Cop27/Imago

Cop27, nessun Paese rispetta i target per la soglia di 1,5°C

Nessuno Stato ha raggiunto le prestazioni necessarie a fronteggiare la crisi climatica e a contenere l’aumento della temperatura media globale entro la soglia critica di 1,5°C. E’ quanto emerge dal Climate Change Performance Index 2023, il rapporto sulla performance climatica dei principali Paesi del Pianeta, redatto da Germanwatch, CAN e NewClimate Institute in collaborazione con Legambiente per l’Italia presentato alla Cop27, che prende in considerazione 59 nazioni più l’Unione Europea nel suo complesso, rappresentanti ben il 90% delle emissioni climalteranti del globo. L’Italia è sostanzialmente in stallo nel contrasto alla crisi climatica: il Belpaese guadagna, infatti, appena una posizione rispetto allo scorso anno – è 29esimo anziché 30esimo – rimanendo ancorato al centro della classifica. A pesare sul risultato italiano, si evidenzia nel report, sono principalmente il rallentamento nello sviluppo delle rinnovabili e una politica climatica ancora inadeguata a fronteggiare l’emergenza. Le performance analizzate nel rapporto annuale, presentato oggi alla Cop27 di Sharm el Sheikh, hanno come parametro di riferimento gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e gli impegni assunti al 2030 e vengono misurate attraverso il Climate Change Performance Index (CCPI), basato per il 40% sul trend delle emissioni, per il 20% sullo sviluppo di rinnovabili ed efficienza energetica e per il restante 20% sulla politica climatica.

Restano vuote, anche quest’anno, le prime tre posizioni della classifica. In cima alla classifica i Paesi scandinavi che continuano a guidare la corsa verso emissioni zero, nonostante la crisi energetica. Danimarca e Svezia, nello specifico, si posizionano rispettivamente al quarto e quinto posto, soprattutto grazie al loro impegno per l’abbandono delle fonti fossili e nello sviluppo delle rinnovabili. Le seguono Cile, Marocco e India che rafforzano l’azione climatica, nonostante le loro difficili situazioni economiche. In fondo alla classifica troviamo, invece, Paesi esportatori e utilizzatori di combustibili fossili come Iran, Arabia Saudita e Kazakistan. La Cina, maggiore responsabile delle emissioni globali, scivola al 51° posto perdendo ben 13 posizioni rispetto allo scorso anno: nonostante il grande sviluppo delle rinnovabili, le emissioni cinesi continuano a crescere per il forte ricorso al carbone e la scarsa efficienza energetica del sistema produttivo. Un gradino più in basso, al 52° posto, si piazzano gli Stati Uniti, secondo emettitore globale che però guadagna tre posizioni rispetto allo scorso anno: un risultato attribuibile alla nuova politica climatica ed energetica dell’Amministrazione Biden che inizia a dare i suoi primi frutti, grazie al considerevole sostegno finanziario all’azione climatica previsto dall’Inflation Reduction Act.

Tra i Paesi del G20, solo India (8), Regno Unito (11) e Germania (16) si posizionano nella parte alta della classifica, mentre l’Unione Europea sale di tre gradini rispetto allo scorso anno, raggiungendo il 19esimo posto grazie a nove Paesi posizionati nella parte alta della classifica, frenata però dalle pessime performance di Ungheria e Polonia che continuano a essere fanalino di coda.

Kristalina Georgieva

L’Fmi guarda al G20: Crisi energetica Europa fa aumentare inflazione

Un peggioramento della crisi energetica in Europa danneggerebbe gravemente la crescita e farebbe aumentare l’inflazione. Un’inflazione elevata e prolungata potrebbe richiedere aumenti degli interessi più consistenti del previsto, un ulteriore inasprimento delle condizioni finanziarie globali e un aumento del rischio di crisi del debito sovrano per le economie vulnerabili. Eventi meteorologici sempre più gravi continuerebbero a danneggiare la crescita in tutto il mondo. Sono i dati snocciolati dal Fondo Monetario Internazionale nel rapporto stilato in vista del G20, che si terrà martedì 15 e mercoledì 16 novembre. Secondo l’Fmi, l’economia globale “si è indebolita a causa del materializzarsi dei rischi di ribasso” e tre fattori chiave pesano sulle prospettive di crescita globale: “L‘inflazione persistentemente elevata e su larga scala sta rendendo necessario un inasprimento della politica monetaria in molte delle principali economie; lo slancio della crescita in Cina rimane debole tra le intermittenti chiusure per pandemia e l’aggravarsi della crisi del mercato immobiliare; l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e le relative sanzioni hanno contribuito a continue interruzioni degli approvvigionamenti, all’aumento dell’insicurezza alimentare e alle preoccupazioni per l’energia, in particolare in Europa a causa della forte riduzione delle forniture di gas russo“.

