Piano Mattei avanti al di là del prezzo del gas. Urso: “Pensare rigassificatori a terra”

Il Piano Mattei andrà avanti “al di là del prezzo del gas“, perché è un progetto “centrale” che servirà a garantire “l’autonomia strategica dell’Europa come continente produttivo“. Sono le parole del ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, che aggiunge un’informazione in più sul dossier a cui lavora da mesi il governo, su imbeccata della premier, Giorgia Meloni, che punta molte delle fiches del suo mandato sull’idea di trasformare l’Italia in hub europeo del gas, ma non solo. Il piano sarà presentato ufficialmente il prossimo ottobre, in occasione della Conferenza Ue-Africa, dunque, è ancora work in progress. Ma Urso lascia anche anche spunti di riflessione. Partendo dalla strategicità dei rigassificatori galleggianti collocati a Piombino a Ravenna, il responsabile del Mimit dice che bisogna pensare “anche progetti per rigassificatori a terra“.

Del resto si tratta di infrastrutture cruciali, vista la diversificazione del mix energetico operato dall’Italia a partire dallo scorso anno. Che diventa fondamentale se l’obiettivo del Piano Mattei è rifornire Germania, Ungheria, Svizzera e gli altri Paesi dell’Europa centrale con metano e Gnl che arriveranno nei terminali presenti sul nostro territorio dalle nazioni del Nord Africa. Per avere a disposizione una adeguata gamma di forniture è importante, però, raddoppiare la capacità delle infrastrutture già esistenti e sfruttare la tecnologia per la trasformazione della materia da liquida a gassosa, per poi essere trasportata tramite le pipeline. Termini a volte difficili da comprendere, ma che in sostanza vogliono dire prendere il Gas naturale liquido, riprocessarlo per poi mandarlo a chi vorrà comprarlo. Per fare questo, però, servono i rigassificatori e l’Italia, complice anche la crisi energetica di inizio 2022, acuita fortemente dalla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, è corsa ai ripari acquistando due navi Frsu che hanno proprio questo scopo. Una è ormeggiata a Piombino, l’altra entrerà in funzione entro qualche mese. Le due imbarcazioni, però, hanno un timing operativo limitato. Quella in Toscana, ad esempio, non potrà rimanere più di tre anni e al momento si è fatta avanti la Liguria per accoglierla. Al di là del gas e delle energie prodotte da fonti fossili, però, il nostro Paese non abbandonerà i progetti legati alle fonti alternative. “Assolutamente no“, ribadisce Urso, ricordando che il nostro è il Paese “che spende di più per le rinnovabili o per l’idrogeno verde”. Che dunque diventa un altro tassello fondamentale del mosaico energetico del nascente Piano Mattei.

Nucleare, Gnl, rinnovabili: come Berlusconi fu precursore della sicurezza energetica

Il nucleare pulito, i rigassificatori, il massiccio impiego di risorse per le energie rinnovabili, sono nel nostro programma. Per anni siamo stati fermi sul fronte delle infrastrutture grazie ai ‘no’ della sinistra. Di questo i cittadini e le imprese pagano un prezzo molto alto”. Questo è un tweet di Silvio Berlusconi del 9 agosto scorso, all’inizio della campagna elettorale per le ultime elezioni politiche. Cavalli di battaglia storici del fondatore di Forza Italia che durante la sua permanenza a Palazzo Chigi tentò in tutti i modi di realizzare.

Sul nucleare, in particolare, nel 2009 l’allora premier del governo di centrodestra firmò a Villa Madama a Roma un accordo con Nicolas Sarkozy, all’epoca presidente della Francia, per avviare una cooperazione tra i due Paesi sulla produzione di energia con l’atomo aprendo la strada alla costruzione in Italia di reattori terza generazione. “Dobbiamo adeguarci e svegliarci da questo sonno che stiamo facendo da decenni – aveva detto in conferenza stampa il Cavaliere – e affrontare la costruzione di centrali nucleari in Italia con al fianco gli amici francesi, che ci mettono a disposizione il loro know how e grazie al quale risparmieremo anni e soldi“. Finora l’ostacolo, secondo l’ex presidente del Consiglio, è stato “il fanatismo ideologico” degli ambientalisti. Il capo dell’Eliseo aveva parlato di un accordo “storico” sostenendo che se l’Italia avesse confermato il suo ritorno al nucleare, la Francia sarebbe stata disponibile a una “partnership illimitata. Siamo pronti a dare un aiuto forte per il ritorno di Roma al nucleare”, concluse il presidente francese. Seguì memorandum tra Enel ed Edf. Il disastro in Giappone di Fukushima e un referendum bloccò però tutto nel 2011.

