COP29, a un mese dal vertice l’accordo sugli aiuti al clima è ancora in sospeso

A un mese dall’inizio della Cop29, le nazioni sembrano ancora in stallo sui negoziati cruciali per gli aiuti al clima, con divisioni su chi paga e quanto, che minacciano le possibilità di un accordo alla fine del summit. Questa Cop, definita “finanziaria”, inizierà sei giorni dopo le elezioni presidenziali degli Stati Uniti. La sfida principale sarà quella di ottenere un impegno da parte dei Paesi ricchi, maggiormente responsabili del riscaldamento globale, ad aumentare sostanzialmente gli aiuti ai Paesi poveri per combattere il cambiamento climatico. Il possibile ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump, che ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi, incombe già sui negoziati, che riuniranno oltre 50.000 partecipanti dall’11 al 22 novembre in Azerbaigian.

L’importo attuale degli aiuti per il clima, fissato a 100 miliardi di dollari all’anno, con scadenza nel 2025, è considerato ben al di sotto di quanto necessario. Il Climate Action Network, un gruppo di Ong, ha recentemente stimato, in una lettera inviata ai negoziatori, che sarebbe necessario “almeno un trilione di dollari all’anno” in sussidi.

Ma i principali donatori, tra cui l’Unione Europea e gli Stati Uniti, non hanno ancora indicato quanto sono disposti a contribuire.
Mercoledì, i ministri si incontreranno a Baku per cercare di portare avanti le cose in una “ultima fase critica” prima della Cop29, secondo l’Azerbaigian. “Si tratta di negoziati complessi – se fossero facili, avrebbero già avuto successo – e i ministri avranno successo o falliranno insieme”, ha dichiarato a settembre il presidente della Cop29, Mukhtar Babayev, ex dirigente del settore petrolifero e ministro dell’Ecologia dell’Azerbaigian. Gli osservatori ritengono che quest’anno sia mancata la leadership sul clima, con l’attenzione concentrata altrove, anche se incendi, inondazioni, ondate di calore e siccità hanno colpito in tutto il mondo.

Gli attuali sforzi internazionali per ridurre le emissioni di gas serra non sono sufficienti per limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi Celsius sopra i livelli preindustriali, il limite più sicuro stabilito dall’Accordo di Parigi. In ottobre, Jim Skea, Presidente del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC), ha dichiarato: “Siamo potenzialmente diretti verso un riscaldamento globale di 3°C entro il 2100, se continuiamo con le politiche attuali”.

I Paesi in via di sviluppo, le principali vittime dei disastri climatici, vogliono che il nuovo accordo copra non solo le tecnologie a basse emissioni di carbonio e le misure di adattamento, ma anche la ricostruzione post-catastrofe, oltre ad un aumento degli aiuti, che i Paesi sviluppati rifiutano.

I Paesi obbligati a pagare – un elenco di Paesi industrializzati stabilito nel 1992 e riaffermato nell’Accordo di Parigi – vorrebbero che anche le ricche economie emergenti contribuissero.

Ma per i Paesi in via di sviluppo, l’aggiunta di donatori non è il problema. “Non dobbiamo lasciare che gli altri si sottraggano alle loro responsabilità”, ha sottolineato Evans Njewa del Malawi, che presiede il gruppo dei Paesi meno sviluppati, le 45 nazioni più vulnerabili al cambiamento climatico. La Cina, attualmente il più grande inquinatore del pianeta, sta già versando fondi per combattere il cambiamento climatico, ma vuole continuare a farlo alle sue condizioni. Di fronte a un’impasse nelle discussioni iniziali, l’Azerbaigian ha chiesto ai produttori di combustibili fossili di raccogliere un miliardo di dollari per l’azione climatica, promettendo di essere il primo donatore. Gli attivisti per il clima vedono in questo una forma di greenwashing, mentre l’Azerbaigian continua ad espandere la sua produzione di combustibili fossili e il suo presidente Ilham Aliev ha descritto le riserve di gas del suo Paese come un “dono di Dio”.

La riluttanza di questa ex repubblica sovietica ad affrontare la questione dell’eliminazione graduale dei combustibili fossili – una promessa della Cop28 – è un “modello preoccupante”, secondo Andreas Sieber della Ong 350.org. Un altro punto di vigilanza sarà la questione dei diritti umani in questo Stato, descritto come “repressivo” da Human Rights Watch. Amnesty International e i senatori statunitensi hanno espresso preoccupazione per la recente ondata di repressione in Azerbaigian. “La situazione sul campo è piuttosto triste… Quando l’Azerbaigian ospiterà la Cop29, non rimarrà molto della società civile”, ha dichiarato Arzu Geybulla, giornalista indipendente azera. Il numero di leader internazionali attesi a Baku rimane incerto. La Cop29 è meno sotto i riflettori rispetto al suo predecessore a Dubai, e molti credono che la Cop30 in Brasile l’anno prossimo avrà più peso.

Scoperta la relazione tra eventi meteo estremi e la violenza contro le donne

I cambiamenti climatici potrebbero aumentare la violenza contro le donne. A individuare la possibile correlazione sono stati i ricercatori dell’University College di Londra. La studio, pubblicato su PLOS Climate, ha esaminato il modo in cui gli shock climatici, come tempeste, frane e inondazioni, possono essere collegati a tassi più elevati di violenza nelle relazioni di coppia nei due anni successivi all’evento.

I dati sono stati raccolti sulla base di 363 indagini condotte in 156 Paesi tra il 1993 e il 2019 e hanno preso in considerazione gli episodi di violenza da parte del partner, sia fisici sia sessuali, subiti dalle donne nel corso dell’anno precedente. Queste informazioni sono state successivamente confrontate con quelle relative agli shock climatici avvenuti tra il 1920 e il 2022 in 190 Paesi, tenendo conto anche dello stato economico di questi ultimi.

Gli scienziati hanno riscontrato un legame significativo tra la violenza contro le donne e alcuni fenomeni climatici, tra cui tempeste, frane e inondazioni. Altri tipi di eventi estremi, come terremoti e incendi, non hanno invece mostrato una chiara relazione con la violenza nelle relazioni di coppia. I Paesi con un Pil più elevato sembrano, inoltre, essere meno interessati dal fenomeno rispetto a quelli a basso reddito, avendo registrato tassi di violenza minori.

“Le prove esistenti hanno rilevato che quando una donna subisce un evento legato al clima, ha maggiori probabilità di subire violenza in alcuni Paesi e per alcuni tipi di violenza, ma non in altri”, spiega Jenevieve Mannell, professoressa dell’University College di Londra. “Ci siamo proposti di esplorare ciò che stava accadendo a livello nazionale per contribuire a informare la politica internazionale sui cambiamenti climatici”, aggiunge.

