Carburanti impazziti, è colpa della raffinazione. L’Italia in controtendenza

Pare che un problema – o il problema – legato all’aumento dei carburanti, in particolar modo del gasolio, dipenda dalla raffinazione. Detto in poche parole: si raffina poco e male. Non solo in Italia ma in tutto il mondo. Poi, ma solo poi, entrano in gioco la speculazione e il taglio dello sconto sulle accise. Che, detto tra parentesi, da noi sono tra le più alte d’Europa.

Sostiene il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giovambattista Fazzolari, che quei dieci miliardi di euro recuperati togliendo il risparmio a famiglie e imprese sono soldi che “verranno impiegati meglio” e che quel bonus alla pompa del carburante era a vantaggio essenzialmente “dei ceti più abbienti”. Al netto del fatto che si tratta di affermazioni da verificare – e ne scopriremo la veridicità nei prossimi mesi – resta in piedi un tema cogente: spendere di più per benzina e diesel significa mettere in ginocchio l’intera filiera di produzione nazionale. Però è altrettanto vero che salvaguardare le accise equivale a incamerare un gruzzolo di denaro che – verosimilmente – a marzo servirà per rimettere un freno al caro bollette. In sostanza, la coperta è corta.

Torniamo alla mancata raffinazione. Esiste una vera e propria geopolitica della raffinazione, che è mutata con la pandemia e con gli scenari che sono scaturiti da due anni vissuti al di fuori della normalità. Sintetizzando: benino l’Asia, male l’Europa, senza futuro l’Africa. Con certe prospettive, lanciarsi in previsioni diventa quanto mai azzardato. Ma riavvolgiamo il nastro. Il prezzo del greggio è tendenzialmente in calo perché viene determinato da domanda e offerta. L’inverno che stiamo attraversando, con temperature molto miti, aiuta a contenere le richieste, quindi a calmierare i prezzi perché c’è meno necessità. Eppure, sempre accise e speculazione a parte, i prezzi non scendono. Al contrario, salgono. La ragione di questo strano andamento è determinata appunto dalla mancata raffinazione del petrolio che viene estratto nel nostro pianeta. Solo una parte è sottoposto ai passaggi di raffinazione e questo determina il fatto che molte domande non possano essere evase.

È un deficit generalizzato, che va dagli Usa all’Africa, con la presa di coscienza che in Europa da anni è cominciata una lenta agonia del sistema, colpa di impianti desueti e di regolamenti sulle emissioni di Co2 in continua evoluzione. La Russia, poi, ha dato il colpo di grazia. Il Cremlino ha rallentato la sua raffinazione di fronte alle sanzioni imposte dalla Ue nonostante abbia dirottato il greggio verso la Cina e la Turchia. Putin che per parecchio tempo ha rappresentato una soluzione ai problemi di raffinazione di molti Paesi: si acquistavano prodotti già pronti all’uso, bypassando il disagio. Ora non funziona più così. In Italia sono 10 le raffinerie attive, dal caso particolare di Priolo in su e in giù. Sempre a meno di ulteriori dismissioni. Rimane un dato, nostro, cioè che ci riguarda direttamente ed è in controtendenza: nei primi nove mesi del 2022 le lavorazioni delle raffinerie italiane sono cresciute del 10,5%, ovvero 5 milioni di tonnellate in più rispetto al 2021. Ma non basta, a quanto pare…

inquinamento

La Germania manca il target 2022 di riduzione emissioni Co2. Crescono le rinnovabili

La Germania ‘buca’ ancora gli obiettivi di riduzione delle emissioni gas serra. A dirlo sono le stime del gruppo di esperti Agora Energiewende, che nel 2022 hanno calcolato circa 761 milioni di tonnellate di Co2, che grosso modo ricalca i risultati ottenuti nel 2021. Dunque, l’obiettivo è stato fallito. Ci sono comunque delle ‘attenuanti’ per la prima nazione industriale europea, costretta a dover aumentare il consumo di combustibili da fonti fossili per compensare le minori forniture di gas dalla Russia dopo la scelta di attaccare l’Ucraina, in seguito alla quale sono state comminate sanzioni Ue a Mosca, che poco a poco ha chiuso i propri rubinetti.

