circa 3 dollari/kWh entro il 2025.

Nel contesto europeo, le problematiche legate alla transizione energetica e alla competitività del settore automotive sono state al centro dell’assemblea pubblica di Anfia, a Roma. Tra i temi trattati, è stato enfatizzato il bisogno di lavorare su due piani distinti e interdipendenti: a livello europeo, attraverso il supporto al piano del governo italiano per la decarbonizzazione entro il 2035, e a livello nazionale, con misure immediate per supportare le imprese del settore, come la riduzione del costo dell’energia, incentivi alla ricerca e misure per i veicoli commerciali leggeri. Roberto Vavassori, presidente di Anfia, ha definito la Cina “l’elefante nella stanza. Nel 2000 in Cina venivano prodotti 2 milioni di veicoli, quasi tutti da joint-venture con partner occidentali. Ora i poco meno di 30 milioni sono in gran parte prodotti da case locali, alle quali, tra l’altro, molti Costruttori occidentali fanno la corte per stringere accordi o di tecnologia o di produzione, soprattutto per i powertrain elettrici o per software per ADAS e Infotainment. E oltre a ciò – ha aggiunto – vi sono già importanti investimenti diretti di gruppi cinesi in Costruttori europei di veicoli, e anche di componenti. La penetrazione di veicoli cinesi sui mercati europei è in continua ascesa, Italia inclusa, ed è opinione generale che i dazi attualmente in vigore debbano lasciare il posto ad un sistema di convivenza che non consenta al gigante asiatico di asfaltare in pochi anni l’insieme industriale e di ricerca europeo nel settore dell’automotive”, ha concluso Vavassori.

Giorda (Anfia): “Trasporti siano più green ma con target raggiungibili”

Il settore dell’industria automobilistica è uno dei più toccati dalla transizione green. E fra i protagonisti di questo cambio di passo c’è Anfia, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica, che da tempo partecipa a Ecomondo proprio per accompagnare il cambiamento. GEA ha incontrato Gianmarco Giorda, direttore generale, per parlare delle prospettive del settore nel breve, medio e lungo periodo.

Anfia è presente ad Ecomondo da molti anni. Quale è l’importanza per voi di una fiera come questa?
“Abbiamo una lunga partnership con Ecomondo, sono oltre 10 anni. Organizziamo all’interno anche una piccola fiera nella fiera che si chiama Sal.Ve, che sta per salone biennale del veicolo per l’ecologia, e qui portiamo sostanzialmente tre comparti che sono rappresentati in Anfia: le aziende che producono spazzatrici, quelle dei compattatori e quelle dei veicoli per lo spurgo pozzi. Tre piccoli settori di nicchia che però in Italia sono importanti, dove ci sono sono molte tecnologie e un know how che viene in qualche modo riconosciuto da tutto il mondo perché sono aziende che esportano in Asia, negli Stati Uniti e in Sud America. Usiamo anche questa piattaforma fieristica per organizzare convegni su temi più orizzontali. Per esempio abbiamo partecipato come Anfia a una tavola rotonda sul trasporto merci green”.

Su questo tema è stata elaborata anche una proposta…
“Abbiamo presentato una proposta importante. Direi quasi storica. Abbiamo messo insieme l’associazione dei costruttori, di chi distribuisce i veicoli pesanti e anche delle aziende e delle associazioni che rappresentano i trasportatori, e abbiamo presentato un documento unitario che poi verrà dettagliato nei prossimi giorni. E’ un documento che ha l’obiettivo di presentare al Governo una proposta per mettere in campo degli strumenti per rivitalizzare, per rendere più competitivo questo settore, a partire, ad esempio, da un piano di incentivi per il rinnovo dei mezzi che noi immaginiamo dal 2023 al 2026 con una dotazione importante di 700 milioni di euro suddivisi per i quattro anni. L’obiettivo è ringiovanire un parco che in Italia è vecchissimo cercando di mettere su strada dei veicoli che siano meno inquinanti e che abbiano anche delle dotazioni di sicurezza più aggiornate. Vogliamo lavorare insieme al Governo, speriamo nei prossimi giorni di iniziare questo percorso per introdurre un piano di lavoro strutturato anche per questo settore nei prossimi anni”.

