Dongfeng sbarca a Salone Auto Torino con 2 modelli: Stabilimento? Troppo presto

L’auto cinese arriva a Torino. L’occasione è il Salone dell’Auto, al via domani nella città sabauda, dove la casa produttrice Dongfeng Motor Corporation svelerà in anteprima assoluta le sue ultime novità: Dongfeng Box e Voyah Courage.

Il gruppo, nato nel 1969 in Cina, sta cercando di fare il suo ingresso nel mercato europeo e, ovviamente, in quello italiano. E di Dongfeng tanto si è parlato nelle ultime settimane come una delle case automobilistiche interessate ad investire in Italia per la creazione di una nuova fabbrica in cui produrre vetture. Tanto da avere già avuto, non sola e unica, delle interlocuzioni con il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso.

Al momento il general manager Ma Lei, a Torino proprio per il Salone, frena l’entusiasmo: “E’ presto per parlare di uno stabilimento in Europa. Molti ce lo chiedono ma prima dobbiamo capire meglio la situazione anche dal punto di vista dei clienti. La produzione è solo una parte della ricetta per soddisfare le necessità dei clienti. Ma prima bisogna pensare a far conoscere marchi e alla loro distribuzione”. E a chi gli chiedeva se avesse avuto modo di visitare dei papabili siti per un investimento in Italia in queste giornate a Torino ha risposto: “Abbiamo avuto poco tempo per ora per farci una prima idea”. Ma Lei, però, non nega che il capoluogo piemontese sia “il cuore dell’industria automobilistica europea, vanta una profonda tradizione nella produzione di auto. In questi giorni sono emozionato nel sentire questa cultura così profonda intorno a me”.

Prima, appunto, devono venire le vendite. Che, al momento, spiega, in Europa sono “intorno alle 10mila unità, una cifra molto importante. Ma la cosa più importante è che abbiamo avuto feedback positivi, i clienti hanno accettato il nostro prodotto. Arriveremo presto a 20-30mila unità, soprattutto quando presenteremo altri prodotti e quando avremo una nuova capacità di assistenza e di ricambi, con un primo stabilimento a Venlo, nei Paesi Bassi. Questo per smentire l’impressione che alcuni hanno che i cinesi vendono le auto ma che poi non ci sono i ricambi”.

L’obiettivo è anche quello di aumentare i punti vendita in Europa: 114 entro il 2024, 160 entro il 2025 coprendo tutto il territorio. L’avvio del Salone dell’Auto a Torino e l’arrivo della cinese Dongfeng coincidono però con notizie decisamente meno positive per la città, regno dell’automotive.

E’ di oggi, infatti, l’annuncio di Stellantis che, a causa della “attuale mancanza di ordini legata all’andamento del mercato elettrico in Europa”, la produzione della 500 BEV a Mirafiori subirà una sospensione delle attività da domani, 13 settembre, fino all’11 ottobre. La produzione, dopo la pausa estiva, era ripresa il 2 settembre fino ad oggi. Stellantis assicura però di essere “fermamente impegnata a garantire la continuità di tutti i suoi impianti e delle sue attività e sta lavorando duramente per gestire al meglio e traguardare questa difficile fase della transizione”. “Stellantis – conclude l’azienda – rimane accanto ai suoi colleghi e le sue colleghe in questo momento turbolento, con l’obiettivo di garantire continuità e crescita, confermando il ruolo dell’Italia come uno dei pilastri globali del Gruppo. Si tratta di un percorso impegnativo, che non risparmia scelte difficili e non offre soluzioni a portata di mano, ma esige unità d’intenti e visione, necessarie per accompagnare questa grande azienda, insieme a tutti i suoi dipendenti, nel futuro”.

Se la manifattura è debole… il petrolio (forse) sta peggio

Una manifattura debole in mezzo mondo, dagli Usa alla Cina passando per l’Europa, e le voci insistenti di un possibile aumento della produzione dei Paesi Opec hanno sgonfiato i prezzi del petrolio, che rivedono i minimi da un anno. Nemmeno l’attacco ad opera degli Houthi nello Yemen a una petroliera saudita ha ravvivato gli acquisti. Anzi, proprio l’assenza di smentite del club di Vienna, dove ha sede l’organizzazione internazionale degli Stati esportatori di greggio, su un cambio di rotta della politica di tagli alla produzione (comunque non del tutto rispettata) che prosegue da un paio di anni, ha fatto peggiorare le quotazione di Wti texano e Brent europeo, i quali lasciano sul terreno circa il 4%, col primo che scivola a 70,6 e il secondo a 74,2 dollari al barile.