Il contenimento dell’inflazione è una priorità politica fondamentale, così come affrontare gli elevati livelli di debito proteggendo i gruppi più vulnerabili. La persistenza di molteplici shock globali dal lato dell’offerta richiede inoltre un orientamento politico più rigido per facilitare l’adeguamento alla nuova situazione mondiale”, spiega l’Fmi. Secondo il quale “la politica fiscale dovrà essere inasprita in molte economie per affrontare le vulnerabilità del debito ed evitare di contrastare gli sforzi della politica monetaria per ridurre l’inflazione. Il sostegno mirato ai gruppi vulnerabili che stanno lottando contro l’impennata dell’inflazione e dei prezzi dell’energia dovrebbe essere compensato da risparmi altrove. Una ripresa forte, sostenibile, equilibrata e inclusiva richiede un’azione congiunta del G20”.

E siccome il G20 si svolgerà nel pieno dei lavori della Cop27, l’Fmi fa riferimento anche alla situazione climatica: “Una ripresa duratura richiede un’azione multilaterale su clima, debito, tassazione e preparazione alle pandemie. Un pacchetto di politiche efficaci è fondamentale per raggiungere gli obiettivi climatici previsti dall’Accordo di Parigi. Inoltre, sono necessari maggiori progressi negli sforzi per affrontare gli elevati livelli di debito e gli alti costi di finanziamento in diverse economie vulnerabili dei mercati emergenti e a basso reddito, anche rafforzando il Quadro comune per il trattamento del debito del G20. L’attuazione dell’accordo sulla tassazione internazionale dovrebbe essere accelerata. L’azione multilaterale dovrebbe continuare a basarsi sui progressi compiuti in materia di preparazione alle pandemie”.

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Cop27, piano d’azione per accelerare decarbonizzazione in 5 settori chiave

I governi che rappresentano oltre la metà del Pil mondiale lanciano un piano d’azione di 12 mesi per contribuire a rendere le tecnologie pulite più economiche e più accessibili ovunque. Il palco è quello della Cop27, in corso a Sharm el-Sheikh, in Egitto, ma il progetto è supportato anche dalle presidenze della Cop26 (avvenuta a Glasgow, l’anno scorso) e Cop28, che si terrà nel 2023 negli Emirati Arabi Uniti. Si tratta di un pacchetto di 25 nuove azioni da realizzare entro la COP28 per accelerare la decarbonizzazione nell’ambito di cinque innovazioni chiave in materia di energia, trasporto su strada, acciaio, idrogeno e agricoltura.

Tali azioni sono rivolte a settori che rappresentano oltre il 50% delle emissioni globali di gas serra e sono anche progettate per ridurre i costi energetici e migliorare la sicurezza alimentare, con l’aggiunta del settore delle costruzioni all’interno della Breakthrough Agenda dell’anno prossimo.

Nell’ambito della Breakthrough Agenda, i Paesi che rappresentano oltre il 50% del Pil globale hanno definito “azioni prioritarie specifiche del settore per decarbonizzare energia, trasporti e acciaio, aumentare la produzione di idrogeno a basse emissioni e accelerare il passaggio all’agricoltura sostenibile entro la COP28. Queste misure sono progettate per ridurre i costi energetici, ridurre rapidamente le emissioni e aumentare la sicurezza alimentare per miliardi di persone in tutto il mondo.

Le azioni nell’ambito di ciascuna ‘svolta’ saranno realizzate attraverso cooperazioni di paesi impegnati – dal G7, Commissione europea, India, Egitto, Marocco e altri, supportati da importanti organizzazioni e iniziative internazionali e guidati da un gruppo centrale di governi di primo piano. Questi sforzi saranno rafforzati con finanziamenti privati ​​e iniziative industriali e altri paesi saranno incoraggiati ad aderire.