Andò in porto invece la realizzazione del principale rigassificatore italiano, al largo delle coste venete. Un impianto che ha permesso all’Italia di essere al sicuro – attraverso ingenti arrivi di Gnl – durante la crisi del metano della scorsa estate in seguito all’invasione russa dell’Ucraina con relative sanzioni e ritorsioni. A Rovigo nel 2009, Berlusconi disse: “Siamo tributari di quasi il 100% dell’energia che consumiamo verso i Paesi esteri. Non solo, ma abbiamo anche rischi che potrebbero portarci a blackout perché non abbiamo sufficientemente diversificato le fonti di acquisto di questa energia”, anticipando di 13 anni i rischi vissuti nel 2022. “Noi paghiamo attorno al 35% di più di quello che le altre imprese e le altre famiglie europee pagano l’energia che consumano”, proseguì ancora Berlusconi il quale sottolineò come altri Paesi avevano fatto progressi nella ricerca sul nucleare sicuro, pulito e non inquinante, vedi Francia. Invece “noi, il Paese di Enrico Fermi, siamo a zero”, sottolineò. E ancora: “Diversificazione delle forniture, avvio della produzione di energia con sistema nucleare, sviluppo delle energie rinnovabili e alternative … Per la prima volta, finalmente, l’Italia avrà un suo piano che dovrà, in pochi anni, portare il costo dell’energia per i cittadini e le imprese italiane allo stesso livello che oggi pagano le altre imprese e famiglie europee“.

Nel 2011 però, prima la crisi in Libia e poi le dimissioni sotto i colpi dello spread a 540 punti base, bloccarono ogni piano energetico. Nucleare, rigassificatore e rinnovabili, diceva Berlusconi pochi mesi fa. Anche in questo caso, nonostante una grande polemica scoppiata nel 2011 per la riforma del Conto Energia – “dobbiamo adeguarci agli standard europei”, sosteneva Berlusconi – i numeri hanno dimostrato la spinta verso l’energia pulita sotto i governi di centrodestra. Dal 2005 al 2011 il numero di impianti è sempre raddoppiato rispetto all’anno precedente raggiungendo nell’ultimo anno del governo Berlusconi una consistenza pari a 335.151 impianti. La potenza installata nel 2011 era risultata di 41.399 MW, oltre il doppio dei 18.335 MW del 2000. La crescita è dovuta ai nuovi parchi eolici, agli impianti alimentati con bioenergie e soprattutto ai fotovoltaici che nel 2011 avevano registrato un incremento eccezionale (+466%). La produzione rinnovabile, grazie al contributo delle nuove installazioni aveva segnato un nuovo record raggiungendo 82.961 GWh, l’8% in più rispetto al 2010. E sempre nel 2011 l’Italia aveva superato l’obiettivo nel settore elettrico del 19,6% indicato nel Piano di Azione Nazionale, raggiungendo il 23,5%. Negli anni successivi la percentuale non è sostanzialmente mutata

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Elettricità 100% green al 2035? Si può, ma serve cambio marcia

Decarbonizzare il sistema elettrico italiano al 2035 non è una missione impossibile. Si può fare, a patto che si cambi marcia urgentemente. Lo assicura uno studio presentato oggi a Roma, commissionato da Greenpeace Italia, Legambiente e Wwf Italia e realizzato dal think tank Ecco e Artelys. “La mancanza di un governance sul clima, di meccanismi di monitoraggio e correzione delle politiche, a partire dal processo autorizzativo, ha determinato uno sviluppo ridicolo delle rinnovabili negli ultimi anni. Le perdite di tale ritardo sono cifre a nove zeri“, denuncia Matteo Leonardi, co-fondatore e direttore delle politiche nazionali di Ecco.

Lo studio mostra quali caratteristiche dovrà avere un sistema elettrico italiano sostanzialmente decarbonizzato al 2035, con uno step intermedio al 2030. Un obiettivo che permetterà all’Italia di rispettare gli impegni G7, presi a maggio 2022, per il settore elettrico e rafforzato sotto la recente presidenza giapponese.
Emerge la necessità di un incremento di oltre 90 GW di rinnovabili rispetto alla capacità installata del 2021. Una cifra di poco superiore agli 85 GW già prefigurati da Elettricità Futura. Ma anche l’urgenza di un netto cambio di passo rispetto agli attuali livelli di installazione annua di capacità rinnovabile (circa 8 volte di più). L’obiettivo è arrivare al 2035 a circa 250 GW di capacità installata rinnovabile (circa 160 nel 2030), per quasi 450 TWh di produzione nazionale (quasi 350TWh nel 2030). La flessibilità avrà un ruolo decisivo su diverse scale temporali (giornaliera, settimanale, stagionale) e richiederà un mix di tecnologie. Secondo gli esperti, il contributo del gas fossile nel 2035 “sarà pressoché nullo (54 TWh nel 2030)”. Alcuni impianti di generazione termoelettrica saranno ancora usati con alimentazione a idrogeno e biogas.

“I climatologi sono chiari: abbiamo pochissimi anni per abbattere le emissioni climalteranti ed evitare che il riscaldamento globale raggiunga livelli davvero molto pericolosi e ingestibili“, mette in guardia Luciano Di Tizio, presidente di Wwf Italia. Le fonti rinnovabili, ricorda, soprattutto fotovoltaico ed eolico, garantiscono indipendenza, sicurezza energetica, maggiore resilienza agli impatti ormai in atto del cambiamento climatico. “Nel contempo, dobbiamo accelerare la dismissione delle infrastrutture fossili, dal carbone e al gas. La ricetta c’è, gli ingredienti anche, ora serve la volontà politica: è questo che serve nel prossimo Pniec”, afferma.