I ricercatori non sono stati in grado di valutare perché alcuni fenomeni estremi abbiano un impatto maggiore sulla violenza da parte del partner. Tuttavia, ritengono che i diversi shock climatici possano richiedere tempi diversi per avere un effetto sulla violenza e questo potrebbe non essere stato colto nella finestra di due anni studiata. Di conseguenza, chiedono che i Paesi raccolgano più regolarmente dati sulla violenza contro le donne.

“Un piccolo numero di prove dimostra che il caldo e l’umidità aumentano i comportamenti aggressivi, compresa la violenza. I disastri legati al clima aumentano lo stress e l’insicurezza alimentare nelle famiglie in modi che possono portare a un aumento della violenza. Inoltre, riducono i servizi sociali spesso disponibili per affrontare la violenza dei partner, come la polizia e la società civile, che si concentrano maggiormente sul disastro” dice Mannell. “Allo stesso tempo, i governi possono creare rifugi per i soccorsi in caso di calamità, spesso sovraffollati e poco sicuri, senza pensare ai rischi di violenza sessuale”. Secondo l’esperta, “tutto questo accade più spesso e con maggiore gravità nei Paesi in cui vigono norme di genere patriarcali e in cui l’uso della violenza contro le donne è ampiamente accettato come comportamento normale”.

I ricercatori ritengono che gli sforzi di mitigazione e adattamento al clima possano e debbano svolgere un ruolo importante nella riduzione della violenza contro le donne. A tal fine si potrebbe, ad esempio, includere il tema negli impegni assunti dai Paesi in materia di cambiamento climatico e stanziare fondi per affrontarlo, oppure sviluppare Piani d’Azione per il Cambiamento Climatico di Genere, come già hanno fatto, tra gli altri, Samoa e Fiji. I ricercatori consigliano, infine, di tenere conto della violenza contro le donne nei processi di pianificazione delle catastrofi nei Paesi.

Sostenibile, equa e competitiva: appello delle associazioni al G7 per un’agricoltura resiliente

Serve “un approccio centrato sugli agricoltori per costruire sistemi alimentari locali sostenibili, resilienti e competitivi. Questi sistemi sono fondamentali per valorizzare il lavoro degli agricoltori, garantire catene del valore eque e contribuire alla sicurezza alimentare globale”. Parte da qui la dichiarazione congiunta firmata questa mattina dalle principali organizzazioni in occasione del G7 delle associazioni agricole, organizzato e guidato da Coldiretti, che si è svolto a Siracusa. Il documento è stato consegnato al ministro dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste Francesco Lollobrigida, presidente di turno del G7 agricolo e a John Steenhuisen, ministro dell’Agricoltura del Sud Africa, per poi essere trasferito a tutti i ministri.

L’evento è stato l’occasione per ricordare “il ruolo cruciale” che gli agricoltori e le loro organizzazioni svolgono nella costruzione di sistemi alimentari resilienti, inclusivi e sostenibili e l’appello arriva in un momento critico, segnato dall’instabilità geopolitica e dalla crescente crisi climatica. La dichiarazione congiunta, sostenuta anche dall’Organizzazione Mondiale degli Agricoltori (WFO), non solo riflette la voce collettiva degli agricoltori del G7, ma si allinea anche all’impegno della comunità agricola globale per sistemi alimentari sostenibili.

Le raccomandazioni chiave delineate nella dichiarazione includono “maggiori investimenti pubblici in pratiche agricole sostenibili e rispettose del clima, il rafforzamento del commercio internazionale equo basato sulla reciprocità e sulla trasparenza, e il progresso dell’innovazione incentrata sugli agricoltori che colmi il divario tra produttori e comunità di ricerca”.

Si richiama inoltre a “un approccio equilibrato” ai sistemi alimentari, investendo sia in filiere del valore locali corte che supportano comunità floride, sia in filiere del valore internazionali lunghe ed eque, che garantiscano trasparenza ed equità nel commercio globale. Queste misure “sono cruciali non solo per i Paesi del G7, ma anche per l’impegno globale volto a rispondere alla duplice sfida di nutrire una popolazione in crescita e mitigare i cambiamenti climatici”.

“Abbiamo voluto allargare i nostri lavori anche al tema dell’Africa, perché vediamo tutte le potenzialità di un continente dove uno sviluppo agricolo equo può diventare una risposta concreta alla fame, alla necessità di occupazione e alle spinte migratorie”, ha detto Ettore Prandini, presidente Coldiretti. “Ora – ha aggiunto – dobbiamo lavorare insieme per un’agricoltura che sia sostenibile, equa, in grado di rispondere alle sfide globali, partendo dal garantire un giusto reddito agli agricoltori. Solo attraverso un’azione coordinata potremo garantire la sicurezza alimentare per le generazioni future, per questo abbiamo proposto agli altri colleghi il tavolo permanente”.

Per Cristiano Fini, presidente della Cia-Agricoltori italiani, “senza agricoltura non c’è futuro, ma per continuare a garantire la sicurezza alimentare globale dobbiamo sostenere i produttori, assicurare un reddito equo, investire nelle aree interne, combattere il consumo di suolo e promuovere l’innovazione contro i cambiamenti climatici”.

Luigi Scordamaglia, responsabile delle politiche internazionali di Coldiretti e Ceo di Filiera Italia, è stato coordinatore dei lavori per la dichiarazione congiunta, alla quale si è arrivati “partendo da posizioni inizialmente divergenti”. “Abbiamo detto no a un mondo frammentato in blocchi geografici in costante conflitto commerciale, con dazi e barriere – ha ricordato – e abbiamo riaffermato la necessità di un multilateralismo inclusivo che coinvolga anche il Sud del mondo. Condividiamo valori, standard e obiettivi comuni, riconoscendo gli agricoltori come attori chiave nelle sfide sociali e ambientali globali”. 

Studio Wwa: “Crisi climatica raddoppia possibilità alluvioni mortali”

La tempesta Boris, che nelle scorse settimane ha sferzato ampie aree dell’Europa Centrale e provocato successivamente l’alluvione in Emilia-Romagna, è stata resa due volte più probabile dal cambiamento climatico. A rivelarlo è uno studio di World Weather Attribution. La ricerca, che ha analizzato l’arco temporale che va dal 12 al 16 settembre, ha inoltre messo in evidenza come il quantitativo di pioggia caduta in Europa Centrale durante i 4 giorni esaminati sia il più alto mai registrato.