Secondo l’analisi del think tank la riduzione delle emissioni nel 2022 rispetto all’anno di riferimento, che è il 1990, è stata di quasi del 39%, dunque per la seconda volta inferiore all’obiettivo climatico del 40% raggiunto nel 2020. “Le emissioni di Co2 ristagnano a un livello elevato, nonostante il consumo di energia significativamente inferiore da parte delle famiglie e dell’industria. Questo è un segnale di allarme per quanto riguarda gli obiettivi climatici”, dichiara Simon Müller, direttore di Agora Energiewende Germania.

Secondo la valutazione dell’associazione “il consumo di energia nel Paese è diminuito del 4,7% o di 162 terawattora rispetto al 2021, in parte a causa dei massicci aumenti dei prezzi del gas naturale e dell’elettricità e del clima mite”. Anche il consumo “è sceso al di sotto del livello del 2020 e quindi al livello più basso nella Germania riunificata”. Tuttavia, “l’aumento dell’uso di carbone e petrolio ha annullato le riduzioni delle emissioni attraverso il risparmio energetico: l’obiettivo di riduzione per il 2022 di 756 milioni di tonnellate di Co2, che risulta dalla somma delle specifiche di Co2 per le aree di gestione energetica, edifici, trasporti, industria , agricoltura e gestione dei rifiuti, è stato mancato di 5 milioni di tonnellate”. E questo “nonostante il fatto che la quota di energie rinnovabili nel consumo di elettricità abbia raggiunto un nuovo massimo di 46 a causa del maltempo”.

Entrando nel dettaglio, il ‘cucchiaio di legno’ spetta a edilizia (113 milioni di tonnellate) e trasporti (139 milioni di tonnellate). L’industria ha, invece, fatto registrare una leggera riduzione di 8 milioni di tonnellate, assestandosi quindi a 173 milioni di tonnellate di Co2 a seguito delle misure di risparmio ed efficienza, nonché alle perdite di produzione. Secondo la valutazione Agora, molto bene le rinnovabili, che hanno prodotto più elettricità che mai nel 2022: 248 terawattora. Con un aumento di 22 terawattora (+10%) rispetto al 2021. L‘energia eolica resta il più grande fornitore di elettricità con 126 terawattora, ma anche l’energia da impianti solari è aumentata del 23% (60 terawattora rispetto al 2021) grazie a un anno soleggiato superiore alla media e a un aumento di 7,2 gigawatt.
Complessivamente, la capacità di energia rinnovabile alla fine del 2022 è stata di 148 gigawatt, 9,6 in più rispetto all’anno precedente.

Tra price cap e Fit for 55, si chiude la presidenza di Praga alla guida dell’Unione europea

Non c’è dubbio che il semestre di presidenza della Repubblica ceca alla guida dell’Ue che si concluderà il 31 dicembre sarà ricordato per la risposta che l’Unione europea ha dato alla crisi dell’energia e dei prezzi innescata dalla guerra di Russia in Ucraina. Dall’ultimo (in ordine di tempo) difficile accordo sul price cap raggiunto a dicembre, allo sblocco dei principali dossier del pacchetto climatico ‘Fit for 55’ che porterà l’Ue ad abbattere le emissioni del 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990) come tappa intermedia per la neutralità climatica al 2050.