Le azioni prioritarie comprendono accordi per: Sviluppare definizioni comuni per acciaio, idrogeno e batterie sostenibili a basse e ‘quasi zero’ emissioni per aiutare a dirigere miliardi di sterline in investimenti, appalti e commercio per garantire credibilità e trasparenza; Accelerare la diffusione di progetti infrastrutturali essenziali, tra cui almeno 50 impianti industriali su larga scala a zero emissioni, almeno 100 valli di idrogeno e un pacchetto di importanti progetti infrastrutturali di rete elettrica transfrontaliera; Stabilire una data obiettivo comune per eliminare gradualmente le automobili e i veicoli inquinanti, coerentemente con l’accordo di Parigi. Un sostegno significativo per le date del 2040 a livello globale e del 2035 nei principali mercati sarà annunciato da paesi, aziende e città durante il Solutions Day; Usare miliardi di sterline di appalti pubblici e privati ​​e spese per infrastrutture per stimolare la domanda globale di beni industriali ecologici; Rafforzare sistematicamente l’assistenza finanziaria e tecnologica ai paesi in via di sviluppo e ai mercati emergenti per sostenere le loro transizioni, supportata da una serie di nuove misure finanziarie, compreso il primo grande programma di transizione industriale dedicato al mondo nell’ambito dei Fondi di investimento per il clima; Guidare gli investimenti in ricerca, sviluppo e dimostrazione in agricoltura (RD&D) per generare soluzioni per affrontare le sfide dell’insicurezza alimentare, dei cambiamenti climatici e del degrado ambientale.

Al G20 faccia a faccia Biden-Xi dopo il mancato incontro alla Cop27

È una storia che il presidente Joe Biden racconta in quasi ogni occasione: l’anno scorso, incontrando i suoi nuovi omologhi al suo primo vertice internazionale, li ha informati con orgoglio: “L’America è tornata”. Ed è con questo spirito che il leader americano arriva al G20 di Bali, in Indonesia, forte di aver arginato la marea rossa repubblicana nelle elezioni di midterm, e dopo aver illustrato i piani della sua amministrazione a difesa del clima alla Cop27 di Sharm el-Sheik.

I temi internazionali sul piatto sono scottanti, dalla guerra in Ucraina al contenimento della Corea del Nord dopo un nuovo test missilistico, e le aspettative sono alte: lunedì è infatti previsto il primo faccia a faccia tra Biden e il presidente cinese Xi Jinping, a margine del G20. I due, dall’inizio della pandemia da Covid, si sono parlati al telefono più volte ma il loro primo incontro ufficiale avviene in un momento in cui le relazione cino-americane sono particolarmente tese. I temi di attrito sono numerosi: il commercio, il trattamento dei musulmani uiguri o anche lo status dell’isola di Taiwan, stretto alleato di Washington, su cui Pechino ne ha rivendicato il controllo. I rapporti hanno raggiunto il minimo storico soprattutto dopo la visita della speaker della Camera statunitense Nancy Pelosi sull’isola, ad agosto.

Biden ha dunque intenzione di capire quale sia la “linea rossa” di Xi, sperando di costruire una base per le relazioni future tra i due Paesi. Ma non ha intenzione di sorvolare sulle preoccupazioni Usa rispetto ai dossier Taiwan e diritti umani. Mercoledì il presidente Usa ha fatto sapere di aver già messo in chiaro con Xi che sta “cercando la competizione, non il conflitto”, affermando che discuterà di Taiwan rimanendo fermo sul fatto che la posizione degli Stati Uniti sull’isola “non è cambiata per niente rispetto all’inizio”. Dal canto suo, la Cina “ha sempre sostenuto la convivenza con gli Stati Uniti, difendendo fermamente la propria sovranità, sicurezza e interessi di sviluppo”, ha affermato Zhao Lijian, portavoce del ministero degli Affari esteri cinese. Xi aveva invitato più volte Biden a “non giocare col fuoco” ed è probabile che tale messaggio sarà ribadito nell’incontro di lunedi’, a maggior ragione dopo aver dichiarato, in apertura del Congresso che lo ha incoronato per la terza volta, che la Cina è pronta a usare la forza per imporre la propria sovranità sull’isola.