Secondo gli esperti, le inondazioni diventeranno sempre più distruttive a causa del cambiamento climatico provocato dall’uomo, con un conseguente aumento dei relativi costi, che ha già portato all’impegno da parte dell’Unione Europea per lo stanziamento di 10 miliardi di euro per riparare i danni causati dalla tempesta Boris. Come dichiara Joyce Kimutai, ricercatore dell’Imperial College di Londra “il nostro studio ha trovato le impronte digitali del cambiamento climatico nelle raffiche di pioggia che hanno inondato l’Europa centrale. Ancora una volta, queste inondazioni evidenziano i risultati devastanti del riscaldamento provocato dai combustibili fossili. Finché il petrolio, il gas e il carbone non saranno sostituiti da energie rinnovabili, tempeste come Boris scateneranno precipitazioni ancora più intense, provocando inondazioni devastanti per l’economia”.

La tempesta, che ha riguardato Polonia, Romania, Slovacchia, Austria, Cechia e Germania, ha causato la morte di 24 persone, oltre ad aver devastato case, spazzato via ponti e causato diffuse interruzioni di corrente.

All’origine del fenomeno, secondo gli studiosi, ci sarebbe una combinazione di fenomeni meteorologici, tra cui l’aria fredda in movimento sulle Alpi e l’aria molto calda sul Mediterraneo e sul Mar Nero, che ha creato una “tempesta perfetta” caratterizzata da forti precipitazioni su un’ampia regione. Sulla base dei dati storici, si prevede che l’evento di quattro giorni di precipitazioni si verifichi in media circa una volta ogni 100-300 anni nel clima odierno con un riscaldamento di 1,3°C.

Le alluvioni del 1997 e del 2002 in Europa centrale sono state descritte come eventi che si verificano una volta ogni secolo, ma due decenni dopo, il riscaldamento globale è aumentato da 0,5 a 1,3°C, e sono accadute di nuovo. L’Europa si sta riscaldando anche più velocemente del resto del mondo. La tendenza è chiara: se l’uomo continua a riempire l’atmosfera con le emissioni di combustibili fossili, la situazione sarà più grave. Dobbiamo lottare per fermare il cambiamento climatico per evitare enormi costi sociali ed economici”, spiega Bogdan H. Chojnicki, climatologo della Poznań University of Life Sciences.

Sebbene la tempesta Boris rappresenti un evento unico nel suo genere, il cambiamento climatico, causato principalmente dalla combustione di petrolio, gas e carbone, lo ha reso più intenso e più probabile. Combinando le osservazioni meteorologiche con i modelli climatici, gli scienziati hanno scoperto che il cambiamento climatico ha reso le precipitazioni almeno due volte più probabili e il 7% più intense. Se il mondo non abbandonerà i combustibili fossili, causando un riscaldamento globale di 2°C, simili eventi di pioggia di quattro giorni diventeranno più intensi del 5% e più frequenti del 50%, con il rischio di inondazioni ancora più distruttive.

I ricercatori sottolineano la necessità di dare priorità all’adattamento e alla sua implementazione. È, quindi, importante investire in spazi di stoccaggio su larga scala nelle pianure alluvionali e in sistemi di allerta, nonché ridurre al minimo lo sviluppo urbano nelle aree a rischio di inondazioni, ridurrà l’impatto e salverà vite umane.

Siccità, caldo e maltempo frenano crescita vendemmia: 41 milioni di ettolitri di vino stimati

Sono 41 milioni gli ettolitri stimati per la vendemmia 2024, che segna una timida risalita del Vigneto Italia dopo la scorsa annata ultra-light. Pur registrando un +7% sui valori del 2023, segnalano le previsioni ufficiali dell’Osservatorio Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini (Uiv) presentate a Ortigia (SR) nell’ambito dell’Expo Divinazione in occasione del G7 Agricoltura, il raccolto 2024 rimane infatti distante (-12,8%) dalla media produttiva dell’ultimo quinquennio, mancando l’obiettivo ottimale stimato dalle imprese del vino tra i 43-45 milioni di ettolitri. A contenere il potenziale produttivo, l’ormai consueto impatto di fenomeni climatici estremi, dalle piogge eccessive al Centro-Nord alla siccità nel Sud. Nel complesso un’annata contenuta nella quantità ma complessivamente di qualità buona, con diverse punte ottime. Le premesse per firmare un ottimo millesimo, nonostante le bizzarrie del tempo, ci sono tutte.

L’indagine vendemmiale, realizzata attraverso un processo di armonizzazione delle metodologie adottate da Assoenologi, Unione italiana vini (UIV) e Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare (ISMEA) al quale si aggiunge il contributo dell’Ufficio competente del Masaf e delle regioni, rispetto allo scorso anno fotografa una sostanziale tenuta al Nord (+0,6% la performance della macroregione), accompagnata da una ripresa importante nel Centro (+29,1%) e da un incremento contenuto nel Sud (+15,5%) che, tuttavia, non bastano a riportare la produzione sui livelli di medio-periodo. Mentre Nord e Centro si discostano dalle medie quinquennali (2019-2023) rispettivamente del 5,3% e 5,4%, la performance dei vigneti di Sud e Isole si conferma in forte flessione, a -25,7%. Nello scenario globale, la drastica contrazione della Francia (-18% sui valori 2023) riconsegna all’Italia il primato produttivo mondiale.

Per quanto concerne le tempistiche della vendemmia, la trasversalità dell’andamento climatico ha influenzato i tempi di raccolta in base alle varietà, alla tipologia, alla giacitura e alla disposizione dei terreni, fornendo uno scenario variegato. Al Sud, dove allo stress da carenza idrica si è aggiunto (da maggio) anche lo stress termico, il periodo della raccolta è stato anticipato, come al Centro e al Nord per le varietà precoci. Rientrano invece nelle medie stagionali le varietà tardive del Nord. La siccità ha influito sicuramente in maniera negativa sui volumi, ma l’andamento delle temperature ha consentito una maturità fenolica completa che rappresenta il vero valore aggiunto di questa annata enologica.