Otto Consigli Ue dell’Energia (due ordinari, uno informale e cinque straordinari), cinque pacchetti di emergenza contro il caro prezzi adottati nel giro di sei mesi, sei accordi politici con l’Europarlamento sui file del ‘Fit for 55’, oltre che centinaia di riunioni e incontri informali. I numeri del semestre ceco alla guida dell’Ue danno la misura della gravità dell’emergenza che l’Unione europea si è trovata ad affrontare, in genere si convocano due o al massimo tre riunioni a livello ministeriale durante una sola presidenza. Il ministro ceco dell’Industria e del commercio, Jozef Síkela, che ha presieduto tutte le riunioni, lo aveva detto fin dall’inizio sposando il motto diventato celebre a Bruxelles del “Convocherò tutti i Consigli Energia straordinari che saranno necessari” per affrontare la crisi. E così ha fatto.
L’Ue ha assistito a tensioni sui mercati dell’energia già alla fine del 2021, con la ripresa post-Covid che ha spinto al rialzo i prezzi del gas e dell’elettricità, una situazione aggravata dalla Russia che ha mantenuto provocatoriamente bassi i suoi flussi di gas verso l’Europa. Nulla in confronto all’impatto che poi l’invasione russa dell’Ucraina e la successiva manipolazione delle risorse hanno avuto sul sistema energetico dell’Ue.

Sei mesi fa, Praga assumeva la guida dell’Ue scegliendo il motto ‘Rethink, Rebuild, Repower’ (Ripensare, rinnovare e “ripotenziare” l’UE) vista la necessità per il Paese di concentrarsi sull’attuazione del pacchetto energetico ‘RePowerEU’, presentato il 18 maggio dalla Commissione Europea come una tabella di marcia per liberare l’Unione dalla dipendenza dai combustibili fossili russi al più tardi entro il 2027. La presidenza è riuscita a raggiungere un’intesa con gli Stati membri lo scorso 14 dicembre sul piano per l’indipendenza energetica, che ora dovrà essere attuato dalla futura presidenza di Svezia che sarà alla guida dell’Ue dal primo gennaio e fino a giugno.
L’eredità di Praga alla testa dell’Ue sarà però l’accordo raggiunto in extremis lo scorso 19 dicembre sul tetto al prezzo del gas, quel meccanismo di correzione del mercato proposto dalla Commissione europea il 22 novembre (dopo mesi di pressione e insistenza da parte dei governi, in particolare l’Italia) che per mesi ha diviso l’Europa ed è stato un nodo difficile da sbrogliare, con l’opposizione di Germania e Paesi Bassi. In attesa di capire se il cap verrà mai attivato (sarà in vigore dal 15 febbraio), Praga è riuscita a trovare un’intesa tra i governi anche su una serie di misure di emergenza proposte dalla Commissione europea per affrontare la riduzione delle forniture in arrivo da Mosca e i prezzi alti dell’energia: la riduzione dei consumi di gas del 15% (rispetto alla media dei consumi degli ultimi cinque anni) tra il primo agosto 2022 e il 31 marzo 2023; la riduzione della domanda di elettricità e l’introduzione di un tetto massimo a 180 euro/MWh sui ricavi dei produttori di elettricità a costi bassi (i cosiddetti inframarginali) oltre che un contributo di solidarietà pari al 33% dei profitti per le aziende del settore dei combustibili fossili.

Poi, ancora, lo scorso 19 dicembre l’accordo sul price cap ha ‘sbloccato’ anche il via libera dei ministri dell’energia alle nuove regole sulla solidarietà, gli acquisti congiunti di gas (che dovrebbero partire nel 2023 per l’acquisto congiunto di 13,5 miliardi di metri cubi di gas), un nuovo indice di riferimento per il Gnl complementare al TTF olandese (anche questo atteso a inizio 2023) e l’accelerazione delle autorizzazioni per le rinnovabili, gli ultimi due regolamenti di emergenza proposti da Bruxelles rispettivamente il 18 ottobre e il 9 novembre.
Sul fronte ambientale e climatico, il più grande successo della presidenza ceca è legato all’approvazione di tutte le sezioni climatiche del ‘Fit for 55’. Tra queste, l’accordo raggiunto il 18 dicembre con l’Eurocamera per riformare il sistema di scambio di quote di emissione dell’Ue (l’Ets – Emission Trading System) – il mercato europeo del carbonio -, l’intesa per creare un Fondo sociale per il clima per ammortizzare i costi della transizione e la tassa sul carbonio alle frontiere. A fine ottobre, raggiunta anche l’intesa con l’Eurocamera per porre fine a partire dal 2035 alla vendita delle auto a combustione, diesel e benzina. Poi ancora, accordo raggiunto sull’aumento della capacità delle foreste e dei suoli di assorbire le emissioni di CO2 (il cosiddetto regolamento LULUCF) e limiti più severi alle emissioni di CO2 da trasporti, edifici, rifiuti e agricoltura (il regolamento sulla condivisione degli sforzi). Resta in eredità alla presidenza svedese la revisione delle direttive di efficienza energetica ed energie rinnovabili (entrambe del 2018), su cui però ora il Consiglio Ue ha una posizione negoziale per avviare i colloqui con l’Europarlamento. Fuori dal ‘Fit for 55’, la presidenza ceca ha raggiunto un accordo con gli Stati membri anche sulle norme per le batterie sostenibili e sulla revisione delle reti TEN-T, che dovrebbe tradursi in viaggi di migliore qualità e maggiori finanziamenti per la costruzione dei trasporti.