Venerdì la Reuters ha rilanciato sei fonti dell’Opec+ che inizieranno ad allentare i tagli alla produzione a partire da ottobre. Se l’organizzazione decidesse di avviare il processo di incremento della produzione a ottobre, ciò sarebbe ampiamente compensato dalle significative perdite nella produzione di petrolio della Libia, membro dell’Opec, iniziate la scorsa settimana. Finora, la produzione della Libia ha visto un -700.000 barili al giorno per la chiusura dei giacimenti petroliferi da parte del governo orientale della Libia. Un calo che offre all’Opec+ un po’ di margine agli altri membri per iniziare il lento processo di aumento della produzione di greggio senza alterare il numero complessivo di barili che entrano nel mercato. Sarebbero 8 i Paesi membri dell’Opec+ pronti a pompare 180.000 barili al giorno in più a ottobre come parte del piano esistente del gruppo per annullare i 2,2 milioni di barili al giorno di tagli volontari.

Certo è che, al di là della battaglia per il controllo del mercato petrolifero tra Opec e Paesi non Opec (dagli Usa alla Guyana), sono anche i dati economici a indicare un rallentamento della manifattura e di conseguenza della domanda di greggio. I prezzi sono stati appesantiti infatti dagli ultimi dati economici dalla Cina, che hanno mostrato che l’attività delle fabbriche continua a contrarsi, con l’indice ufficiale dei direttori degli acquisti dell’Ufficio nazionale di statistica che ha mostrato come l’attività manifatturiera di Pechino si sia contratta per il quarto mese consecutivo ad agosto, raggiungendo il  valore più basso degli ultimi sei mesi.

In Europa, Francia e Germania continuano a navigare all’interno di una profonda fase di contrazione come hanno testimoniato ieri gli indici Pmi industriali. E oggi pomeriggio l’indice Ism manifatturiero americano è risalito leggermente a 47,2 ad agosto, dal minimo di novembre 2023 di 46,8 registrato a luglio, ma è risultato inferiore alle stime di mercato di 47,5, segnalando così la 21esima contrazione mensile dell’attività manifatturiera statunitense negli ultimi 22 mesi. Quinto ribasso di fila.
La Federal Reserve e la Bce taglieranno i tassi nelle prossime settimane per allentare la pressione e non deprimere ulteriormente la domanda. Da vedere se non sia troppo tardi.

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La Cina avvia un’indagine antidumping sui semi di colza canadesi

La Cina ha annunciato martedì l’avvio di un’indagine antidumping sui semi di colza canadesi, come apparente ritorsione per gli ingenti dazi imposti da Ottawa sui veicoli elettrici cinesi importati. Alla fine di agosto, il primo ministro canadese Justin Trudeau ha annunciato una sovrattassa del 100% sulle importazioni di veicoli elettrici cinesi a partire da ottobre, in nome di una presunta “concorrenza sleale”. Ha inoltre dichiarato che Ottawa avrebbe imposto una sovrattassa del 25% sulle importazioni cinesi di acciaio e alluminio a partire dal 15 ottobre.

In una nota di oggi, il ministero del Commercio cinese ha dichiarato che “aprirà un’indagine antidumping sui semi di colza importati dal Canada”. In realtà, l’indagine riguarda principalmente la “canola”, una pianta affine alla colza e prodotta in Canada. Viene utilizzata principalmente come olio alimentare. Secondo Pechino, le esportazioni di colza canadese in Cina “sono aumentate in modo significativo”, per un valore di 3,47 miliardi di dollari (3,14 miliardi di euro) nel 2023, con prezzi che “hanno continuato a scendere”. Per il ministero, gli esportatori canadesi sono quindi “sospettati di dumping” sul mercato cinese. Questa pratica consiste nel vendere all’estero a prezzi inferiori a quelli del mercato interno, distorcendo così la concorrenza.