Pesa poi la questione ucraina, con il governo Biden che ha preso nota della “importante” opposizione da parte di Pechino all’utilizzo di armi nucleari nel conflitto ma che non intende cedere sugli aiuti statunitensi a Kiev ribadendo che qualsiasi compromesso territoriale tra i due paesi spetta all’Ucraina. Obiettivo è poi quello di cercare di isolare sempre di più la Russia, approfittando dell’assenza di Vladimir Putin “per impegni interni”, come confermato dal Cremlino. Con il ritiro delle forze russe da Kherson, gli Stati Uniti appaiono oggi più convinti della possibilità’ di avviare un negoziato, come dichiarato in questi giorni alla “Cnn” dal capo di Stato maggiore congiunte delle forze armate, generale Mark Milley. Biden potrebbe tornare a chiedere a Xi di usare l’influenza cinese per convincere la Russia a trattare.

Sul tavolo vi sarà poi la questione dei test missilistici della Corea del Nord, che gli Stati Uniti considerano una crescente minaccia all’Asia orientale, Washington è intenzionata a chiedere a Pechino di fare pressioni sul leader nordcoreano Kim Jong-Un per cessare questo tipo di attività e iniziare colloqui sulla denuclearizzazione.

 

(Photo credits: AHMAD GHARABLI / AFP)

L’esercito Usa avverte: I cambiamenti climatici aumentano i rischi di conflitti

Oltre alle sofferenze che il riscaldamento globale infligge alle persone, le forze armate statunitensi considerano il cambiamento climatico un fattore che aumenta il rischio di conflitti in tutto il mondo. “L’aumento delle temperature, il cambiamento dei modelli di precipitazione e gli eventi meteorologici più frequenti, estremi e imprevedibili dovuti al cambiamento climatico stanno esacerbando i rischi per la sicurezza esistenti e creando nuove sfide”, ha scritto il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, in un rapporto sugli sforzi del Pentagono per adattarsi al riscaldamento globale.

Il cambiamento climatico, che è al centro delle discussioni della COP27, “pone maggiori esigenze alle forze armate negli Stati Uniti e in tutto il mondo – ha aggiunto – Allo stesso tempo, ciò influisce sulla prontezza dei soldati e impone costi insostenibili al Dipartimento della Difesa”. Morgan Higman, del Center for Strategic and International Studies, ha spiegato che la risposta al cambiamento climatico sta già producendo tensioni e i suoi effetti fisici “creeranno le condizioni potenziali per un conflitto in patria e tra i Paesi”. Mentre la siccità riduce le scorte di cibo e acqua, creando disparità e allontanando le persone dalle aree più colpite, gli Stati Uniti “tengono d’occhio” il potenziale di conflitto dovuto alla scarsità di risorse, afferma Gregory Pollock, responsabile del Pentagono per la resilienza ai cambiamenti climatici.

L’aumento delle migrazioni “ha il potenziale di destabilizzare molte parti del mondo”, ha spiegato, osservando anche che lo scioglimento dei ghiacciai nell’Artico apre nuove opportunità di risorse e di influenza per i Paesi della regione, una potenziale fonte di instabilità. “La nostra preoccupazione è che questo possa cambiare la sicurezza di questa parte del mondo“, ha aggiunto Pollock. “L’Artico è sempre stata una regione pacifica. Vogliamo che rimanga così”.

Oltre all’aumento dei rischi di conflitto, le forze armate statunitensi devono affrontare le sfide poste da uragani e inondazioni che colpiscono direttamente le basi americane, mentre l’aumento delle catastrofi naturali sta ulteriormente mobilitando l’esercito Usa per intervenire in soccorso. Tre basi statunitensi hanno subito danni per 9 miliardi di dollari a causa degli uragani e delle inondazioni che hanno colpito il Paese nel 2018 e nel 2019, e diversi siti militari chiave degli Stati Uniti in tutto il mondo “potrebbero essere colpiti da fattori legati al cambiamento climatico, come l’erosione delle coste, le inondazioni o l’aumento della frequenza di uragani o cicloni”.

Il Pentagono riconosce che i soldati dovranno anche imparare a combattere in condizioni più difficili, un fattore che potrebbe richiedere un addestramento e un equipaggiamento diversi. L’esercito americano sta “preparando forze in grado di operare nelle condizioni atmosferiche e sul terreno più difficili”, si legge nel rapporto del Dipartimento della Difesa. Sta “rivedendo e rivalutando i suoi programmi di prova e di addestramento, le attrezzature, le esercitazioni e le acquisizioni” per tenere conto del cambiamento climatico.