Alla presidenza svedese, che ha posto la transizione energetica tra le sue priorità, resta l’attuazione di parte degli accordi che Praga ha contribuito a realizzare. Così come nuovi interventi di cui la Commissione europea ha già annunciato la presentazione nella prima parte del 2023, dalla riforma del mercato elettrico – che dovrebbe includere il disaccoppiamento dei prezzi del gas e dell’elettricità – al nuovo indice di riferimento per il gas naturale liquefatto che sarà complementare al TTF olandese.

emissioni industriali

Record di emissioni Co2 nel 2022: rischio di sforare gli 1,5°C in 9 anni

Le emissioni di anidride carbonica provenienti dai combustibili fossili aumenteranno dell’1% nel 2022 raggiungendo così il loro massimo storico.   Lo rivela uno studio che sarà presentato a Sharm el-Sheikh in occasione della Cop27. Le emissioni totali di questo gas serra – la principale causa del riscaldamento globale, comprese quelle prodotte dalla deforestazione – torneranno quasi ai livelli del 2019, lasciando a questo ritmo solo una possibilità su due di evitare di arrivare a un riscaldamento di 1,5° C in nove anni, secondo gli scienziati del progetto Global carbon. Secondo i calcoli, le emissioni di CO2 di origine fossile “aumenteranno dell’1% rispetto al 2021, per raggiungere 36,6 miliardi di tonnellate, leggermente al di sopra dei livelli del 2019 prima del Covid-19”. Tale incremento è trainato principalmente dall’utilizzo del petrolio (+2,2%), con la ripresa del traffico aereo, e del carbone (+1%).

Le emissioni del carbone, in calo dal 2014, dovrebbero aumentare dell’1% e tornare, o addirittura superare, il livello record di quell’anno. In totale, le emissioni globali di CO2 da tutte le fonti – compresa la deforestazione e l’uso del suolo – raggiungeranno il livello massimo di 40,6 miliardi di tonnellate, appena al di sotto del livello record registrato nel 2019, secondo le prime proiezioni per il 2022. “Le emissioni sono ora del cinque per cento superiori a quelle che erano al momento della firma dell’Accordo di Parigi nel 2015″, ha detto Glen Peters, direttore di ricerca presso l’istituto di ricerca sul clima CICERO in Norvegia e co-autore dello studio pubblicato sulla rivista Earth Systems Science Data in occasione della conferenza sul clima in corso a Sharm el-Shiekh. Secondo gli studiosi, su questi dati “c’è la congiunzione di due fattori, il proseguimento della ripresa post-Covid e la crisi energetica” dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C di riscaldamento globale, le emissioni di gas serra dovrebbero diminuire del 45% entro il 2030. Da qui a 30 anni c’è una possibilità su due di raggiungere l’obiettivo meno ambizioso di +2°C, e a 18 anni di +1,7°C. Tuttavia, con quasi +1,2°C di riscaldamento già registrato, i disastri climatici sono in aumento in tutto il mondo, come accaduto nel 2022, anno in cu isi sono verificate ondate di calore, siccità, inondazioni.
“Abbiamo fatto dei progressi”, osserva la climatologa Corinne Le Quéré, un’altra autrice dello studio, sottolineando come la tendenza all’aumento delle emissioni dei combustibili fossili è passata da circa il 3% all’anno negli anni 2000 allo 0,5% all’anno nel corso del ultimo decennio. “Abbiamo dimostrato che la politica climatica funziona. Ma solo un’azione concertata al livello di quella intrapresa contro il Covid può piegare la curva“, ha insistito.
Tra i maggiori inquinatori mondiali, è in India che il rimbalzo delle emissioni fossili sarà più forte nel 2022, con un aumento del 6% principalmente a causa del consumo di carbone nel mezzo di una forte ripresa economica. Gli Stati Uniti registrano un +1,5%. La Cina, che dovrebbe chiudere a -0,9%, ha visto un forte calo all’inizio dell’anno con il lockdown ‘zero-Covid’ e la crisi delle costruzioni, anche se l’ondata di caldo estivo ha poi causato un calo dell’energia idroelettrica e un aumento del carbone .
L’Unione Europea, sprofondata nella crisi energetica dall’invasione dell’Ucraina, dovrebbe registrare un -0,8%, con le emissioni legate al gas che crollano del 10% e le emissioni legate al carbone che salgono del 6,7%, contro il +0,9% del petrolio.
Nel resto del mondo è previsto un aumento dell’1,7%, alimentato principalmente dalla ripresa del trasporto aereo.