Lo scenario dello studio non prevede alcun ricorso al Carbon Capture and Storage (Ccs), tecnologia definita “eccessivamente onerosa e dipendente da sinergie con la filiera di petrolio e gas”, e pone limiti alla quantità di energia importata, per evitare che il sistema si affidi eccessivamente ad approvvigionamenti energetici dall’estero. Si presuppone un livello di investimento in batterie non inferiore alle stime fatte dai gestori di rete europei e di porre un tetto alla capacità di generazione elettrica da biomasse, oltre che una sufficiente produzione di idrogeno verde per l’industria. “La transizione energetica passa prima di tutto attraverso le rinnovabili, l’efficienza e l’innovazione”, conferma Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. Le fonti pulite, insiste, “sono la strada giusta da percorrere ma il nostro Paese deve accelerare il passo, velocizzando gli iter autorizzativi”. Ciafani parla dei nuovi progetti di fotovoltaico ed eolico, accelerando la realizzazione dei grandi impianti, lo sviluppo dell’agri-voltaico, di reti e accumuli, della diffusione delle comunità energetiche e degli impianti di digestione anaerobica, replicando le esperienze virtuose e dell’apertura di cantieri che vanno nella giusta direzione della transizione ecologica. “L’Italia ha tutte le caratteristiche per diventare un hub strategico delle rinnovabili, e non del gas come invece vuole il Governo Meloni, ma per farlo deve trovare il coraggio di archiviare gli ingenti sussidi alle fonti fossili e deve essere capace di autorizzare in pochi mesi i nuovi impianti a fonti pulite”, afferma.

Affinché il sistema elettrico decarbonizzato al 2035 sia fattibile al costo più basso possibile, saranno dunque necessarie alcune politiche abilitanti. A partire dalla coerenza del Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (Pniec) con gli obiettivi di decarbonizzazione. “L’analisi che presentiamo dimostra come, anche in Italia, la transizione energetica verso una base completamente rinnovabile del sistema elettrico sia ampiamente possibile e con tecnologie già disponibili“, osserva Giuseppe Onufrio, direttore esecutivo di Greenpeace Italia. Combattere la crisi climatica implica, ricorda, “soprattutto un cambio di paradigma energetico: occorre elettrificare progressivamente gli usi dell’energia e produrre idrogeno da rinnovabili ove necessario. Si può fare, si deve fare. Chi continua a negarlo, si attesta su posizioni ideologiche a conservazione del sistema fossile“.

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Il Texas, da patria del petrolio ad avanguardia sulle rinnovabili

Campi anneriti da pannelli solari a perdita d’occhio e foreste di turbine eoliche che spezzano la monotonia delle pianure: il Texas, storica patria della produzione petrolifera degli Stati Uniti, è ora in prima linea in una nuova rivoluzione energetica, quella delle energie rinnovabili. A sud di Dallas, le contee di Navarro e Limestone sono il simbolo di questa transizione: culla dell’industria petrolifera texana alla fine del XIX secolo, che ha reso ricca la regione, sono ora all’avanguardia nell’energia verde.

La scorsa settimana è stato inaugurato un nuovo parco eolico dalla società energetica francese Engie, con 88 tralicci e una capacità produttiva di 300 megawatt (MW). Più a ovest, ad Abbott, un’altra città rurale, un parco solare da 250 MW ha iniziato a produrre elettricità, insieme a un’area di stoccaggio dell’energia con batterie. Secondo l’organizzazione americana Clean Power, il Texas è lo Stato americano con la quota maggiore di progetti commerciali e industriali di energia rinnovabile nel 2022. Con il 35% della capacità energetica, è ben più avanti del secondo Stato più grande, l’Illinois, nel nord del Paese, con il 7%. Il vasto Stato meridionale rappresenta anche il 20% dei progetti in corso. Ma le torri eoliche sono ancora molto lontane dal sostituire completamente le torri petrolifere nel paesaggio texano. “Certamente, quando pensiamo al Texas, pensiamo a un grande Stato del petrolio e del gas. Direi che il Texas è ricco di risorse naturali (…) e sono molto bravi a gestire queste diverse risorse“, afferma Frank Demaille, vice direttore generale di Engie.

Sede di raffinerie e dell’industria petrolchimica, il Texas dispone di una rete propria per rifornire i suoi 30 milioni di abitanti, un’eccezione negli Stati Uniti. Nel 2021, una grave ondata di freddo ha causato interruzioni di corrente per diversi milioni di case e ha provocato più di 200 morti, spingendo questo Stato conservatore a rafforzare e diversificare le proprie forniture. Il Texas è ancora largamente dipendente dai combustibili fossili: all’inizio del 2023 il gas costituirà ancora la parte più consistente del suo mix energetico (42%, secondo l’operatore di rete Ercot) insieme al carbone (11%). Tuttavia, sta dando sempre più spazio alle energie rinnovabili, in particolare all’eolico (29%) e al solare (11%). Il resto è fornito dal nucleare e dall’idroelettrico.