Per il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella, “è stata una delle vendemmie più impegnative che ricordi nella mia ormai lunga esperienza di enologo. Una vendemmia quella del 2024 condizionata in maniera importante da una significativa trasversalità meteorologica che ha messo alla prova i viticoltori italiani da nord a sud del Paese. In particolare, la vendemmia di quest’anno si inserisce in un quadro meteorologico estremo, caratterizzato da un’instabilità climatica che ha influito inevitabilmente sulla produzione delle uve. Le varietà più precoci, in alcune zone, sono state raccolte con rese inferiori e una qualità segnata dalle condizioni meteorologiche avverse, mentre le varietà più tardive hanno subito ritardi o anticipi nella maturazione, con un impatto significativo sul bilancio zuccherino e acidico delle uve stesse. Tuttavia, nonostante le difficoltà, ciò che emerge come un fattore determinante per la qualità finale dei vini è proprio il lavoro degli enologi. Mai come quest’anno, siamo stati chiamati a dimostrare la nostra competenza scientifica e il nostro sapere tecnico per gestire al meglio sia la conduzione della vigna sia quella della cantina. In campo, abbiamo dovuto adottare strategie precise per ottimizzare l’uso delle risorse idriche, monitorare lo stato di salute delle piante e decidere il momento esatto della vendemmia per ottenere uve al massimo del loro potenziale. In cantina, il lavoro è stato cruciale per valorizzare la materia prima, lavorando con precisione per compensare gli squilibri creati dalle condizioni meteorologiche”.

Per il presidente di ISMEA, Livio Proietti, “le stime vendemmiali di quest’anno ci restituiscono un quadro complesso ma allo stesso tempo ci consentono di mettere a fuoco alcune azioni da mettere in campo. Certamente è necessario continuare a contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici con tecnologie e innovazioni mirate anche all’adattamento al nuovo contesto, che comunque richiederà sempre più conoscenza e preparazione tecnica di chi opera in vigna, adoperandosi per mantenere il forte appeal che per i giovani ha fin qui avuto il lavoro in vigna e in cantina. Attirare le giovani generazioni è lo scopo di percorsi di studio specifici, in grado di cogliere con adeguato anticipo le tendenze in atto e utilizzare la tecnologia al meglio valorizzando il vino per preservare ed esaltarne la cultura. In questa direzione ISMEA interviene con misure specifiche a supporto dei giovani e delle donne, come Più Impresa e Generazione Terra. C’è poi il tema dei continui cambiamenti dei modelli di consumo che va presidiato e richiede uno story telling adeguato e accattivante che tocchi anche il tema del consumo responsabile, per un vero e proprio salto di qualità del settore”.

Per il presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi, “abbiamo bisogno di un vigneto Italia ‘a fisarmonica’, reso più gestibile e flessibile da strumenti di intervento in grado di tamponare il tema delle eccedenze e, per quanto possibile, di rendere meno traumatiche le annate scarse. Gli estirpi, di cui si parla in Europa, non risolvono la situazione italiana: per comprenderne gli effetti basta ricordare quanto accaduto 13 anni fa, quando, a fronte di una spesa pubblica di circa 300 milioni di euro e 30 mila ettari espiantati soprattutto in collina e in aree Doc, ci siamo ritrovati due anni dopo con una vendemmia record da 53 milioni di ettolitri. Gli espianti per Uiv rappresentano di per sé un rischio sociale, perché impattano su intere economie in aree collinari vocate – e sappiamo che il vigneto in collina significa anche gestione del territorio, prevenzione da frane e incendi -, ma i tagli finanziati di vigneto che tolgono risorse alla crescita sono peggio della grandine sotto vendemmia. Il settore vive una stagione complicata – inutile girarci attorno, anche se l’Italia sta facendo meglio dei competitor -, ma non per questo si deve pensare di distrarre i fondi strategici per incentivare gli estirpi. La stragrande maggioranza delle nostre aziende – ha concluso Frescobaldi – è sana e ha bisogno di innovarsi, promuoversi, sintonizzarsi con un mercato in forte cambiamento; per questo il tavolo Ue del Gruppo di alto livello deve concentrarsi più a sostenere chi vuole restare nel business che a incentivare chi vuole abbandonare”.

Per Gaya Ducceschi, Head of Wine & Society and Communicationdel Comité Européen des Entreprises Vins (CEEV), l’associazione che rappresenta le aziende vinicole europee nell’industria e nel commercio di vino, “il declino strutturale a lungo termine dei consumi, soprattutto nei mercati tradizionali, è al centro della crisi attuale del settore. Mentre il mercato globale degli alcolici e dei prodotti a basso o zero alcol è in crescita, il consumo di vino continua a diminuire. Il supporto dell’Ue dovrebbe concentrarsi sul miglioramento della competitività, riducendo i costi e favorendo l’accesso ai nuovi consumatori. A tal riguardo, insieme alla filiera europea del vino, stiamo per lanciare in tutta Europa VITÆVINO, una campagna a difesa del nostro settore, per proteggere il vino come parte di uno stile di vita sano ed equilibrato, mettendo in evidenza il suo ruolo culturale e socio-economico. La campagna si concentrerà nel generare un ampio supporto pubblico attraverso un impegno collettivo, incoraggiando cittadini, consumatori e la comunità globale del vino a firmare una Dichiarazione che sostiene il ruolo del vino nella società e ne difende il patrimonio culturale”.

GEOGRAFIA DEL VIGNETO ITALIA. Pur tenendo in considerazione le disomogeneità determinate dalle peculiarità dell’andamento climatico nei singoli areali, nel Nord Ovest si assiste alla buona ripresa del Piemonte (+10% a/a), a cui si affianca una riduzione dei volumi consistente in Lombardia (-30%), Valle d’Aosta (-20%) e, più lieve, in Liguria (-3%). Variegata la situazione nel Nord-Est dove, a una crescita moderata in Emilia-Romagna (+7%), si sommano la flessione del Trentino-Alto Adige (-12,4%) e la stabilità di Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Più omogenea la situazione al Centro, caratterizzato da recuperi in doppia cifra rispetto alla scarsa produzione 2023, con Marche a +25% e Toscana, Umbria e Lazio a +30%. Al Sud, invece, si hanno incrementi significativi soprattutto in Abruzzo e Molise (rispettivamente +85% e +100% dopo il flagello della Peronospora dello scorso anno), seguiti da Basilicata e Campania (entrambe a +30%), Puglia (+18%) e Calabria (+10%). Con il segno meno, invece, Sicilia (-16%) e Sardegna (-20%) dove è la siccità a dettare ormai le regole. Sul fronte della classifica regionale, con 11 milioni di ettolitri e una quota pari al 27% del raccolto made in Italy, il Veneto si conferma la principale regione produttiva italiana, seguita da Emilia-Romagna e Puglia, in sostanziale parimerito con circa il 17%. Seguono nella top5 Piemonte e Sicilia, tallonata dalla Toscana.