tempesta

Tempeste causate da riscaldamento globale: “Un colpo di frusta meteorologico”

Le tempeste che si sono abbattute sugli Stati Uniti e in altre parti del mondo questa estate sono un chiaro segnale del riscaldamento globale. La scienza concorda: il cambiamento climatico sta avendo effetti devastanti su tutto il pianeta e questi fenomeni meteorologici, un tempo raro, ora stanno diventando più intensi e frequenti, con effetti potenzialmente devastanti. Gli Usa stanno pagando un prezzo altissimo in termini di vite umane: almeno 40 persone sono smorte a luglio in Kentucky, Illinois, Texas e Missouri, a causa delle tempeste arrivate in un periodo di estrema siccità. Il suolo, troppo secco, non è più in grado di assorbire l’acqua. Durante uno di questi episodi sono caduti più di 300 millimetri di pioggia, evento che, secondo i modelli statistici, si verifica solo una volta ogni mille anni. “È come un colpo di frusta meteorologico“, spiega Peter Gleick, co-fondatore del Pacific Institute, una ong specializzata nello studio dell’acqua. E ciò è dovuto ad “un’intensificazione del ciclo idrologico globale“, conseguenza del riscaldamento globale.

Da anni gli scienziati da anni avvertono dell’impatto dell’innalzamento della temperatura del pianeta causato in particolare dall’uso di combustibili fossili e dall’emissione di gas serra, le cui conseguenze ora sono chiare. Gli effetti del cambiamento climatico stanno infatti diventando molto concreti: i luoghi asciutti sono ancora più asciutti, i luoghi umidi ancora più umidi. “Il punto in comune tra queste forti precipitazioni e altri fenomeni eccezionali dello stesso tipo è un cocktail di ingredienti molto preciso“, necessario per il loro innesco, sottolinea David Novak, che dirige l’ufficio previsioni del tempo all’interno dei Servizi meteorologici americani (NWS). “Servono umidità e instabilità nell’atmosfera. E poi un innesco per la formazione della tempesta“, spiega.

Le tempeste ovviamente non sono rare in Texas o nell’Illinois in estate, ma la loro intensità legata all’altissima pressione atmosferica è la diretta conseguenza del riscaldamento del pianeta. “Più l’aria è calda – dice il meteorologo – più sarà maggiormente umida. E più c’è umidità più è facile che si formino le tempeste“. Secondo la formula di Clausius-Clapeyron, un aumento della temperatura di 1 grado Celsius è associato a un aumento di circa il 7% dell’umidità nell’atmosfera. Questo, dice Novak, è ciò che capovolge i modelli statistici delle previsioni meteorologiche e spiega perché quello che una volta era un fenomeno raro ora è più frequente, come le cinque tempeste che hanno colpito gli Stati Uniti quest’estate. tempeste che, prima dell’era industriale, avevano una probabilità dello 0,1% di formarsi, il che significa che in media si verificavano solo ogni mille anni. Ma questa percentuale aumenta drammaticamente in un contesto di riscaldamento globale.