Utilizziamo energia convenzionale, basata sul carbonio, ma il Texas è ora leader nell’energia pulita. Penso che in futuro vedremo una combinazione delle due“, afferma Jeff Montgomery, presidente di Blattner Energy, che ha costruito 400 progetti di energia rinnovabile in tutto il Paese. “Il gas viene estratto per essere venduto all’Europa e la guerra in Ucraina ha rafforzato questa dipendenza dal gas americano e soprattutto texano. Allo stesso tempo, hanno sviluppato una vera e propria competenza nell’energia solare ed eolica“, afferma Frank Demaille. L’IRA, il grande piano verde del Presidente Joe Biden votato l’anno scorso, potrebbe accelerare la tendenza fornendo grandi sussidi per la transizione energetica.

Secondo alcuni funzionari locali, le tasse generate dalle energie rinnovabili hanno contribuito a migliorare le scuole. Ma alcuni sono più cauti, come John Null, un ingegnere di 42 anni della contea di Navarro, che sostiene che i residenti nelle vicinanze non stanno realmente beneficiando dell’investimento nell’energia eolica, visto che i giganteschi tralicci appaiono fuori dalle loro finestre. Durante l’ultima ondata di freddo all’inizio di febbraio, “sarebbe stato utile se un interruttore avesse potuto trasferire l’energia prodotta qui alla comunità vicina“, dice. Sono in corso progetti per l’alimentazione di aree svantaggiate, come un’ex discarica dove verrà costruito un parco eolico in un’area a basso reddito di Houston, la quarta città più grande degli Stati Uniti. “C’è bisogno di energia“, afferma Paul Curran, direttore esecutivo di BQ Energy, che quest’anno inizierà i lavori per un impianto solare da 50 MW. Per questo ex dirigente dell’industria petrolifera, le due energie non sono in competizione. “Non c’è alcun problema se si realizzano progetti solari o eolici nei posti giusti, nei mercati giusti. È persino ben accolto dall’industria petrolifera e dagli esperti“, afferma

BEI

La Bei rilancia il green italiano: 5,52 miliardi nel 2022, aumento del 32%

Verde, bianca e rossa. Ma soprattutto verde. L’Italia preme sull’acceleratore del ‘green’, grazie al contributo europeo che arriva dalla Bei, la Banca europea per gli investimenti, che nel 2022 aumenta del 32% i finanziamenti per investimenti in sostenibilità rispetto all’anno precedente. Un totale di 5,52 miliardi di euro garantiti a governo e sistema Paese solo per l’attuazione dell’agenda eco-compatibile dell’Unione europea. In altri termini, il 55% degli oltre 10 miliardi di euro complessivamente erogati per lo Stivale, è stato indirizzato per l’azione climatica.

Il rapporto annuale della Bei, contenente il resoconto dell’attività svolta nell’anno da poco passato, contiene tutta una serie di esempi di spesa virtuosa. Sul fronte dei trasporti la Bei ha fornito un prestito da 100 milioni di euro per consentire a Poste Italiane di sostituire la sua flotta tradizionale di veicoli a combustibili fossili con con veicoli a zero emissioni. Si stima che si potranno avere in circolazione fino a 4.150 veicoli elettrici per la consegna della posta nelle città e nelle periferie circostanti. Capitolo efficienza energetica: l’Italia si è aggiudicata un finanziamento da 150 milioni (forniti a Italgas) per migliorare le performance di 4.500 abitazioni, più un altro da 500 milioni (al ministero dell’Economia) per sostenere la ricostruzione di edifici danneggiati o demoliti dal terremoto che ha colpito il Centro Italia nel 2016, “con l’obiettivo di migliorare significativamente l’efficienza energetica e la sicurezza sismica dei nuovi immobili”.

Non finisce qui. Sempre il 2022 ha visto la firma della prima tranche da 500 milioni di euro dei 1,9 miliardi approvati dalla Bei per la costruzione del Tyrrhenian Link di Terna, progetto di collegamento sottomarino Sicilia-Sardegna-Italia peninsulare attraverso un doppio cavo lungo 970km e con 100MW di potenza, “contribuendo a migliorare la capacità di scambio elettrico, favorire lo sviluppo di rinnovabili e l’affidabilità della rete”. Non un caso. “Per contrastare la crisi energetica in atto, nel 2022 il Gruppo Bei ha aumentato significativamente i finanziamenti a favore della transizione ecologica in Italia”, spiega Gelsomina Vigliotti, vicepresidente della Banca europea per gli investimenti, presentando i risultati annuali. Questi investimenti “contribuiscono a produrre energia rinnovabile, garantire la sicurezza energetica, promuovere la mobilità sostenibile, e a decarbonizzare le nostre aziende”.