LA VENDEMMIA IN EUROPA. L’impatto del cambiamento climatico sul settore risulta evidente anche nello scenario europeo, con una produzione di vino nell’UE ancora una volta inferiore alla media. A pesare sul bilancio produttivo del Vigneto Europa, i raccolti di Francia (-18% a 39,28 milioni di ettolitri), Germania (-2% a 8,40 milioni di ettolitri) e Portogallo (-8% a 6,90 milioni di ettolitri). In ripresa la produzione spagnola, che con 39,75 milioni di ettolitri registra un aumento del 20% sui volumi 2023 e scalza la Francia dalla seconda posizione nella classifica dei produttori. Nonostante le difficili condizioni climatiche e l’aumento delle fitopatie in alcune aree, la qualità del raccolto rimane buona grazie al lavoro eccellente dei viticoltori.

ANDAMENTO CLIMATICO E VEGETATIVO. La stagione è stata caratterizzata da piogge eccessive nel Centro-Nord, soprattutto nel periodo primaverile. Se da un lato queste hanno ricostituito le risorse idriche, dall’altro hanno creato apprensione per la gestione delle fitopatie, in particolare la Peronospora. A differenza dello scorso anno i danni sono stati più localizzati e contenuti, anche grazie ad una buona programmazione dell’azione di contenimento. Tra le più colpite, le aree a coltivazione biologica. Al Sud, invece, gli sporadici violenti temporali, in particolare nelle aree centrali, non hanno compensato una carenza idrica durata mesi, che ha indotto i viticoltori ad anticipare le operazioni di una vendemmia che quest’anno si prospetta molto lunga. Per questo motivo l’andamento climatico delle prossime settimane sarà cruciale e, se le condizioni meteo permetteranno una maturazione ottimale delle uve, soprattutto per le varietà più tardive, la produzione potrebbe essere più generosa delle stime. Rimane l’incognita delle rese, che in alcune aree risultano inferiori alle attese. Come ogni anno, il risultato finale sarà legato alla capacità delle aziende di gestire in maniera efficace e tempestiva le avversità.

MERCATO E COMMERCIO CON L’ESTERO. La nuova campagna vendemmiale si inserisce in momento di forte complessità per il settore vino su scala globale. In questo contesto, caratterizzato dal cambiamento dei modelli di consumo, dalle difficoltà congiunturali e dall’impatto dei cambiamenti climatici, l’Italia sta dimostrando più anticorpi dei competitor, a partire dalla Francia. Per quanto riguarda le quotazioni, a fronte di una vendemmia 2023 con il raccolto più scarso degli ultimi decenni, l’indice Ismea dei prezzi alla produzione restituisce per la campagna 2023/24 un incremento dei listini generali intorno all’11%, maturato però con contributi totalmente differenti da parte dei singoli segmenti. Mentre sono cresciuti molto i vini da tavola (+42%, con i rossi meglio dei bianchi), le Igt hanno registrato un incremento ben più modesto (+4%), e i vini Dop hanno mostrato un segno negativo, soprattutto tra i bianchi. Risultano poi sempre più evidenti le disomogeneità all’interno delle singole Dop. Tra i capitoli fondamentali per comprendere il mercato, quello relativo alle scorte. Dai dati di Cantina Italia risulta che a fine luglio i vini in giacenza erano il 14% in meno rispetto a quelli del pari periodo precedente, a fronte però di una produzione che ha fatto mancare il 23%. Si evince come nel corso di questa campagna i trend di uscita del vino dalle cantine siano stati piuttosto lenti, spia di un mercato che fa fatica ad assorbire con regolarità il prodotto. Sul fronte della domanda, infatti, i consumi delle famiglie italiane risultano in lieve calo rispetto alla prima metà dell’anno scorso, e i segnali positivi dai mercati esteri non bastano a bilanciare le perdite interne. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv-Ismea su dati Istat, il primo semestre 2024 si è chiuso con risultati meno brillanti di quanto ci si aspettasse, a +2,4% sui volumi (a/a) e +3,2% in valore, complice una primavera sottotono rispetto al primo quadrimestre (ad aprile si registravano ancora crescite del 6-7%). Gli spumanti sono i veri protagonisti e tornano a fare da traino all’export nazionale con +11% in volume e +7% negli incassi. Sfusi e bag in box, invece, hanno visto scendere le consegne all’estero del 6% e 5%. Reggono i vini in bottiglia grazie soprattutto alle Igt. Tra i Paesi clienti, si sottolinea la lieve ripresa degli Usa e del Regno Unito a fronte della frenata di Canada, Francia e Svizzera.

Clima, Aie: -10 mld di tonnellate di CO2 entro il 2030 rispettando gli obiettivi della Cop28

Se gli obiettivi energetici stabiliti alla conferenza sul clima Cop28 tenutasi a Dubai lo scorso anno venissero pienamente attuati, si ridurrebbero le emissioni di gas serra e si accelererebbe in modo significativo la trasformazione del settore energetico globale. Lo conferma un nuovo rapporto dell’Aie (Agenzia internazionale dell’energia), che può servire da guida per trasformare gli impegni collettivi dei Paesi in azioni concrete.

Alla Cop28, quasi 200 Paesi hanno concordato di lavorare per raggiungere un’ambiziosa serie di obiettivi energetici globali nell’ambito del cosiddetto UAE Consensus, tra cui emissioni net zero entro il 2050, abbandonare i combustibili fossili, triplicare la capacità di energia rinnovabile, raddoppiare il tasso di miglioramento dell’efficienza energetica entro il 2030, accelerare la diffusione di altre tecnologie a basse emissioni. Il nuovo rapporto dell’Aie, ‘From Taking Stock to Taking Action: How to implement the COP28 energy goals’ ,è la prima analisi globale completa di ciò che si potrebbe ottenere mettendo in pratica gli obiettivi – e di come si può fare.

Il rapporto evidenzia la fattibilità del raggiungimento degli obiettivi di triplicazione e raddoppio, in particolare, anche se sottolinea che ciò dipenderà da ulteriori sforzi internazionali per creare le giuste condizioni di base, nonché dal fatto che i Paesi utilizzino l’UAE Consensus come bussola per la prossima serie di Contributi Nazionali Determinati (NDC) nell’ambito dell’Accordo di Parigi.