Con il Governo avete già collaborato recentemente, firmando un protocollo insieme al Mimit.
“Noi come Anfia rappresentiamo molti comparti, anche uno importante che è quello della componentistica auto. L’accordo che abbiamo siglato con il Mimit un paio di settimane fa, col ministro Urso, ha un triplice obiettivo. Il primo è cercare di aumentare la produzione di veicoli in Italia per arrivare a superare il milione, purtroppo negli ultimi anni c’è stato un calo significativo dei volumi di produzione. Il secondo obiettivo è mantenere in Italia un’attività centrale di innovazione, di ricerca e di sviluppo da parte di chi costruisce i veicoli, Stellantis in primis. Il terzo obiettivo è, in questi processi, coinvolgere il più possibile anche la nostra componentistica, perché, nonostante abbiamo perso quote a livello di volumi prodotti, la nostra componentistica continua a essere la seconda per importanza in Europa dopo quella tedesca. Questo significa che, al di là del cliente nazionale, le aziende hanno saputo negli anni trovare anche dei clienti all’estero, non solo in Europa, ma anche in Giappone, Corea e Stati Uniti. Per cui l’obiettivo dell’accordo è creare proprio un piano di politica industriale nei prossimi anni che possa continuare a mantenere competitiva a componentistica italiana alla luce delle grandi sfide che la transizione imporrà”.

Parlava di Stellantis, voi vi siete anche proposti come trait d’union con il Governo.
“Noi siamo un po’ il cuscinetto tra il Governo e Stellantis, abbiamo un rapporto positivo con entrambi. Nei prossimi giorni dovrebbero anche siglare un accordo Stellantis col Mimit. Poi quello che si dovrà fare è subito convocare un tavolo operativo di lavoro anche con le Regioni italiane che hanno stabilimenti Stellantis e poi con i sindacati per implementare tutta una serie di strumenti industriali per far sì che gli obiettivi siano raggiunti. Noi ci mettiamo a disposizione facendo uno studio che tra le varie cose analizzerà anche i gap di competitività che ci sono in Italia rispetto ad altri Paesi in modo che su questi gap il Governo poi possa incidere con degli strumenti ad hoc e in qualche modo essere più attrattivo rispetto a Stellantis, che dovrà aumentare la produzione nei prossimi anni qui, e magari anche attirare nuovi investimenti produttivi nei prossimi anni”.

A livello europeo ci sono molte novità per il settore dell’auto, a partire dallo stop ai motori endotermici al 2035. Quale è la vostra posizione?
“Noi siamo a favore della neutralità tecnologica, per cui sosteniamo che gli obiettivi di decarbonizzazione debbano essere ottenuti portando avanti più tecnologie. In questo momento l’elettrico, ovviamente è l’unica tecnologia scelta dal legislatore europeo, e nei prossimi anni sarà dominante per cui è giusto che si investa in quella direzione. Però, secondo noi, è anche importante sia sui veicoli leggeri sia su quelli pesanti mantenere aperte anche delle altre opzioni”.

E la proposta di standard Euro7?
“Siamo riusciti, con l’aiuto anche dell’associazione europea e un po’ di tutti, a modificare la prima proposta che era abbastanza irricevibile nei contenuti. Speriamo che in termini di date, di target e di una serie di altri elementi questa prima proposta della Commissione venga rivista e adottata in maniera che gli obiettivi siano importanti, ma raggiungibili anche da un punto di vista economico-finanziario per non mettere in ginocchio un pezzo dell’industria”.

Ecomondo, appello del settore trasporto al Governo: “Investimenti per accelerare transizione veicoli industriali”

Stimolare e rilanciare gli investimenti nel settore per accelerare il processo di transizione tecnologica dei veicoli industriali: questa la proposta annunciata coralmente dalle associazioni nazionali dell’autotrasporto e dell’automotive Anfia, Anita, Federauto, Unatrans, Unrae nel corso della tavola rotonda sul tema ‘La transizione green dell’autotrasporto merci’, che si è tenuta oggi in occasione di Ecomondo, l’evento europeo di riferimento per la transizione ecologica e i nuovi modelli di economia circolare e rigenerativa.