Il contributo per il green in Italia si inserisce in un’azione a più ampio raggio. Nel 2022 la Banca europea per gli investimenti (Bei) sostenuto la sicurezza energetica nell’Ue con finanziamenti complessivi per 17,06 miliardi di euro. Nello specifico, 6,71 miliardi di euro sono stati destinati a interventi di efficienza energetica, di cui 5,35 miliardi dedicati all’edilizia. L’istituto di credito di Lussemburgo ha inoltre finanziato progetti per sviluppo di energie rinnovabili per un totale di 5,53 miliardi di euro. Più in dettaglio, circa 1,46 miliardi di euro sono stati destinati nel settore dell’eolico (offshore e su terra), e poco più di 2,4 miliardi di euro per il solare fotovoltaico. Tutte decisioni che rispondono a uno stesso fine: l’azzeramento delle emissioni clima-alteranti. La Bei “non intende sostenere più progetti per i combustibili fossili e dedicherà il 50% dei propri investimenti in sostenibilità e lotta ai cambiamenti climatici entro il 2025”. Vero è che, numeri alla mano, i finanziamenti per la green economy e la sostenibilità “sono aumentati in modo significativo, raggiungendo i 36,5 miliardi di euro, pari al 58% del totale” erogato. “Complessivamente il gruppo sta rispettando le previsioni di raggiungere i 1000 miliardi di euro in finanziamenti verdi per la fine del decennio, avendo già sostenuto investimenti per 222 miliardi di euro negli ultimi due anni”.

Ma alle sfide già atto, quelle dei cambiamenti climatici, se ne pongono di nuove. Una su tutte: l’Inflation Reduction Act dell’amministrazione Biden. “Nel momento in cui gli Stati Uniti varano il più vasto programma di sussidi verdi della storia, è imperativo che l’Ue continui il suo percorso per la sicurezza del pianeta e la competitività della nostra economia”, il monito di Werner Hoyer, presidente del gruppo Bei. Assicura che “la nostra banca farà la propria parte per finanziare l’innovazione domestica che porta alla neutralità” climatica e di emissioni, ed esorta i capi di Stato e di governo a non restare a guardare. Al contrario, “i leader dell’Ue devono produrre una risposta forte all’Inflation Reduction Act”. Ad ogni modo, “noi faremo parte di quello che sarà deciso. Occorre mobilitare il settore privato, e noi in questo possiamo giocare un ruolo importante”.

Balconi - Francia

‘Diritto al sole’ diventa obbligatorio: case solo con balconi a Rennes

Saranno stati la pandemia, l’isolamento sanitario, l’aumento dello smart working e il bisogno di una vita domestica più sostenibile, ma sta di fatto che l’area metropolitana di Rennes ha preso una decisione decisamente controcorrente. D’ora in avanti tutte le case di nuova costruzione dovranno avere un balcone o un terrazzo di almeno 4 metri quadri. Questo vincolo non si limita agli edifici privati: anche le residenze per studenti, anziani o ostelli per giovani lavoratori devono offrire uno spazio esterno, in questo caso fissato fissato a 3 metri quadri. Il cambiamento degli stili di vita dopo la pandemia, come spiega Laurence Besserve, vicepresidente di Rennes Metropole, è stato determinante nella scelta.

Ma c’è un altro motivo per cui i rappresentanti eletti della metropoli bretone (460.000 abitanti e 43 comuni) hanno deciso di fare il grande passo: le previsioni demografiche. “La popolazione invecchia: resteremo a casa il più a lungo possibile, quindi ci sarà bisogno di spazi interni ed esterni. Conosciamo tutti i benefici dello stare all’aperto“, spiega Besserve, che è anche sindaco di Betton, una cittadina in rapida espansione alle porte di Rennes. Tutta l’area, così come quella di molte altre città occidentali, devono rispondere a una forte impennata demografica, con una previsione di 533.000 abitanti entro il 2035 e la necessità di creare 65.000 nuovi alloggi.

Con la legge Clima e resilienza del 2021 in Francia e la prospettiva di net zero entro il 2050, “sempre più persone vivranno in forme urbane collettive e questo bisogno di spazio all’aperto sta diventando vitale“, sostiene Besserve. La decisione piace molto al mercato immobiliare. “L’esigenza di avere spazi esterni è stata espressa molto dai clienti negli ultimi tempi“, spiega Guillaume Loyer, del gruppo Giboire. Ovviamente questo nuovo standard porterà “necessariamente” un aumento dei prezzi e questo potrebbe rappresentare un problema.

Il sociologo Jean Viard, che da tempo sostiene il “diritto al sole“, accoglie con favore questa iniziativa in una zona “che è sempre stata all’avanguardia in termini di politiche di pianificazione regionale con il concetto di città arcipelago“. “Tutti vogliono poter mangiare al sole, avere una pianta e possibilmente un animale“, ha osservato l’autore di ‘La sacralità del tempo libero’, sottolineando che “molti anziani non escono mai di casa” e purtroppo non hanno più alcun legame con l’aria esterna.

Italgas

Italgas, laboratorio per l’idrogeno in Sardegna: uso flessibile ma troppo costoso

“Nella visione della Comunità europea, il 50% del gas che arrivava dalla Russia dovrà essere rimpiazzato di qui al 2030 da biometano e idrogeno, in egual misura. Il 50% sono 75, quasi 80 miliardi di metri cubi di gas. Vuol dire che il ruolo di biometano e idrogeno diventa fondamentale. In più si accelera la transizione energetica perché metà di quel gas si rimpiazza con gas che sono rinnovabili e a zero contenuto di C02”. Il futuro lo ha tracciato Paolo Gallo, amministratore delegato di Italgas, in un’intervista che ha concesso a GEA a metà dicembre 2022. In quella dichiarazione, di per se stessa abbastanza asciutta, sono contenuti gli sforzi che dovranno essere compiuti per superare la crisi energetica e per guardare al domani senza l’angoscia addosso. Conviene che tutti facciano l’abitudine a queste due parole, biometano e idrogeno, perché da loro passa la modernizzazione energetica, più ancora che dal nucleare, fonte di paure e forse pregiudizi in Italia.