Gli obiettivi fissati da quasi 200 Paesi alla Cop28 “possono essere trasformativi per il settore energetico globale, mettendolo su una corsia preferenziale verso un futuro più sicuro, accessibile e sostenibile. Per garantire che il mondo non perda questa enorme opportunità, l’attenzione deve spostarsi rapidamente sull’attuazione”, ha dichiarato il direttore esecutivo dell’Aie, Fatih Birol. Come dimostra questo nuovo rapporto gli obiettivi energetici della Cop28 “dovrebbero gettare le basi per i nuovi obiettivi climatici dei Paesi nell’ambito dell’Accordo di Parigi: sono la stella polare di ciò che il settore energetico deve fare”. Inoltre, un’ulteriore cooperazione internazionale è “fondamentale per realizzare reti adeguate, un sufficiente stoccaggio dell’energia e un’elettrificazione più rapida, che sono parte integrante di una transizione energetica pulita rapida e sicura”.

Secondo il rapporto, l’obiettivo di triplicare la capacità globale di energia rinnovabile entro il 2030 è raggiungibile grazie a un’economia favorevole, a un ampio potenziale produttivo e a politiche forti. Ma una maggiore capacità non significa automaticamente che una maggiore quantità di elettricità rinnovabile ripulirà i sistemi energetici mondiali, abbasserà i costi per i consumatori e ridurrà l’uso dei combustibili fossili.

Secondo il documento, per sbloccare tutti i benefici dell’obiettivo di triplicazione, i Paesi devono impegnarsi a costruire e modernizzare 25 milioni di chilometri di reti elettriche entro il 2030. Il mondo avrebbe inoltre bisogno di 1 500 gigawatt (GW) di capacità di stoccaggio dell’energia entro il 2030, di cui 1 200 GW dovrebbero provenire da batterie di stoccaggio, un aumento di 15 volte rispetto al livello attuale.

Il rapporto, poi, sottolinea la necessità di un approccio più granulare e specifico per ogni Paese per raggiungere l’obiettivo critico di raddoppiare l’efficienza energetica entro il 2030. In questo modo si potrebbero tagliare i costi energetici globali di quasi il 10%, ridurre le emissioni di 6,5 miliardi di tonnellate e rafforzare la sicurezza energetica dei Paesi.

Tuttavia, per raggiungere questo obiettivo è necessario che i governi di tutto il mondo facciano dell’efficienza energetica una priorità politica molto più importante e si concentrino senza sosta su azioni chiave. Per le economie avanzate, ciò significa puntare sull’elettrificazione, dato che per raddoppiare l’efficienza è necessario portare la quota dell’elettricità nel consumo energetico globale al 30% entro il 2030. Il rapporto rileva che i veicoli elettrici e le pompe di calore sono molto più efficienti delle loro alternative tradizionali. Nel frattempo, per le economie emergenti, standard di efficienza più severi – in particolare per le apparecchiature di raffreddamento come i condizionatori d’aria – sono fondamentali per un progresso più rapido. E per i Paesi che non hanno pieno accesso alle moderne forme di energia, il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile dell’accesso universale a fonti di cottura pulite riduce significativamente la domanda di energia, trasforma le vite e i mezzi di sussistenza e previene milioni di morti precoci.

Il rapporto rileva che il pieno raggiungimento degli obiettivi della Cop28 per le energie rinnovabili e l’efficienza ridurrebbe le emissioni globali di 10 miliardi di tonnellate entro il 2030, contribuendo a dare al mondo una possibilità di raggiungere gli obiettivi di temperatura dell’Accordo di Parigi.

Il documento è stato pubblicato durante l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, in concomitanza con la Settimana del clima. Nel corso della settimana, i leader del governo, dell’industria e della società civile si riuniscono per discutere le opportunità di una maggiore azione sui temi dell’energia, del clima e dello sviluppo sostenibile. Oltre a questi eventi, l’Aie ospiterà il terzo della serie di dialoghi di alto livello sulla transizione energetica in collaborazione con la presidenza della Cop29. Il dialogo con i decisori globali a New York si concentrerà sui risultati di questo rapporto e sulle prossime tappe.

emissioni industriali

Clima, il 60% delle maggiori aziende quotate del mondo ha assunto impegni di carbon neutrality

Quasi il 60% delle maggiori società quotate in borsa al mondo ha assunto impegni di carbon neutrality, una cifra in aumento ma che non garantisce che abbiano un piano serio per raggiungerla. A rivelarlo è il consorzio Net Zero Tracker. Nel 2023, all’epoca della precedente edizione dell’analisi condotta dall’agenzia di ricerca, che si definisce indipendente e riunisce Data-Driven EnviroLab (DDL), The Energy & Climate Intelligence Unit (ECIU), NewClimate Institute e Oxford Net Zero, poco meno della metà delle 1.977 società quotate in borsa prese in esame aveva assunto tali impegni.

“Quest’anno il numero continua ad aumentare”, soprattutto tra le società con sede in Asia (da 118 a 184 in Giappone, da 27 a 48 in Cina, da 22 a 41 in Corea del Sud, ecc.), ma “ci sono ancora molte entità che non hanno preso alcun impegno” per la decarbonizzazione, ha sottolineato Takeshi Kuramochi, analista del NewClimate Institute, durante una videoconferenza. “Ci sono ancora problemi sostanziali e le aziende hanno ancora molto margine di miglioramento”, ha aggiunto.

Oggi, la maggior parte delle aziende che promettono di essere neutrali dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica, o che lo saranno entro il 2050 o prima, in realtà emette ancora gas a effetto serra e utilizza compensazioni di carbonio per ridurre la propria impronta, ad esempio finanziando la riforestazione. Ma numerosi studi scientifici hanno dimostrato che questo sistema di compensazione delle emissioni di carbonio è ben lungi dal mantenere le sue promesse, ed è addirittura fuorviante o fraudolento.

Solo il 5% delle aziende (4% nel 2023) rispetta tutti gli 8 criteri valutati da Net Zero Tracker, che includono alcuni di quelli formulati dagli esperti per conto dell’Onu, come la definizione di obiettivi precisi, l’inclusione di gas serra diversi dalla CO2 (come il metano), la priorità alla riduzione delle emissioni piuttosto che alla compensazione, l’impegno a una transizione dai combustibili fossili e l’utilizzo delle compensazioni con parsimonia.

“I progressi sono stati fatti, ma abbiamo bisogno di molto di più. Dobbiamo essere più ambiziosi”, ha insistito Catherine McKenna, presidente del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sugli impegni ‘net zero’. Gli esperti raccomandano di ridurre il più possibile le emissioni di CO2 (di oltre il 90%) e di compensare solo le emissioni che non possono essere ridotte, attraverso progetti rigorosi come la cattura del carbonio.