L’iniziativa rappresenta un momento di inedita unitarietà di intenti fra tutte le associazioni rappresentative dell’autotrasporto e della filiera industriale e commerciale automotive che si rivolgono compatte alle istituzioni per “sensibilizzarle sulla necessità di adottare un piano di efficientamento che incentivi le imprese a traguardare la graduale ed effettiva transizione del settore in direzione di una trasformazione sostenibile, innovativa e competitiva dei servizi di trasporto merci”.
La proposta, che sarà presentata al ministero delle Infrastrutture e Trasporti in tutte le sue declinazioni, parte dalle implicazioni nazionali della regolamentazione europea in via di definizione e sulla base dello state dell’arte del parco italiano, traccia una roadmap di breve periodo per accelerare il rinnovo del circolante con veicoli industriali a basse emissioni che abbia impatti positivi da un punto di vista ambientale e della sicurezza della circolazione.

Il fabbisogno finanziario è stimato in circa 700 milioni di euro, che dovranno supportare gli investimenti fino al 2026 in veicoli a emissioni zero e loro infrastrutture nonché stimolare la diffusione dei carburanti rinnovabili. Le associazioni, inoltre, propongono una modifica sostanziale di funzionamento del ‘Fondo autotrasporto’, che garantisca procedure rapide di liquidazione alle imprese di autotrasporto.

L’evento di oggi è il primo segnale unitario e forte che le associazioni intendono inviare al Governo, “per stimolare al più presto l’adozione di un lavoro congiunto e di impegni reciproci per affrontare da subito una transizione che appare ancora densa di contraddizioni: da una parte, le istituzioni dell’Unione europea che – in assenza di correttivi razionali in grado di accogliere il principio di neutralità tecnologica – tendono ad imporre regolamenti avulsi dalle dinamiche di mercato e tempistiche di phase-out tecnologico molto «sfidanti», se non addirittura irrealistiche; dall’altra una Legge di Bilancio nazionale che tende verso una sostanziale decontribuzione degli strumenti di sostegno agli investimenti delle imprese per quella transizione ecologica richiesta dagli stessi regolamenti europei”.

Le associazioni accolgono con favore le parole del vice ministro Edoardo Rixi, che, nel suo intervento, ribadendo che l’autotrasporto è un settore strategico per il Paese, ha annunciato l’intento del Mit di voler attivare a breve un confronto specifico con le rappresentanze associative per identificare nuovi meccanismi di sostegno agli investimenti per la transizione ecologica ed il rinnovo delle flotte.

 

Trasporti, per mobilità sostenibile dall’Ue servono meno regole e più incentivi

Transizione e sostenibilità non sono in discussione, ma nei modi l’Unione europea sta spingendo troppo sull’acceleratore. Troppe ambizioni e regole troppo severe, che rischiano di lasciare l’Ue al palo e, soprattutto, soccombere ad una concorrenza decisa di Stati Uniti e Cina. Servono cambi di passo, un compito lasciato a questo punto alla prossima legislatura. A fare il punto della situazione Withub, nell’evento ‘I trasporti italiani ed europei e la sfida del 2035’ dedicato alla mobilità pulita.

Un tema, quest’ultimo, che già tanto ha fatto discutere e che ancora continua a far discutere. Perché, sostiene l’europarlamentare Carlo Fidanza, membro della commissione Trasporti, “la strada della transizione non è in discussione, ma il tema è capire come arrivare alla meta”, e qui l’Ue sembra aver sbagliato qualcosa. L’esponente dei conservatori europei (Ecr) contesta in particolare la scelta compiuta sui motori del futuro, e la decisione di inserire nella strategia ‘green’ a dodici stelle i soli combustibili sintetici. Da un punto di vista industriale, critica Fidanza, “oggi siamo all’avanguardia sui biocarburanti, e non tenere conto di questa filiera per un Paese come l’Italia è un colpo pesante, anche per l’indotto dell’automotive, che non potrà essere rimodulato”. Da un punto di vista di agenda sostenibile, invece, “se si conteggiano le emissioni solo allo scarico si crea un indirizzo tecnologico mono-direzionale”. Da un punto di vista di politiche, dunque, “è stato un errore non tenere aperte le porte a delle alternative”. Un errore che viene imputato ad un “approccio ideologico della Commissione e di Timmermans”, il commissario responsabile per il Green Deal nel frattempo dimessosi per correre alle elezioni olandesi di novembre.