Non è casuale che Italgas stia sperimentando la produzione dell’idrogeno in Sardegna con una factory all’avanguardia, anche se i tempi che si profilano non sono rapidissimi. “Per dare vita all’era dell’idrogeno ci vanno ancora cinque, sette, dieci anni”, ha sottolineato il mese scorso Gallo. “Noi in Sardegna stiamo facendo attività di ricerca e sviluppo, più orientata sulle varietà di utilizzo dell’idrogeno. Testeremo la parte di elettrolisi, lo stoccaggio e poi lo utilizzeremo per la mobilità in virtù di un accordo con la locale società di trasporto pubblico, per una industria casearia che vuole rendere verde la propria produzione, infine miscelato al gas naturale nelle nostre reti”, resto della spiegazione che dà il senso di quanto potrà essere prezioso l’idrogeno verde in un orizzonte temporale non immediato ma nemmeno lontanissimo.

La flessibilità di impiego dell’idrogeno per adesso mal si sposa con i costi di produzione ancora elevatissimi, ‘figli’ di una carenza di tecnologia non ancora sperimentata. È sempre l’Ad di Italgas che ci conduce all’interno di un mondo solo parzialmente inesplorato: “La tecnologia di produzione dell’idrogeno verde esiste ma non è ottimizzata. E poi il costo dell’energia. L’idrogeno diventerà competitivo quando ci saranno talmente tante fonti da energia rinnovabile che avremo per tante ore dell’anno un surplus di produzione. Surplus che verrà utilizzato per produrre idrogeno”.

eolico

In Italia è boom dell’eolico. Enel Green Power: “Entro il 2030 raddoppierà la potenza”

In questi giorni Terna sta rilasciando la soluzione tecnica di connessione a tutti i nuovi impianti di eolico offshore che hanno richiesto, entro il 31 ottobre, l’allaccio alla rete di trasmissione nazionale, per una potenza complessiva di circa 95 GW. Le richieste di connessione di impianti a fonti rinnovabili in Italia stanno vivendo un vero e proprio boom. Nel corso del 2022, Terna ha registrato un trend in forte crescita: a ottobre, infatti, le richieste di connessione alla rete di trasmissione nazionale di nuovi impianti green hanno raggiunto il valore complessivo di circa 300 GW di potenza (di cui circa il 37% da fonte solare e circa il 56% da fonte eolica onshore e offshore). Un dato significativo, pari a oltre 4 volte il fabbisogno di 70 GW di nuova capacità rinnovabile necessario per raggiungere i target climatici definiti dal nuovo pacchetto legislativo UE ‘Fit-for-55’ al 2030.

In particolare, l’eolico offshore cosiddetto ‘floating’, che prevede la realizzazione di impianti galleggianti sulla superficie acquatica, sta trovando sempre maggior sviluppo nei fondali dei mari italiani, grazie al progresso tecnologico maturato sul mercato internazionale, sottolinea Terna. Un importante passo in avanti che trova conferma nelle richieste di connessione ricevute: al 31 ottobre 2022, quelle relative all’eolico offshore hanno infatti raggiunto una potenza pari a circa 95 GW (oltre il 200% in più rispetto a quelle pervenute a dicembre 2021). E circa l’80% delle richieste è localizzato nelle regioni del sud Italia e nelle isole maggiori: circa 24 GW in Sardegna, 19 GW in Sicilia e 4 GW in Calabria.

Nel frattempo, sta aumentano la produzione nazionale di energia elettrica da fonte rinnovabili, che a novembre hanno prodotto complessivamente 7,3 miliardi di kWh, coprendo il 29,3% della domanda contro il 27,7% del novembre 2021, con una variazione del 12,2% dell’eolico. Eolico che rappresenta il 26% di produzione complessiva da fonti rinnovabili.
D’altronde aumentano gli impianti eolici, a terra e in mare. Secondo l’ultimo Osservatorio Fer Anie Rinnovabili, nel 3° trimestre 2022 si è osservato un trend in forte crescita con 381 MW di nuova potenza installata. Le installazioni di potenza superiore ad 1 MW rappresentano l’88% del totale. Gli impianti di taglia maggiore a 1 MW realizzati alla fine del 3° trimestre sono 14, di cui 9 installati nel solo periodo luglio-settembre: due in Campania da 50,5 MW e 15 MW, uno in Sicilia, Basilicata e Molise rispettivamente da 28,8 MW, 35 MW, 29,4 MW e, infine, quattro in Puglia da 15 MW, 8,2 MW, 8,2 MW e 43,8 MW. Complessivamente sono stati connessi alla rete 135 impianti da gennaio a settembre 2022. Per quanto riguarda le variazioni tendenziali (2022 su 2021) nei mesi di aprile, maggio e giugno si è registrato un incremento di potenza installata (complessivamente del +145%).