Mattarella scrive a Rebelo de Sousa e sente Priolo (ER): “Contrasto a emergenza clima con ogni mezzo”

Gli incendi che hanno provocato ingenti danni al Portogallo e la morte di cinque persone impongono un cambiamento d’agenda per il presidente della Repubblica, Marcelo Rebelo de Sousa, che all’ultimo minuto disdice la partecipazione al 17esimo Simposio Cotec di Las Palmas de Gran Canaria. In Spagna ci saranno solo il capo dello Stato, Sergio Mattarella, assieme al padrone di casa di quest’anno, il Re di Spagna, Felipe VI.

Il capo dello Stato offre subito vicinanza al popolo portoghese, con un messaggio a Rebelo de Sousa in cui esprime “profonda tristezza“. Mattarella ricorda la sostanza della dichiarazione dell’agosto 2023: “Gli incendi rappresentano uno di quei fenomeni estremi, purtroppo sempre più frequenti, determinati da un’emergenza climatica da contrastare con ogni mezzo“. Poi rimanda una nuova riflessione alla prossima riunione del Gruppo di Arraiolos del 10 e 11 ottobre.

Anche in Italia la situazione è sotto costante attenzione, per le nuove alluvioni che hanno colpito l’Emilia-Romagna e le Marche. Al suo arrivo a Las Palmas, infatti, il presidente della Repubblica ha sentito la presidente facente funzioni, Irene Priolo, per chiedere notizie ed esprimere “vicinanza in questo momento di difficoltà, chiedendole di ringraziare tutti coloro che si stanno adoperando per aiutare chi si trova in condizioni difficili”.

I contatti con l’Italia resteranno continui. Anche se domani, 20 settembre, al Teatro Pérez Galdós, sarà invece la sovranità tecnologica l’argomento principale. Al simposio si discuterà anche dei risultati del report stilato dall’ex Bce, Mario Draghi, sul futuro della competitività dell’Europa. In gioco ci sono diversi comparti sui quali occorre trovare nuove frontiere: ad esempio l’energia o l’applicazione dell’Intelligenza artificiale limitandone più possibile i rischi, ma va portata a compimento anche la transizione digitale e allo stesso tempo vanno rimessi al centro del dibattito settori cruciali come difesa e sicurezza. Soprattutto in una fase storica molto delicata, con la crisi geopolitica provocata dalla guerra in Ucraina e il conflitto in Medio Oriente.

Per non finire all’angolo, o come ha detto Draghi verso una “lenta agonia“, l’Europa deve rilanciare gli investimenti in ricerca e sviluppo, senza dimenticare la transizione energetica e ambientale, limitando le criticità economiche e sociali. Ovvero, senza lasciare indietro nessuno. In questo contesto assumono ancora maggiore interesse le catene di approvvigionamento e la sicurezza energetica, la sicurezza fisica e informatica delle infrastrutture critiche, la sicurezza e fuga di tecnologia, la militarizzazione delle dipendenze economiche o coercizione economica. Temi che il Cotec toccherà.

A Las Palmas Re Felipe VI e Mattarella visiteranno il Museo Elder della Scienza e della tecnologia, interagendo con gli studenti dei corsi educativi. Mentre al Simposio ci saranno anche l’alto Rappresentate per la politica estera dell’Ue, Josep Borell, per parlare di difesa e sicurezza, Dario Pagani, Head of Digital and Information Technology di Eni, il managing director Space Business Unit di Leonardo, Massimo Claudio Comparini, e Nicola Rossi, Head of Innovation del gruppo Enel Group, che interverranno per l’Italia in qualità di rappresentanti delle aziende socie di Cotec Italia.

Auto elettrica

Vendite auto ko in Europa. Acea chiede misure urgenti e cambia posizione su target CO2

L’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea) cambia posizione e non insiste più per un rinvio di due anni degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dell’Ue entro il 2025. Ora chiede che Bruxelles adotti misure urgenti per affrontare le crescenti sfide nel raggiungimento di questi obiettivi, poiché la quota di mercato dei veicoli elettrici a batteria continua a diminuire in tutta l’Unione. In una nota mette in luce una serie di preoccupazioni significative riguardo alla transizione verso una mobilità a zero emissioni e la sostenibilità del settore automobilistico europeo nel suo complesso.

Un aspetto fondamentale sottolineato da Acea è che la tecnologia dei veicoli e la disponibilità di modelli a zero emissioni non rappresentano più un collo di bottiglia per l’industria. Ci sono però criticità lungo la transizione: spicca l’insufficienza delle infrastrutture di ricarica elettrica e di rifornimento di idrogeno, che rappresentano un freno alla diffusione di massa dei veicoli elettrici. La scarsità di queste infrastrutture crea una notevole incertezza tra i consumatori, che esitano ad abbandonare i veicoli tradizionali per passare a soluzioni più ecologiche, spiega Acea, come emerge dalle immatricolazioni di agosto. Le vendite di nuove auto nell’Ue hanno registrato un forte calo (-18,3%) con risultati negativi nei quattro principali mercati della regione: perdite a due cifre sono state registrate in Germania (-27,8%), Francia (-24,3%) e Italia (-13,4%), con il mercato spagnolo in calo del 6,5%. In particolare le immatricolazioni di auto elettriche a batteria sono diminuite del 43,9% a 92.627 unità (rispetto alle 165.204 dello stesso periodo dell’anno scorso), con la loro quota di mercato totale scesa al 14,4% dal 21% dell’anno precedente.

Oltre a questo, l’associazione dei produttori di autoveicoli europei richiama l’attenzione sul problema della competitività dell’industria automobilistica del Vecchio Continente, che ha subito una forte erosione negli ultimi anni, un fenomeno confermato anche dal rapporto redatto dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi. Le preoccupazioni non riguardano solo le infrastrutture fisiche, ma anche la fornitura di energia verde, che non è sufficientemente accessibile e a costi competitivi, e la necessità di incentivi fiscali e agevolazioni per l’acquisto di veicoli elettrici, strumenti cruciali per stimolare il mercato e incentivare i consumatori a scegliere soluzioni a basse emissioni. Un altro punto fondamentale evidenziato da Acea riguarda la fornitura di materie prime come le batterie e l’idrogeno, che non è ancora garantita in modo adeguato per sostenere l’aumento della produzione di veicoli elettrici.