“Colpite dalla concorrenza sleale canadese, le industrie cinesi legate alla colza continuano a subire perdite”, ha sottolineato il ministero, che sta valutando di portare la questione all’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La Cina “adotterà tutte le misure necessarie per difendere i diritti e gli interessi legittimi” delle sue aziende.

Le relazioni tra Ottawa e Pechino sono ai ferri corti da diversi anni, in particolare dalla crisi di Huawei e dall’arresto nel 2018 di Meng Wanzhou, il direttore finanziario del gruppo cinese, seguito dall’incarcerazione in Cina di due cittadini canadesi.

Gli Stati Uniti e l’Unione europea (Ue) hanno inoltre imposto dazi doganali rispettivamente del 100% e fino al 36% sui veicoli elettrici cinesi. Bruxelles ritiene che i prezzi siano artificialmente bassi a causa di sussidi statali che distorcono il mercato e danneggiano la competitività dei produttori europei.

Lollobrigida si prepara a G7 Agricoltura: tra Piano Mattei e guerra dei dazi con la Cina

Dal palco del Meeting di Rimini, Francesco Lollobrigida si prepara al G7 dell’Agricoltura e della Pesca, che si svolgerà dal 26 al 28 settembre a Ortigia, in Sicilia.

Il primo che non coinvolgerà solo le nazioni più industrializzate, ma sarà innanzitutto un “ponte con l’Africa“, anticipa. Due giorni e mezzo in cui una parte preponderante sarà dedicata al Piano Mattei, al rapporto con i paesi africani, che in qualche modo si intreccia con uno sviluppo che definisce “coerente” del Pianeta, che metta in condizione di rispondere anche alle grandi domande.

Una tra tutte: “Come diamo da mangiare 10 miliardi di persone?“. L’approccio del ministro italiano continua a essere quello in cui alla quantità si aggiunge la qualità. Continua quindi la guerra in Italia e in Europa ai cibi sintetici. Come fare con l’Africa? “Investendo sulle grandi potenzialità del continente“, scandisce. Perché l’Africa ha il 65% delle terre arabili del pianeta e, sottolinea Lollobrigida, “ha i giovani“. L’età media è di 25 anni, significa “forza lavoro e capacità di rigenerazione molto elevata“. La sinergia con i paesi “cosiddetti ‘progrediti’ – dice – può portare a uno sviluppo integrato che mette in condizione in particolare l’Europa di condividere nuovamente una stagione virtuosa di rapporti come Enrico Mattei prevedeva con l’Africa“.

Ma, a livello internazionale, il ministro dovrà gestire anche il nodo della guerra dei dazi tra Unione Europea e Cina che parte dalle auto, ma finisce dritta sugli agricoltori, soprattutto su quelli che si occupano di latte e formaggi. Il settore agroalimentare è preoccupato, più volte nei rapporti tesi con alcuni Paesi, è diventato bersaglio di ritorsioni.

“Se l’Europa colpisce i prodotti industriali, a subire il contraccolpo sono le eccellenze agroalimentari a partire dalle DOP“, tuona il consorzio del Grana Padano, leader mondiale nel consumo con 5.456.500 forme prodotte lo scorso anno e con un export che già nei primi mesi del 2024 è ulteriormente cresciuto, arrivando a rappresentare circa il 50% del prodotto commercializzato. “I dazi ipotizzati dalla Cina contro i prodotti lattiero-caseari dell’Europa zootecnica saranno negativi per l’intero continente e soprattutto per la Francia o altri paesi di forte esportazione in Cina“, osserva il direttore generale del Consorzio di Tutela, Stefano Berni. “Anche l’Italia rischia delle conseguenze, ma in misura meno rilevante – ricorda -. Per il Grana Padano la Cina, pur non avendo raggiunto livelli di importazione del nostro prodotto in quantità rilevanti, è comunque un mercato in decisa crescita e quindi saremmo sicuramente penalizzati”. Sulla vicenda, Berni promette battaglia e chiede di usare anche il palco della ministeriale dei 7 grandi: “Faremo tutto quanto è nelle nostre possibilità usando anche l’occasione del G7 Agricolo“, annuncia. “Siamo a favore della libera scelta del consumatore, purché sia essa correttamente informata e legata a prezzi corretti che non vengano eccessivamente gravati da dazi di ingresso. Quindi ci batteremo per questo a tutela dei consumatori italiani e mondiali che non devono vedere la loro capacità di spesa compromessa da costi aggiuntivi di derivazione politica oltre a quelli fisiologici dettati dalla qualità dei prodotti posti in vendita“.