Sull’eolico Enel Green Power è da sempre in prima fila in tutto il mondo. In particolare in Italia, a fine ottobre, ha messo in servizio il parco eolico di Castelmauro, in Molise. L’impianto si trova tra i comuni di Castelmauro e Roccavivara, nella provincia di Campobasso, ed è costituito da sette aerogeneratori da 4,2 MW ciascuno, per una potenza totale pari a 29,4 MW. Il nuovo parco eolico produrrà circa 70 GWh ogni anno da fonte rinnovabile, evitando l’emissione in atmosfera di circa 30mila tonnellate di CO2 all’anno e l’utilizzo di 15 milioni di metri cubi di gas. A fine 2021 era invece entrato in funzione il parco eolico di Partanna, in Sicilia. L’impianto si trova in località Contrada Magaggiari, nella provincia di Trapani, ed è costituito da sei aerogeneratori da 2,4 MW ciascuno, per una potenza totale pari a 14,4 MW. Il nuovo parco eolico produrrà circa 40 GWh ogni anno da fonte rinnovabile, evitando l’emissione in atmosfera di circa 18mila tonnellate di CO2 all’anno.

In termini assoluti l’energia eolica in Italia è in progressiva crescita. Seppure a ritmi inferiori rispetto ad altri Paesi europei e alla media del continente, abbiamo già oltre 5mila impianti distribuiti sul territorio. “A oggi, nella grande maggioranza dei casi – spiega Enel Green Power – si tratta di siti con turbine eoliche di potenza unitaria tra i 20 e i 200 chilowatt; in futuro si prevede l’installazione di turbine di tecnologia più avanzata, con potenza unitaria e produzione maggiori e, a parità di sito considerato, con un’ottimizzazione degli spazi e del consumo di suolo”.

Si prevede che l’energia complessiva ottenibile con l’eolico italiano possa raddoppiare in un decennio rispetto agli attuali 20 terawattora l’anno, con un passaggio in termini di potenza massima erogabile da 11 a 19 gigawatt. E a livello mondiale si stima che, da qui al 2040, la capacità di catturare l’energia del vento possa aumentare di 15 volte, portando l’eolico a diventare, nella media globale, “la fonte rinnovabile numero uno a disposizione dell’umanità”, conclude la società del gruppo Enel.

Pichetto: “Price cap ‘bazooka’ contro la speculazione. Sul nucleare la partita non è chiusa”

Il clima mite dell’inverno 2022-2023 unito al risparmio dei consumi di gas, potrebbero lasciare in eredità un ‘tesoretto’ di gas negli impianti di stoccaggio italiani. Al di là dei risvolti ambientali e climatici che hanno portato a temperature nettamente superiori alla media, sarebbe davvero una bella notizia per il governo, ma soprattutto per le casse dello Stato. E musica per le orecchie del ministro Gilberto Pichetto Fratin, al lavoro proprio per “mettere in sicurezza”, come afferma: Abbiamo un po’ di stoccaggi, probabilmente li manterremo e quindi partiamo da un livello un po’ più alto” rispetto all’anno scorso. Il responsabile del Mase, pur ricordando che “nessuno di noi ha la sfera di cristallo”, potrebbe anche riuscire nell’impresa di risparmiare miliardi utili da reinvestire in altri progetti, grazie al combinato disposto del “bazooka” price cap Ue sul prezzo del gas con la riduzione degli sprechi che gli italiani stanno mettendo seriamente in pratica. I numeri li fornisce direttamente Pichetto: “Circa 5 miliardi di metri cubi in meno consumati”.
Inoltre, un altro elemento che lascia ben sperare il governo, è chesono state già differenziate le fonti di approvvigionamento, grazie agli accordi con l’Algeria, ma anche al Tap, “che ci porta 10 miliardi di metri cubi di gas”. Per il ministro, dunque, “sui quantitativi, in qualche modo, dovremmo farcela”. Mentre sul prezzo ora c’è “un ‘tappo’ all’eventuale esplosione”, soprattutto nel caso “gli speculatori facciano oscillare eccessivamente i mercati internazionali”. La somma di questi fattori fa dire al responsabile del dicastero di via Cristoforo Colombo che “nel breve periodo l’Italia sta diventando centrale rispetto all’Europa”. Un bel passo in avanti rispetto all’anno scorso, quando a dare le carte era sempre la Germania, mentre ora “avendo collegamenti con l’Azerbaijan, l’Algeria e anche la Libia, e ovviamente con i rigassificatori, noi ci poniamo nella condizione di essere i soggetti che ricevono il gas e lo distribuiscono” sul Vecchio continente.
Analizzato il presente, resta comunque da programmare il futuro. Che prevede la riduzione delle emissioni di Co2, così come l’incremento delle fonti rinnovabili, ma serve tecnologia in grado di lasciare anche alle generazioni future un’eredità che le possa far stare più tranquille. Per il governo potrebbe essere il ritorno al nucleare. Infatti, Pichetto dice che la partita non è chiusa: “Sono convinto che vada affrontata in modo serio”, perché “la valutazione va fatta con un’ampia discussione, poi vanno fatte le scelta. E credo che la scelta debba essere il nucleare”, ma “sapendo che ce l’avremmo tra 15-20 anni e la fusione tra 40-50 anni”.