Di fronte a questi ostacoli, Acea esprime preoccupazione per la fattibilità del raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per auto e furgoni previsti entro il 2025. Le normative attuali, secondo l’associazione, non tengono conto dei cambiamenti significativi intervenuti nel contesto geopolitico ed economico globale negli ultimi anni. La rigidità di queste regole, che non riescono ad adattarsi agli sviluppi del mondo reale, rischia di aggravare ulteriormente le difficoltà di un settore già sotto pressione. Questo scenario solleva la prospettiva di multe multimiliardarie, evidenzia Acea, che potrebbero essere invece reinvestite per accelerare la transizione verso zero emissioni. Se le sanzioni non saranno evitate, il settore potrebbe essere costretto a ridurre inutilmente la produzione, con conseguenti perdite di posti di lavoro e un indebolimento della catena di fornitura europea.

La preoccupazione maggiore di Acea è, dunque, che l’industria automobilistica europea non possa permettersi di attendere la prevista revisione delle normative sulle emissioni, che è in programma per il 2026 o 2027. La nota dei produttori europei sottolinea che è necessaria “un’azione urgente” e concreta già nell’immediato per invertire la tendenza negativa attuale e per ripristinare la competitività dell’industria dell’Ue. Particolarmente importante, secondo Acea, sarà anche una “revisione anticipata delle normative per i veicoli pesanti”, in modo da garantire che le infrastrutture necessarie per camion e autobus siano ampliate tempestivamente, affinché anch’essi possano contribuire agli obiettivi di riduzione delle emissioni. Acea, quindi, chiede una discussione per un “pacchetto di misure di sostegno a breve termine” che possa contribuire al raggiungimento degli obiettivi di CO2 per auto e furgoni entro il 2025. Inoltre, l’associazione ribadisce l’importanza di una “revisione rapida, completa e solida delle normative sulla CO2” sia per auto che per veicoli pesanti, oltre a una legislazione secondaria mirata, al fine di avviare in modo deciso la transizione verso una mobilità a emissioni zero e assicurare un futuro industriale sostenibile per l’Europa.

caldo record

Viaggio nel futuro: in Francia una cabina a 50°C per testare il riscaldamento globale

Avete il coraggio di testare la vita a 50°C?“. Questo intrigante messaggio su un camion è il punto di partenza di un esperimento unico al mondo in Francia: entrare in una ‘camera climatica mobile’ contenente un ambiente riscaldato a 50°C. In un vicolo della Foire de Verdun (Francia nord-orientale), un camion funge da cella frigorifera per un ristorante. Di fronte, un camion ancora più sorprendente: una ‘camera climatica mobile’, questa sì calda, che permette ai temerari di camminare su un tappeto, leggere o anche bere una tazza di tè… a 50°C. L’installazione, chiamata ‘Climate Sense’, “mette le persone in una situazione climatica di diversi anni nel futuro, intorno al 2050, 2060, quando potrebbero esserci picchi climatici di 50°C”, ha spiegato all’AFP Christian Clot, esploratore-ricercatore e direttore dello Human Adaptation Institute, con sede a Marsiglia (sud della Francia), che ha creato e finanziato l’esperimento. Il suo obiettivo? Far simulare ai visitatori la vita in un caldo soffocante per 30 minuti. Si inizia con dieci minuti di sport: camminata su un tapis roulant o corsa, poi un’area relax per esercizi di agilità e infine una sessione di lavoro cognitivo “per renderci conto che abbiamo più difficoltà a prendere decisioni complesse” e a pensare, dice Clot. Il progetto, nato nella sua mente all’inizio del 2021, è una “prima mondiale”. Nei centri di ricerca esistono diverse camere climatiche in grado di variare la temperatura tra i -20°C e i 50°C, così come il livello di umidità, ma non sono mai state rese mobili per poter essere utilizzate dal grande pubblico.

Sta per entrare nel futuro”, dice Christian Clot a un uomo che entra nella cabina. Quando entra, è uno shock. Dopo i 15°C esterni, la temperatura corporea sale rapidamente a 50°C e l’esercizio fisico richiesto non aiuta. Mentre alcuni iniziano correndo, finiscono rapidamente camminando dolcemente, cosa peraltro consigliata. “Siamo un po’ abituati a fare sport, ma abbiamo avuto caldo quando eravamo sul tapis roulant”, dice Clélio, un pensionato venuto con la moglie a scoprire l’esperienza, ancora rosso in viso. “Sul tapis roulant, quando correvo a 3,5 km/h, mi sembrava di correre a 6 o 7 km/h”, aggiunge la moglie. Durante i giochi di agilità e reattività, come premere la luce il più velocemente possibile, Joëlle ha avvertito “un po’ di sensibilità” nei polpastrelli. I team dello Human Adaptation Institute le hanno spiegato che “con il calore, i vasi sanguigni si restringono”, il che può dare sensazioni di formicolio o elettricità. Dopo circa venti minuti, “è più complicato leggere e il cervello è molto pesante”, ha detto Maëlys Lahure, una studentessa che è venuta a provare l’esperimento. Sotto il suo maglioncino blu “cominciava a sudare un po’, a diventare viscido” e il suo viso stava diventando rosso.

Le cause e gli effetti del riscaldamento globale sono stati documentati e il pubblico è stato informato, ma il fatto di “sperimentare in prima persona” l’ipotesi di un clima a 50°C aumenta la consapevolezza e spinge le persone a chiedersi “cosa possiamo fare oggi per evitare che questo accada”, sottolinea Clot. “L’obiettivo non è spaventare le persone, ma innanzitutto sensibilizzarle dall’interno”. All’uscita, i visitatori possono vedere un filmato che illustra gli effetti dell’aumento delle temperature sugli organismi. “Possiamo ancora agire, non è inevitabile, non è troppo tardi”, sottolineano dall’istituto.

Vengono inoltre proposte circa cinquanta possibili soluzioni, sia individuali che collettive, nella speranza che ognuno scelga una o due soluzioni e le metta in pratica. La camera climatica mobile sarà aperta al pubblico dal 30 settembre al 4 ottobre presso il salone dell’edilizia Batimat di Parigi. L’obiettivo sarà anche quello di far entrare nella camera i responsabili delle decisioni, i politici e gli imprenditori.

Non possiamo escludere la possibilità di raggiungere i 50°C in diverse regioni della Francia entro la fine del secolo, data la traiettoria del riscaldamento globale”, ha dichiarato all’Afp Jean-Michel Soubeyroux, vice direttore scientifico della climatologia e dei servizi climatici di Météo-France, l’agenzia meteorologica nazionale francese. Secondo il ministero francese per la Transizione Ecologica, si prevede che il riscaldamento globale raggiungerà i +4°C entro il 2100 in Francia, rispetto alla media di +1,7°C di oggi. Per quanto riguarda la cabina climatica, Soubeyroux la considera di “interesse educativo” e un mezzo di “riflessione collettiva” su come adattarsi a tali temperature.