Cina avvia indagine antisussidi su latte e formaggi provenienti dall’Ue

La Cina ha annunciato l’avvio di un’indagine su presunti sussidi concessi dall’Unione Europea ad alcuni prodotti lattiero-caseari, in mezzo alle tensioni con Bruxelles per le sovrattasse sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina. “Il Ministero del Commercio ha deciso di aprire un’indagine antidumping su alcuni prodotti lattiero-caseari importati dall’Unione Europea con effetto dal 21 agosto 2024”, ha dichiarato in una nota. L’indagine riguarda prodotti come il formaggio fresco, il latte cagliato e alcuni tipi di creme. La procedura riguarda una serie di sussidi concessi nell’ambito della Politica Agricola Comune (PAC) dell’Ue.

Martedì l’Unione Europea ha confermato l’intenzione di imporre una sovrattassa di cinque anni sulle auto elettriche provenienti dalla Cina, comprese quelle prodotte da Tesla, che ha una fabbrica a Shanghai. Bruxelles ritiene che i prezzi dei veicoli cinesi siano artificialmente bassi a causa di sussidi statali che distorcono il mercato e danneggiano la competitività dei produttori europei.
Queste sovrattasse, che possono raggiungere il 36%, sostituiranno le tasse provvisorie imposte all’inizio di luglio sui veicoli elettrici importati dalla Cina. Pechino critica questa decisione e negli ultimi mesi ha minacciato più volte ritorsioni.

L’indagine sui prodotti lattiero-caseari deve concludersi entro un anno, ma può essere prorogata di sei mesi, secondo il comunicato stampa del ministero. A gennaio Pechino aveva già annunciato che stava indagando su una presunta violazione della concorrenza riguardante gli alcolici, come il cognac, importati dall’Ue e in particolare dalla Francia, che aveva dato origine all’indagine di Bruxelles.
A giugno, inoltre, ha avviato un’indagine antidumping sulle importazioni di carne di maiale e prodotti a base di carne di maiale dall’Unione Europea, principalmente prodotti in Spagna, Francia, Paesi Bassi e Danimarca.

Germania, Italia, Spagna: avanzano le aziende cinesi nell’eolico europeo

I produttori di turbine eoliche hanno fornito una quantità record di volume nel 2023, secondo il rapporto annuale Supply Side Data del Global Wind Energy Council: 30 produttori nel mondo hanno installato un record di 120,7 GW di nuova capacità l’anno scorso, nonostante un contesto macroeconomico difficile e le continue sfide della catena di fornitura. I fornitori cinesi hanno installato 81,6 GW nel 2023, con conseguente occupazione da parte delle aziende cinesi di quattro dei primi cinque posti nella classifica dei fornitori di quest’anno.

Goldwind è emerso come fornitore principale nel 2023, con Envision che è salita di tre posizioni al secondo posto e la danese Vestas al terzo posto. Windey e MingYang occupano rispettivamente il quarto e il quinto posto, con quest’ultimo che è riconosciuto come il più grande fornitore di turbine eoliche offshore al mondo nel 2023. Vestas, Siemens Gamesa, Nordex Group, GE Vernova ed Enercon, rimangono i primi cinque fornitori di turbine in Europa nel 2023. A livello globale, Vestas è scesa però di due posizioni dal 2022 al 3° posto, sebbene con turbine eoliche installate in 36 paesi l’operatore danese rimanga il più diversificato geograficamente.

Il 97 percento delle installazioni delle aziende cinesi nel 2023 in effetti è avvenuto nel loro mercato interno, la Cina, lo stesso livello dell’anno precedente. Le aziende cinesi hanno installato infatti solo 2,3 GW al di fuori del loro mercato interno l’anno scorso, di cui il 63% nella regione asiatica. Riguardano l’Europa ordini per 1,2 gigawatt (GW) nel 2023, come mostrano i dati di WindEurope. E nei primi mesi di quest’anno gli ordini europei di turbine prodotte in Cina hanno raggiunto i 546 megawatt (MW). Qualcosa sta dunque cambiando.