Il fisico Angelo Tartaglia: “La politica investa in rinnovabili, non in energia nucleare”

“Alla domanda ‘che cos’è l’energia?’ ho il sospetto che vi troverete in difficoltà e non perché non avete studiato abbastanza fisica, ma proprio perché il concetto è tutt’altro che banale”. Angelo Tartaglia (nella foto), professore senior di Fisica presso il dipartimento di Scienza applicata e tecnologia del Politecnico di Torino, inizia così ad accompagnare il lettore tra le pagine del suo ultimo libro “Spaccare l’atomo in quattro”, con il sottotitolo esplicativo: “Contro la favola del nucleare”, pubblicato per Edizioni Gruppo Abele.

Professor Tartaglia, quando e perché ha deciso di scrivere e pubblicare questo libro?
“Questo libro nasce dal fatto che, soprattutto negli ultimi due anni, si è ripreso a parlare di nucleare in maniera operativa in ambienti industriali e politici come la soluzione per rispondere alla necessità di avere molta energia; gli ignoranti credono che sia possibile avere centrali nucleari che in un biennio riescano a rispondere al fabbisogno energetico europeo, mentre le persone più attente parlano di prospettiva, auspicando che nell’arco di una quindicina d’anni ci si possa dotare di nucleare per ottenere energia pulita e sicura. Queste ultime sono caratteristiche che non appartengono all’energia nucleare perché, per definizione, la centrale a fissione produce scorie”.

Quando si parla di energia pulita, il pensiero corre alle energie rinnovabili. Nel suo libro, lei affronta il tema del fotovoltaico. Secondo lei, perché in Italia questa alternativa green non è ancora così diffusa?
“Si tratta di un problema di politica energetica. Non ci sono impedimenti fisici per estendere il fotovoltaico, bensì di natura politica-economica. Ammetto che ci possano essere dei problemi tecnici – la rete di distribuzione nasce e si sviluppa per grandi centrali a partire dalle quali si trasporta energia per poi arrivare agli utenti finali, mentre la logica dei fotovoltaici e dell’eolico segue la produzione diffusa attraverso una quantità di punti di produzione più piccoli interconnessi tra loro – però potrebbero risolversi con delle ristrutturazioni e delle politiche di investimento. Il Pnrr, per esempio, destina 2 miliardi e 200 milioni ai Comuni al di sotto dei 5 mila abitanti per creare comunità energetiche, ma i bandi non sono ancora stati emessi e la realizzazione deve essere ultimata entro il 2026. Se il 2% del territorio nazionale italiano fosse coperto di pannelli fotovoltaici, si avrebbe una produzione annua sufficiente a soddisfare l’intero fabbisogno energetico nazionale”.

Anche il fatto che l’emergenza climatica non sia in realtà vissuta come tale è da imputare a scelte politiche?
“Sì, esatto. Il clima, in tutte le sue sfaccettature, non è al centro delle agende politiche. In questi ultimi mesi, inoltre, la guerra ha posto in secondo piano vari aspetti. Sopra tutto c’è ovviamente il bilancio drammatico di morti e feriti, di danni a strutture e via discorrendo; c’è, però, anche un bilancio energetico che sarebbe opportuno tracciare: un dato su tutti riguarda l’emissione di CO2, che non ha alcun accenno a limitare il tasso di crescita ma che anzi peggiora a seguito delle esplosioni. Non dobbiamo inoltre dimenticare che la produzione delle bombe termonucleari, le cosiddette ‘bombe sporche’ è attiva ed esse continuano a essere accumulate. Sono armi a potenza limitata, distruggono meno rispetto alle bombe tradizionali, ma rilasciano quantità notevoli di residui radioattivi che rendono inagibili per anni interi territori. Anche la recente notizia secondo la quale negli Usa si sia riuscito a estrarre energia da un reattore fusione nucleare ha sullo sfondo l’aspetto militare: certo, ci avviciniamo a energia illimitata e pulita, però l’utilizzo del laser su un granello di materiale serve a mettersi nelle condizioni di capire la dinamica dell’esplosione per fini militari, evitando esperimenti sia sotto terra sia in atmosfera”.

Lei dedica un intero capitolo del libro alle fake news sul nucleare. Come può un cittadino districarsi in questo mare magnum di luoghi comuni?
“Informandosi, prima di tutto. Per farlo, però, occorre che i divulgatori non si addentrino in discorsi troppo tecnici, che i non addetti ai lavori faticano a comprendere. I concetti di energia infinita e pulita, possono essere spiegati con un linguaggio comprensibile. Devono, inoltre, essere al centro di momenti di confronto di merito tra esperti e politici che non dovrebbero solo prestare ascolto a professionisti di parte, ma aprirsi al dialogo e al confronto, ascoltando una pluralità di esperti”.