Joe Biden approda alla Cop27: Raggiungeremo obiettivi climatici entro 2030

La crisi climatica minaccia “la vita stessa del pianeta“. Con questo presupposto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è volato da Washington a Sharm el-Sheikh per intervenire alla Cop27 e invitare “tutti i Paesi a fare di più” per ridurre le emissioni di gas serra. “La crisi climatica riguarda la sicurezza umana, economica, nazionale e la vita stessa del pianeta“, ha dichiarato l’inquilino della Casa Bianca, elencando i disastri legati al clima che si sono moltiplicati negli ultimi mesi in tutto il mondo. Portando come esempio il suo colossale piano di investimenti per quasi 370 miliardi di dollari proprio nel clima, ha assicurato che gli Stati Uniti raggiungeranno l’obiettivo di ridurre le emissioni del 50%-52% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005. Anche perché, ha spiegato, la guerra in Ucraina “non fa che rafforzare l’urgenza per il mondo di uscire dalla dipendenza dai combustibili fossili“, ha aggiunto. E, in estrema sintesi, “una buona politica ambientale è una buona politica economica”.

Tutti i Paesi devono fare di più. In questo incontro, dobbiamo rinnovare e innalzare le nostre ambizioni climatiche“, ha insistito, mentre gli attuali impegni dei vari Paesi lasciano il pianeta sulla strada di un riscaldamento catastrofico di 2,8°C, secondo le Nazioni Unite. Anche per questo gli Usa sono rientrati nell’Accordo di Parigi, da cui erano usciti sotto la presidenza Trump. Fatto per il quale Biden ha voluto scusarsi con la platea della Cop27.

Ma le scuse non bastano, è il momento di agire con più alte ambizioni. Prime su tutte, quelle sull’abbattimento delle emissioni di gas serra derivanti dalla combustione di combustibili fossili, di cui gli Stati Uniti sono i maggiori produttori e consumatori al mondo, che secondo gli ultimi rapporti raggiungeranno nuovamente i massimi storici nel 2022. Anche per questo Biden ha annunciato un nuovo piano di riduzione del metano con tagli di almeno il 30 per cento al 2030, per mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi centigradi aumentando al contempo la sicurezza energetica.

Su un’altra questione, quella degli aiuti insufficienti ai Paesi poveri in prima linea contro il cambiamento climatico, il Presidente degli Stati Uniti è stato invece molto cauto. Washington non ha ancora rispettato gli impegni assunti con la promessa dei Paesi ricchi di fornire 100 miliardi di dollari all’anno di finanziamenti ai Paesi più poveri per combattere le emissioni e adattarsi al cambiamento climatico. Biden ha ribadito la sua promessa di 11,4 miliardi di dollari, ma una futura maggioranza repubblicana al Congresso potrebbe bloccarla, anche se il partito presidenziale ha evitato la prevista debacle nelle elezioni di metà mandato di questa settimana. Come “acconto”, ha promesso 150 milioni per progetti di adattamento in Africa, ma si è astenuto dal menzionare le ‘perdite e i danni’ già subiti dai Paesi in prima linea, spesso tra i più poveri, uno dei temi al centro di questa Cop.

Alla Cop27 i governi ascoltino anche la società civile

Gli obiettivi climatici non sono estranei ai loro effetti sulla società, nella quale anzi possono causare gravi danni, a livello nazionale ed internazionale. Il Comitato economico e sociale europeo è tra coloro che si fanno carico dell’equità del processo.

Due o tre giorni di sfilate di capi di Stato, capi di Governo hanno aperto la conferenza sul clima Cop27. E’ giusto, sono i governi i primi a dover prendere e realizzare impegni che sono di dimensioni globali, neanche più regionali, per combattere il cambiamento climatico e far restare la terra un pianeta dove si possa vivere e prosperare.

Non sono però solo i governi i protagonisti di questo enorme lavoro, ed infatti sono centinaia gli eventi collaterali che si svolgono a Sharm el-Sheikh organizzati da associazioni di cittadini, di ambientalisti, di sindacati. Già, perché le scelte che saranno fatte dalla politica ‘di governo’ dovranno poi camminare con le gambe di cittadini, dei lavoratori, e dovranno funzionare perché i più giovani non siano penalizzati dai più vecchi.