C’è poi un secondo errore strategico, a detta di Marco Stella, vicepresidente di Anfia-Associazione nazionale filiera industria automobilistica. “L’ansia più grande che rimane è quella regolatoria”, e questo rischia di penalizzare l’Ue e la sua competitività economica. “Quello che ci differenzia dalle due grandi arre con cui ci confrontiamo a livello industriale, Stati Uniti e Cina e Asia, è che noi abbiamo avuto l’ansia di regolamentare l’industria mentre loro hanno stimolato l’industria”. Facendo un paragone, “noi (europei, ndr) ci siamo preoccupati di mettere la bandierina della sostenibilità, loro (Stati Uniti e Cina, ndr) hanno messo sul terreno aiuti”, come dimostra anche l’Inflation reduction act varato dall’amministrazione Biden, il piano da circa 369 miliardi di dollari per sostenere l’industria del green-tech. Ecco, nella corsa alla transizione “c’è stato da parte nostra un disarmo volontario”, lamenta ancora il vicepresidente di Anfia. “Abbiamo lasciato loro la leadership”. Per questo “l’auspicio è che nella prossima legislatura Ue si pensi profondamente all’industria del nostro continente”.

La questione del sostegno è centrale anche per Massimo Nordio, presidente di Motus-E. “Oggi c’è bisogno di un aiutino. Parlo degli incentivi”. Certo, l’Ue ha meno disponibilità, e regole comuni di spesa per tenere in ordine conti pubblici dissestati da crisi sanitaria prima e crisi energetica poi. Ma servono interventi, visto e considerato che, insiste Nordio, “il sistema degli incentivi nel passato ha funzionato”. Questo per l’impresa non può essere ignorato, poiché quando si parla di mobilità sostenibile “il mercato che non si sta sviluppando è quello della fiscalità dell’auto”. Che si scelgano sgravi, incentivi o bonus “l’auto elettrica deve essere trattata, dal punto di vista fiscale, in maniera diversa perché è una scelta virtuosa e coraggiosa”. In Italia “interloquiamo con il governo anche da questo punto di vista”, affinché la politica tricolore possa fare pressione a livello Ue per un cambio di rotta ritenuto imprescindibile.

Marco Castagna, presidente di Duferco energia, attira l’attenzione sulla necessità di sostegno all’auto elettrica e le sue potenzialità sfatando quello che considera un mito. “Quello dei tempi di ricarica nelle aree di sosta è un falso problema, perché alla fine decido io quando e dove ricaricare”. Certo, riconosce, “il tema rimane il prezzo” al concessionario, ma, “andrebbe considerato il prezzo dell’intero ciclo”, perché l’auto elettrica “costa molto meno in manutenzione” rispetto a un’auto tradizionale. Stando ai numeri diffusi da Withub nel corso dell’evento, c’è tanto in ballo, soprattutto per l’industria italiana. Ad agosto 2023 i numeri di immatricolazioni auto elettriche sono i seguenti: 165.165 in Regno Unito, 86.649 in Germania, 19.657 in Francia, 4.055 in Italia, 3.583 in Spagna. L’Italia fa fatica. E rischia di continuare a fare fatica per le scelte compiute.

La decarbonizzazione trasporti è già iniziata: è resa possibile dalle tecnologie già disponibili, come il biocarburante HVO, già disponibile in purezza, che può essere utilizzato con le infrastrutture esistenti e in molti veicoli già in circolazione”, scandisce Alessandro Sabbini, Responsabile Relazioni Istituzionali Centrali di Eni. “L’HVO – spiega – è un esempio di economia circolare applicata alla mobilità e contribuisce da subito alla riduzione delle emissioni del trasporto stradale, anche pesante, e dei traporti aereo, marittimo e ferroviario”.

Massimiliano Salini (Fi/Ppe), membro della commissione Trasporto del Parlamento europeo, insiste sulla necessità di un più ampio ventaglio di scelte. “Indicare un’unica formula produce in genere l’effetto contrario di quello che volgiamo ottenere”, dice riferendosi allo stop europeo ai biocarburanti. “Il principale alleato della transizione è l’innovazione e il principale alleato dell’innovazione è la libertà tecnologica, quello che noi definiamo neutralità”. L’auspicio implicito è un cambio di rotta, affidato alla prossima legislatura che verrà. “Nessuno chiede di ridurre le ambizioni, ma di farlo collocando queste sfide nel tempo e nella storia, in modo che tutti possano concorrere: industria, i cittadini con la tutela delle loro tasche, e la politica affezionata all’ambiente ma affezionata a quella sintesi che noi cerchiamo di realizzare tra ambiente, innovazione tecnologica e il mantenimento in vita di una brillante manifattura che fa il bene dell’economia europea”.

