Piano Mattei, seconda cabina di regia: dossier presto in Parlamento, poi Dpcm
Il documento di sintesi è in fase di scrittura, ma una “versione consolidata” del Piano Mattei è stata analizzata nella seconda cabina di regia a Palazzo Chigi dopo le osservazioni della prima riunione.
Il dossier sarà poi trasmesso al Parlamento per la formulazione del parere delle commissioni competenti e, alla fine, ci sarà un decreto della presidente del Consiglio.
A presiedere la seconda riunione, il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani, che coordina attorno al tavolo i ministeri coinvolti, la conferenza delle Regioni, i rappresentanti delle diverse agenzie e società dello Stato e delle imprese a partecipazione pubblica, dell’università, della ricerca, del terzo settore e di aziende private che si occupano di cooperazione e sviluppo.
Il Piano, sul campo, è partito con due missioni della premier in Egitto (17 marzo) e in Tunisia (17 aprile), che hanno permesso la firma di intese in alcuni dei settori di intervento: agricoltura, acqua, formazione.
Fuori da Palazzo Chigi, viene esposta l’Alfa Romeo Giulietta anni ’50, appartenuta a Enrico Mattei, su iniziativa dell’Ente Stati Generali del Patrimonio Italiano, con Aci e Intergruppo Parlamentare del Patrimonio Italiano, in occasione dell’approssimarsi della ricorrenza della nascita del fondatore dell’Eni (29 aprile 1906). E’ presente la famiglia, che attende di conoscere il Piano. “Ci fa grande piacere che la famiglia sia qui, sostenga un Piano strategico italiano, mi auguro possa essere parte di un grande Piano europeo e occidentale. Che la famiglia ci incoraggi è un fatto più che positivo“, osserva Tajani, dopo essersi intrattenuto brevemente con la nipote dell’industriale.
All’interno del Piano il ministero dell’Ambiente “intende contribuire significativamente allo sviluppo sostenibile e alla transizione energetica dell’Africa“, assicura durante il vertice la viceministra Vannia Gava, che sottolinea il ruolo decisivo del Fondo Italiano per il Clima, con una dotazione incrementata a 4,4 miliardi di euro e che, nella fase di individuazione degli interventi, “dovrà coinvolgere tutti i possibili stakeholders“, informa. Il tema sarà centrale anche nella ministeriale G7 Clima Ambiente Energia dei prossimi giorni a Torino, che si concluderà con l’impegno a supportare i Paesi in via di sviluppo, rafforzando i partenariati sul fronte energetico e dell’economia circolare e confermando, spiega Gava, “un approccio concreto e non predatorio che assicuri opportunità di crescita, sviluppo e stabilità sociale e politica del continente africano”.
L’importanza di un nuovo modello di partenariato è rimarcata anche da Tullio Ferrante, sottosegretario al ministero dei Trasporti: “È una svolta storica nelle relazioni con il Continente africano che consentirà di attuare progetti di investimento e sviluppo senza precedenti“, scandisce. In questa cornice, le infrastrutture rappresentano un asse che considera “trasversale” a tutti gli ambiti di intervento e rivestono un ruolo “strategico”, rivendica, per la realizzazione del Piano.
L’obiettivo di Roma è quello di contribuire alla modernizzazione delle infrastrutture in Africa mettendo a disposizione il know-how delle proprie imprese, presenti nel Continente da diversi anni e impegnate con cantieri attivi per oltre 12 miliardi di euro. L’Africa è infatti la seconda area geografica per attività all’estero delle società di ingegneria, architettura e consulenza italiane.
Centrale è anche l’alta formazione. “Dall’azione messa in campo dal MUR arriverà un potente innesto di idee“, garantisce la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. L’intenzione è dare stabilità ai progetti affinché producano “effetti positivi di lungo termine“. Si cercherà quindi di incardinare infrastrutture di ricerca.
Al momento, il Mur è concentrato in una “profonda azione di mappatura, mai realizzata in precedenza, del grande patrimonio esistente di legami tra Italia e Africa in termini di formazione superiore e ricerca“, fa sapere Bernini. La mappatura ha rivelato un quadro diversificato, di collaborazioni già in atto in Africa. C’è una forte presenza delle università italiane, con quasi mille (991) accordi sottoscritti con atenei africani negli ultimi 30 anni, e oltre 200 progetti di cooperazione attivati di recente (ultimi 5 anni) in oltre 30 Paesi africani.
Nella missione del 17 aprile in Tunisia, è stato firmato un Memorandum of Understanding su università, ricerca scientifica, sviluppo tecnologico e innovazione con l’omologo tunisino, Moncef Boukthir. Il 30 aprile si terrà un incontro a Roma con l’omologo del Marocco, con la firma di un MoU simile, così come quello in programma nella visita in Algeria, in negoziato. Contatti sono avviati anche con la Libia e con altri Paesi-pilota nell’Africa subsahariana. E’ di marzo il memorandum sottoscritto dal Mur con la Fondazione MedOR per l’organizzazione di un roadshow per promuovere la nuova Infrastruttura Tecnologica di Innovazione Future Farming, progetto pubblico-privato di punta nel settore dell’agricoltura del futuro, nato grazie a un cofinanziamento del Ministero dell’Università a valere sui fondi Pnrr con la Ca’ Foscari. C’è attesa per il G7 Scienza e tecnologia che si terrà a luglio a Bologna, con una sessione sull’Africa che vedrà la partecipazione di Unione Africana e Unesco.
Tra le associazioni presenti al tavolo, quelle che rappresentano il macroambito dell‘agricoltura. “E’ un passo avanti ulteriore per quanto riguarda l’entrata nei progetti concreti che potranno essere presentati per i vari settori produttivi“, sostiene il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, uscendo da Palazzo Chigi. Per l’agricoltura, osserva, “diventa un’ulteriore opportunità per mostrare un’eccellenza che può essere esportata come modello nel far crescere popoli che grazie all’agricoltura possono avere un rilancio e un futuro diverso rispetto a quello che stanno vivendo“. Ovviamente, avverte, con un “aspetto culturale e un impronta politica completamente diversa a quello che ha fatto la Cina o che sta facendo la Russia, che invece ha più una volontà di colonizzare questi territori e portar via l’unica ricchezza che può dare crescita e sviluppo a quel territorio“.
Puntare su un continente in netta e continua crescita dal punto di vista demografico, con una popolazione che nel 2050 sfiorerà i 2 miliardi di abitanti, e con un aumento del Pil che nel 2024 viaggia su una media del 5,5%, è “fondamentale per diversificare e ampliare i mercati del nostro interscambio commerciale, andando al contempo a promuovere la cooperazione allo sviluppo e l’eccellenza e l’unicità del nostro know how”, evidenzia il presidente della Copagri Tommaso Battista, che però mostra alcune preoccupazioni sugli obiettivi legati, in particolare, al principio di reciprocità, il cui mancato o parziale rispetto “potrebbe rappresentare un serio pericolo per i produttori agricoli e i consumatori”, fa notare.
“E’ stato dato un impulso operativo – fa eco il presidente di Cia-Agricoltori italiani, Cristiano Fini – si lavorerà molto su formazione, sull’agritech e per cercare di portare il know-how italiano sul territorio africano per far crescere in loco la popolazione“.