E i più giovani non sono solo le persone che hanno meno anni e che dovranno vivere nel clima che gli si offrirà, ma sono anche quei Paesi del mondo che più di recente sono riusciti a disegnare un loro percorso di crescita economica, e che rischiano di vedersi le ali tarpate dai Paesi più ricchi, che hanno inquinato per decenni (ed hanno anche sottratto risorse un po’ ovunque nel mondo) ed ora vogliono smettere di inquinare, imponendo però delle scelte che sono basate sul rimedio ai loro errori che si vuole paghi anche chi, per decenni, non ha inquinato e solo ora ha bisogno di uno spazio per crescere. E’ un equilibrio difficile, ma va trovato.

E poi c’è la società civile, i giovani, coloro a cui queste politiche si indirizzano. E ben ha fatto una organizzazione ‘istituzionale’ della società civile europea, con il Comitato economico e sociale (Cese, o Eesc in inglese) a investire sulla Cop27. l focus scelto per il vertice in Egitto è ‘Together for implementation’ (insieme nell’implementazione), e dunque un gruppo ad hoc del Comitato economico e sociale parteciperà ai lavori con eventi ‘a latere’ e insisterà sul ruolo della società civile organizzata nell’imprimere maggiore forza all’azione dei governi. Con un occhio di riguardo alla sua componente giovanile: oltre a sei membri del Cese, farà parte della spedizione anche la rappresentante giovanile, Sophia Katharina Wiegand.

L’obiettivo è tenere alto il tema della giustizia sociale, di un’economia sostenibile che non lasci indietro nessuno, che coinvolga nelle scelte e che non cresi condizioni per le quali chi è meno ‘forte’ non riesca a tenere il passo, e, anche qui, debba pagare per le scelte dei più ricchi. E qui non parliamo solo di Paesi, ma proprio di persone.

emissioni industriali

Record di emissioni Co2 nel 2022: rischio di sforare gli 1,5°C in 9 anni

Le emissioni di anidride carbonica provenienti dai combustibili fossili aumenteranno dell’1% nel 2022 raggiungendo così il loro massimo storico.   Lo rivela uno studio che sarà presentato a Sharm el-Sheikh in occasione della Cop27. Le emissioni totali di questo gas serra – la principale causa del riscaldamento globale, comprese quelle prodotte dalla deforestazione – torneranno quasi ai livelli del 2019, lasciando a questo ritmo solo una possibilità su due di evitare di arrivare a un riscaldamento di 1,5° C in nove anni, secondo gli scienziati del progetto Global carbon. Secondo i calcoli, le emissioni di CO2 di origine fossile “aumenteranno dell’1% rispetto al 2021, per raggiungere 36,6 miliardi di tonnellate, leggermente al di sopra dei livelli del 2019 prima del Covid-19”. Tale incremento è trainato principalmente dall’utilizzo del petrolio (+2,2%), con la ripresa del traffico aereo, e del carbone (+1%).

Le emissioni del carbone, in calo dal 2014, dovrebbero aumentare dell’1% e tornare, o addirittura superare, il livello record di quell’anno. In totale, le emissioni globali di CO2 da tutte le fonti – compresa la deforestazione e l’uso del suolo – raggiungeranno il livello massimo di 40,6 miliardi di tonnellate, appena al di sotto del livello record registrato nel 2019, secondo le prime proiezioni per il 2022. “Le emissioni sono ora del cinque per cento superiori a quelle che erano al momento della firma dell’Accordo di Parigi nel 2015″, ha detto Glen Peters, direttore di ricerca presso l’istituto di ricerca sul clima CICERO in Norvegia e co-autore dello studio pubblicato sulla rivista Earth Systems Science Data in occasione della conferenza sul clima in corso a Sharm el-Shiekh. Secondo gli studiosi, su questi dati “c’è la congiunzione di due fattori, il proseguimento della ripresa post-Covid e la crisi energetica” dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C di riscaldamento globale, le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 45% entro il 2030. Da qui a 30 anni c’è una possibilità su due di raggiungere l’obiettivo meno ambizioso di +2°C, e a 18 anni di +1,7°C. Tuttavia, con quasi +1,2°C di riscaldamento già registrato, i disastri climatici sono in aumento in tutto il mondo, come accaduto nel 2022, anno in cu isi sono verificate ondate di calore, siccità, inondazioni.
“Abbiamo fatto dei progressi”, osserva la climatologa Corinne Le Quéré, un’altra autrice dello studio, sottolineando come la tendenza all’aumento delle emissioni dei combustibili fossili è passata da circa il 3% all’anno negli anni 2000 allo 0,5% all’anno nel corso del ultimo decennio. “Abbiamo dimostrato che la politica climatica funziona. Ma solo un’azione concertata al livello di quella intrapresa contro il Covid può piegare la curva“, ha insistito.
Tra i maggiori inquinatori mondiali, è in India che il rimbalzo delle emissioni fossili sarà più forte nel 2022, con un aumento del 6% principalmente a causa del consumo di carbone nel mezzo di una forte ripresa economica. Gli Stati Uniti registrano un +1,5%. La Cina, che dovrebbe chiudere a -0,9%, ha visto un forte calo all’inizio dell’anno con il lockdown ‘zero-Covid’ e la crisi delle costruzioni, anche se l’ondata di caldo estivo ha poi causato un calo dell’energia idroelettrica e un aumento del carbone .
L’Unione Europea, sprofondata nella crisi energetica dall’invasione dell’Ucraina, dovrebbe registrare un -0,8%, con le emissioni legate al gas che crollano del 10% e le emissioni legate al carbone che salgono del 6,7%, contro il +0,9% del petrolio.
Nel resto del mondo è previsto un aumento dell’1,7%, alimentato principalmente dalla ripresa del trasporto aereo.