Un’impostazione condivisa da Alberto Moro, direttore generale Automotive di Bitron, azienda che guarda alla transizione a 360 gradi. “Sui biorcarburanti possiamo sviluppare i motori termici. Sull’idrogeno abbiamo iniziato a lavorare da qualche anno e abbiamo prodotto delle soluzioni innovative, da fornire ai clienti”. Perché nel mondo e nella mobilità che cambiano “la sperimentazione tecnologica gioca un ruolo strategico” e a Bitron “cerchiamo di anticipare i bisogni dei nostri clienti”.

Scudieri (Anfia): “Aiuti alle industrie, transizione ok ma non c’è solo l’elettrico”

L’automotive in Italia ha un fatturato di 93 miliardi, il settore industriale col più alto moltiplicatore di valore aggiunto, rappresenta il 5% del Pil nazionale, un decimo del giro d’affari del manifatturiero, 268.300 addetti, oltre 5mila imprese. Anfia, da 110 anni, rappresenta questo mondo che sta vivendo una trasformazione epocale, con numerosi punti interrogativi aperti, legati alla transizione ecologica e ai relativi costi. Il presidente Paolo Scudieri ha idee chiare su quale direzione puntare, ma bisognerà capire quale governo prenderà forma dopo il 25 settembre.

Presidente Scudieri, Anfia, nel suo manifesto di richieste ai candidati, chiede a partiti e istituzioni una spinta e sostegno agli investimenti nelle nuove tecnologie della mobilità: elettrico (nuovi componenti, raffinazione e assemblaggio batterie), idrogeno (fuel cell e H2 ICE), carburanti rinnovabili. Serve un Pnrr 2?
“La transizione ha un traguardo, il 2035, e parte dall’Europa che ha voluto dare svolta fortissima per attenzione all’ambiente. Viste le condizioni che stiamo vivendo è inevitabile che assisteremo a cambiamenti ulteriori. Abbiamo bisogno di risorse, la transizione pone interrogativi, in primis sui posti di lavoro che siamo certi di dover lasciare sul mercato, con probabili tensioni sociali. Vi sono tuttavia certezze: per essere competitivi e per interpretare la transizione verso l’elettrico abbiamo bisogno di investimenti paurosi. Si costruiscono gigafactory, ma è solo un vagone di un treno molto più lungo. C’è necessità di estrarre minerali, che non abbiamo in Europa per cui c’è un gap di risorse che crea dipendenze pericolosissime. Poi servono tante infrastrutture, ricariche, potenziamento linee che portano il vettore elettricità, adeguamento colonnine con super-charge per rifornimento in tempi brevi…”.

L’elettrico è proprio il futuro?
“Già, quanto veramente è virtuoso l’elettrico? Tanti studi ormai dicono che il pareggio di attenzione verso l’ambiente, tra un rapporto endotermico e l’elettrico avviene dopo 4 anni di utilizzo… questo deve porre molti interrogativi…”.

Intanto negli ultimi mesi si è assistito a un boom dell’usato. La gente ha paura di cambiare macchina?
“I fattori che fanno prediligere l’usato sono due: ritardi sulla consegna delle vetture determinano la necessità di utilizzare auto usate invece di aspettare un anno e mezzo di attesa. Il venduto non consegnato vale milioni di unità, che aspettano di essere immatricolate o addirittura di essere prodotte. Però attenzione, se parliamo di usato ‘fresco’ va bene, ma se è usato euro3 o euro4 non facciamo il bene dell’ambiente. Ahimè è come il cane che si morde la coda”.

Tema incentivi: quanto influiscono sulle immatricolazioni e cosa servirebbe per spingere l’ammodernamento del parco macchine italiano?
“Finalmente con l’ultima attuazione abbiamo tracciato una temporalità di 3 anni che stanzia 8,7 miliardi, parliamo di incentivi annuali che poi si rigenerano sulla spesa dell’anno successivo con una visione molto più a lungo termine. Come proporzionare gli incentivi è altro tema. Dove mettere più risorse? Magari su fasce che subito hanno finito la dote? Sul parco usato è necessario, in un’ottica ambientale, ma bisogna puntare sulla rottamazione, non su una re-immatricolazione”.