A inizio luglio Luxcara, fondo di private equity tedesco, ha firmato un accordo preferenziale di fornitura turbine con MingYang Smart Energy per il progetto eolico offshore Waterkant nel Mare del Nord tedesco. L’accordo di prenotazione è stato siglato – fa sapere il fondo – dopo una gara d’appalto internazionale e un’ampia due diligence e copre la fornitura di 16 delle turbine eoliche offshore più potenti al mondo con una capacità fino a 18,5 MW ciascuna per l’installazione nel 2028. E Luxcara si è aggiudicata ieri, lunedì 12 agosto, 1,5 Gw in una gara d’appalto in Germania. Nella partita potrebbe dunque entrare anche MingYang, lo stesso operatore che ha firmato la scorsa settimana col Ministero delle imprese e del Made in Italy un memorandum da 500 milioni insieme a Renexia, società italiana attiva nel settore delle rinnovabili del gruppo Toto, con l’obiettivo di creare in Italia una Newco per la costruzione delle turbine eoliche.

La Commissione europea vorrà probabilmente esaminare il memorandum nel contesto del Regolamento Ue sulle sovvenzioni estere. Gli investimenti nel settore manifatturiero rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento“, ha commentato a GEA Christoph Zipf, responsabile delle comunicazioni di Wind Europe, l’associazione che raggruppa le aziende del settore eolico europeo. “Nell’aprile di quest’anno la Commissione europea ha annunciato l’avvio di un’indagine sui fornitori cinesi di turbine eoliche in base al nuovo regolamento sulle sovvenzioni estere. Questo strumento è un modo per garantire una concorrenza leale e condizioni di parità tra gli attori del mercato. La Commissione europea può utilizzarlo quando ritiene che ci possa essere un elemento di sovvenzioni statali sleali“, ha sottolineato ancora Zipf a GEA.

Proprio per dribblare eventuali indagini, così come accaduto sulle auto elettriche e probabilmente sui pannelli solari, le aziende cinesi stanno dunque accelerando per produrre direttamente in Europa, come dimostra la firma della scorsa settimana in Italia. A parte i dazi, c’è anche una questione logistica: spedire apparecchiature gigantesche è una sfida costosa. Vensys, una divisione di Goldwind, ha in programma di produrre un modello di pala di turbina eolica da 86 metri presso un’ex fabbrica di Airbus recentemente acquistata a Ferreira, in Spagna, aveva dichiarato a Reuters a giugno E pure un altro produttore cinese di turbine eoliche, Sany, sta valutando l’apertura di un impianto nel Vecchio Continente.

In attesa di veder aprire i cantieri eolici cinesi in Italia e in Europa, “le turbine eoliche made in Pechino vengono offerte nella Ue a un prezzo inferiore del 30-50% rispetto alle turbine europee, con termini di pagamento differiti fino a 3 anni”, ricorda Wind Europe.

La Via della Meta: portare in Italia le aziende cinesi dell’auto (elettrica)

Il viaggio della premier Giorgia Meloni a Pechino segna una (nuova) svolta nei rapporti tra Italia e Cina dopo lo strappo della Via della Seta, là dove i rapporti con una delle grandi potenze del mondo non è mai stato agevole in passato e pare resti comunque delicato nel presente. Però, pur con tutte le tutele del caso, è quasi un passaggio ineludibile guardare alla Cina per dare ossigeno al made in Italy e per capire quali ricadute (positive) possano scaturire da alcune sinergie industriali che riguardano il nostro Paese, segnatamente nel settore dell’automotive. Nell‘accordo quadro (triennale) strutturato in sei punti, l’auto elettrica e la possibilità da parte di aziende cinesi di impiantare fabbriche in Italia è forse lo snodo più importante, assieme a un accordo sulle rinnovabili, in particolare l’eolico offshore, e all’eventualità di scansare i dazi sulle merci importate dalla Ue, in risposta ai dazi imposti dall’Europa sulle auto cinesi.