Cop27/Imago

Le tensioni tra Usa-Cina mettono a repentaglio l’esito di Cop27

Le tese relazioni tra Pechino-Washington potrebbero indurre la Cina a trattenersi dal prendere nuovi impegni sul clima, nonostante la crescente pressione internazionale sul più grande emettitore mondiale di gas serra. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden è atteso al vertice della COP27 in corso a Sharm el-Sheikh, mentre è certa l’assenza del suo omologo cinese Xi Jinping. La cooperazione tra i due Paesi più inquinanti è stata fondamentale per realizzare progressi in quasi 30 anni di negoziati sul clima sotto l’egida delle Nazioni Unite, in particolare per portare allo storico accordo di Parigi del 2015. Ma a oggi le relazioni si sono inasprite sulle spinta delle crescenti tensioni legate a Taiwan. L’esito della COP27 è quindi incerto, visto che la Cina è stata uno dei principali attori nel successo dell’accordo di Parigi. Si susseguono dunque, da parte della comunità internazionale, gli appelli affinché Pechino e Washington si assumano la propria responsabilità sui cambiamenti climatici: dall’Egitto, il presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto loro in particolare di essere “davvero presenti”. Xi Jinping ha già preso due grossi impegni negli ultimi anni: la Cina raggiungerà il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030 e sarà carbon neutral entro il 2060. Queste misure si stanno rivelando cruciali per raggiungere l’obiettivo dell’accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura globale ben al di sotto dei 2°C (l’aspirazione è 1,5°C) rispetto ai livelli preindustriali. Visti gli impegni attuali, è aumentata dunque la pressione sui principali inquinatori per andare oltre le loro promesse.

Il sindaco di Varsavia avverte: Guerra ed energia mettono a rischio la Cop27

“Il contesto internazionale piuttosto teso attorno al quale si sta svolgendo la Cop27 potrebbe essere un ostacolo al raggiungimento di grandi traguardi , ma non dobbiamo scendere a compromessi sulla nostra ambizione”. Rafal Trzaskowski, sindaco di Varsavia, riconosce come l’agenda politica verde possa essere rimodellata a causa di uno scenario generale radicalmente cambiato. Già così, ammette nell’intervista rilasciata a GEA, “c’è il rischio che l’attuale crisi energetica globale ostacoli l’attuazione del patto per il clima di Glasgow, che è l’insieme delle azioni concordate alla COP26 lo scorso anno”. Se è così, appare molto difficile ottenere un nuovo, migliore, accordo, il messaggio che arriva dal membro della commissione Ambiente del Comitato europeo delle regioni.