Ricariche elettriche: com’è possibile immaginare una rivoluzione urbanistica e logistica in pochi anni? Il Pnrr può aiutare?
“La sfida va oltre la costruzione di vetture a biocarburanti, elettriche o a idrogeno. Vanno riprogettate le città e bisogna reinvestire in un concetto diverso di mobilità. Il Pnrr va riadattato in base alle esigenze, i progetti devono trovare una nuova missione. Io immagino Hub posizionati sui 4 punti cardinali esterni delle città, dove può avvenire un interscambio tra veicoli a fattore premiante. Esempio: scambio l’auto con un monopattino o un’auto elettrica per andare in centro, così si evita una ulteriore proliferazione di colonnine all’interno delle città, concentrando questi scambi in aree strategiche. Aggiungo, va normato un elemento determinante nello scambio tra Co2 e ossigeno: bisogna adottare nuove aree boschive per ricercare un equilibrio tra sviluppo e cambiamento. Le dico questo: tre tigli dissipano 10mila km di una vettura con attuali standard”.

E l’idrogeno? Può essere una vera alternativa ai classici combustibili, soprattutto per l’autotrasporto?
“Lo dico da sempre: l’Idrogeno sarà fondamentale, per le lunghe percorrenze è la panacea, serviranno aree di servizio con ricariche di idrogeno. L’idrogeno è necessario nella bilancia dell’equilibro tecnologico da chi pretende solo elettrico. Il fattore tecnologico dove l’Italia è leader in Europa e può rappresentare una genesi di democrazia industriale e sociale è proprio legato all’idrogeno”.

Intanto il caro-carburanti è una zavorra per il settore dell’autotrasporto, come se ne esce?
“Bisogna essere tangibili e non ideologici, servono aiuti e incentivi, bisogna combattere in un momento storico di cambiamento, serve un piano Marshall nel piano Marshall. Va fatta molta attenzione in questo momento elettorale, tra chi vuole sostenere l’industria italiana e ambiente, e chi in modo ideologico e avulso dal momento storico insiste con pericolose divagazioni teoriche”.

Nel 2034 in teoria non saranno più vendute auto nuove a diesel o a benzina. Quante aziende, legate all’indotto, rischiano di chiudere in Italia? E quanti posti di lavoro sono in ballo?
“Per difetto 70mila posti di lavoro saranno azzerati, quelli legati alla componentistica del powertrain, mentre saranno creati 6mila nuovi posti di lavoro con la tecnologia legata all’elettrico. Non c’è sostenibilità sociale in questo tipo di atteggiamento. Occorre spostare in avanti la data del 2035 e trovare una evoluzione sulla trazione alternativa, così da creare una leadership tecnologia per impiegare capitale umano, senza il quale ci avviamo verso una infelice decrescita che metterà in difficoltà tutta Europa. In Germania i numeri sono 4 volte superiori ai nostri…”.

È possibile immaginare di tornare a produrre oltre un milione di veicoli in Italia all’anno?
“L’Italia deve tornare a essere attrattiva e competitiva, deve attirare capitali internazionali. Abbiamo la capacità, contando l’indotto, di andare ben oltre 1 milione di vetture. C’è la potenzialità tecnologica di arrivare fino a 1,6 milioni. Consideriamo solo che la bilancia commerciale 2021 ha visto un + 5miliardi, nonostante le enormi difficoltà che conosciamo tutto, vuol dire che valiamo, per la qualità, lo stile, il design, la tecnologia”.

L’emergenza gas e luce rischiano di mandare fuori mercato le imprese italiane? C’è eventualmente un rischio di svendita a grandi gruppi internazionali, oltre che tensioni sociali?
“Comprare tecnologia e posizioni di mercato di aziende a costo zero, c’è questa possibilità. D’altronde se un’impresa è trafitta dai costi non può che finire sul mercato a prezzi inferiori. Per cui vanno dati aiuti per essere ancora nelle condizioni di svolgere la propria missione sui mercati, serve una soluzione mediata e veloce che porti a una tranquillizzazione di un’Europa coinvolta in un tumulto bellico”.