(Photo credits: Valery HACHE / AFP)

rinnovabili

Raggiungere net zero è la sfida più grande per le aziende

La più grande sfida mai affrontata dalle aziende”. Sembra il titolo di una campagna promozionale o di un libro, ma è in realtà la riflessione di 7 manager su 10 in merito alla gestione della transizione verso le zero emissioni nette. Lo rivela un nuovo studio commissionato da Castrol ‘The sharp end of sustainability’, che ha coinvolto oltre 2.860 dirigenti aziendali e professionisti in 14 mercati, per scoprire in che modo i settori automotive, industriale, manifatturiero e marittimo si stiano approcciando alla vera e propria transizione green. Per queste aziende, lo studio suggerisce che la sostenibilità sarà fondamentale per il successo commerciale: oltre tre quarti dei dirigenti (76%) e il 68% dei professionisti interpellati affermano che migliorare la sostenibilità dell’azienda sia fondamentale per rispondere alle esigenze dei clienti. Più in generale, il 71% dei dirigenti aziendali e il 62% degli operatori professionali ritengono che raggiungere quota zero emissioni “sarà la sfida più grande” che le rispettive aziende devono affrontare.

Mentre il mondo collabora alla creazione di un’economia più sostenibile, tutte le aziende, i nostri clienti e i nostri fornitori, hanno un ruolo da svolgere. Entrare in contatto con più organizzazioni, creare relazioni fra i settori e condividere competenze nelle nostre reti ci aiuterà a progredire tutti insieme”, ha commentato Rachel Bradley, direttrice globale della sostenibilità in Castrol (azienda del gruppo Bp che punta al net zero entro il 2050).

Lo studio ha individuato cinque priorità legate alla strategia sulla sostenibilità: efficienza, gestione dati, azioni anti spreco, partecipazione e condivisione dei temi, leadership. Quasi tre quarti (72%) degli esperti consultati, in particolare, afferma che il modo più efficace per ridurre le emissioni di CO2 è “migliorare l’efficienza energetica della propria organizzazione”, considerando quindi l’efficace manutenzione delle apparecchiature, i miglioramenti tecnici (inclusi upgrade e modifiche) e l’adozione di nuove tecnologie (secondo il 59% degli intervistati gli investimenti in innovazione saranno “un aspetto chiave di qualsiasi strategia mirata alla riduzione delle emissioni”).

Il 76% dei dirigenti aziendali ritiene poi che le proprie aziende “debbano migliorare nella gestione dei dati per individuare le aree su cui è opportuno concentrarsi per migliorare la sostenibilità”, mentre l’82% ritiene che “la propria organizzazione possa utilizzare meglio i dati a sua disposizione per il medesimo scopo”. Dai dati alla comunicazione interna: gli interpellati dallo studio Castrol spiegano che in media solo il 40% dei propri dipendenti comprenda la strategia di sostenibilità aziendale, mentre il 46% degli operatori professionali ritiene che la stessa “non venga effettivamente messa in atto dall’organizzazione”. Un ruolo fondamentale è costituito inoltre dalle cosiddette buone pratiche ecologiche: il 63% e il 61% dei manager ha imposto rispettivamente obiettivi di riduzione dei rifiuti e del consumo idrico. Quanto ai professionisti, la quota si abbassa, ma non di molto: il 58% considera importanti per la propria azienda” gli obiettivi di diminuzione rifiuti ma solo il 43% afferma che lo sono anche quelli di contrazione del consumo idrico.