La Cina, assieme all’India, è uno dei grandi inquinatori del Pianeta. Eppure sull’elettrico è anni luce avanti rispetto a tutti i potenziali competitor. E l’Italia, che attualmente ha un solo produttore di automobili, potrebbe/vorrebbe accogliere aziende cinesi. Sembra che ce ne siano sei pronte a sbarcare da noi, agevolate dall’ok del governo e dal dialogo che sta portando avanti da mesi Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del made in Italy. Se da un lato è fondamentale la stabilità del sistema delle regole che sta alla base di una cooperazione non solo commerciale, dall’altro è indispensabile una certa flessibilità interpretativa per non irrigidire le posizioni. “Solo i cinesi possono produrre un’utilitaria elettrica”, ha detto Federico Visentin, presidente di Federmeccanica, certificando la superiorità tecnologica di Pechino. Tutto questo anche se il mercato dell’elettrico è in stallo per una questione di prezzo (elevato) delle autovetture, di autonomia delle stesse e di carenze di strutture, le agognate colonnine di ricarica. Rimane un dato inconfutabile: il 20% delle auto elettriche acquistate entro i confini dell’Unione europea è cinese e persino Tesla costruisce in Cina dove il costo della manodopera è inferiore.

Tornando all’Italia, il paradosso è che attualmente importiamo di più dalla Cina di quanto esportiamo in Cina (47 miliardi a fronte di 19 miliardi) e la missione della premier a Pechino va vista anche sotto questo aspetto non proprio trascurabile. Dalla Via della Seta si è passati alla Via della Meta, con l’obiettivo dichiarato di intensificare le relazioni commerciali. Meloni si è anche offerta come facilitatore dei rapporti tra la Cina e la Ue, proprio perché alcune rigidità di Bruxelles sono state mal digerite da Pechino, ma aggettivamente gli equilibri della nuova Ue non legittimano a ottimismi assortiti.

rinnovabili

Cina pigliatutto: la sua capacità rinnovabile è doppia rispetto a tutto il resto del mondo

La Cina sta consolidando la sua posizione di leader mondiale nel settore delle energie rinnovabili, costruendo attualmente il doppio della capacità eolica e solare rispetto al resto del mondo. Il gigante asiatico, con la sua enorme popolazione (1,4 miliardi di persone) e il suo status di Paese manifatturiero, è il maggior emettitore mondiale di gas serra, che secondo gli scienziati stanno accelerando il cambiamento climatico. La Cina si è impegnata a stabilizzare o ridurre le proprie emissioni entro il 2030 e a diventare carbon neutral entro il 2060.

Per questo sta sviluppando fortemente la sua capacità rinnovabile: attualmente sta costruendo altri 180 gigawatt (GW) di energia solare e 159 GW di energia eolica, secondo uno studio dell’organizzazione americana Global Energy Monitor (GEM).

Secondo il rapporto, questi 339 GW “rappresentano il 64% dell’energia solare ed eolica” che è “attualmente in costruzione” sul pianeta, quasi il doppio del resto del mondo messo insieme. La Cina è seguita da Stati Uniti (40 GW), Brasile (13 GW), Regno Unito (10 GW) e Spagna (9 GW), secondo GEM, un’organizzazione che elenca i progetti di energia fossile e rinnovabile in tutto il mondo.

I 339 GW rappresentano un terzo della nuova capacità totale di energia eolica e solare annunciata dalle autorità nazionali e per la quale è stata effettivamente avviata la costruzione, “superando di gran lunga” la media globale (7%), osserva lo studio. “Il sorprendente contrasto tra queste due percentuali illustra la natura molto proattiva della Cina per quanto riguarda i suoi impegni nella costruzione di progetti di energia rinnovabile”, sottolinea la ricerca.

Tuttavia, per soddisfare la crescente domanda di elettricità, la Cina fa ancora molto affidamento sulle centrali elettriche a carbone, un combustibile fossile altamente inquinante. Inoltre, ha difficoltà a trasportare parte dell’energia rinnovabile prodotta nelle regioni remote verso i centri economici densamente popolati dell’est. Tuttavia, secondo GEM, quest’anno la capacità combinata di energia eolica e solare in Cina dovrebbe superare quella del carbone. Secondo lo studio, questa rapida espansione delle energie rinnovabili fa sperare che le emissioni cinesi raggiungano il picco prima del previsto.