GUERRA E CRISI ENERGETICA. Trzaskowski farà parte della delegazione del Comitato a Sharm-el-Sheik, dove promette di farsi sentire.Useremo la nostra voce”, per richiamare l’attenzione di comuni e regioni, ma soprattutto per tenere alta l’attenzione. La governance climatica globale e negoziati internazionali che ne derivano “sono piuttosto fragili” poiché legati da una parte a “dinamiche complesse” e dall’altra a “una varietà di fattori” di relazioni internazionali e geopolitica. “La guerra in Ucraina , la crisi energetica e l’elevata inflazione non hanno altro che esacerbato tale fragilità”, e questi rinnovati fattori “potrebbero sicuramente rendere la COP27 più impegnativa di qualsiasi altra recente Cop”, ammette Trzaskowski.

“NON C’E’ TEMPO DA PERDERE”. Allo stesso tempo va tenuto il punto, e ribadito che “nessuno di questi aspetti sta sminuendo l’emergenza climatica in cui viviamo”. Il problema c’è e va affrontato. “Non c’è tempo da perdere, non possiamo permetterci il lusso di tornare sui nostri impegni nonostante le circostanze difficili”. Per l’esponente del Ppe al Comitato delle regioni, “accelerare la transizione energetica è l’unico modo per ridurre bollette energetiche e affrontare la povertà energetica nel lungo periodo”. Per l’Unione europea, scandisce, l’unica sovranità energetica possibile è un sistema energetico rinnovabile, decentralizzato e interconnesso”.

G20 E COP27 A PARI PASSO. Ben venga dunque anche il summit del G20 a Bali, visto più come un’opportunità che come motivo per non avere leader attorno al tavolo di Sharm-el-Sheik. La riunione di Bali (15-16 novembre), “svolgendosi poco prima della chiusura dei negoziati della COP27, ritengo possa essere utile per trovare compromessi politici dell’ultimo minuto tra leader in termini di impegni sul clima, finanziamento e avanzamento dell’eliminazione graduale dei sussidi ai combustibili fossili”, vale a dire “alcuni degli elementi negoziali più difficili che abbiamo sul tavolo in questo momento”. Per il sindaco di Varsavia, comunque, al di là della presenza fisica a Sharm El Sheikh o a Bali, è importante capire che le agende del G20 e della COP27 vanno di pari passo, avanzano in parallelo e cercano sinergie”. Un qualcosa da non dimenticare, visto che “la collaborazione inclusiva e multi-livello tra locale, regionale e nazionale, anche tra Paesi sviluppati ed economie emergenti di tutto il mondo, è la soluzione per affrontare l’emergenza climatica in cui viviamo”.

CRISI CLIMATICA COLPISCE ANCHE A LIVELLO LOCALE. Il Comitato europeo delle regioni linea politica e contributi li ha chiari. Innanzitutto la posizione dell’istituzione comunitaria è che “mentre ci adoperiamo per garantire l’approvvigionamento energetico e proteggere i nostri cittadini dai prezzi elevati dell’energia, non possiamo perdere di vista la crisi climatica”. Da qui la determinazione di rilanciare il ruolo degli enti locali. Perché se il cambiamento climatico avviene a livello globale, lo stesso “colpisce prima a livello locale”. Il messaggio di Trzaskowski è lo stesso che a Bruxelles ripetono da anni: “Autorità locali, che attuano le politiche climatiche, devono essere formalmente coinvolte nella progettazione di quelle stesse politiche”. Sono gli amministratori locali, ricorda, i responsabili dell’attuazione del 90 per cento delle misure di adattamento climatico, del 70 per cento delle azioni di mitigazione climatica e il coordinamento del 50 per cento degli investimenti pubblici e del 30 per cento della spesa pubblica.

IL RUOLO FONDAMENTALE DELLE REGIONI. Ora, il Comitato delle Regioni è Unione europea, ma pure Nazioni Unite. Il Comitato è “un membro attivo” del Local Governments and Municipal Authorities Constituency (Lgma), il gruppo Onu di enti locali e regionali che rappresenta la voce dei governi subnazionali di tutto il mondo. La voglia è quella di incidere “sia come membri della delegazione dell’UE che del collegio elettorale della Lgma”, rileva il sindaco di Varsavia. Il Comitato delle regioni dunque fa rete mondiale. Ecco perché sul tavolo della Cop27 ci sarà anche la richiesta di “un riconoscimento formale del ruolo fondamentale dei governi subnazionali nell’accelerare una giusta transizione climatica” nel quadro normativo della Convenzione quadro dell’Onu per i cambiamenti climatici (Unfccc). Attenzione all’ambiente e rivoluzione sostenibile partono dai territori, e i territori sono decisi a giocare la partita salva-clima.