Chiave di volta dell’intero studio sembra però essere il discorso sulla leadership: se il 64% dei manager abbiano affermato che la sostenibilità “è al centro di tutto ciò che fa la loro azienda”, dal lato dei professionisti emerge che l’assenza di leadership e visione “stia pregiudicando il processo”. Il mancato supporto alla sostenibilità da parte della dirigenza (indicato dal 48% degli operatori professionali), l’assenza di obiettivi chiari (48%), la mancanza di una strategia aziendale precisa per garantire la sostenibilità (48%) e la mancanza di visione da parte dei dirigenti (47%) sono risultati essere gli ostacoli principali al raggiungimento dei target di sostenibilità in azienda.

suolo

La revisione dei regolamenti Ue sulla condivisione di sforzi e uso suoli

Oltre al sistema di scambio delle quote di emissione dell’Unione Europea (ETS), il pacchetto Fit for 55 si spinge oltre, con una proposta di revisione del regolamento sulla condivisione degli sforzi (ESR) tra Stati membri nei settori rimasti scoperti – edifici, agricoltura, rifiuti, piccola industria e trasporti – e del regolamento sulle emissioni e gli assorbimenti di gas a effetto serra derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso e dalla silvicoltura (LULUCF).

La condivisione degli sforzi – Il regolamento sulla condivisione degli sforzi adottato nel 2018 stabilisce obiettivi annuali vincolanti per le emissioni di gas serra dal 2020 al 2030 per ciascun Paese membro UE, per l’insieme di settori che rappresenta circa il 60% delle emissioni dell’Unione. Nella proposta di revisione della Commissione è prevista la riduzione di almeno il 40% rispetto ai livelli del 2005, con un aumento di 11 punti percentuali rispetto all’attuale obiettivo del 29%. Saranno fissate per ognuno dei Ventisette le assegnazioni annuali di emissioni (AEA), ridotte progressivamente fino al 2030, e creata una riserva volontaria aggiuntiva. A livello di bilancio, viene stimato sul milione e 750 mila euro il costo totale delle misure di sostegno per l’adattamento al quadro più esigente.

La relazione che dovrà essere votata in sessione plenaria del Parlamento Ue, a firma Jessica Polfjärd (Partito Popolare Europeo), invita la Commissione a garantire l’adeguatezza degli obiettivi nazionali, con la possibilità di fissare limiti settoriali alle emissioni. Introduce maggiore trasparenza sulle azioni degli Stati membri e collega l’azione correttiva alla revisione dei piani nazionali per l’energia e il clima, in caso di mancato rispetto degli obiettivi per due anni consecutivi. Elimina la riserva aggiuntiva e stabilisce le assegnazioni annuali di emissioni per il periodo 2023-2030, eliminando il loro adeguamento nel 2025 e chiedendo una proposta sugli obiettivi Ue per le emissioni non-CO2 coperte dall’ESR entro il 2023.

L’uso del suolo

La proposta di revisione del regolamento sulle emissioni e gli assorbimenti di gas a effetto serra derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso del suolo e dalla silvicoltura (LULUCF) include l’abbandono a partire dal 2026 della regola del no-debit, vale a dire che le emissioni di gas serra non possono superare gli assorbimenti all’interno dello stesso settore. Viene introdotto un rafforzamento dell’obbligo per gli Stati membri di presentare piani di mitigazione integrati per il settore terrestre e dei requisiti di monitoraggio grazie alle tecnologie digitali. A partire dal 2031 il regolamento dovrà coprire l’intero settore agricolo, incluse le emissioni non-CO2, e sarà necessario definire un valore per le azioni di mitigazione, introducendo un sistema di certificazione della rimozione del carbonio.

Secondo la proposta della Commissione, l’obiettivo è di invertire l’attuale tendenza alla diminuzione degli assorbimenti nel settore terrestre, arrivando a 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente rimosse entro il 2030 e alla neutralità climatica del settore agricolo e forestale entro il 2035. La relazione che sarà votata in sessione plenaria del Parlamento UE, a firma Ville Niinistö (Verdi), è allineata all’obiettivo delle 310 milioni di tonnellate di CO2 equivalente entro il 2030, ma aggiunge un nuovo sforzo aggiuntivo di 50 milioni di tonnellate di CO2 da rimuovere attraverso l’agricoltura del carbonio. Al contrario, è stata respinta l’idea di unire le emissioni di gas a effetto serra derivanti dall’uso del suolo, dai cambiamenti di uso e dalla silvicoltura con quelle agricole non-CO2 a partire dal 2031.