In un rapporto diverso pubblicato giovedì, il Centro per la ricerca sull’energia e l’aria pulita (Crea), un istituto di ricerca con sede in Finlandia, afferma inoltre che la Cina non ha rilasciato alcun nuovo permesso per progetti di acciaierie a carbone nella prima metà del 2024.

Secondo lo studio, che parla di un possibile “punto di svolta”, questo è il primo semestre in cui non sono state rilasciate autorizzazioni dal settembre 2020, quando la Cina ha annunciato i suoi impegni sulle emissioni per il 2030 e il 2060. “Con la domanda di acciaio in Cina che sta raggiungendo il picco”, c’è “un potenziale significativo per eliminare gradualmente la produzione a base di carbone, che rappresenta un’opportunità significativa per ridurre le emissioni nei prossimi 10 anni“, afferma il Crea.

La cinese Byd apre fabbrica in Turchia per non pagare dazi Ue su auto elettriche

Fatta la legge, trovato il modo per aggirarla. La scorsa settimana la Ue ha deciso dazi provvisori sui veicoli elettrici importati dalla Cina, colpendo Byd con un’ulteriore tassa del 17,4% in aggiunta all’attuale aliquota del 10%. E Byd decide di aprire uno stabilimento in Turchia, dal valore di un miliardo di dollari, per dribblare i dazi stessi. Sono infatti arrivate ulteriori conferme, dopo lo scoop di Bloomberg di venerdì, sul fatto che il primo produttore mondiale di veicoli elettrici installerà la sua fabbrica nella provincia di Manisa, vicino alla città costiera occidentale di Izmir. L’annuncio ufficiale è atteso a ore e a farlo sarà direttamente il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan.

Per gli osservatori, l’installazione di una fabbrica Byd in Turchia consentirebbe alla casa automobilistica di accedere al mercato europeo eludendo le tasse sui veicoli elettrici cinesi. D’altro canto, l’unione doganale conclusa dalla Turchia con l’UE alla fine del 1995 ha aperto il mercato europeo alle automobili “made in Turkey“, facilitando l’esportazione del 70% della produzione locale verso l’Europa occidentale. Inoltre, la Turchia ha deciso a giugno di esentare gli investimenti cinesi nel suo territorio e di non tassare le importazioni di automobili di origine cinese, al fine di incoraggiare gli investimenti.

Secondo il consulente indipendente Levent Taylan, contattato da France Presse, lo Stato turco avrebbe gentilmente fornito a Byd un terreno inizialmente assegnato al produttore tedesco Volkswagen, che aveva progettato un vasto stabilimento prima di rinunciarvi. Con Byd “sarà un investimento per il mercato turco ma soprattutto per quello europeo, eludendo le tariffe doganali imposte sui veicoli di origine cinese”, ritiene Taylan, secondo il quale Byd arriverebbe in Turchia con “un potenziale di vendita” di circa 20-25.000 veicoli/anno sul mercato locale e di circa 50-75.000 per l’esportazione nell’Ue.

Una fabbrica con una capacità installata compresa tra 100 e 125.000 veicoli all’anno sarebbe un investimento ragionevole“, giudica questo buon conoscitore del mercato automobilistico turco sentito da Afp. Per fare un confronto, la fabbrica recentemente aperta in Thailandia da Byd ha una capacità produttiva di 150mila veicoli all’anno.

La mossa a tenaglia cinese sull’Europa segue la visita del presidente Xi Jinping aveva fatto in Europa, visitando la Francia ma soprattutto Serbia e Ungheria. L’8 maggio a Belgrado, insieme al presidente serbo Aleksandar Vucic, il leader cinese firmò 29 accordi volti a rafforzare la cooperazione legale, normativa ed economica. Inoltre, un significativo accordo di libero scambio, che è iniziato l’1° luglio, consentirà l’esportazione senza dazi del 95% dei prodotti serbi verso la Cina nei prossimi cinque-dieci anni. Il giorno dopo, a Budapest, è stata invece annunciata la firma di almeno 16 accordi con il governo ungherese guidato da Viktor Orban – ora in missione a Pechino -, nei settori delle infrastrutture ferroviarie e stradali, dell’energia nucleare e ovviamente dell’automobile. Infatti proprio Byd aveva annunciato a fine 2023 che costruirà la sua prima fabbrica automobilistica in Europa a Szeged in Ungheria. La nuova struttura del colosso cinese si concentrerà sulla produzione di veicoli elettrici e ibridi plug-in destinati al mercato europeo, promettendo di generare migliaia di posti di lavoro. Il governo ungherese supporterà l’impianto con sussidi, sebbene l’importo preciso sarà annunciato solo dopo l’approvazione della Commissione europea.

Negli ultimi cinque anni l’Ungheria ha attratto circa 20 miliardi di euro di investimenti legati ai veicoli elettrici, compreso un impianto di batterie da 7,3 miliardi di euro costruito da Contemporary Amperex Technology (Catl) a Debrecen. Byd, tra l’altro, già produce autobus elettrici con successo nella città ungherese di Komarom. E per il nuovo impianto a Szeged, Orban ha destinato finanziamenti significativi per migliorare le infrastrutture intorno al parco industriale. L’apertura nella città a sud del Paese consentirà al colosso di Shenzhen di evitare tariffe di importazione. In attesa della realizzazione della fabbrica, ecco allora l’investimento in Turchia, che vanta un know-how riconosciuto nel settore automobilistico con una rete di oltre 500mila subappaltatori avendo attirato dagli anni ’70 numerosi produttori come Fiat, Renault, Ford e Toyota.

Urso a Pechino: mobilità elettrica e tecnologia green al centro della missione

Inizia la missione del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, in Cina: una due giorni fitta di incontri istituzionali, con imprese cinesi interessate a investire in Italia e con aziende italiane presenti nel Paese.

L’obiettivo della visita ufficiale è verificare la possibile cooperazione e le partnership industriali negli ambiti della tecnologia green e della mobilità elettrica, in cui i cinesi sono molto competitivi, così da poter realizzare in Italia una piattaforma produttiva legata a questi due settori chiave nella transizione ambientale.

Il Governo, spiega Urso, ha una “visione strategica” di come possano crescere i rapporti tra Italia e Cina e “può dare finalmente garanzie di affidabilità, stabilità e continuità, elementi fondamentali nella scelta di ogni investitore”.

Dopo essere stato accolto dall’ambasciatore Massimo Ambrosetti, il ministro ha incontrato il presidente di CCIG (China City Industrial Group), Gu Yifeng, il presidente di Chery Automobile Yin Tongyue, e la comunità imprenditoriale italiana presente in Cina.

Con le due aziende cinesi si è discusso delle opportunità di investimento in Italia e si è fatto il punto sulle collaborazioni avviate. È stato, inoltre, ribadito l’impegno del governo italiano a creare un ambiente imprenditoriale favorevole e competitivo con partnership industriali che possano utilizzare anche gli strumenti agevolativi per i nuovi insediamenti produttivi, oltre ai programmi di supporto per la ricerca e lo sviluppo.

Il ministro ha poi sottolineato le opportunità offerte dall’Italia come “hub produttivo in Europa e nel Mediterraneo” e i principali punti di forza che rendono il Paese “luogo ideale per le attività sulla tecnologia green e la mobilità elettrica” anche per la presenza di una filiera produttiva e di una componentistica leader in Europa e per la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo.

Nella delegazione del governo è presente anche il presidente di Anfia, Roberto Vavassori, l’associazione che rappresenta le imprese della componentistica dell’automotive. La prima giornata della missione si è conclusa con l’incontro, presso l’Istituto italiano di cultura di Pechino, con la comunità imprenditoriale italiana presente in Cina. Ad accogliere il ministro i rappresentanti di molte grandi aziende e Pmi italiane. Assicurando il sostegno del governo e delle istituzioni di Roma, il ministro ha ascoltato gli imprenditori, di diversi settori produttivi, che hanno raccontato i punti di forza e le difficoltà che si riscontrano nel Paese, sottolineando la necessità di portare avanti progetti di innovazione per poter competere nel mercato cinese.