microproteine

Le proteine microbiche al posto della carne ridurranno emissioni di Co2

Sostituire gradualmente il 20% del consumo globale di manzo e agnello con le cosiddette proteine ‘microbiche’, che imitano la consistenza della carne, potrebbe dimezzare le emissioni di CO2 legate all’agricoltura e la deforestazione entro il 2050, secondo uno studio pubblicato mercoledì. Sulla base delle proiezioni attuali della crescita della popolazione e della domanda di cibo, sostituire la metà del consumo di carne rossa con proteine microbiche, coltivate in vasche di acciaio inossidabile, potrebbe ridurre la perdita di alberi e l’inquinamento da CO2 di oltre l’80%, hanno calcolato gli autori in uno studio pubblicato sulla rivista Nature.

Con un cambiamento relativamente piccolo nel consumo di carne di ruminanti, le emissioni di gas serra risultanti dalla deforestazione tropicale possono essere notevolmente ridotte“, ha detto a AFP l’autore principale dello studio Florian Humpenoder, un ricercatore dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico (PIK). “Questo è un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi dell’accordo sul clima di Parigi“, ha aggiunto.

Tre rapporti sul clima pubblicati dall’Onu da agosto a oggi hanno mostrato in modo allarmante che l’obiettivo fondamentale del testo di limitare il riscaldamento globale a ben meno di 2°C è in grave pericolo. Il sistema alimentare globale è responsabile di circa un terzo delle emissioni di gas serra, e la produzione di carne bovina è il principale contributore del settore agricolo. L’industria della carne bovina contribuisce in due modi: da un lato, porta alla distruzione delle foreste tropicali (che altrimenti assorbirebbero C02) per fare spazio a pascoli e colture per nutrire il bestiame; d’altra parte, i ruminanti sono una fonte importante di metano, un gas serra 30 volte più potente del CO2 su una scala di 100 anni.

AREA COLTIVATA RIDOTTA

Altri tipi di sostituti della carne, specialmente quelli a base vegetale, sono già sugli scaffali dei supermercati. Ma mentre il mondo lotta per trovare soluzioni climatiche, questi e altri nuovi alimenti sono destinati a diventare una grande industria nei prossimi decenni, secondo le previsioni di mercato. Il cibo prodotto da cellule microbiche o fungine in crescita subisce un processo di fermentazione, simile a quello del vino o della birra. Le cellule si nutrono di glucosio – dalla canna da zucchero o dalla barbabietola, per esempio – per produrre proteine, il che significa che la produzione richiede terreni coltivati. Ma molto meno vasti rispetto a quelli richiesti dalla carne rossa, secondo lo studio. Supponendo che gli attuali metodi di coltivazione e i modelli di consumo continuino nei prossimi 30 anni, l’area globale dei pascoli aumenterebbe di quasi un milione di chilometri quadrati. Tuttavia, se il 20% di questa carne fosse sostituito da proteine microbiche, la superficie coltivata scenderebbe sotto i livelli attuali.

IL FATTORE GUSTO

I benefici delle proteine ottenute da microbi o funghi vanno oltre l’impatto climatico o ambientale, secondo Hanna Tuomisto, ricercatrice dell’Università di Helsinki, che non ha partecipato allo studio. “La micoproteina è un sostituto ideale della carne perché è ricca di proteine e contiene tutti gli amminoacidi essenziali“, ha commentato, citata da Nature. L’uso dell’acqua per l’agricoltura e l’emissione di un altro gas a effetto serra, il protossido d’azoto, attraverso i fertilizzanti, sarebbero anch’essi ridotti. “I governi e l’industria alimentare devono coordinarsi per sviluppare standard appropriati per ottenere la fiducia del pubblico“, ha detto Tilly Collins, dell’Imperial College di Londra, in un commento rilasciato al Science Media Centre. Resta da vedere se gli amanti della carne abbandoneranno le loro bistecche per un’alternativa che assomiglia più alla carne nell’aspetto che nel sapore.